London – Call That Girl – Recensione
Americani di Hollywood, California, i London hanno vissuto due fasi della propria carriera piuttosto diverse fra loro a livello di fortuna. La prima, quella della fondazione, dura dal 1978 al 1981 senza grandi sussulti, sebbene il combo potesse vantare fra le proprie fila la presenza di gente come Lizzie Grey, Blackie Lawless e Nikki Sixx, che successivamente diventeranno dei nomi familiari agli appassionati di hard & heavy per merito di gruppi come Spiders & Snakes, W.A.S.P. e Mötley Crüe. La seconda, ricca di svariati cambi di line-up e più prolifica in termine di popolarità, porta qualche risultato con ben tre full-length album ed un posto nella storia dell’hair metal, seppur i London possano essere tranquillamente considerati una band minore. In questo frangente, fra i tanti musicisti coinvolti nel progetto, spicca il nome di un Fred Coury pre-Cinderella. A quasi trent’anni dall’ultimo vagito discografico Playa Del Rock (1990), due superstiti di quella formazione, il vocalist Nadir D’Priest e il batterista Alan Krigger (Giuffria), coadiuvati da Ronee Peña alla chitarra, Billy The Fist al basso ed Eric Ragno alle tastiere (Joe Lynn Turner, The Babys), danno alle stampe un nuovo lavoro. L’artwork di Call That Girl vede la band immortalata in una scena dal vivo, con in primo piano il cantante-mastermind D’Priest (il gruppo per un certo periodo ha portato il suo nome, ed esiste anche una versione del terzo platter in cui in copertina campeggia questo monicker al posto di quello storico). Il digipack, a due ante e privo di booklet e testi, è un po’ scarno e i credits si leggono male, ma nella lista degli ospiti sembra di scorgere artisti del calibro di Mike Varney, Chuck Wright (Giuffria, Quiet Riot, Impellitteri, Doro, House of Lords) e Teddy “Zig Zag” Andreadis (Guns ‘N Roses, Alice Cooper). Nonostante la confezione, la voglia di infilare il lettore nello stereo e ascoltare cos’hanno combinato i London dopo tutto questo tempo è comunque tanta. Non appena parte l’opener “Far Away”, uptempo rockeggiante condito da un bel solo, il passato torna subito in testa, per le atmosfere che rimandano al 1990 e anche grazie alla voce altamente caratterizzante di Nadir D’Priest (e al contributo in cabina di regia di Dennis Ward, autore di mix e master). È poi il momento della title track, un pezzo che ha le radici saldamente piantate nell’hard 80iano e che non sposta di una virgola le coordinate sonore del suo predecessore, che già dai primi brani il nuovo disco fa capire di seguire. Non c’è traccia di modernità alcuna nemmeno nella seguente “I Fell Love With A Rebel”, né nelle canzoni che vengono dopo. Fra alti e bassi, perché bisogna riconoscere che a volte il songwriting mostra qualche lieve segnale di cedimento, l’album scorre via piuttosto piacevolmente, piazzando anche qualche improvviso colpo di coda come quelli dati dal tempo medio “You Are Still The One For Me”, dall’atmosferica “Next To Me” e dalla roboante “Please Give Me A Kiss”. Smodatamente fuori tempo massimo, questo tipo di hard rock ha ancora il suo fascino anche ai giorni nostri, e lo stesso si può dire per certi nomi come quello dei London che fa sempre piacere leggere in copertina.
IN CONCLUSIONE
Anche se non raggiunge mai i fasti di Playa Del Rock, probabilmente il loro apice compositivo, Call That Girl in fin dei conti è un ritorno discografico coerente e inatteso, una bella sorpresa da mettere in collezione.