The Darkness – Easter Is Cancelled – Recensione

Easter Is Cancelled, il nuovo album degli inglesi The Darkness, nasce – con la solita sagace ironia che contraddistingue lo spirito compositivo del gruppo – in un universo parallelo, dove Cristo è sceso dalla croce e ha rivoluzionato il mondo con i suoi superpoteri. “La Pasqua è cancellata perché Cristo non è morto. Questo disco è la risposta a chi considera il rock espressione del potere di Satana. Abbiamo voluto dimostrare che si tratta invece della musica di Dio” (fonte: https://www.rollingstone.it), sono le parole utilizzate dall’inconico frontman Justin Hawkins per descrivere l’ardito concept di questo platter, in un vero atto di coraggio, perchè – afferma sempre il leader – “quando tiri in ballo Gesù, le cose si complicano terribilmente. Puoi scimmiottare persino Ziggy Stardust, ma se tocchi Cristo si torna indietro di quarant’anni”.

Ascoltiamolo allora questo album ambizioso, che gioca con furbizia tra ironia e serietà, e tra universi paralleli e società attuale, sfruttando un songwriting ormai rodato e maturo che scimmotta (ma in perfetto stile The Darkness) gli stili dei grandi mostri sacri dell’hard rock mondiale, su tutti Queen e Thin Lizzy, e dei moderni come Muse e Tenacious D.
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The Darkness + Blackfoot Gypsies @ Alcatraz, Milano – Il Report

Sono tre le date italiane che gli inglesi The Darkness hanno riservato all’Italia all’interno del tour a supporto del loro ultimo disco Pinewood Smile, uscito ormai qualche settimana fa.

La prima di queste si è tenuta l’8 novembre all’Alcatraz di Milano, in un locale veramente gremito di fans calorosi (tanti i giovani e i giovanissimi!) pronti a cantare a squarciagola i più grandi successi dei loro beniamini.

A supporto del gruppo di cartellone, gli americani Blackfoot Gypsies, venuti apposta da Nashville, nel Tennessee, per incontrare per la prima volta i fans italiani.

BLACKFOOT GYPSIES

Autori di un set un po’ più lungo del previsto a causa di qualche ritardo della band headliner, i Blackfoot Gypsies riescono ad infiammare la platea grazie al loro particolarissimo sound hard rock a stelle e strisce, fortemente influenzato dal country, dal southern rock, dal blues e dal folk USA anni’60/’70s.

Divertentissimi e fortemente coesi come band, i quattro si fanno guidare dal carisma e dalla simpatia del frontman e chitarrista Matthew Paige, la cui timbrica acuta tende a ricordare un po’ a quella di un certo Tommy Shaw degli Styx. Al suo fianco, fondamentale con i suoi cori, il bassista Dylan Whitlow e il preciso e potente batterista Zack Murphy, ma soprattutto il (geniale) armonicista di colore Ollie Dogg, vero fautore del peculiare sound di questo gruppo, e autore di alcuni assoli di armonica davvero di alto profilo.

L’impressione finale è che questo giovane gruppo abbia stoffa da vendere, e che la scelta di accompagnare i The Darkness in tour sia stata fortemente azzeccata, basti vedere l’enorme applauso che il pubblico italiano gli riserva a fine show, e i tanti, tantissimi selfie scattati e dischi venduti nell’area merchandising. Non mi stupirei di rivederli presto alle nostre latitudini.

THE DARKNESS

Alla fine praticamente puntuali, i The Darkness salgono sul palco milanese accompagnati dalle note della intro Arrival. Il boato è assordante, e si amplifica ancora non appena – nell’ordine – il nuovo (fenomenale) batterista e figlio d’arte Rufus Taylor, il simpatico bassista Frankie Poullain, il chitarrista Daniel Hawkins e infine il coloratissimo frontman Justin Hawkins irrompono uno dopo l’altro on stage. L’apertura di set è affidata alla rocciosa Open Fire, che scalda a puntino le ugole della gente prima dell’attacco di una Love Is Only a Feeling che per prima fa esplodere l’Alcatraz di energia. La serata è una di quelle buone, e la band si dimostra davvero in formissima, tanto che alla terza canzone – Southern Trains – Justin avrà già raccolto almeno cinque o sei reggiseni lanciati sul palco dalle fans estasiate. Da ora in avanti il frontman – permettetemi di dirlo, piaccia o non piaccia la sua ugola, è tra i più carismatici in circolazione – inizierà a giocare con la platea, tra pose bizzarre, smorfie facciali, incitamenti vari e accenni improvvisati a canzoni dei Queen e dei Van Halen che regalano ben più che un sorriso ai supporter.

Se il classicone Black Shuck viene poi accolto con totale euforia, anche la nuova Buccaneers of Hispaniola non manca di risultare efficace suonata in sede live. One Way Ticket e Givin’ Up, una dietro l’altra, fanno esplodere ancora una volta i fans, prima delle più recenti All the Pretty Girls e Barbarian, ben interpretate dal gruppo. Il sempreverde Justin (non invecchia mai!) siede poi alla tastiera per interpretare in stile Freddie Mercury Friday Night prima e English Country Garden poi, a cui seguono la nuova Happiness (sensazionale dal vivo), l’ancora recente Every Inch of You
Makin’ Out, e il secondo singolo tratto dal nuovo disco Solid Gold.

Per il finale ritornano i classici, ed ecco allora Get Your Hands Off My Woman e Growing on Me, dopo le quali la band saluta e lascia per finta il palco. Il bis è a sorpresa affidato prima alla bella Japanese Prisoner of Love, dopo la quale Justin ringrazia il sempre fedele pubblico italiano (ci siamo visti diverse volte, questa serata credevo sarebbe stata la peggiore di sempre a causa di alcuni problemi che abbiamo avuto. Invece, si è rivelata la più bella e folle di tutte, e di questo vi ringrazio di cuore, sono state all’incirca le sue parole) per attaccare con la definitiva I Believe in a Thing Called Love, conclusasi con la totale standing ovation del pubblico di frone a una esisizione da lode di questa – decisamente maturata e migliorata – band inglese.

Setlist:

Open Fire
Love Is Only a Feeling
Southern Trains
Black Shuck
Buccaneers of Hispaniola
One Way Ticket
Givin’ Up
All the Pretty Girls
Barbarian
Friday Night
English Country Garden
Happiness
Every Inch of You
Makin’ Out
Solid Gold
Get Your Hands Off My Woman
Growing on Me

Encore:

Japanese Prisoner of Love
I Believe in a Thing Called Love

The Darkness – Pinewood Smile – Recensione

Ritornano nei negozi i The Darkness con Pinewood Smile, il loro quinto album di studio uscito il 6 ottobre 2017 per Cooking Vinyl/Edel, forti del loro immancabile e inconfondibile stile hard rock anni ’70, che da sempre si ispira a mostri sacri come AC/DC, Led Zeppelin, The Queen e Van Halen.

Scritto a Putney, registrato in Cornovaglia e prodotto da Adrian Bushby (già al lavoro con Foo Fighters e Muse), il disco contiene (e in parte rielabora) tutti i tratti distintivi della musica dei Darkness, che hanno recentemente accolto in gruppo Rufus Tiger Taylor, il loro nuovo batterista e seconda voce. Non mancano infatti i ritornelli melodici e tutti da cantare che hanno reso così di successo la musica dei fratelli Hawkins, con Justin alla voce e alla chitarra che sembra definitivamente ristabilito dal lungo periodo di rehab, e torna ora a farci divertire davvero con il suo immancabile falsetto e le sue belle schitarrate hard rock al fianco del bravo Dan. Immancabile anche l’apporto di groove del sempre presente bassista Frankie Poullain, adesso supportato da un Taylor davvero in forma alle pelli, ben integrato all’interno del suo nuovo gruppo, e in ampio risalto con le sue belle ritmiche.

Quello che cambia rispetto all’imponente passato storico con cui la band deve da sempre confrontarsi (ricordiamo a proposito il successo che avevano avuto i primi due album, in heavy rotation persino su MTV, e da allora mai più bissato) è allora soltanto il modo di porsi all’ascoltatore, che è ora forse meno immediato (manca infatti ancora l’istantanea orecchiabilità delle canzoni) ma allo stesso tempo più maturo, con dieci brani più elaborati che necessitano di almeno un paio di ascolti completi per essere del tutto compresi. E così positivamente valutati.

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The Darkness: ritorno in Italia questa Estate

The DarknessCOMUNICATO STAMPA

L’Estate 2016 vedrà il ritorno della pluripremiata band inglese The Darkness: il gruppo, che non ha certo bisogno di molte presentazioni, sarà il 9 Luglio al Kimera Rock di Avezzano (AQ), per la sua unica apparizione italiana dell’anno.

L’ultimo album, “Last Of Our Kind”, è uscito a Giugno 2015 ed è il seguito di “Hot Cakes” (2012) che ha visto la band riunirsi dopo cinque anni.

I The Darkness saranno in Italia per una sola data il prossimo Luglio. Non mancate!

THE DARKNESS
09.07.2016 | KIMERA ROCK – AVEZZANO (AQ)
Ingresso: 32,00 € + d.d.p
Ingresso alla cassa: 32,00 €
Biglietti disponibili da Venerdì 1 Aprile sui circuiti abituali

The Darkness: deluxe edition per “Last Of Our Kind”

the-darkness-the-last-of-our-kind-recensioneI rockers britannici The Darkness rilasceranno un’edizione deluxe del loro ultimo album “Last Of Our Kind” con quattro canzoni inedite.

L’uscita è prevista per il 20 Novembre, poco prima dell’inizio del loro Tour nel Regno Unito.

I titoli aggiuntivi sono “Messenger”, “Always Had The Blues” e “I Am Santa”. Per coloro che effettueranno il pre-ordine del CD o in digitale sarà disponibile anche l’instant download della quarta traccia inedita “Million Dollar Strong”, peraltro ascoltabile nel player sottostante.



The Darkness: cambio di nome in arrivo?

The DarknessIl vocalist Justin Hawkins ha rivelato che la sua band, The Darkness, sta considerando di modificare il proprio nome.

Il gruppo ha attraversato diversi cambi di formazione nel corso dell’anno passato, tra cui uno split con il batterista Ed Graham, l’arrivo e la rapida partenza di Emily Dolan Davies, e – infine – l’arruolamento di Rufus Taylor, figlio del leggendario batterista dei Queen, Roger.

Durante un’intervista rilasciata nei giorni scorsi, il frontman ha rivelato che i cambiamenti hanno ispirato il gruppo a prendere in considerazione l’adozione di un nuovo monicker.

Hawkins ha dichiarato: “Abbiamo giocato sulla modifica del nome della band. Si tratterebbe di una manovra un po’ controversa a questo punto. Ma non so, ho pensato che potremmo aprire una discussione su Facebook per cambiare.
In realtà avevamo già pensato di farlo per questo album, perché si sente dell’aria nuova, una sorta di ritorno in forma, come qualcosa di diverso. E’ tutto differente ora e ci sentiamo come ringiovaniti. Ovviamente, sono ben conscio che sarebbe un suicidio per la nostra carriera buttare via ogni cosa, tutto quello che abbiamo costruito nel corso degli anni, ma io credo che saremmo comunque in grado di ricostruire tutto quanto.”

Non resta altro che attendere le prossime mosse della band.

 

The Darkness: a Gennaio 2016 tre nuove date in Italia

The DarknessDopo il successo dello scorso 18 Luglio al Pistoia Blues Festival 2015, gli hard rockers britannici The Darkness hanno oggi annunciato altre tre date nel nostro Paese per il loro Tour di supporto all’ultimo album “Last Of Our Kind”, uscito a Giugno via Kobalt Label Services.

Tre le serate a Gennaio 2016: Bologna, Ciampino (Roma) e Milano. Qui sotto i dettagli.

THE DARKNESS + Special Guest

Venerdì 22-01-2016 Estragon Club, Via Stalingrado 83, Bologna (BO)

Sabato 23-01-2016 Orion Live Club, Viale John Fitzgerald Kennedy 52, Ciampino (RO)

Domenica 24-01-2016 Alcatraz, Via Valtellina 25, Milano (MI)

Apertura porte ore 19
Inizio concerto ore 20

Biglietti posto unico a €34,50 + d.p. acquistabile sul circuito TicketOne

The Darkness – Last Of Our Kind – Recensione

 

Ritornati sulle scene nel 2012 con il più ordinario Hot Cakes, le meteore amate-odiate dai fan di tutto il mondo, gli inglesi The Darkness, si giocano il tutto-per-tutto con il loro nuovo album Last Of Our Kind, da poco disponbile nei negozi e pronto a rilanciare definitivamente la seconda era artistica della band.

Abili anche oggi a ripresentare in grande stile il loro tipico sound retrò, che non è altro che una perfetta miscela tra i battiti di formazioni storiche come Kiss, Thin Lizzy, Aerosmith, ZZ Top, Thin Lizzy e soprattutto Queen, e come sempre puri cavalli di razza o animali da palco, i quattro inglesi si rendono ora ancora più classici, ma anche glam e alternativi, abbassando il loro tono melodico e rafforzando la carica e il grezzume (voluto) dei loro pezzi, risultando contemporaneamente commerciali e anti-commerciali. C’è chi dopo questo disco già li chiama eredi dei The Cult, non lo so, quel che è certo è che dopo l’ascolto di questo platter beh, o li amerete ancora di più o li odierete forever and ever amen (scimmiottando qui il titolo di un brano interpretato dal country man Randy Travis che oggi sta combattendo la malattia e a cui va il mio abbraccio in questa voluta divagazione). Justin Hawkins, beh, manco a dirlo è il solito matto-mattatore del disco, con la sua inconfondibile vocalità acuta in falsetto carica di carisma che permea ogni nota e che, lo sappiamo, ha costruito da sola l’80% del successo di questo gruppo. Al suo fianco, il fido fratello Dan Hawkins e un Frankie Poullain sempre in grande forma al basso, con la nuova (e già uscita dal combo) Emily Dolan Davies di grande effetto alla batteria che completano un quartetto oggettivamente a cinque stelle, almeno tecnicamente.

Diversamente da Hot Cakes, che viveva per lo più di rendita degli anni passati e presentava qua e là qualche buon pezzo abbinato però a filler abbastanza evidenti, il livello generale delle composizioni di questo disco appare sempre piuttosto alto, e soprattutto la sua prima metà continene almeno quattro hit assolute, pronte a diventare classici della carriera di questo gruppo britannico. Non parlo forse della comunque preziosa (e già singolo) Barbarian messa in apertura, che tolto il suo groove e il suo particolare refrain non lascia poi molto nel cuore del sottoscritto, ma bensì del quartetto atomico composto da Open Fire, Last of Our Kind, Roaring Waters e Wheels of the Machine. Da brividi. La prima di queste canzoni, anch’essa singolo per l’opera, ci spazza letteralmente via con la sua energia e il suo intenso riffing, che spinge verso un ritornello corale alla Y&T, da cantare a squarciagola in sede live. La title track invece, wow, è una traccia ritmata tra Thin Lizzy, Aerosmith, Queen e qualsivoglia band classica del genere hard rock, che ci lascia letteralmente a bocca aperta grazie a un songwriting riuscito in ogni suo minimo dettaglio. E’ la top track del disco, sono inutili i giri di parole. Infine salgono sugli altari Roaring Waters e Wheels of the Machine, la prima stupendamente interpetata da Justin Hawkins su riff e ritmiche di grande classe, la seconda tipica ballad da antologia del gruppo, colma di sentimento, grande melodia e vocalità. Continue…