Overland – Epic – Recensione

Dotato di una voce fuori dal comune, dal colore e dall’espressività da primo della classe, Steve Overland per più di 30 anni ha portato alto il nome del rock melodico inglese fin dall’esordio con i “Wildfire” nel 1980, gli “Shadowman” (4 album in coppia con Steve Morris degli Heartland), i “The Ladder” (due dischi seppur non eccezionali) e varie partecipazioni in progetti come i “Radioactive” di Tommy Denander, “Voices Of Rock” e “Phenomena” di Tom Galley. Come non citare però la sua band principale, gli FM, che ha regalato al mondo AOR due perle come “Indiscreet” e “Tough It Out” nella seconda metà degli anni 80.
“Epic”, uscito pochi giorni fa tramite Escape Music, segna il ritorno del singer come artista solista dopo i precedenti “Break Away” e “Diamond Dealer”. Per il disco questa volta sono stati chiamati in causa musicisti come Christian Wolff (Moratti) alle chitarre, Larry Antonino al basso e Jay Schellen dietro le pelli (entrambi negli Unruly Child). Il disco è stato prodotto da Mike Slamer, che non ha risparmiato il suo contributo alle chitarre/tastiere e basso.

Proprio il tocco di Slamer domina tutto “Epic”, spaziando dall’aor più dolce ad episodi più ritmati mischiando le solite sonorità melodiche a quelle più progressive come già ascoltato con i suoi Seventh Key e gli Steelhouse Lane.
Se “Radio Radio” in apertura è l’opener perfetta col suo ritmo frizzante è con le successive “If Looks Could Kill” e “Stranded” che “Epic” comincia a mostrare i muscoli: la prima è una midtempo che va crescendo man mano che arriva il chorus in cui l’intensa interpretazione magistrale di Overland la fa da padrone mentre la seconda è talmente semplice e diretta che canterete lo splendido ritornello dopo il primo ascolto. “Rags To Riches” col suo guitar work efficace e variegato è uno degli episodi più “duri” di tutto il disco che però sembra correre col freno a mano a causa del timbro di Overland, splendido su trame melodiche o canzoni più rock/blues ma meno efficace su ritmi più veloci. “Liberate My Heart”, ballad intensa e delicata conferma quanto appena scritto vista la performance sopra le righe del singer britannico, autentico mattatore e interprete sopraffino. “Down Comes The Night” è un’altra ottima uptempo in cui è il ritornello a farla da padrone con la sua semplicità ed efficacia senza dimenticare il grande supporto ai cori da parte di Billy Greer e Billy Trudel. “If Your Heart’s Not In It” non può che candidarsi ad highlight del disco con un songwriting perfetto, un riffing sempre preciso e geniale ad opera del duo Wolff/Slamer e la solita prova positiva di Steve Overland dietro il microfono. Ultima parte del disco leggermente più movimentata affidata alla rocciosa “Rock Me” dalle tinte più hard rock, alla splendida “So This Is Love” con tastiere a profusione e un ritornello dalla carica pazzesca, passando per l’ariosa “Wild”. Si conclude con “The End Of The Road”, traccia che non sorprenderà chi conosce bene la discografia di Mike Slamer: un minuto di intro (un po’ come su “Not In Love” del suo album solista) fatto di riffing intenso dal gusto tipicamente “prog” che va lasciando il posto ad una canzone dalla struttura non lineare che trova un’apertura melodica soltanto nel ritornello.

IN CONCLUSIONE

“Epic” si candida indubbiamente tra i migliori lavori in cui il buon Overland ha prestato la sua splendida voce e il merito non può che essere condiviso con quel genio che è Mike Slamer. Il suo lavoro in fase di produzione del disco è, come al solito, eccellente: ascoltare questo disco è una goduria per le orecchie degli ascoltatori. Il disco scorre liscio come l’olio grazie ad un songwriting d’altri tempi e alla prestazione senza sbavature del gruppo. Non posso che elogiare il superbo lavoro alle chitarre, a cui Slamer ci ha sempre abituati in tutti i suoi lavori, che sposta l’intero sound di “Epic” verso lidi melodici ma dalle leggerissime tinte progressive più vicini alla proposta dei Seventh Key/Steelhouse Lane che all’aor più classico e lineare degli FM. Solo prestando molta attenzione nei vari ascolti si riuscirà a capire l’immenso lavoro dietro questo disco fatto di cori, controcori e costruzioni sonore tipiche dei lavori del chitarrista americano. La prestazione vocale di Overland è superba, a distanza di quasi 30 anni dai capolavori targati FM il suo timbro è rimasto pressochè identico nei colori, nell’espressione e nella potenza dimostrando ancora una volta, qualora se ne sentisse il bisogno, la caratura dell’artista. Non è però tutto oro ciò che luccica e probabilmente proprio per la natura “delicata” e “dolce” del suo timbro, Overland non riesce a colpire nel segno nelle composizioni più articolate e veloci che avrebbero richiesto probabilmente un singer più diretto e ruvido stancando alla lunga a causa della poca varietà del suo cantato.