Come ha rammentato l’amico Gianni Della Cioppa, la scena musicale canadese, in particolare quella legata all’hard rock melodico, è stata tra la seconda metà degli anni Settanta e i primi Ottanta una delle più floride e rigogliose del pianeta, specialmente nel rapporto qualità-quantità. Pensiamo ai grandi maestri Rush, all’hard rock (April Wine, Bachman Turner Overdrive, Pat Travers, Moxy, i Mahogany Rush di Frank Marino), al pomp rock (Saga, Max Webster, Zon, Alpha Centauri, Avalon, Fist, Chilliwack, Nightwinds, Aldo Nova), al progressive (i malnoti ma validissimi Excubus, Robert Connolly, True Myth, Leggat e, soprattutto, FM), all’heavy prog (i mitici Symphonic Slam di Timo Laine), al metal (i pionieri Anvil), persino al thrash (Exciter, Sword, Voivod, Annihilator, Sacrifice, Infernal Majesty e False Witness). Impossibile poi dimenticare i filoni dell’hard melodico (gli Hush di Robert Berry, i Coney Hatch e i Reckless) e dell’AOR (Prism, Harlequin, Toronto, Brian Adams, Honeymoon Suite, White Wolf tra i molti altri).
Grandissimi dell’hard rock melodico sono stati anche gli storici e sofisticati Triumph. Oggi di loro – tecnicamente straordinari, estrosi e fantasiosi nell’approccio – raramente si parla quanto forse si dovrebbe, specie in Italia. Eppure, il gruppo è stato veramente di una levatura assoluta e di una classe superiore. Ripercorriamone insieme la storia.
I Triumph nascono a Toronto nel 1974 ed esordiscono con l’omonimo LP tre anni più tardi per la Attic: pezzi ancora abbastanza brevi, energici e scattanti, con però i quasi nove minuti di Blinding Light Show / Moonchild, ad anticipare il suono che verrà. Lo stile del trio – costituito dal virtuoso Rik Emmett (chitarra e voce), da Mike Levine (basso e tastiere) e da Gil Moore (batteria) – inizia a farsi più definito e elettrizzante in occasione del secondo disco, Rock and Roll Machine, pubblicato all’inizio del 1978: le due parti di New York City Streets, la mini-suite in tre movimenti The City e la lunga title-track conclusiva fanno centro, mostrando un gusto per la scrittura varia e articolata, quasi prog in taluni passaggi. Con il terzo album, Just a Game (1979, il primo per la RCA), i Triumph si rivelano interessati a strutture più legate all’hard blues di marca anglo-americana. Si nota tuttavia la propensione a sognanti escursioni acustiche (memori di certi Led Zeppelin), che diverranno, di lì a breve, un marchio di fabbrica di Emmett, pure dal vivo. Grande è il successo fatto fatto registrare in patria dal disco, il primo a vendere in maniera consistente (diventerà disco di platino). Progressions of Power (1980) affina in modo ulteriore la proposta dei tre, innestando su un tessuto classicamente hard parti neo-classiche e assoli coinvolgenti quanto superbi.
Il capolavoro è oramai dietro l’angolo e giunge nel 1981 con il fantastico Allied Forces, disco che porta a compimento quanto fatto nell’album precedente, raggiungendo veri e propri vertici in termini di statura artistica. I Triumph sono oramai cresciuti e maturati, stelle di prima grandezza nel firmamento dell’hard rock canadese, e in generale nord-americano. Inoltre, con il sapiente aiuto dei sintetizzatori, evidenziano altresì pregevoli influenze sinfoniche. A rimanere costante in tutti i pezzi è l’elevato livello esecutivo di materiali melodici d’alta scuola: il primato spetta – come rimarcato da Johannes Van den Heuvel – senz’altro a Emmett, la cui strabiliante voce (acuta e cristallina), unita a una tecnica chitarristica che nulla ha da invidiare a Eddie Van Halen, resta nella memoria. Su ottimi livelli, appena meno appariscente, è la sezione ritmica. Allied Forces è stupefacente: un LP storico, delizioso ed elegante, molto alla Rush in determinati frangenti sonori, più spericolato in altri. I brani – su tutti la medievaleggiante e folk Magic Power, commovente per cori e vocalizzi – incrociano il rock elettro-acustico e fatato di Just a Game e la dolce ed onirica potenza elargita in Progressions of Power. In ogni traccia di Allied Forces si coglie l’ombra della perfezione raggiunta: composizioni frastagliate, fiere e formidabili, splendide e stratificate, a più livelli, con complicate sequenze che si intrecciano con armoniosa efficacia. In una parola: magistrali.
Dopo avere realizzato il loro masterpiece, i Triumph si concedono un anno di riposo, anche e soprattutto per preparare adeguatamente il suo successore. Nel 1983 esce Never Surrender, che non fa alcun passo indietro, complesso e molto sperimentale, timbricamente moderno e incredibilmente compatto nell’insieme. Il trio scrive pagine tra le sue più belle e creative: stupende When the Lights Go Down (pomposamente introdotta dai synth) e l’incantevole A World of Fantasy, che apre le porte del successo europeo alla band. Sulla stessa falsariga, si mantiene Thunder Seven (1984, prodotto da Eddie Kramer e primo album per la nuova etichetta MCA), anch’esso privo di cedimenti. Il doppio live Stages (1986) chiude poi alla grande la prima parte di carriera, un decennio durante il quale il gruppo si è letteralmente imposto alla scena mondiale, come una delle autentiche colonne dell’hard melodico d’oltreoceano. Del resto, il medagliere dei Triumph è ormai folto.
Quando esce The Sport of Kings (1986) taluni vogliono intravedere un certo ammorbidimento e una vena giudicata troppo commerciale. In realtà, il disco segue semplicemente il passo dei tempi, incorporando istanze AOR ed elementi elettronici molto in voga a metà degli Eighties (anche Larry Gowan, per restare in Canada, innestò nel proprio sound in quei medesimi anni echi del techno-pop e della new wave inglese). Inoltre non va certo dimenticato che i Triumph, pure nei lavori degli anni precedenti, avevano sempre mostrato un crescente interesse per ambientazioni prima spaziali e poi decisamente futuristiche, oltre che epiche e solenni. Da questo punto di vista, The Sport of Kings è, solo e semplicemente, una sorta di sbocco naturale e quasi obbligato per certi aspetti. Anche il pomp rock, a metà degli anni Ottanta, riscrive la propria ambizione in una chiave più radiofonica. Ad ogni modo, con il successivo Surveillance (1987), i Triumph ritornano a mettere tutti d’accordo, critica e fans: il disco è un perfetto ed equilibrato mix di hard settantiano e aggiornamento melodico. Con la band collabora intanto, alle tastiere e alla seconda chitarra, Rick Santers, già fondatore e leader (tra 1981 e 1984) dell’omonimo ed eccellente gruppo canadese.
Tutto cambia nel 1988: Rik Emmett decide improvvisamente di lasciare i compagni (due anni dopo debutterà da solista con Absolutely, primo di tutta una serie di lavori). Si apre quindi una fase di crisi per un gruppo che ha venduto milioni di copie e rimpito gli stadi, tamponata dall’uscita della raccolta antologica Classics (1989). Il sostituto di Emmett viene individuato da Moore e Levine in un primo momento in Sil Sione (dei Simon Chase) e in un secondo in Phil X: nonostante l’impegno del nuovo arrivato (alle prese con un compito oltremodo difficile), i tempi sono cambiati e quando esce finalmente Edge of Excess per la Victory, nel 1992, si perde tra i flutti del dilagante alternative.
Nel 2007, per l’inserimento nella Canadian Music Industry Hall of Fame, i Triumph originali si riuniscono. Ed i loro concerti, ancora una volta, trovano un pubblico entusiasta. Tutti i classici dei Triumph si possono ascoltare, infine, nel Live at Sweden Rock Festival, pubblicato da Frontiers nel 2012: con Emmett a fianco di Moore e Levine, il grande passato splende ancora di luce viva.
In conclusione, si può affermare che se è esistita una scuola, in Canada e non solo, di melodic hard rock, il merito principale è stato forse proprio dei Triumph: una band magnifica e significativa, che non ha mai snaturato le proprie sonorità ed è rimasta fedele a un’identità precisa. Veri alchimisti dell’hard melodico, attentissimi alle tecniche di incisione ed al lavoro in studio (un aspetto sul quale riflettere, per comprenderli appieno), i Triumph hanno fatto la Storia, nell’epoca aurea della nostra musica. Dotati di una vena fertile, competenti in quanto a preparazione, non hanno mai sbagliato un colpo e sono famosi anche per le molte iniziative umanitarie supportate grazie ai loro guadagni.