Skid Row – The Gang’s All Here – Recensione
L’ingresso in formazione del bravissimo cantante svedese Erik Grönwall (ex H.E.A.T) ha certamente dato nuova linfa agli statunitensi Skid Row che, imbarcati da diverso tempo in tour, stanno riscuotendo sempre maggiore successo e acclamazioni dal pubblico e dai media. Ma il clamore sarà lo stesso anche dopo l’ascolto della loro nuova registrazione in studio The Gang’s All Here?
A mio parere solo in parte. Il loro sesto album, il primo full-length del gruppo da sedici anni a questa parte, entusiasma infatti grazie alla sua buona energia e alla buona prova canora del nuovo frontman, ma in fin dei conti non colpisce mai il centro del bersaglio, e scivola via sempre troppo anonimo sul piano del songwriting. Dave Sabo e soci producono una serie di canzoni maschie, fatte di un hard rock grezzo e sanguigno, decisamente potente, ma incapace di prodursi in momenti realmente efficaci, che ci facciano dire: “caspita, questa canzone non aspetto l’ora di sentirla di nuovo!”. Insomma, tutto il disco si fa ascoltare bene e risulta a tratti anche piacevole, se vogliamo dirla tutta ha anche un bel spirito di gruppo e da il senso di una formazione già compatta e coesa, ma al di là della prova tecnica sopraffina dei musicisti e di un ottimo lavoro di produzione in studio lascia ai posteri ben poco di memorabile. E’ sparato dritto in faccia come un treno in corsa, ma lascia il tempo di scansarsi prima dell’urto.
Inoltre trovo che Gronwall (per quanto sia sempre bravo, lo sappiamo) tenga l’asticella della sua potenza canora sempre troppo puntata in alto. Mi spiego: già ascoltando l’opener Hell Or High Water ci si rende facilmente conto di quanto il cantante sia spesso costretto ad urlare di pancia, ma ancor più di gola, pur di padroneggiare le note alte che gli vengono richieste, le esatte note che gli permettano di essere un buon clone del frontman originale Sebastian Bach. Ora, Erik possiede certamente un grande talento, ma non ha la leggerezza dello scream di Bach, e nel cercare di far questo spinge così tanto da affaticare un po’ l’insieme del tutto, e ancor più l’orecchio di chi ascolta. Ma a trenta e più anni dall’esordio omonimo del 1989 davvero abbiamo ancora bisogno di cercare di scimmiottare a tutti i costi quei tempi?!
Perciò via, con la già citata Hell Or High Water ad aprire il platter cercando di clonare il disco di debutto, regalando una prova iniziale di forza ed energia subito bissata dalla title track The Gang’s All Here, tanto entusiasmante lungo le strofe (grazie a un bel riffing di chitarre, e a una sezione ritmica molto prestante), quanto un po’ anonima sul refrain, fin troppo essenziale. Non mi ha particolarmente colpito neppure Not Dead Yet, aggressivissima, street ma troppo “rumorosa” (forse un caso di troppa carne al fuoco?), mentre risulta sicuramente migliore e più affinata Time Bomb, meglio amalgamata nel suo insieme e divertente nel suo ritornello. Tic..Tic..Tic..Boom!.
Pollice su anche per la tiratissima e decisamente anni’90 Resurrected, ma già Nowhere Fast non ci lascia altro che una buona prova strumentale. Meglio When The Lights Come On, più melodica e più ottantiana delle precedenti, con il singolo Tear It Down che centra il bersaglio riportandoci mente e corpo agli Skid Row anni’90. Largo infine alla ballad/mid-tempo October’s Song, profonda nelle liriche ma poi priva di un quid musicale che ce ne faccia realmente innamorare, e al commiato dal titolo World’s On Fire, ennesima traccia tiratissima di un platter che di certo non ha mancato di far scorrere ampie dosi di adrenalina nelle nostre vene, questo gli va concesso!
IN CONCLUSIONE
A mio avviso, The Gang’s All Here è un disco con troppi alti e bassi (anche tecnici) per poter aspirare a quel giudizio incredibilmente entusiastico che la stampa di settore gli sta regalando con sempre maggiore frequenza.
Sarò io che ormai cerco il pelo nell’uovo in tutto, ma al termine di ogni ascolto esco affaticato, con le orecchie letteralmente saturate da un sound troppo forzatamente tirato, e per questo troppo monocorde. Penso che alla lunga sarebbe stato tutto migliore anche solo con un po’ più di cura del songwriting, e rallentando un po’, con meno foga e voglia di strafare ricercando per forza di cose e trenta anni dopo quell’esatto suono là.
Per me, un’occasione mancata, ma non priva di qualche lampo che possa far ben sperare per il futuro.