Bill Leverty – Divided We Fall – recensione
Nuovo album per il chitarrista dei Firehouse Bill Leverty, la cui carriera solista prende vita nel 2004, un anno dopo quella che ad oggi è ancora l’ultima vera e propria fatica in studio della band madre. A prima vista il packaging del CD è deludente: il supporto è sì silver pressed, ma il jewel case ha il tray nero e contiene un booklet di sole due pagine, con la copertina da un lato e i credits dall’altro. Sotto questo aspetto il lavoro di un’etichetta sarebbe sicuramente servito a migliorare le cose. Messo il dischetto nel lettore, però, la partenza riservata da “You’re A Natural” è talmente buona da fare quasi dimenticare questo particolare. Il brano scopre subito le carte, visto che l’album poi non si allontana mai molto da queste coordinate sonore. L’hard rock blueseggiante tinto di atmosfere southern e funk di Leverty privilegia sempre la penna piuttosto che la sei corde, offrendo un songwriting di pregevole fattura, maturo e sfacciatamente melodico, ma senza mai affondare il colpo verso lidi commerciali. Dopo la sopraccitata opener, l’hard bluesy di “Strong” e quello più squisitamente 80s di “The Bloom Is Off The Rose” tengono alta l’asticella, che tuttavia si abbassa un po’ con lo scorrere della tracklist. In generale, comunque, il disco non perde mai quota e fa registrare almeno un altro paio di impennate con la catchy “Love Is Like A Song” e con la country-oriented “For Better Or Forget It”. Con il batterista dei Firehouse Michael Foster su sette canzoni, Andre LaBelle (Vinnie Vincent Invasion/Josh Todd) sulle restanti tre, e l’ottimo Keith Horne (Peter Frampton/Heart) al basso, la sezione ritmica è di qualità. Forse sottovalutato come chitarrista, Leverty non è invece un cantante memorabile, ma un po’ come quello studente che pur non essendo particolarmente dotato si arrangia, in qualche modo porta sempre a casa il sei. E buono è anche il suo lavoro in cabina di regia. Evitando di autocitarsi (i riferimenti ai Firehouse, se ci sono, sono poco marcati e mai in direzione di quel sound che ha fatto la fortuna del gruppo all’inizio degli anni Novanta), l’axeman americano non perde mai la bussola conducendoci sapientemente al decimo brano senza annoiare.
IN CONCLUSIONE
Leverty si è preso sei anni per confezionare e dare alle stampe questo disco, pubblicando di tanto in tanto qualche pezzo in streaming. Nonostante questa lunga gestazione, Divided We Fall non è un capolavoro. Dall’altro canto, però, si tratta di un prodotto gradevole, il cui ascolto riesce comunque a garantire poco più di 40 minuti di spensierata armonia, specialmente per chi apprezza artisti come Whitesnake, Gary Moore e ZZ Top.