Chickenfoot – III – Recensione

A distanza di due anni dall’ottimo omonimo debutto tornano i Chickenfoot con questo nuovo album dal titolo “III”. Precisiamo per i meno attenti, che si tratta del loro secondo album e che il titolo è frutto della (tanta) ironia che il gruppo mostra fin dalla sua nascita. Prodotto da Mike Fraser (Metallica, Aerosmith), il disco ha il compito di dimostrare quanto di buono fatto nel debutto dai quattro super musicisti che, prendendosi poco sul serio e pensando solamente a divertirsi (e divertire aggiungerei), continuano a proporre il loro sound fortemente debitore a quell’hard rock prettamente anni ’70 ma con una produzione al passo coi tempi.
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Danger Zone – Line Of Fire – Recensione

In pochi fra i giovani conosceranno la triste storia degli italianissimi Danger Zone, un gruppo nato a metà anni 80 in quel di Bologna per volontà del mastermind Roberto Priori (chitarra solista) e che nel giro di pochi anni sarebbe stato sicuramente una delle stelle più brillanti nel panorama melodic rock mondiale. Avete letto bene, “sarebbe stato”, perchè purtroppo per tutta una serie di motivi la band non è riuscita a fare quell’ultimo passo che li avrebbe consacrati come realtà importante nel genere al pari perchè no dei Danger Danger, Ratt, Winger & Co. Ma procediamo con ordine: la band nell’1984 pubblica il suo primo Ep “Victim Of Fate” che permette loro di girare in diversi festival fino ad aprire ad un gruppo importante e famoso come i Saxon. Da quel momento la band sembra pronta a fare il salto di qualità pronta ad approdare in quel di Los Angeles, nell’America tanto importante e cara che avrebbe permesso ai Danger Zone di ottenere il meritato successo. L’album era stato registrato durante tutto il 1989 nei dintorni di Venezia e mancava solo il mixing finale che si stava svolgendo nei Quad Studios di New York sotto la guida di produttori importanti come Stephan Galfas (Meat Loaf, Savatage, Stryper, Saxon), Jody Gray e Mark Cobrin (Loudness, EZO) ma qualcosa andò per il verso sbagliato: la band allora composta da Giacomo “Giga” Gigantelli (voce), Stefano Peresson (chitarra e tastiere), Stefano Gregori (basso), Paolo Palmieri (batteria) oltre che dallo stesso Priori dovette affrontare vari problemi con la casa discografica che ritardò l’uscita di “Line Of Fire”. Tutto questo percorso però non fu immediato e ciliegina sulla torta l’arrivo di quel tornado proveniente da Seattle chiamato grunge che distrusse definitivamente ogni speranza per tutte le band di quel genere melodico (e cotonato) che avevano dominato per tutti gli anni ’80, Danger Zone compresi. Il disco comunque riuscì a guadagnarsi negli anni una certa fama tra gli estimatori del genere circolando quasi come un clandestino per tutti questi anni fino a quando nel 2010 Roberto Priori decise di riunire la band che con l’aiuto dell’etichetta Avenue Of Allies è riuscita finalmente a regalarci questo “Line Of Fire”: un tuffo tutto italiano nel mondo del rock anni 80!
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Whitesnake – Forevermore – Recensione

Cosa si aspetta un ipotetico fan di una band dalla carriera pluri trentennale, che ha sfornato in questa sua lunga carriera alcuni capolavori di un genere ben preciso (in questo caso l’hard ‘n heavy) diventantandone quasi la stella più brillante, quando la suddetta band in questione decide di pubblicare un nuovo album di inediti? Che aspettative può avere lo stesso fan da una band che, nello specifico, nel corso di trent’anni non ha mai avuto una formazione stabile che durasse più di 5 anni e che ha combattutto il tempo e il music business solo grazie all’unico punto fermo che possiede cioè un leader carismatico, un’icona della musica rock, un ottimo songwriter e un eccellente cantante? Queste sono le domande che probabilmente molti fan si saranno fatti nell’apprendere che nel 2008 i leggendari Whitesnake sarebbero tornati sulla scena musicale con un nuovo album, intitolato “Good To Be Bad” dopo ben 11 anni dal precedente “Restless Heart” (ma contando che quest’ultimo era intitolato David Coverdale/Whitesnake, sono ben 19 anni da “Slip Of The Tongue”, ultimo vero album Whitesnake). Eppure la band, forte di una solida line-up, riuscì a dar vita a uno splendido lavoro nel pieno stile della band; un hard ‘n heavy roccioso con quel tocco misurato di modernità che lo rese fresco, godibile e soprattutto degno del pesante nome che portava. Toccava a questo nuovo Forevermore, almeno per quanto riguarda il sottoscritto dimostrare se il buon vecchio Coverdale si sarebbe adagiato sugli allori sfornando album di mestiere, o se il caro singer inglese avrebbe, ancora una volta, fatto centro cercando di tirare sempre il meglio dai musicisti che chiama alla sua corte. Forevermore per fortuna, non solo rientra in questa ultima mia “considerazione” ma riesce ad andare oltre…Innanzitutto rispetto a Good To be Bad adesso vi è un ritorno più marcato all’hard ‘n heavy con chiare influenze blues come agli inizi di carriera ma, prima di addentrarmi nell’analisi del disco è doveroso puntualizzare il cambio di line-up avvenuto in seno alla band: David Coverdale ha praticamente cambiato tutta la sezione ritmica che adesso prevede Michael Devin (Lynch Mob) al basso e Briian Tichy (Derek Sherinian, Vinnie Moore…) alla batteria al posto rispettivamente di Uriah Duffy e Chris Frazier. Il gruppo con Forevermore si presenta inoltre senza un tastierista dopo l’abbandono di Timothy Drury che vuole concentrarsi alla carriera solista. Il gruppo di chitarre invece rimane lo stesso dall’anno del ritorno (2002) della band e include Reb Beach (Winger) e l’ex Dio Doug Aldrich, che sembra essere il nuovo “partner in crime” di David Coverdale nella composizione e produzione dei pezzi.
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