« Sono state alcune immagini molto forti a delineare la personalità di questo album. Da un mondo pieno di problemi e conflitti non poteva che nascere un disco dai toni pessimistici, ma con tra le righe un messaggio di speranza. » – Darren Wharton, 2005
Due anni dopo la conclusione del fruttifero tour a supporto dell’album Belief (2001), che vantò anche alcune date suonate a supporto degli Asia, i Dare tornarono in studio (con la consueta calma e attenzione maniacale al dettaglio sonoro) per pubblicare, nel giugno del 2004, il loro nuovo album, intitolato Beneath the Shining Water.
Con un nuovo batterista in formazione (Gavin Mart, sostituto ufficiale di Julien Gardner), il disco non si distaccò, quantomeno concettualmente, dal precedente capitolo, vedendo però scemare definitivamente quelle sfumature celtiche che avevano reso caratteristico, e ben più solare, il sound di Belief. Uno stile, quello di questo nuovo platter, privo di un ampio uso di chitarre elettriche, e che mostra una netta predominanza di tonalità oscure e cupe, talvolta quasi sommesse, che appaiono in netto contrasto con il mood positivo tipico della formazione, che mantiene la sua identità soltanto nelle aperture melodiche e ariose dei ritornelli, ricche di luce e di speranza, che rimangono di fatto il vero punto di unione tra recente e passato. Per una serie di canzoni lente, drammatiche, romantiche, soffuse, sempre altamente emozionali, quasi mai esplosive o determinate, ma composte soavi e poetiche per arrivare dritte al cuore di chi le ascolta.
Forse proprio in virtù di queste caratteristiche atipiche per le sonorità dei Dare, unite, come vedremo tra poco nell’analisi dei brani, anche alla più accentuata semplicità delle strutture compositive, Beneath The Shining Water è citato dai più come un mezzo passo falso della discografia della band di Oldham. Una visione riduttiva, questa, che non tiene conto di come sia qui la potenza dei testi a fare da vero motore di un’opera ricca di sfumature preziose come diamanti, e di messaggi di forza degni, già da soli, della palma di classico (o capolavoro) di un gruppo da sempre capace di mettersi in gioco, con coraggio ed onestà artistica, pubblicazione dopo pubblicazione.
A fare da opener al disco sono gli echi lontani di Sea of Roses, primo singolo di questa pubblicazione, e vera perla della discografia più soft dei Dare, con il suo sound morbido, ma bombastico, che spinge verso un ritornello catchy, e avvolgente come un caldo manto in una notte d’inverno. Ricordi e desideri si muovono in un vortice senza tempo, con la forza dell’amore (sei rimasta con me sotto il fuoco nel cielo / e abbiamo guardato l’alba assieme / resterò con te se anche ci volesse un mare di rose, recita il ritornello) a guidare la potenza di un componimento di per se semplice (lo schema è strofa-ritornello-strofa), ma incredibilmente efficace.
Secondo brano dell’opera è Days Gone By, una canzone già più ricercata della precedente, e capace di ricordare in qualche modo alcuni episodi di Calm Before the Storm, senza tuttavia rivelare mai toni progressivi. Lo stacco netto tra l’incipit e la prima strofa, e, ancora tra strofa e ritornello, porta a una bella alternanza tra momenti più leggeri, e altri più energici, nei quali fanno finalmente capolino gli echi della chitarra di Andrew Moore, che vince la sfida con l’acustica sempre in primo piano di Richard Dews grazie a una serie di assoli davvero notevoli. Il testo, stupendamente cantato da un Darren Wharton sempre sugli scudi, è da antologia, in un viaggio nel tempo sulle ali dei ricordi, che spinge verso la giovinezza perduta e le delusioni d’amore, nel nostro cuore, mai più superate. Lei lasciò la città alla fine dell’estate / correndo veloce con il vento del deserto / chiuse i suoi occhi sotto un milione di stelle / ed era finita, canta la seconda strofa di una canzone struggente, che chiude con la nostalgia della frase, ripetuta: tu non mi hai mai lasciato..
Un balzo, ed eccoci nuovamente in cammino sulle verdi colline che fanno da frequente scenario delle canzoni dei Dare. Silent Hills, colline silenziose, è la terza ballad/mid-tempo intensa ed emozionante del disco, e il primo (e unico) pezzo a creare un leggero collegamento con il precedente Belief grazie agli arrangiamenti di sottofondo, che rimandano alla tradizione celtica inglese. Qui l’amore e il ricordo felice sono visti come cura, oggi come allora, di fronte ai più dolorosi e oscuri attimi della vita: e quando quei cieli oscuri mi circondavano / e perdevo la strada verso quelli che amavo / così tante volte amore mio mi hai portato / in cima alla tua montagna, mentre le acque salivano. Le colline verdi, sulle quali danzare mano nella mano con la amata di fronte alla sera che avanza (che porta con se il buio e le paure), diventano l’isola felice della nostra rettitudine, e l’unico appiglio solido per non impazzire di fronte a un mondo non più a misura d’uomo. Per una canzone non così eclatante musicalmente, ma con un messaggio forte per i nostri cuori.
Il vero capolavoro dell’album, eccola qua, è la title track Beneath The Shining Water. Una composizione ancora non ricercata a livello compositivo, ma di una intensità emotiva fuori dal comune, grazie a melodie ampie e cristalline, profonde e cariche di potenza, che sul finale esplodono e aprono nuovamente al mood immortale di Calm Before the Storm, e alle sue immense chitarre. La magia, la crea ancora una volta il testo e la voce di Wharton, che (come in un concept album) prosegue quanto lasciato in sospeso dalla precedente canzone, arrivando direttamente al superamento della notte e all’arrivo del mattino, con le speranze e le energie rinnovate che espodono in rabbia di fronte alla apparente impossibilità di raggiungere il tanto agongnato sogno di felicità. Nel mio cuore mi domando / se ciò durerà un centinaio di anni / nella speranza che tu possa essere mia per un giorno / potremmo allontanarci sotto le acque lucenti , è la frase che muove l’intera canzone, e che cambia dal secondo refrain in poi indirizzando la fuga sulle acque verso gli oceani nel mio cuore. Inutile aggiungere altro, testo e melodie parlano da se.
Un monumento alla forza dell’amicizia è The Battles That You’ve Won, quinto brano del disco e forse la traccia più intima e personale tra quelle composte da Darren Wharton. Il testo ci dice che, di fronte ad ogni difficoltà, di fronte ad ogni cedimento e ad ogni crollo di morale e di forze, non c’è solo l’amore a fare da motore per la ripresa, ma che anche la vicinanza di un amico sincero può far diradare ogni nube carica di pioggia di fronte a noi, riportando il sereno. Con un ritmo in continuo divenire, dritto a crescere, vicino al pop ma carico di grinta rock, il pezzo esplode mano a mano di energia, colpendo secco il petto dell’ascoltatore con il crescendo della sua intensità, e l’aumentare dell’adrenalina. Finita la lotta, la discussione, il litigio, forse anche la separazione, tra due persone cosa resta, ci dice Wharton, se non campi di battaglia silenziosi / colpiti dalle parole che non ci siamo mai detti ? E’ li, in quell’istante di calma distruttiva, che arriva l’amico (nel testo, a nome Daniel, ndr): ma quando cado / tu mi aiuti a rialzarmi / come un leone con la criniera / tu eri Daniel e mio amico. Ecco la rivelazione: vidi una lacrime cadere / da qualche parte nel mezzo di queste cose che ho detto? / e ti strinsi tra le mie braccia / non posso affontare questo giorno da solo / non posso costruire questo ponte senza te / tu sei la sabbia e io la roccia. Anche qui, zero spazio all’immaginazione: tutto è perfettamente esplicitato da un altro testo da lode di un album, fino a qui, in continuo crescendo di emozioni.
Dopo qualche canzone (leggermente) più sostenuta, è il turno di una vera e propria slow-tempo con una Allowed to Fall leggera, pop, densa di battiti, totalmente priva di chitarra elettrica. Interpreto personalmente questo brano come una iniziale esortazione di un padre verso un giovane figlio, che muove ricordi e di conseguenza nostalgie. Il genitore, di fronte a un errore del figlio, si ricorda di come, nella sua stessa esperienza di vita (riconobbi me stesso in te / e fui di nuovo giovane), ogni sbaglio giovanile, ogni errore, sia divenuto poi un metodo per imparare, maturare e quindi crescere. Ed esorta quindi il figlio a cadere ancora per rialzarsi, per sognare e riprovarci ancora. E’ un pezzo sussurrato, di una dolcezza infinita nelle melodie e nel testo, basti vedere il ritornello: adesso puoi cadere e puoi sognare / gli errori che farai ti guideranno lungo la tua strada / e imparerai ad amare, e a vivere la tua vita in libertà / So quello che sta succedendo / ricordo quando queste cose una volta accadevano a me. Da qui, nascono però le riflessioni dell’uomo maturo: se avessi la possibilità di rifare tutto da capo / passerei la mia vita con te, è tutto ciò che posso fare. Scegliete voi come interpretare questa ultima espressione: se come un nuovo accenno ad un amore mai sbocciato, se come una dolce dedica alla compagna di una vita, o come una tenera espressione detta al figlio stesso.
Brano numero sette, I’ll Be The Wind. Altro pezzo melodic rock assolutamente soft, che apre però a un ritornello elettrico e bombastico di grande intensità, con una esplosione di groove caldo non indifferente. E’ un pezzo forse non particolarmente inedito, ma drammatico, che racconta di un ragazzo che legge, fino a consumarla, la commovente lettera di un genitore che ormai non c’è più (forse ucciso da una malattia o, addirittura, suicida). Sarò il vento negli alberi figlio mio – recita il manoscritto – sarò la strada su cui cammini / sarò con te quando me ne sarò andato / e ce la farai. Sicuramente, è la canzone più cupa e drammatica della discografia dei Dare insieme a Silence of Your Head del mai troppo citato Calm Before the Storm, ma ciononostante muove energie positive in ognuna delle parole d’amore scritte nella lettera, e nei suoi insegnamenti: lascia che la strada ti porti dove vorrai andare / e un giorno saprai / che l’orgoglio che arde così lucentemente non muore mai
Alla conclusione di Beneath the Shining Water mancano ormai sole tre canzoni, questo ora più energiche e colme di positività. Non sono forse le più belle del platter, o le più elaborate a livello sentimentale, ma meritano anch’esse di un’attenta analisi per i significati che nascondono. La prima è Where Darkness Ends, un pezzo lucente, arioso, nelle melodie e nel testo, che contrasta nettamente con i precedenti, messo nel punto giusto per farci dimenticare del dolore di I’ll Be The Wind. I suoi quattro minuti e mezzo scivolano via, dopo un iniziale momento di stallo in apertura, veloci e brillanti, ricchi di chitarre e di un bel lavoro alle pelli di Gavin Mart. Anche le liriche sono scritte per infondere gioia e positività. Il peggio è passato: non ho paura di nessuno adesso / mentre scendono le tenebre / ci sono volte che so che cadrò / lungo questa strada oscura e solitaria / ma questo vento di cambiamento mi guiderà a casa / attraverso la notte per ritornare da te. La salvezza è di nuovo lì, tangibile, tra le braccia dell’amata o del migliore amico.
Ancora chitarre, ancora energia, con Storm Wind, un pezzo che in qualche modo anticipa quello che sarà il tratto caratteristico del successivo album Arc of the Dawn (2009). Chitarra acustica e chitarra elettrica duettano alla perfezione, in un brano leggermente meno rapido del precedente, ma comunque abbastanza sostenuto ed esplosivo di buone emozioni. Il testo, eccolo, è scritto di nuovo dal punto di vista del figlio che ripensa alle parole del padre perduto, ed esorta a seguire la fiamma nel proprio cuore, a caccia di sogni: mi domandai dove mi avrebbe portato questa strada / chiusi gli occhi e pregai di farcela / e tu (dentro di me, ndr) dicesti / figlio, sta arrivando un vento di tempesta / segui la fiamma nel tuo cuore / e lui disse / figlio là dove soffia il vento di tempesta / segui la fiamma nel tuo cuore
Chiude l’opera Last Train, una canzone melodic rock abbastanza semplice e lineare, priva di particolari sussulti se non di una scossa di energia a partire dal ritornello. E’ una buona catarsi finale, che rilassa e tranquillizza, nelle melodie e nelle parole dell’autore. L’Ultimo Treno è il mezzo, misterioso (nessuno sa quando parte e quando tornerà) per il ritorno a casa, per la pace. Siamo a bordo, quindi ok, sediamoci e aspettiamo.. Presi l’ultimo treno dalla stazione / quando parte non lo sa nessuno / c’è un sorriso nel volto del vecchio qui / nelle sue mani vedo la sua casa / dove le aquile volano sull’acqua (..) Alcuni cercano di dirmi che non è il paradiso / mentre il fumo inizia a diradarsi / un giorno darai luce al cielo con i tuoi diamanti (..) sto tornando a casa con l’ultimo treno
IN CONCLUSIONE
Come definire quindi, in conclusione, Beneath The Shining Water? Beh, forse sì, nonostante il suo stile pop rock e le sue calde melodie, non è questo un disco immediato e di facile assimilazione dopo appena pochi ascolti. E’ però un gigantesco monumento alle capacità poetiche, più che compositive, dei Dare, e fino ad oggi il capitolo massimo della loro discografia per ciò che concerne le liriche. La Natura, protagonista di ogni canzone del nuovo corso di questa band inglese, è qui (per la prima volta in assoluto) non più forza trainante, è questa la maggiore differenza di questo disco rispetto ai precedenti. E’ presente sì, vestita a festa, ma soltanto osserva, guarda da vicino gli uomini affannarsi dietro questo, dietro a quest’altro, dimetichi delle cose fondamentali della loro vita, come gli affetti e le amicizie. E’ l’essere umano il protagonista di questo album (intimo e personalissimo), con tutte le sue debolezze, i suoi difetti, ma anche le sue straordinarie qualità.
Tra nostalgie, ricordi, paure, coraggio e voglia di risollevarsi, Beneath the Shining Water è l’apoteosi perfetta, messa in musica, del detto: l’unione fa la forza. Solo così, uniti e fedeli gli uni agli altri, supereremo anche i momenti più bui. Risolleviamoci!