DARE live @ Legend Club Milano – 12 maggio 2019 – Il Report

Vi racconterò una storia. C’era una volta, in un tempo non troppo lontano, un giovane pipistrello che, appena svegliatosi dal suo lungo sonno diurno, si era affacciato dalla sua grotta, pronto per spiccare il volo nel già tenue rossore del tramonto. Mentre stava aprendo le sue nere ali vide davanti a se un gheppio, che stava facendo le sue ultime acrobazie nel cielo prima di tornare a casa dopo una lunga giornata in giro per la campagna. Preso da curiosità, lo chiamò: “Gheppio, gheppio, vieni qui!!”. “Dimmi pipistrello!” – gli rispose quello, raggiungendolo nell’ombra – “che vuoi da me?”. “Sapere della luce del sole, dei colori del giorno, dei suoni dei bambini che giocano dopo la scuola.. Sai, vi scruto spesso la sera, voi uccelli diurni, mentre gridate la vostra felicità agli ultimi raggi del sole. Ma io non ho mai visto un mezzogiorno, i miei occhi sono delicati, non potrebbero resistere, e se lo facessi rischierei di diventare persino cieco! Guardo spesso la luna, sì, e sogno una vita al di là del buio.. Ma è diverso! Dai, ti prego, dimmi come è!”

Il gheppio sorrise, prese per l’ala il pipistrello e gli disse: “Seguimi!”. I due volarono nel tramonto, lungo fiumi, prati e colline. Quando ormai era notte giunsero in città. Lì, si fermarono vicini a un parco: “Vedi quel piccolo edificio laggiù?”, disse il gheppio. “Sì, certo!”, esclamò l’amico mentre masticava gli ultimi bocconi di una zanzara. “Bene. Ora tu entraci! C’è una presa d’aria aperta da cui puoi passare, arriva fino in fondo al tubo metallico e fermati lì. Pipistrello, là troverai i colori che cerchi, e i suoni che sogni da tempo. Non ti preoccupare degli umani, sono innoqui, e non aver paura dei forti suoni. Tu stai li buono, resta nascosto, osserva e ascolta. E avrai tutte le tue risposte!”.

Si dice che quel giorno il pipistrello comprese la bellezza della luce, sentì tutti i suoni che andava cercando, provò sulla sua pelle il calore del sole, e non divenne cieco (ma un po’ miope sì!). Si racconta che quel giorno magico fosse il 12 maggio 2019, e che l’edificio indicatogli dal gheppio fosse il Legend Club di Milano. Pare che sul palco stessero suonando degli umani chiamati Dare..

Ora, sta a voi credere a questa storia che, come tutte le leggende, nasconde qualche verità dietro a una buona dose di fantasia. Però sappiate che il pipistrello io l’ho incontrato, e mi ha detto che…

Dopo 17 lunghi anni di assenza dal nostro Paese, i Dare dell’ex Thin Lizzy Darren Wharton hanno finalmente rimesso piede in Italia con l’ultima data del loro tour europeo, celebrativo dell’anniversario del loro storico album di debutto Out of the Silence. Un evento esclusivo, atteso da centinaia di fans fin dalle prime ore della serata, ovvero dall’esibizione delle due band di spalla, gli italianissimi Even Flow e i tedeschi High Tide.
I primi, che vantavano tra le fila Marco Pastorino (voce) e Luca Negro (basso) dei conosciuti metallers italiani Temperance, hanno proposto una trentina di minuti di un prog metal con influenze hard rock di ottima fattura, che ha permesso al bravo cantante di mostrare tutta la sua estensione vocale tra rallentamenti atmosferici e sfuriate di energia, evidenziate dal potente groove di fondo creato dalla sezione ritmica, e dagli ottimi riff di chitarra. Uno show deciso e dal ritmo sostenuto, che ha aperto la serata con qualità, sfruttando un bel gusto musicale moderno, e uno stile di fatto totalmente differente rispetto a quello dei secondi musicisti on stage, i tedeschi High Tide, che si sono mostrati ben più dediti a un hard rock dal sound classico, meno originale, un po’ bluesy, e decisamente di revival anni ’70s. Led Zeppelin, Deep Purple, Gary Moore, The Doors, Great White, Rival Sons, sono solo alcuni dei gruppi storici da cui questi ragazzi di Heilbronn hanno preso – in modo più o meno evidente – spunto, ma la buona tenuta del palco degli stessi, il carisma del cantante e del chitarrista, e il bello stile del batterista sono stati gli elementi che in fin dei conti ce li ha fatti amare, al di là delle suddette evidenti derivazioni di sound. Per un’oretta di spettacolo comunque di livello, e di giusta attitudine..

Poi le luci si sono spente, e sono entrati i Dare.

(respiro profondo)

Una delle migliori band che abbia visto live per ciò che concerne il nostro genere. Ok – direte – sei un superfan esaltato di Wharton e soci, sei di parte, lo sappiamo tutti.. E’ vero, anzi, verissimo! Tanto che la bandiera tricolore con scritto Nothing is Stronger than Dare che Darren ha esibito con fierezza a fine show, beh, gliel’ho lanciata io (..e chi altro se no!), ma vi sfido a nominarmi altre band capaci di esprimersi dal vivo in uno spettacolo così coinvolgente, fedele al sound in studio, maiuscolo per tecnica ed esecuzione.. tolti forse gli FM.

Tutti abbiamo visto un Vinny Burns che è stato un compasso, e che chiunque riconoscerebbe a occhi chiusi anche dopo sole due note di chitarra. Poi c’era Nigel Clutterbuck al basso che ad ogni tocco di corde tirava tra la gente un pezzo del suo cuore, Kevin Whitehead alla batteria che non faceva cose pazzesche, ma suonava da Dio, Marc Roberts alle tastiere che riproduceva nel dettaglio il ricco tappeto di suoni che è puro trademark del gruppo.. e Darren, va beh, Darren lui viene da un altro pianeta, e come canta calde e ricche di sentimento le note basse lui, al mondo nessuno… Punto.

La scaletta? Perfetta. Prima metà di spettacolo incentrata su Sacred Ground, l’ultimo album del gruppo. Quindi via di Home, traccia opener capace come poche di immergere il pubblico nel puro mood Dare fin dalle sue prime battute, e avanti con la ballad Until, dolcissima e intonata alla perfezione da un Wharton visibilmente commosso. La sostenuta Days of Summer (anticipata da un discorsetto sulla bellezza delle donne italiane) e la nuova ballad strappalacrime I’ll Hear You Pray lasciano spazio al singolo On My Own, pezzo che personalmente non adoro, ma che è sempre stato spinto dal gruppo (anche nelle radio) per la sua grande spensieratezza e spontaneità (e in effetti è impossibile non cantare il suo refrain). Di tutt’altra pasta il trio sentimentale che apre con l’ultima delle nuove, la eccellente Everytime We Say Goodbye, per arrivare al disco Beneath the Shining Water del 2004 attraverso le canzoni romantiche Sea Of Roses e When Darkness Ends, quest’ultima eseguita con un groove da antologia del genere AOR.

Si sà, il Darren Wharton musicista nasce grazie ai Thin Lizzy, e il tributo al loro genio non poteva essere fatto se non nelle note del classico Emerald, suonata in modo eccelso da un Vinny Burns sempre più sugli scudi. L’ultima ballad di questa sera, la title track Beneath The Shining Water, consegna il nostro spirito alle calme acque di un lago, ma la nostra carne resta a bordo palco per riempirsi nei muscoli di bollente sangue al grido di battaglia di Wings Of Fire e We Don’t Need A Reason, tratte dal capolavoro Blood From Stone. Da qui in poi sarà delirio, visto che la band sparerà negli amplificatori, una dietro l’altra, quattro tracce tratte dal debutto Out of the Silence, ovvero Abandon – Into The Fire – The Raindance – King Of Spades, quest’ultima ovviamente dedicata a Phil Lynott, maestro non solo di Darren, ma di tutti noi rocker nel mondo.

E’ una standing ovation. Non c’è più uno spettatore che riesca a star fermo, e quando la band rientra on stage per il bis, questo finisce per non prevedere soltanto un brano come nelle altre date del tour, ma bensì tre!! E’ il regalo dei Dare al popolo italiano, che da troppo tempo aspettava il loro ritorno: quindi, a sopresa, ecco la energica Storm Wind (ancora estratta dal rivalutato Beneath the Shining Water), a cui segue quello che per me è il capolavoro assoluto della discografia degli inglesi, ovvero il brano Silent Thunder, tratto da Belief del 2001. Esecuzione ancora una volta perfetta.

Con il cuore che non riesce più a smettere di battere all’impazzata, i Dare ci salutano a dovere con la canonica e celebrativa Return The Heart, prima di darci appuntamento allo stand del merchandising per una lunga sessione di foto e autografi con i fans, che trova il tempo per tutti quanti, nessuno escuso. Selfie, firme, abbracci, chiaccherate e battute, c’è tempo per tutto questo e molto di più (e per più di un’ora!), e sono certo che ogni singola persona giunta al locale potrà aver avuto il suo momento magico al fianco dei propri beniamini. Sono stati unici anche in questo.

Personalmente, per anni ho avuto un solo desiderio: vedere i Dare dal vivo, e in Italia . Dopo una attesa lunghissima, questo sogno si è avverato. Per la prima volta in vita mia ho faticato a trovare le parole per scrivere questo report. Ero ai cancelli alle 10 del mattino, ero li quando i ragazzi sono arrivati. Ho chiaccherato e scherzato con loro. Mi son fatto autografare anche l’anima, come dimostra la foto sotto. Poi ero in prima fila per loro, ho cantato con Darren (che mi ha pure passato il microfono per un ritornello), ho fatto air guitar con Vinny Burns. Ho lanciato loro la mia bandiera, sapendo ora che il motto che vi ho impresso dice la verità. Ho aspettato Darren fino a che non è risalito sul pulmino per tornare in albergo, e lui mi ha abbracciato e ringraziato: mi ha detto we will return. Poi ha chiuso il portone del van, e con gli altri se ne è andato.. e io sono rimasto lì, a toccare commosso il cielo, abbracciato a un amico pipistrello appena incontrato..

 

 

 

 

 

 

 

 

GALLERIA FOTOGRAFICA:

 

DARE – Sacred Ground – Recensione

Un periodo di sette anni intercorsi senza un nuovo disco di inediti dei Dare può certamente essere definito come eccessivo da chi (come l’autore di questa recensione) si dichiara senza timori fan accanito di uno dei gruppi rock melodici inglesi oggettivamente più innovativi e originali di sempre. E’ però risaputo (e lo si sà quindi preventivamente quando si sceglie questa band come preferita) che le lunghe pause sono sempre state una (sofferta) caratteristica del songwriting di Darren Wharton, un compositore geniale ma in continuo bilico tra il presente (della sua formazione) e il suo passato storico, da sempre legato alla permanenza nella formazione dei leggendari Thin Lizzy, e ai suoi innumerevoli show di tributo.    

Come una soap opera che non manca mai di riservare colpi di scena, ecco allora che tra un disco dei Dare e il suo successivo si potrebbero scrivere paginate di storia, parlando all’infinito di false promesse e finti annunci, di ritardi e scadenze mai rispettate, di entrate e uscite in formazione, eccetera, eccetera. Quel che è certo è che, nel riassunto di quanto accaduto dall’ultima pubblicazione di inediti Arc of the Dawn (2009) all’uscita di questo Sacred Ground (fissata per il 15 luglio), si deve certamente sottolineare l’abbandono del chitarrista Richie Dews, escluso dal gruppo (peccato..) per lasciare spazio al ritorno in pompa magna del co-fondatore e chitarrista Vinny Burns, con il bassista storico Nigel Clutterbuck.

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Three Lions – 3 Lions -Recensione

 

Tre Leoni inglesi e già la cosa profuma di campi verdi pronti alla battaglia, di epiche imprese e duelli memorabili. Aggiungiamo ancora un pò di pathos con la storia che segue due dei Leoni coinvolti, il leggendario Vinny Burns alle chitarre (Dare, Ten, Asia) e il suo compagno di ventura Greg Morgan (Dare, Ten) e per concludere ci vuole l’incognita, l’ultimo Leone a scendere in campo per la prima volta, Nigel Bailey che porta in battaglia la sua voce ed il suo basso.
Già, ma qui non ci troviamo di fronte ad un film che rievoca leggende e gloria di un passato di cavalieri e spade, ma i tre Leoni si trovano ad affrontare un terreno ben più ostico, quello dell’Hard Rock, che nel tempo ha consacrato eroi ma anche massacrato con estrema crudeltà chi si avvicinava troppo avventatamente sul suo terreno.
Se due dei tre personaggi coinvolti però portano un bagaglio che parla di Dare e Ten e se alle spalle vedono un reame glorioso come quello che ha saputo creare la Frontiers Records, direi che almeno sulla carta non mancano le buone intenzioni.

Togliamoci allora subito un pò di dubbi buttando li una domanda, ma Nigel Bailey dov’è stato nascosto finora? Non più proprio un giovanotto, il debuttante Bailey sfoggia una voce calda e profonda, un pò segnata dall’età che gli dona però quel non so che di poetico e vissuto che non può non ammaliare già dalle prime note di Trouble In A Red Dress anche se è su pezzi secondo me più tormentati e passionali come Two Hearts Beat As One che da il meglio di se.
Ammetto che dalle prime notizie su questa band che vede due Dare / Ten in formazione mi aspettavo un sound misto tra l’epico dei Ten e l’etereo degli ultimi Dare mentre invece qui il linguaggio è uno e uno soltanto, Hard Rock melodico a tutto tondo! Va detto però che la caratura, ed il passato di Vinny Burns e Greg Morgan regalano quel prezioso tocco di classe ed eleganza ai pezzi di questo lavoro che fa si che il suono risulti maturo e assolutamente ricercato, di classe insomma (ma di questo ne parleremo anche in conclusione! 😉 ).
Come dicevamo quindi si parla la lingua dell’hard rock melodico, anche se vedremo che non mancano comunque venature AOR qua e la, come in Magdalene. Quindi si parte con una serie di pezzi tirati come il trio di entrata Trouble In A Red Dress, Hold Me Down e Twisted Soul (che giro di chitarra in sottofondo che regala questo pezzo), Just a Man, la riuscitissima Holy Water dove chitarra, batteria e voce duellano per un posto di primo piano anche se lo ammetto sul ritornello la voce di Bailey spazza via tutto… ma che solo di chitarra che sa comunque regalare Burns! Sul piano “Hard Rock” merita ancora un accenno la bella Hellfire Highway, una vera e propria corazzata di batteria e chitarra. Continue…

Three Lions – Trouble in a Red Dress – video ufficiale



Primo video per i Three Lions, band che vede tra le sue file Vinny Burns e Greg Morgan, tutti e due ex Ten e Dare, e l’esordiente Nigel Bailey alla voce e al basso.
Trouble in a Red Dress è estratto dal loro primo lavoro che arriverà nei prossimi mesi via Frontiers Records.

Ricordiamo che la band sarà presente il primo maggio alla prima edizione del Frontiers Rock Festival (http://www.frontiersrockfestival.com/3-lions/)

Three Lions: tutti i dettagli del debutto

three_lions_coverGli hard rocker britannici Three Lions debutteranno con il loro disco d’esordio omonimo il 18 aprile in Europa via Frontiers Records.

Ricordiamo che la formazione del trio inglese, nata da una proposta del presidente della label italiana Serafino Perugino, è composta dal chitarrista Vinny Burns, da Greg Morgan alla batteria e da Nigel Bailey alla voce.

Alla produzione dell’album ha lavorato ancora una volta Alessandro Del Vecchio.

Tracklist:

Trouble In A Red Dress
Hold Me Down
Twisted Soul
Winter Sun
Just A Man
Holy Water
Two Hearts Beat As One
Kathmandu
Made For One Another
Magdalene
Don’t Let Me Fall
Hellfire Highway
Sicilian Kiss

Website: www.facebook.com/threelionsuk

Three Lions – Vinny Burns, Greg Morgan, Nigel Bailey

three_lionsTre nuovi leoni pronti a scendere nell’arena del rock… o meglio, due vecchie conoscenze come Vinny Burns (Dare, Ten, Asia) e Greg Morgan (Dare, Ten) e un newcomer per il genere, Nigel Bailey.
Three Lions è il nome del primo album che vede coinvolti Vinny Burns alla chitarra, Greg Morgan alla batteria e Nigel Bailey al basso e voce e conterrà 12 pezzi scritti dal gruppo con la collaborazione di Alessandro Del Vecchio per due di questi.
Registrato tra il The Viper Room, Coil Tap Studios in inghilterra e gli Ivory Tears Studio di Milano l’album sarà un concentrato di ritmo e potenza e grandi riff di chitarra uniti ad una voce emozionante.
L’album è stato prodotto sempre agli Ivory Tears Studio di Alessandro Del vecchio, ormai garanzia di qualità per questo genere di produzioni.

La band si è formata nell’ottobre 2012 durante il Firefest quando Vinny, Greg e Nigel si conoscono grazie a Serafino Perugino (proprietario della Frontiers Records) e Alessandro Del Vecchio. Tra il gruppo si instaura subito un ottimo feeling e iniziano presto a scrivere pezzi insieme tra cui quello che sarà il primo singolo Trouble In A Red Dress di cui la band ha già girato un video a Milano.

Dalle parole del gruppo si intuisce come i 3 Lions siano nati come vera e propria Band e non come un semplice progetto da studio. Non c’è stata una scaletta o delle scandenze per la stesura dei pezzi e l’unico criterio utilizzato è stato quello che ogni pezzo scritto piacesse a tutto il gruppo.

L’uscita di quella che sembra essere una nuova e promettente realtà sul piano rock internazionale dovrebbe essere schedulata per la fine dell’anno via Frontiers Records. Vi terremo aggiornati nei prossimi mesi!

Per maggiori informazioni:
https://www.facebook.com/threelionsuk

Rage Of Angels: debuttano a fine febbraio su Escape Music

rageofangels-dreamworld250La Escape Music pubblicherà il disco di debutto del nuovo progetto AOR Rage Of Angels, la cui uscita è fissata per il 22 febbraio 2013.

La band nasce dalla mente di Ged Rylands, primo tastierista dei Ten, e vanta le partecipazioni di cantanti quali David Reed Watson, Danny Vaughn (Tyketto), Harry Hess (Harem Scarem), Matti Alfonzetti, Ralph Scheepers e Robert Hart, oltre che di chitarristi come Vinny Burns, Neil Fraser e Ralph Santolla.

Questa la formazione:

Ged Rylands: All guitars, keyboards and backing vocals
Additional Guitars: Martin Kronlud
Drums: Pera Johanssen
Bass: Michael Carlsson

Questa la tracklist:

1. Dreamworld (vocals: Matti Alfonzetti , Lead guitar: Neil Fraser)
2. See You Walking By (vocals: Harry Hess, Lead guitar: Neil Fraser)
3. Through It All (vocals: Robert Hart, Lead guitar: Neil Fraser)
4. Over and Over (vocals: Danny Vaughn, Lead guitar: Neil Fraser)
5. Prelude for the Gods (instrumental)
6. Falling (Ralf Scheepers, Lead guitar: Neil Fraser)
7. The Beating of Your Heart (Vocals: David Reed Watson, lead guitar: Tommy Denander)
8. Spinnin Wheel (Danny Vaughn, Lead guitar: Neil Fraser)
9. Requiem for the Forgotten Soldier (lead guitars: Ralph Santolla, Martin Kronlud, Vinny Burns, Xander Demos)
10. We Live, We Breathe, We Die (vocals: Robert Hart, lead guitar: Vinny Burns)

Dare – Blood From Stone – Classico

 

Nonostante il successo dell’esordio Out of the Silence, il secondo album dei Dare, intitolato Blood From Stone e pubblicato nel 1991 sempre dalla A&M Records, rivelò ad ampi tratti un suono completamente opposto a quello del suo predecessore.

Ad ammissione dello stesso Darren Wharton, i motivi di questa scelta erano dovuti all’esplosione in quei primi anni ’90 di realtà musicali dal sound marcatamente rock, quali in particolare i Guns N’ Roses. Quindi, nel tentativo di non finire la loro carriera dopo un solo album come storicamente era accaduto a molti gruppi, i Dare cercarono di adattarsi al mercato, avvicinando maggiormente il loro stile alle sonorità made in USA che andavano per la maggiore e che sia la critica che la loro stessa etichetta discografica gli richiedevano.

Il risultato fu un album dannatamente grezzo e dal tipico mixaggio in stile stelle e strisce, dove i suoni non erano più cromati e nitidi, ma densi di chitarre calde, graffianti e assolutamente maschie. Di conseguenza, la stragrande maggioranza dei brani contenuti in Blood From Stone vide Vinny Burns, qui ispirato come non mai, quasi monopolizzare il prodotto finale con il suo strumento, attraverso riff serrati, rapidi, massicci e assoli fulminei quanto tecnici. E così lo stesso Wharton modificò sensibilmente il suo cantato, rendendolo molto più rauco e graffiato che in precedenza e abbandonando quasi interamente le parti spesso quasi sussurrate dell’esordio, gettandosi in strofe e ritornelli che davano la comunque sempre piacevole sensazione di essere urlati con rabbia al cielo.

Un tracklist molto serrata lasciò spazio a due soli lenti, ovvero il quinto brano Lies, vero e proprio sfogo verso l’amore perduto, e l’ultimo Real Love, un brillante inno alla grandezza del sentimento più cantato del rock. Le restanti otto tracce furono una dopo l’altra delle rasoiate di energia, a partire dalla splendida opener Wings of Fire, che in qualche modo ricordò lo stile dei Thin Lizzy, per proseguire con We Don’t Need A Reason, dirompente quanto un rapido di passaggio a 140 km/h in una stazione locale e dal cantato violento ma a metà tra il primo Bon Jovi e Bryan Adams, e per finire nominando ancora le atomiche Live To Fight Another Day e Cry Wolf , la cui finta calma iniziale di quest’ultima divampa in alcuni dei riff più belli dell’intero lotto.

IN CONCLUSIONE

Blood From Stone fu un disco anni luce diverso rispetto a quanto i fans dei Dare potessero aspettarsi dopo un esordio levigato come Out of the Silence. Sicuramente fu un prodotto che deluse (e forse allontanò) tutti coloro che non erano pratici delle marcate sonorità hard rock. Certamente fallì nei suoi intenti di sfondare il mercato discografico, tanto che fu a larghi tratti ignorato dai più e non riconosciuto apertamente dai critici. Ma Blood From Stone è tutt’oggi un album quasi unico per spirito di aggressività rock. Dotato di brillanti sfoggi di tecnica musicale, è un prodotto che forse non si apprezzerà al primo ascolto, che talvolta lascerà dubbi o incertezze, che non nominerete forse mai come il miglior disco dei Dare, ma che certamente resterà un tassello massimo di questo genere anche per gli anni a venire. Siano benetti i Dare, sempre.