Seventh Wonder – The Testament – Recensione
C’è molto di più che la sola incredibile vocalità di Tommy Karevik dietro al successo della band svedese Seventh Wonder, ma un conubio tra tecnica strumentale ed eccellente musicalità che si sviluppano attraverso un songwriting sempre ricercato e levigato, che sa essere allo stesso tempo granitico e leggero, arioso e metallico, semplice ma complesso.
Il loro nuovo studio album, The Testament (giugno 2022, Frontiers Music), rimane fedele allo stile musicale storico di questa formazione, che vuole suonare come un progressive metal dai tratti possenti, ma ricco di melodia e di ariosità, al punto di sfociare nel sound più rock melodico in ogni suo rallentamento. Aspetto (quest’ultimo riguardante la melodicità) che è sì aiutato dalla voce elegante, precisa, calda e avvolgente di Karevik, ma che ha nella cura del dettaglio tecnico e melodico che fuoriesce dal tocco preciso sulle corde del chitarrista Johan Liefvendahl uno dei suoi punti di forza. Grandi riff, passaggi più soffici e levigati, assoli di pregievole fattura, si distaccano – per poi riunirsi e tornare un tutt’uno – con le parti di tastiere sinfoniche del sempre elegante Andreas Söderin, autore di un tappeto sonoro ancora una volta di primissimo ordine, che regala colore e stile con ognuna delle sue trame musicali. E se si parla di perizia dei musicisti, è inevitabile parlare del roboante, vario e a tratti selvaggio drumming di Stefan Norgren, completato dal groove sempre preciso e attento di Andreas Blomqvist al basso, che è messo in risalto in ognuno dei suoi cambi di ritmo da una produzione in studio molto ben tarata, e di grande dinamismo sonoro.
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