Ten -Something This Wicked Way Comes- Recensione

Esattamente un anno dopo Here Be Monster, ecco ritornare sulla scena i Ten.
L’album è nato durante il periodo del Covid, quando Gary Hughes preannunciò l’uscita di due album nell’arco di un anno, ed ecco puntuale Something Wicked This Way Comes.
Tra i due album non c’è nessuna relazione, a parte il classico sound riconoscibile dalla voce roca di Gary Hughes e dalle melodie hard rock sempre coinvolgenti. I Ten tornano, come precedentemente detto, dopo un anno dal precedente lavoro e confermano la formazione con alle pelli l’ospite Marcus Kullman, Dann Rosingana e Steve Grocott alle chitarre, Darrel Treece-Birch alle tastiere e naturalmente la mente e voce Gary Hughes, instancabile songwriter negli ultimi anni.

Per quanto riguarda Something Wicked This Way Comes è il classico album che ci si aspetta dai Ten, melodie, grandi riff di chitarre e bisogna aggiungere degli ottimi assoli in questo lavoro, ancora più in evidenza.
Tutti i lavori dagli inizi degli anni ’90 ad oggi hanno un’impronta ben precisa, un suono definito e riconoscibile, dove la voce di Gary Hughes o si ama o si odia, non ci sono vie di mezzo.
Già la opener Look For The Rose fa capire che i Ten sono ancora in ottima forma, basta sentire il bellissimo assolo e la melodia, certo qualcuno potrà storcere il naso per la mancanza di innovazione, ma questo è il loro marchio di fabbrica.
Non sono da meno le successive tracce Brave New Lie, The Tidal Wave dove le tastiere si fondono perfettamente con i riff di chitarra, il basso che detta il tempo e le melodie la fanno da padrone.
La title track Something Wicked This Way Comes conferma quanto detto fin’ora con i suoi 7 minuti, The Fire and The Rain è invece la classica canzone mid tempo che abbiamo sentito su ogni album dei Ten, mentre la ballad New Found Hope scorre senza sussulti. Tutti i pezzi funzionano e il lavoro alle chitarre personalmente lo trovo migliore dei precedenti album sia come qualità sia come melodie.

Il mio voto finale equivale al precedente Here Be Monster, ottimo lavoro.

IN CONCLUSIONE :
Chi conosce i Ten sa cosa trovare e non rimarrà deluso, melodie che entrano subito in testa e chitarre taglienti. Un lavoro che non deluderà i fan.

Ten – Isla De Muerta – Recensione

 

A meno di un anno da Albion ecco tornare i Ten. Il gruppo britannico guidato da Gary Hughes torna sulle scene con l’album Isla De Muerta e si conferma su ottimi livelli. Le tre chitarre Dann Rosingana, Steve Grincott e John Halliwell macinano note senza sosta, mentre le tastiere di Darrel Treece tornano in primo piano. Steve Mckenna e Max Yates completano la formazione rispettivamente al basso e alla batteria. Gary Hughes compie un passo avanti sotto l’aspetto del songwriting e tutto l’album riesce ad essere un gradino superiore rispetto al precedente Albion…

Si inizia con l’immancabile intro piratesco/strumentale Buucaneers che apre le porte dell’isola a Dead Men Tell No Tales,con il suo classico sound rock epico, le tastiere che ci fanno calare nel mondo dei Ten, una canzone con Gary Hughes sugli scudi e dove le chitarre sembrano parlare …. La seconda traccia e prima singolo Tell Me What To Do vira su un rock più classico,quasi da radio e il suo intro e il refrain riescono a lasciare il segno dopo alcuni ascolti. Con Aquiesce abbiamo la prima traccia da ricordare, l’inizio di tastiere che esplode in un attacco hard rock dove le chitarre si intrecciano in un sound che rimane indelebile.Grande pezzo. Il primo lento This Love riesce a far emozionare, voce e pianoforte sorretti da violini in sottofondo e un ritornello dove batteria e basso crescono in un’atmosfera unica. La perla arriva con l’assolo e la seguente ripartenza, dove Gary Hughes è da pelle d’oca. The Dragon And Saint George è l’essenza del suono dei Ten; batteria e attacco di chitarra per una epic song che farà alzare dalla sedia i vecchi fan. Oltre sei minuti dove Hughes riesce a scrivere ad interpretare un pezzo che diventerà uno dei “classici” dei Ten.  Intensify parla l’AoR più classico, tastiere in primo piano e riff di chitarra rock in sottofondo. Un buon mid-tempo che spezza il ritmo dell’album. Karnak – The Valley Of The Kings ha un intro arabeggiante tutta strumentale, solo la chitarra molto hard rock nel riff cambia ritmo e da inizio alla vera e propria canzone dove torna il sound epico che ben conosciamo. Continue…