Finalmente ci siamo! Ma dopo quale prezzo..
Tra un pugno di giorni sarà disponibile nei negozi di tutto il mondo Toto XIV, il primo album dei leggendari Toto contenente solo materiale inedito da Falling In Between del 2006. Una festa globale, che però è stata rovinata giorni fa dalla triste notizia dell’addio al mondo terreno del bassista Mike Porcaro, da tempo malato di SLA. Per lui si aprono le porte dell’eternità nel grande Paradiso dei Musicisti, e a lui è interamente dedicata questa mia recensione, nel rispetto di un componente fondamentale per la storia di questa band, e del genere AOR tutto.
In un mondo stracolmo di oscurità e di dolore, servivano i Toto a riportare un po’ di serenità e luce, lavorando a un disco come sempre elettrico, godibilissimo, divertente e dal mood assolutamente positivo, che rasserena fin dal suo pronti-via gli animi di tutti. Inutile parlare della tecnica dei nostri, rimasta totalmente inalterata negli anni, quanto dell’eccezionale lavoro (seppur meno graffiante che in passato) di Steve Lukather alla chitarra e alla voce, e poi di David Paich e Steve Porcaro alle tastiere e ai cori. Il palmo dei giganti si sente sempre, potete starne certi!
Anche il cantante Joseph Williams tira fuori dal cilindro una prova vocale di tutto rispetto, carismatica e intonata, e il ritorno del bassista fondatore David Hungate è pura manna dal cielo, visto il groove enorme di cui può vantarsi il platter. Infine Keith Carlock, alle pelli, riesce nell’arduo compito di non far rimpiangere i suoi più illustri predecessori, rendendosi autore di una prova determinante per la buona riuscita del disco, e che lo rende “silenzioso” protagonista dell’opera. L’unica nota di leggero demerito, in questa mia analisi tecnica del disco, va ai suoni, validi e spesso sopra la media, ma non così precisi e inimitabili come li si era ascoltati in passato (qualcuno vuol citare Tambu?). Un peccato veniale, che però mi costringe già a rosicchiare qualche punticino (uno 0.5) al giudizio finale.
L’ultimo decimo a cadere, che porta al comunque positivissimo punteggio di 8.5 con cui voglio accompagnare questa release (attirandomi probabilmente le critiche degli appassionati, guidati dal nostro boss Denis che da tempo urlava a un altro 10 in pagella, eheh), è figlio di una tracklist a tratti davvero sensazionale, ma che soffre di alcuni episodi leggermente sottotono, quantomeno per una band di tale portata storica. Già l’opener Running Out Of Time, dominata dalla chitarra di Luke e forte di un buon ritmo cavalcante, e Burn, soffusa e rarefatta prima dell’esplosione melodica finale, sono canzoni che non riescono a raggiungere l’intensità del capolavoro e terzo brano Holy War, senza dubbio uno dei frammenti più riusciti del lotto grazie alla sua ariosità fuori norma, di pura matrice Toto fine anni’70. Anche la seguente 21st Century Blues poi, nonostante il suo bel groove, appare in fin dei conti un pezzo non così esorbitante come invece è il singolo Orphan, nuovo assoluto masterpiece della storia del gruppo, che avete già avuto modo di sentire e risentire grazie al video disponibile a pié di pagina. Onestamente, un pezzo con un testo così ispirato, abbinato una melodia così iper-ballabile, mi toglie letteralmente il fiato. Punto. Continue…