Van Halen – A Different Kind Of Truth – Recensione
A distanza di ben 28 anni dall’ultimo disco con lo storico Dave Lee Roth al microfono, ecco finalmente tornare sulla scena musicale i Van Halen. Certo, ad oggi di acqua sotto ai ponti ne è passata davvero tanta: dopo aver dato alla storia della musica dei capolavori di hard rock americano arrivando al successo planetario con il famosissimo “1984” (e la famosissima “Jump” aggiungerei) i rapporti fra Diamond Dave e Eddie Van Halen si incrinano, tanto che il singer decide di lasciare la band e seguire la via solista, sostituito prontamente da Sammy Hagar con cui il gruppo vira verso un sound più in linea con il trend musicale ottantiano, dando più spazio a tastiere e alla melodia e sfornando comunque album di pregevole fattura dividendo e creando scompigli fra i fan spesso divisi tra i pro Hagar e i pro Roth. In seguito all’abbandono di Hagar c’è ben poco da raccontare se non la piccola e sfortunata parentesi con Gary Cherone (frontman degli Extreme) nel ’98, un continuo andare in rehab da parte di Eddie per i suoi continui problemi con l’alcol e l’esclusione inaspettata dello storico bassista Michael Anthony, che in seguito insieme ad Hagar, Joe Satriani e Chad Smith formerà i Chickenfoot. Negli ultimi anni ad alimentare l’aria di reunion vi è stato il tour che la band fece tra il 2007 e il 2008 con Dave Lee Roth in veste di cantante ed il sedicenne Wolfgang Van Halen (rispettivamente figlio e nipote di Eddie ed Alex Van Halen) al basso. Bisognerà aspettare però altri 4 anni per vedere il gruppo in azione in un nuovo disco, che poi tanto nuovo non è in quanto diverse tracce di questo “A Different Kind Of Truth” sono vecchie demo o vecchie canzoni che la band non ha mai pubblicato ufficialmente riarrangiate e rivisitate per l’occasione.