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Speciali

Tre indizi… Una prova: un’occhiata sulla scena melodic rock italica – Editoriale

14 Gennaio 2025 10 Commenti Samuele Mannini

Da giorni ho in mente di scrivere un editoriale su questo tema, una riflessione che mi ha accompagnato mentre stilavo la top ten di Melodicrock.it. Questa sensazione si è rafforzata guardando la classifica degli iscritti a Rock Report e quella dei dischi più votati di Rock of Ages. Ma che scena meravigliosa abbiamo in Italia! E se tre indizi fanno una prova, allora eccone anche un quarto: nella mia personale top ten ci sono ben quattro dischi italiani, e sinceramente non lo avrei mai creduto possibile.

Devo fare però una premessa: non sono né nazionalista né partigiano. Anzi, in passato non ho mancato di criticare alcuni limiti della nostra scena musicale: pronuncia inglese spesso approssimativa, testi banali e arrangiamenti che sembravano copie sbiadite di band oltreoceano. Ma le cose stanno cambiando. Negli ultimi anni, ho visto emergere talenti che non pensavo il nostro paese potesse più sfornare. Prendiamo Steve Emm, che primeggia nelle nostre classifiche, o i Nightblaze, una band che con una piccola etichetta è riuscita a battagliare su Rock Report con un’audience internazionale e vincere l’award di Rock of Ages. Questo per me è motivo di orgoglio. Ho creduto in loro fin dal primo ascolto, come ho fatto con i Night Pleasure Hotel e, in ambito prog, con i Barock Project. In tutti questi casi ho sottolineato che i loro lavori non hanno nulla da invidiare alle uscite internazionali più blasonate. La mia recente polemica sul disco dei Nestor nasce proprio da qui: voglio distogliere l’attenzione da ciò che arriva dall’estero e spingerci a valorizzare ciò che abbiamo intorno. Se con quella provocazione sono riuscito a far ascoltare a qualcuno i dischi delle nostre band, penso di aver fatto la mia parte.

Non possiamo negarlo: la scena musicale italiana sta guadagnando riconoscimenti, anche internazionali. Questo è il segno che stiamo migliorando in termini di produzione, originalità e appeal globale. Ma la domanda resta: c’è un futuro professionale per questi talenti o siamo di fronte a un’ultima fiammata prima del declino?

Le difficoltà sono evidenti. Nonostante il talento, il sistema musicale italiano fatica a sostenere una scena indipendente. Produzione, distribuzione e promozione sono ancora troppo deboli. Mancano investimenti in tournée e festival nazionali, e la promozione internazionale è praticamente inesistente. Questi ostacoli rischiano di limitare gravemente le possibilità di crescita per i nostri artisti. Per crescere davvero, servono cambiamenti concreti. Innanzitutto, bisogna creare spazi dedicati alla musica emergente e sostenerli con finanziamenti adeguati. Una scena musicale non può prosperare senza una base solida. Poi c’è la questione dei pregiudizi. Ancora oggi, molti considerano la musica italiana inferiore rispetto a quella internazionale. Questo deve cambiare. Pubblico e media devono imparare a riconoscere il valore, il talento e l’originalità dei nostri artisti. Far conoscere la nostra musica all’estero è un altro passo fondamentale. La visibilità internazionale non solo offre nuove opportunità di crescita professionale, ma accresce anche il prestigio della scena italiana. Per questo, è essenziale che gli artisti siano preparati: saper produrre, promuoversi e creare reti di contatti è ormai indispensabile. Programmi di formazione, workshop e iniziative simili possono fare la differenza, ma serve anche una maggiore collaborazione all’interno del settore. Guardiamo alla Svezia: lì hanno imparato a fare sistema, superando rivalità e invidie personali per il bene comune. Le collaborazioni internazionali sono un altro elemento chiave. Lavorare con artisti e produttori stranieri non solo aumenta la visibilità, ma favorisce scambi culturali e artistici che arricchiscono tutti. E poi ci sono le band italiane, un vero tesoro nascosto. Molte hanno un potenziale straordinario, ma restano invisibili per mancanza di coraggio negli investimenti. È ora di dare loro una chance concreta. Con il supporto giusto, potrebbero fare un salto di qualità enorme. E non dimentichiamoci che in Italia avremmo anche la più importante etichetta per l’hard rock melodico. Se non sfruttiamo questo vantaggio, rischiamo di sprecare un’occasione irripetibile.

In definitiva, il futuro della musica italiana dipende da due fattori principali: il talento degli artisti e la capacità di creare un sistema che li supporti e li renda sostenibili. Questo è un momento cruciale, in cui potremmo davvero trasformare la scena del rock melodico italiana in un’eccellenza riconosciuta a livello mondiale. Ma tutto dipende dalla nostra capacità di fare squadra e di guardare oltre i pregiudizi e le rivalità. Noi, nel nostro piccolo, ci stiamo provando e non per partito preso, ma per la qualità oggettiva che emerge. Spero che questa riflessione sia di stimolo anche ad altri.

“Tutto il Vinile… Dalla A alla Z” – Speciali

02 Gennaio 2025 8 Commenti Samuele Mannini

 

Ogni volta che guardo un vinile, mi sorprendo di come un semplice pezzo di plastica nero possa suscitarmi emozioni così intense da oramai quasi quattro decenni. La musica incisa su questo oggetto è quasi un mistero, una sorta di rito alchemico eseguito da sciamani esoteristi. Dopo aver esplorato la loudness war (QUI il LINK) e la cura del disco in vinile (QUI il LINK), vorrei dunque approfondire un argomento assai più ampio: cos’è un disco in vinile, come viene prodotto, di cosa è fatto, come si incide la musica e quali sono i suoi numerosi pregi e inevitabili difetti. Vorrei anche parlare dell’artigianalità e del mestiere necessari per creare la magia di un supporto che ci accompagna nella sua forma attuale da quasi 80 anni.

In questa sede non affronterò l’aspetto artistico delle copertine o l’effetto nostalgico della rinascita di questo formato, che obbligando l’utente a un certo tipo di ascolto, evoca ritualità ed emotività. Mi limiterò, invece, agli aspetti tecnici e storici per sviscerarne (o almeno provarci) tutti i segreti che lo hanno reso ormai mitico, senza prese di posizione ideologiche e documentando tutto tecnicamente al meglio delle mie possibilità.

Vi prego dunque di volermi accompagnare in questo lungo, ma spero interessante, viaggio attraverso la storia. Esploreremo le tecniche di fabbricazione e incisione, la stampa e la creazione di un master, e tutti gli accorgimenti necessari per realizzare un oggetto che è diventato un’icona del secolo passato e che anche in questo mostra di essere vivo e vitale, anche in confronto alla sua controparte fisica, ma digitale, ovvero il CD, e soprattutto rispetto alla sua nemesi, ovvero la musica liquida. Buon viaggio!

Un po’ di storia:

La storia del disco in vinile è un percorso affascinante che intreccia innovazione tecnologica, competizione commerciale e, sorprendentemente, una insperata rinascita nel XXI secolo. Il disco, inizialmente un supporto fragile e dalla durata limitata, si è evoluto in un formato apprezzato per la qualità audio ed il suo fascino tangibile. Questa evoluzione ha profondamente influenzato la creazione, la distribuzione e la fruizione della musica, culminando nella nascita del concetto di album (inteso come raccolta di canzoni) in forma di opera unitaria.

Dagli albori della registrazione sonora alla standardizzazione del 78 giri:

Prima dell’avvento del disco, la registrazione del suono era un concetto ancora in fase embrionale. Nel 1857, il fonautografo di Édouard-Léon Scott de Martinville permise la rappresentazione grafica delle onde sonore, senza però consentirne la riproduzione. Il fonografo a cilindro di Thomas Edison, introdotto nel 1877, segnò una svolta epocale, utilizzando cilindri ricoperti di stagnola per incidere e riprodurre il suono. Tuttavia, i cilindri presentavano limiti in termini di praticità, essendo ingombranti, fragili e difficili da duplicare.
La soluzione a questi inconvenienti giunse negli anni 1880 con Emil Berliner e il suo grammofono, che introduceva l’uso di dischi piatti. Inizialmente realizzati in zinco ricoperto di cera, i dischi passarono presto all’utilizzo della gommalacca rivelatasi più affidabile e durevole. Il disco di Berliner offriva molteplici vantaggi rispetto ai cilindri: maggiore facilità di produzione in massa, superiore resistenza e capacità di contenere più informazioni. Alla fine degli anni ’20, la velocità di 78 giri al minuto si affermò come standard industriale. Questi “78 giri”, realizzati in gommalacca ed in formato 10 pollici, erano però ancora piuttosto fragili e limitati a una durata di circa 3/4 minuti per lato.

La nascita dell’album di dischi e l’evoluzione della tecnologia di registrazione:

La intrinseca breve durata dei 78 giri portò alla nascita del concetto di “album di dischi” ovvero una raccolta di singoli dischi venduti insieme in un cofanetto. Questa tipologia di raccolta permetteva di ascoltare opere più lunghe suddivise su più dischi, come ad esempio le colonne sonore dei musical.
Le prime registrazioni su disco a 78 giri erano realizzate in modo acustico. I musicisti suonavano direttamente in un grande corno che raccoglieva le onde sonore e le trasmetteva a un diaframma, che a sua volta faceva vibrare uno stilo per incidere i solchi su un disco. Questo metodo, sebbene innovativo per l’epoca, presentava dei limiti significativi in termini di qualità audio. La gamma di frequenze che poteva essere catturata era ristretta e la risposta in frequenza era irregolare, risultando in un suono, sicuramente caratteristico, ma non certo ottimale. La registrazione elettrica, introdotta negli anni ’20, segnò una svolta epocale per la qualità delle incisioni. Grazie all’uso di microfoni e amplificatori a valvole, il processo di registrazione divenne più sensibile e in grado di catturare una gamma di frequenze più ampia e con una risposta in frequenza più uniforme. La registrazione elettrica permise di incidere suoni più delicati e distanti, impossibili da catturare con il metodo acustico. L’introduzione della registrazione elettrica ebbe dunque un impatto significativo sull’industria musicale, consentendo una riproduzione del suono molto più fedele e realistica.

Il vinile, il Long Play e la rivoluzione dell’album come opera unitaria:

La fine della Seconda Guerra Mondiale portò all’introduzione di nuove tecnologie e materiali, tra cui il vinile, o cloruro di polivinile (PVC), che si rivelò ideale per la produzione di dischi, essendo più leggero, resistente e flessibile rispetto alla gommalacca. Inoltre, l’introduzione del microsolco, anch’esso sviluppato in quegli anni, permise di rimpicciolire i solchi sui dischi in vinile, aumentando significativamente la durata del disco e riducendo la velocità di rotazione a 33 giri al minuto, un miglioramento che rivoluzionò sia l’esperienza di ascolto che la durata complessiva dei dischi.

Prima dell’introduzione del microsolco, i dischi a 78 giri, realizzati in gommalacca, avevano solchi molto più ampi e una durata limitata a pochi minuti per lato. Questi dischi, più pesanti e fragili, erano destinati a contenere solo brani singoli. Nel 1948, Columbia Records introdusse il Long Play (LP) a 33 giri, un disco in vinile da 12 pollici in grado di contenere fino a 20-25 minuti di musica per lato. Questa innovazione rivoluzionò l’ascolto della musica, permettendo per la prima volta di godere di un’intera sinfonia o di un album completo su un solo disco. Con l’LP, l’album divenne un’opera unitaria e coerente, pensata per un ascolto continuo e senza interruzioni, trasformando l’idea di raccolta di singoli brani in un’esperienza musicale più complessa e articolata.

La “guerra delle velocità”, il suono stereofonico e l’affermazione del vinile:

“La RCA Victor rispose nel 1949 con il disco a 45 giri, un formato pensato non solo per competere con l’LP, ma anche per imporre l’acquisto di nuovi giradischi, essendo incompatibile con quelli per i 33 giri. RCA cercò di adattare il 45 giri al concetto di album creando cofanetti di singoli, ma la praticità e la qualità del LP a 33 giri prevalsero, affermandosi come formato standard per quello che ancora ai giorni nostri chiamiamo album. Il 45 giri trovò la sua nicchia come formato preferito per i singoli, contribuendo a distinguere ulteriormente il concetto di album da quello di semplice raccolta di canzoni. Inoltre, il 45 giri si rivelò ideale per i juke-box, grazie al suo foro centrale più largo, che ne facilitava la gestione nei meccanismi di selezione automatica. La popolarità del 45 giri nei juke-box contribuì in modo significativo alla sua diffusione. Inizialmente, RCA Victor introdusse una codifica a colori per i suoi 45 giri, associando ogni colore a un genere musicale specifico. Tuttavia, questo sistema venne abbandonato in seguito.”
Negli anni ’50, il suono stereofonico permise poi di registrare e riprodurre il suono su due canali separati, creando un’esperienza d’ascolto più immersiva e realistica. I primi dischi stereofonici, pubblicati nel 1957, soppiantarono rapidamente le registrazioni monofoniche, il disco in vinile dominò così il mercato musicale nei formati oramai assurti a standard, per gran parte del XX secolo, raggiungendo l’apice negli anni ’70 e ’80.

Declino e rinascita del vinile nel XXI secolo:

L’avvento del compact disc e dell’audio digitale, negli anni ’80, segnò l’inizio del declino del disco in vinile come formato commercialmente dominante. Tuttavia, a partire dagli anni 2000, il vinile ha vissuto una importante rinascita, inizialmente trainata da una nicchia di DJ e audiofili nostalgici, e poi estesa a un pubblico sempre più ampio attratto dal fascino del formato analogico. La sua rinascita e la ricerca per lo sviluppo di possibili nuove tecnologie, come il vinile ad alta definizione, dimostrano che le possibilità di un futuro per questo supporto sono ancora aperte.

Il vinile ovvero una alchimia tra materiali e suono:

I dischi in vinile, sebbene appaiano semplici dispositivi di riproduzione musicale, rappresentano un risultato di complesse interazioni chimiche che influenzano direttamente la qualità del suono.  Esaminiamo adesso la composizione chimica del vinile e il ruolo degli additivi, evidenziando le possibili correlazioni tra la chimica del disco e la sua fedeltà sonora, perché infondo il vinile è molto più di un disco di plastica.

Composizione chimica del vinile:

La base dei dischi in vinile è composta principalmente da un pellet composto da una miscela di cloruro di polivinile (PVC) e acetato di vinile (PVA).  Questa miscela conferisce al vinile le proprietà necessarie di flessibilità, resistenza e capacità di supportare una superficie liscia per la riproduzione sonora. Il PVC, nella sua forma naturale, è un materiale traslucido con una lieve tonalità grigiastra o bluastra.

Additivi e loro funzioni:

Gli additivi sono cruciali per ottenere un materiale adatto alla produzione e alla riproduzione sonora. Essi costituiscono dal 4% al 25% del peso del disco e includono:

-Stabilizzanti termici: Questi additivi sono essenziali per prevenire la decomposizione del PVC durante i processi di produzione ad alta temperatura, garantendo la stabilità del materiale.
-Lubrificanti: Utilizzati per migliorare il flusso della resina durante la lavorazione e facilitare il distacco dagli stampi, i lubrificanti aiutano a mantenere la qualità della superficie del disco.
-Riempitivi: Utilizzati per ridurre i costi di produzione, i riempitivi possono includere materiali cellulosici, vinile riciclato, ma anche agenti antifungini che aiutano la preservazione del materiale nel tempo.
-Plastificanti: Migliorano la viscosità e le proprietà di fusione della resina, rendendo il vinile più modellabile e flessibile.
-Condizionatori: Questi additivi riducono la frizione dello stilo, il rumore di superficie e l’accumulo di elettricità statica, migliorando l’esperienza di ascolto.
-Coloranti: I coloranti in origine sono stati aggiunti per rendere invisibili i difetti superficiali del disco finito. Storicamente, il nero di carbone è stato il colorante più comune grazie alla sua capacità di distribuire la carica elettrostatica e alla sua insolubilità in acqua. Tuttavia, negli ultimi anni, il biossido di titanio e altri pigmenti colorati sono diventati più comuni.

Nero di carbone vs. vinile colorato:

Lo storico e prevalente uso del nero di carbone come colorante principale per i dischi in vinile ha sollevato interrogativi sulla qualità sonora dei dischi colorati. Alcuni produttori e case discografiche sostengono che il vinile colorato possa presentare un maggiore rumore di superficie rispetto al vinile nero. Le ragioni principali di questa differenza sono:

-Caratteristiche di fusione: I diversi tipi di PVC utilizzati per il vinile colorato possono influenzare la precisione dello stampaggio e la qualità della superficie del disco.
-Qualità dei pigmenti: I pigmenti utilizzati per il vinile colorato potrebbero non essere di qualità paragonabile al nero di carbonio, introducendo impurità e imperfezioni nella matrice del vinile.

Non tutti concordano sul fatto che il vinile colorato sia intrinsecamente inferiore a quello nero. Alcuni studi suggeriscono che una produzione di alta qualità possa minimizzare, pur senza annullare completamente, queste differenze sonore.
Discorso completamente a parte è quello dei vinili splatter o glitterati. Al biscotto (ovvero il materiale preriscaldato usato nelle macchine per stampare) in PVC vengono aggiunti a freddo altre parti di PVC colorato o glitter, che poi vengono pressati e fusi insieme. Questi elementi, non avendo le stesse caratteristiche chimico-fisiche, compromettono (anche pesantemente) la qualità sonora del supporto. La qualità audio inferiore è attribuibile anche ai Picture Disc, costituiti da una sorta di sandwich a tre strati: una base in PVC, un’immagine in cartone ed un sottile strato di PVC trasparente, dove viene effettivamente inciso il suono, e che inevitabilmente risentono di questa molteplice composizione a strati.
La conoscenza della chimica dei dischi in vinile è quindi estremamente utile per comprendere e migliorare la qualità sonora della riproduzione musicale. La complessa miscela di PVC, additivi e coloranti con l’ulteriore variabile dell’uso di materiali riciclati, influisce sulla flessibilità, resistenza, scorrevolezza e durata del disco, richiedendo numerose cautele ed accorgimenti per ottimizzare la qualità del supporto.
È importante sottolineare che la composizione del pellet di vinile, che verrà usato nello stampaggio, può variare notevolmente a seconda dell’origine delle materie prime. In passato, quando non c’erano specifiche regolamentazioni, questa variabilità era ancora più marcata. Anche oggi, le normative sui componenti ammessi nei materiali plastici non sono uniformi a livello globale. In Europa, ad esempio, la legislazione è cambiata più volte per migliorare la sostenibilità ecologica dei prodotti. Alcuni additivi, periodicamente esclusi per ragioni ambientali o di salute, sono stati sostituiti con altri materiali che possono avere proprietà soniche diverse. Inoltre, le fabbriche tendono a mantenere segrete le loro formule chimiche, aggiungendo ulteriore complessità al quadro.

La sfida tecnica del Mastering per vinile: Un’analisi approfondita.

La produzione di un master audio di alta qualità per questo formato presenta una serie di sfide tecniche complesse che richiedono un approccio specializzato da parte dell’ingegnere di mastering. L’ingegnere di mastering per il vinile è una figura chiave nella produzione di dischi. Il suo compito principale è preparare il mix finale di una registrazione che dovrà poi essere fisicamente impressa sul vinile, assicurandosi che il suono sia il migliore possibile per questo formato. Questo include l’equalizzazione, la compressione e l’ottimizzazione del bilanciamento stereo per adattarsi alle caratteristiche fisiche del vinile. Inoltre, l’ingegnere deve considerare la durata del disco e la disposizione delle tracce per evitare distorsioni e perdita di qualità. Un buon ingegnere di mastering ha un orecchio attento per i dettagli e una profonda conoscenza tecnica dell’audio.

I vincoli fisici del supporto analogico:

Il vinile, a differenza dei supporti digitali, non è un contenitore infinito di dati audio. Le informazioni sonore vengono incise fisicamente su un disco in materiale plastico, la cui superficie limitata impone vincoli precisi alla durata e alla dinamica della musica. Come già accennato precedentemente, la durata di un lato di un LP standard da 12 pollici è determinata da diversi fattori:
– Volume: L’audio più forte richiede un solco più ampio per essere inciso, il che significa che meno linee si adatteranno al disco. In sostanza, l’audio più forte consuma più spazio, quindi meno linee potranno essere incise sul disco.
– Frequenza: Le basse frequenze, come quelle prodotte da un basso o da una grancassa, richiedono solchi più ampi rispetto alle alte frequenze. Questo perché lo stilo deve compiere movimenti più ampi per incidere un’onda sonora a bassa frequenza. Di conseguenza, la musica con molti bassi occuperà più spazio su un disco in vinile rispetto alla musica con meno bassi. Un ingegnere di mastering sa perfettamente che c’è una ragione per cui nei vecchi dischi le basse frequenze sono trattate in maniera dedicata, perché altrimenti lo stilo di taglio cercherebbe di tagliare in quattro direzioni contemporaneamente, rendendo fisicamente impossibile l’incisione .
– Separazione stereofonica: Una maggiore separazione stereofonica tra i canali destro e sinistro richiede anch’essa solchi più ampi. Questo perché lo stilo deve muoversi sia lateralmente che verticalmente per incidere un segnale stereo. Quindi, la musica con un’ampia immagine stereo occuperà più spazio su un disco in vinile rispetto alla musica con un’immagine stereo più ristretta. Gli ingegneri di mastering spiegano che la larghezza stereo può essere problematica quando si taglia un disco in vinile perché le informazioni stereo sono codificate nel movimento su e giù del solco. Se c’è molta separazione stereofonica nel materiale da incidere, il solco deve essere tagliato con sufficiente profondità in modo che lo stilo di taglio abbia spazio per muoversi su e giù senza sollevarsi sopra la superficie del disco.

La gestione delle basse frequenze: Monocompatibilità e controllo del Groove

Le basse frequenze, con la loro ampiezza e la loro tendenza ad occupare un ampio spettro stereo, rappresentano una delle sfide principali per il mastering del vinile. Se non gestite correttamente, possono causare una serie di problemi tecnici:

– Distorsione: Bassi stereo troppo potenti possono causare distorsioni durante la riproduzione, soprattutto con sistemi audio di fascia bassa.
– Salti dello Stilo: Un’ampiezza eccessiva nei bassi può far saltare lo stilo fuori dal solco, compromettendone la riproduzione.
– Sovraincisione: Solchi troppo vicini a causa di basse frequenze potenti possono sovrapporsi, creando distorsioni e click indesiderati oltre che danneggiare irreparabilmente il master perché la puntina salterà la traccia.

Per mitigare questi problemi, gli ingegneri di mastering adottano diverse strategie:

– Monocompatibilità: Rendere i bassi mono al di sotto di una certa frequenza, solitamente intorno ai 150/180 Hz, aiuta a controllare l’ampiezza del solco e a ridurre il rischio di distorsioni e salti dello stilo.
– Equalizzazione: Un’attenta equalizzazione può aiutare a ridurre l’ampiezza delle basse frequenze problematiche, preservando al contempo l’impatto sonoro complessivo.
– Controllo del Groove: consiste nell’utilizzo di un “calcolatore per la spaziatura dei solchi”. Nelle macchine di incisione più moderne, un computer analizza infatti il segnale audio e regola automaticamente la distanza tra i solchi per evitare sovraincisioni e distorsioni.
– Scelta dei Brani: La scelta dell’ordine di incisione dei brani è un’ottima soluzione per ottimizzare lo spazio di registrazione, inserire all’inizio i brani più dinamici ed alla fine i brani con meno escursioni di frequenze consente infatti di immagazzinare più minutaggio nella stessa facciata di un disco.

Il problema della Sibilanza: serve precisione e controllo della temperatura

Le alte frequenze, in particolare i suoni sibilanti (come le “s” nelle parole), possono causare difficoltà sia durante l’incisione che durante la riproduzione:
-Surriscaldamento della Testina di Taglio: La registrazione di suoni sibilanti ad alto volume può surriscaldare la testina di taglio, danneggiandola e richiedendo costosi interventi di riparazione. Questo problema può essere mitigato utilizzando testine di taglio raffreddate ad aria o a liquido.
-Distorsione in Riproduzione: La sibilanza eccessiva può causare distorsioni durante la riproduzione, rendendo il suono sgradevole e affaticante per l’ascoltatore.

Per contrastare la sibilanza, gli ingegneri di mastering utilizzano diverse tecniche:
-De-essing: L’utilizzo di processori specifici, come i de-esser, permette di ridurre l’intensità dei suoni sibilanti senza compromettere la chiarezza del segnale audio.
-Filtri Passa-Basso: L’applicazione di un filtro passa-basso può attenuare le frequenze più alte, riducendo l’energia complessiva della sibilanza.
-Attenta Gestione del Volume: Un volume di incisione troppo elevato può esacerbare la sibilanza. L’ingegnere di mastering deve trovare il giusto equilibrio tra volume e coerenza del suono.

La Curva RIAA: un compromesso necessario per l’efficienza e la fedeltà

La curva RIAA, uno standard di equalizzazione adottato universalmente per i dischi in vinile, è un elemento fondamentale del processo di mastering. Questa curva, come spiegato in, consiste in una pre-enfasi degli alti e in una de-enfasi dei bassi durante l’incisione. Durante la riproduzione, un preamplificatore phono applica la curva inversa, ripristinando l’equilibrio tonale originale della musica.

La curva RIAA svolge due funzioni essenziali:

-Ottimizzazione dello Spazio: Riducendo l’ampiezza delle basse frequenze durante l’incisione, la curva RIAA permette di aumentare la durata della musica che può essere incisa su un disco.
-Riduzione del Rumore di Superficie: Aumentando l’ampiezza delle alte frequenze, la curva RIAA rende il rumore di superficie meno evidente durante la riproduzione.
-Fedeltà del Suono: La pre-enfasi degli alti e la de-enfasi dei bassi aiutano a mantenere la fedeltà del suono durante la riproduzione, bilanciando il segnale audio per una riproduzione più accurata. Questo processo non mira a “bilanciare” il segnale audio nel senso di equalizzazione, ma piuttosto a compensare i limiti fisici del mezzo vinilico e ottimizzandone la qualità della riproduzione grazie ad una incisione più omogenea in tutto lo spettro della frequenza udibile.

Il mastering per il vinile è dunque un processo tecnico estremamente complesso, che richiede una profonda comprensione dei vincoli del supporto analogico e delle strategie per superarli. Un ingegnere di mastering esperto, con una solida base tecnica e una raffinata percezione, può trasformare queste sfide in opportunità creative, contribuendo a preservare l’essenza dell’incisione e offrire un’esperienza d’ascolto autentica e coinvolgente. Se vi stavate chiedendo perché molti vinili moderni suonano maluccio, beh, adesso ne conoscete le ragioni. Il mestiere dell’ingegnere di mastering è una figura che negli anni era quasi scomparsa a favore di chiunque sapesse usare un PC con un programma di editing digitale, e ci vogliono anni per formare nuove figure così altamente professionalizzate e perché il sapere venga trasmesso.

Ora che abbiamo dunque il materiale che fisicamente creerà il disco ed il materiale audio che ci andrà inciso sopra vediamo di affrontare le metodologie e le attrezzature necessarie ad imprimere la musica sul supporto fisico.

Il processo di incisione: Torni e Lacche.

Senza la maestria dell’incisione su lacca, il mondo del vinile sarebbe privo della sua anima analogica. Questa fase, un connubio di precisione meccanica e sensibilità artistica, rappresenta il punto di partenza per la creazione di ogni disco in vinile. proverò a guidarvi attraverso le intricatezze di questa arte, focalizzandomi in particolare sul tornio incisore, ovvero, lo strumento che scolpisce il suono sulla superficie della lacca.

Il Disco Laccato: una delicata tela per il suono

Prima di addentrarci nel funzionamento del tornio, è importante comprendere la natura del supporto su cui opera: il disco laccato. Si tratta di un disco di alluminio rivestito da una vernice speciale, la cui formula, gelosamente custodita dai produttori, conferisce la giusta consistenza per l’incisione. Questa vernice, a base di resine e pigmenti, offre un equilibrio delicato tra morbidezza, per consentire alla puntina di incidere il solco, e resistenza, per sopportare le successive manipolazioni. La qualità della lacca è cruciale: ogni imperfezione può tradursi in rumori indesiderati sul disco finale.

Il Tornio Incisore: anatomia di un capolavoro ingegneristico

Il tornio incisore è un capolavoro di ingegneria meccanica progettato per tradurre le vibrazioni sonore in un solco fisico. Non è semplicemente una macchina, ma un prolungamento della sensibilità dell’ingegnere del suono, che ne padroneggia i movimenti per dare vita al suono inciso. Analizziamone i componenti chiave:

-Piatto: Il piatto è il palcoscenico su cui ruota il disco lacca. La sua rotazione deve essere impeccabile, costante e priva di vibrazioni, per evitare distorsioni nel suono finale.
-Testina di Incisione: Al suo interno, una puntina, generalmente in zaffiro, vibra in risposta al segnale audio in ingresso. Un sistema di riscaldamento elettrico mantiene la puntina alla temperatura ottimale per l’incisione, riducendo l’attrito e garantendo un solco preciso.
-Braccio: Con movimenti fluidi e controllati, guida la testina di incisione lungo la superficie del disco lacca. La sua stabilità è fondamentale per evitare oscillazioni indesiderate.
– Sistema di Controllo: Gestisce la velocità del piatto, il movimento del braccio e altri parametri, garantendo un’incisione precisa e coerente.
-Microscopio: Permette all’ingegnere del suono di monitorare in tempo reale la larghezza del solco durante l’incisione.

Tipologie di Torni Incisori: fra tradizione ed innovazione

Nel corso degli anni, il tornio incisore ha subito diverse evoluzioni, dando vita a diverse tipologie di macchine, ognuna con le proprie peculiarità:

-Torni Manuali: Rappresentano la tradizione dell’incisione su lacca. L’ingegnere del suono ha un controllo diretto sui parametri di incisione, come la larghezza del solco e la profondità di taglio. Questo approccio artigianale può conferire al suono un carattere unico e “caldo”.
– Torni Computerizzati: introdotti all’inizio degli anni ’80, all’ apice tecnologico del formato, offrono un livello di automazione più elevato. Un computer gestisce la maggior parte dei parametri, garantendo una maggiore precisione e ripetibilità.

La meccanica danza del suono: come funziona il Tornio

Il processo di incisione inizia con la preparazione del disco lacca, che viene accuratamente pulito e posizionato sul piatto del tornio. La testina di incisione, riscaldata alla temperatura ottimale, viene posizionata sul bordo esterno del disco, pronta a iniziare la sua danza. Mentre il piatto ruota, la puntina della testina vibra in risposta al segnale audio in ingresso, incidendo un solco continuo a spirale sulla superficie della lacca. La magia risiede nella modulazione del solco: le frequenze alte producono solchi più fitti e sottili, mentre le frequenze basse producono solchi più larghi. Il volume del segnale determina invece la profondità del solco.

La testina di incisione è però il cuore pulsante del tornio, lo strumento che traduce le onde sonore in un solco fisico sulla lacca. Per comprendere appieno il suo funzionamento, e in particolare il metodo impiegato per l’incisione stereofonica, è necessario analizzarne la struttura e la meccanica di precisione. La testina è alimentata da due segnali distinti, uno per il canale destro e uno per il canale sinistro. Questi segnali, amplificati e modulati, vengono inviati a due distinti sistemi di bobina mobile all’interno della testina. Ognuno di questi sistemi controlla il movimento della puntina in una direzione specifica: uno lungo l’asse verticale e l’altro lungo l’asse orizzontale. Invece di incidere due solchi separati, uno per canale, la puntina del tornio incide un unico solco che presenta due pareti inclinate a 45° rispetto al piano del disco. Ogni parete del solco è dedicata a un canale stereo: una parete modula il segnale del canale sinistro, mentre l’altra modula il segnale del canale destro, mentre come detto precedentemente la profondità del solco rappresenterà il volume di uscita del segnale audio.
Questo ingegnoso sistema permette di codificare entrambi i canali stereo in un unico solco, massimizzando lo spazio disponibile sul disco e consentendo quindi la riproduzione stereofonica.
Durante la riproduzione, la puntina del giradischi segue il solco modulato, vibrando in risposta alle variazioni di profondità e inclinazione delle pareti. Queste vibrazioni vengono convertite in segnali elettrici separati per il canale destro e sinistro, ricreando l’immagine stereofonica originale.

Half Speed Mastering: la tecnica “audiophile”

Il processo di half-speed mastering è una tecnica di incisione del vinile in cui la musica viene riprodotta e incisa a metà della velocità normale. Introdotta per la prima volta negli anni ’60 dalla Decca Records, questa metodologia fu sviluppata per migliorare la qualità delle incisioni stereo, soprattutto nel trattamento delle alte frequenze, difficili da gestire con i sistemi di taglio stereo dell’epoca. Negli anni ’70 e ’80, la Mobile Fidelity Sound Labs ha reso questa tecnica popolare tra gli audiofili, mentre ingegneri come Miles Showell di Abbey Road Studios hanno contribuito a modernizzarla e raffinarla.

Benefici del Half-Speed Mastering

  • Maggiore Precisione: Rallentando il processo di incisione, la testina ha più tempo per catturare i dettagli sonori, in particolare nelle alte frequenze, garantendo maggiore chiarezza e dettaglio.
  • Riduzione della Distorsione: Il minor calore e frizione sulla testina di incisione riduce il rischio di distorsione, migliorando la fedeltà sonora.
  • Gamma Dinamica Estesa: Il processo consente una migliore rappresentazione delle transizioni tra suoni forti e deboli, aumentando la ricchezza dinamica.
  • Esperienza d’Ascolto Migliorata: Molti ascoltatori segnalano una maggiore spazialità e un dettaglio più definito nei dischi incisi con questa tecnica.

Critiche e Limitazioni
Nonostante i vantaggi, alcuni esperti, come Kevin Gray (ingegnere di mastering americano), mettono in discussione l’efficacia del half-speed mastering. Tra i punti più controversi emergono:

  • Perdita di Dettagli nelle Basse Frequenze: L’incisione a metà velocità potrebbe non rappresentare con precisione la gamma bassa.
  • Elasticità del Vinile: La natura del materiale potrebbe influire negativamente sulla precisione del solco.
  • Dipendenza dal Mastering Originale: La qualità iniziale è fondamentale per ottenere risultati eccellenti, anche con questa tecnica avanzata.

In conclusione, sembra emergere che l’efficacia del half-speed mastering dipenda da vari fattori, come la competenza dell’ingegnere, la qualità del mastering originale e il sistema audio utilizzato per l’ascolto. Pur non essendo priva di controversie, questa tecnica rimane un pilastro per molti appassionati alla ricerca della massima qualità sonora, continuando a spingere i confini dell’incisione audio.

DMM: un’alternativa al regno della Lacca

Accanto all’incisione su lacca, esiste una tecnica alternativa chiamata Direct Metal Mastering (DMM), che incide il solco direttamente su un disco di rame. Questo metodo offre alcuni vantaggi in termini di fedeltà audio, soprattutto per quanto riguarda le alte frequenze, al prezzo però di maggiori costi di gestione ed una minore adattabilità alle regolazioni dovute alla superiore rigidità del disco master in rame.

L’incisione su lacca è in conclusione un processo ricco di storia e di fascino, in cui la precisione della meccanica si fonde con la sensibilità artistica. Ogni fase, dalla scelta del tornio alla maestria dell’ingegnere del suono, contribuisce alla creazione di un disco in vinile di alta qualità. È un’arte che richiede conoscenza, esperienza e passione, la sintesi essenziale del suono analogico.

La Stampa del vinile: La potenza della chimica, dell’elettricità e della pressione

La produzione di un disco in vinile passa attraverso il fondamentale processo galvanico, che trasforma la fragile lacca incisa in uno stampo robusto e preciso, pronto per la stampa. Questo processo combina chimica, elettricità e precisione artigianale in una sequenza complessa e delicata.

Dalla Lacca al Padre: la prima immersione nel mondo elettrico

– La Lacca: Si parte dalla lacca incisa, un disco di alluminio rivestito con una speciale vernice sensibile alle vibrazioni della puntina del tornio incisore. I solchi incisi rappresentano la registrazione audio, ma sono troppo delicati per resistere alla pressione della stampa.
– L’Argentatura: Per procedere con l’elettroformatura, la lacca deve diventare conduttrice di elettricità. Questo avviene tramite l’argentatura, spruzzando una soluzione a base di nitrato d’argento sulla superficie della lacca.
– Il Bagno Galvanico: La lacca argentata viene immersa in un bagno galvanico contenente nichel. Applicando una corrente elettrica controllata, il nichel si deposita sulla superficie della lacca, seguendo fedelmente i solchi incisi.
– Il Padre (Master): Dopo alcune ore, si forma uno strato di nichel che crea un negativo della lacca originale, con i solchi in rilievo, chiamato “padre” o “master”. Se le copie da stampare sono relativamente poche (meno di 1000) il Padre può essere usato direttamente per la stampa, naturalmente non sarà poi più possibile procedere a fare altre copie e il processo dovrà nuovamente iniziare dal taglio della lacca.

Dalla Madre allo Stampo: replicare la perfezione sonora

– La Madre: Il padre viene immerso in un nuovo bagno galvanico, depositando un ulteriore strato di nichel e creando un positivo, una copia esatta della lacca incisa, chiamato “madre”.
– Lo Stampo (Stamper): La madre viene nuovamente immersa nel bagno galvanico, generando un altro negativo, chiamato “stampo” o “stamper”. Realizzato in nichel puro, lo stampo è estremamente resistente e pronto per la stampa.

La stampa: il vinile prende forma tra calore e pressione

Lo stampo, con i suoi solchi in rilievo, rappresenta il negativo finale, pronto per imprimere la musica sul vinile. Il processo di stampa, un mix di precisione industriale e cura artigianale, è così descritto:

– La Pressa: Una macchina imponente, capace di esercitare una pressione di circa 100 tonnellate. Lo stampo è montato sulla pressa, pronto a ricevere il vinile fuso.
– Il Vinile: Sotto forma del pellet di PVC (la cui composizione abbiamo analizzato precedentemente), i granuli di pellet vengono fusi a circa 180° in un estrusore e compattati poi in una forma discoidale chiamata “biscotto”.
– Le Etichette: Precedentemente essiccate in forno per eliminare l’umidità, sono posizionate su entrambi i lati del biscotto.
– La Fusione: Il biscotto, con le etichette, viene inserito nella pressa tra i due stampi che riproducono i lati A e B del disco. La pressione (100 tonnellate) e il calore (180° anche se per ogni colore del pellet di pvc ci sono temperature leggermente diverse) fanno sì che il vinile fuso penetri perfettamente ed uniformemente nei solchi dello stampo.
– Il Raffreddamento: Un sistema di raffreddamento ad acqua solidifica rapidamente il vinile.
– La Rifilatura: Lame rotanti tagliano l’eccesso di vinile lungo il bordo del disco, definendone il diametro finale.

Dopo aver attraversato una fase di riposo cruciale, durante la quale il materiale plastico assume finalmente le sue caratteristiche fisiche definitive, si giunge al momento tanto atteso: l’imbustamento dei dischi. Questi tesori sonori, contenenti la sublime arte musicale, vengono avvolti con cura nelle loro eleganti copertine. Così, l’arte musicale, eterea e intangibile, trova una nuova vita, impressa in una forma fisica pronta ad essere apprezzata ed amata.

Falsi miti sul disco in vinile:

Dopo aver completato il nostro straordinario viaggio dal cilindro di Edison fino al vinile fatto, finito e imbustato, siamo pronti a tuffarci in una discussione appassionante. È giunto il momento di demolire i numerosi falsi miti, sia positivi che negativi, che circondano i formati fisici destinati alla riproduzione musicale, soprattutto quando si tenta di mettere a confronto vinile e CD. Questi miti, spesso non affrontati con rigore scientifico, meritano un’analisi approfondita. Prepariamoci a togliere la patina di ottusità e a svelare la verità nascosta dietro questi alfieri del formato fisico.

Suono analogico e suono digitale:

La differenza fondamentale tra digitale e analogico risiede nelle loro rappresentazioni della realtà, attraverso due diverse approssimazioni. Nel caso dell’analogico, si punta sulla similitudine, cercando di rappresentare la realtà nel modo più fedele possibile all’originale. Pensate all’incisione del solco sul vinile: questa è una trasposizione fisica per analogia del segnale sonoro. Il suono viene rappresentato nelle sue variazioni di ampiezza e frequenza attraverso variazioni di profondità all’interno dei solchi. Nel digitale, invece, si utilizza un campionamento del fenomeno reale per codificarlo numericamente e successivamente decodificarlo per riprodurlo. Il campionamento implica l’osservazione del fenomeno in specifici istanti di tempo, è dunque pacifico che, più campioni verranno prelevati, più accurata sarà la ricostruzione dell’ evento.

Per quanto riguarda i supporti musicali, il CD, con una frequenza di campionamento di 44,1 kHz e una profondità di 16 bit, consente un’approssimazione dell’evento sonoro che, per il nostro orecchio, è indistinguibile dalla realtà. Inoltre, offre una capacità di stoccaggio superiore rispetto al vinile, sia in termini di estensione in frequenza (anche se la differenza è talmente sottile che l’orecchio umano medio non riesce a percepirla), sia in termini di estensione dinamica. Per capire meglio cosa si intenda per estensione dinamica, potete consultare il mio articolo sulla Loudness War (linkato all’ inizio). In sintesi però, si può definire l’estensione dinamica come la differenza tra il suono più flebile e quello più imponente registrabile su un supporto.

Quindi il CD è superiore al vinile? Beh, parliamone, perché tra la teoria e la pratica c’è una bella differenza. Anche se il supporto digitale è teoricamente più capace di approssimarsi al fenomeno reale, bisogna fare i conti con il messaggio che deve essere stoccato, ovvero la musica. La riversazione su un supporto è solo l’ultimo dei passaggi che vanno dall’esecuzione, alla registrazione e al missaggio. Inoltre, raramente la musica necessita (specie ai giorni nostri) di intervalli dinamici che il vinile non possa supportare agilmente. Proprio certi limiti fisici dell’LP scoraggiano pratiche di editing selvaggio tipiche della loudness war, obbligando i produttori a mitigare tendenze che poco hanno a che fare con la corretta riproduzione del suono. Ecco dunque che una registrazione corretta e di qualità può essere goduta in maniera splendida su entrambi i formati. Senza contare che anche il supporto digitale ha le sue magagne come il jitter e la correzione degli errori. Altrimenti non si spiegherebbero tutte queste differenze sonore utilizzando un DAC invece di un altro, ma questa è una storia che prima o poi tratterò a parte in un futuro speciale sul supporto CD.

Il vinile si deteriora con gli ascolti il digitale è eterno:

Ehm… non è proprio così, o almeno non nei termini che uno potrebbe pensare.

Una delle critiche più frequenti ai dischi in vinile riguarda la loro presunta fragilità e il rischio di usura dovuto al contatto fisico tra la puntina del giradischi e il solco del disco. Tuttavia, uno studio condotto dal canale YouTube “VWestlife” dimostra che, con una gestione adeguata, l’usura è molto meno preoccupante di quanto si creda.

L’esperimento, tre giradischi a confronto:

Per verificare l’impatto della riproduzione sul vinile, il video esamina tre giradischi rappresentativi di diverse fasce di prezzo:

  1. Quasar CS-7030: un giradischi economico con testina in ceramica, stilo conico in zaffiro da 0,7 mil e pressione di tracciamento di 5,5 grammi.
  2. Audio-Technica AT-PL50: un modello di fascia media con testina magnetica, stilo conico in diamante da 0,6 mil e pressione di 3,5 grammi.
  3. Technics SL-QD33: un giradischi di alta gamma con testina magnetica Grado, stilo ellittico in diamante da 0,3×0,7 mil e pressione di 1,5 grammi.

Il metodo:

Quattro copie identiche di un disco sono state utilizzate per il test: tre riprodotte 50 volte ciascuna su ognuno dei giradischi, mentre la quarta è rimasta intatta come controllo. L’esperimento si è svolto nell’arco di due mesi, con una riproduzione giornaliera durante la settimana e doppia nei fine settimana. Al termine, i dischi riprodotti sono stati confrontati con quello di controllo sia con un’analisi uditiva sia attraverso la comparazione delle forme d’onda digitalizzate.

I risultati:

Sorprendentemente, non è emersa alcuna differenza udibile tra i dischi, nemmeno per quello riprodotto 50 volte sul giradischi Quasar, che applica la maggiore pressione sul solco. L’analisi digitale delle forme d’onda ha rilevato una differenza misurabile solo per il disco riprodotto sul Quasar, ma tale differenza era così minima da risultare irrilevante per l’ascolto.

Un ulteriore test ha indagato se la riproduzione intensiva senza pause potesse aumentare l’usura. In questo caso, riproducendo 50 volte consecutive la stessa traccia sul disco già usurato ed usando il giradischi meno performante, si è osservata una maggiore usura del solco. Tuttavia, anche in questo scenario estremo, la qualità audio è rimasta accettabile.

Conclusioni:

Questo esperimento dimostra che l’usura del vinile è meno significativa di quanto si pensi, purché si adottino pratiche corrette:

  • Pulizia regolare di dischi e puntine per evitare accumuli di polvere.
  • Conservazione in condizioni ottimali per prevenire danni fisici o chimici.
  • Uso di attrezzature di qualità, anche modeste, con pressioni di tracciamento moderate.

In sintesi, i dischi in vinile, se curati adeguatamente, possono garantire una lunga durata anche con riproduzioni frequenti. La magia del vinile, dunque, non è solo nella sua qualità sonora, ma anche nella sua sorprendente resistenza.

La magia del vinile sta tutta nel processo analogico:

Questo è un altro falso mito da sfatare.

Sebbene molti audiofili associno il vinile all’audio analogico, le evidenze storiche dimostrano che il mastering digitale è una pratica consolidata da decenni. Già negli anni ’80, numerosi album di musica pop e rock furono registrati, mixati o masterizzati digitalmente, e nel 1982 un articolo evidenziava come il digitale fosse ormai la tecnologia destinata a diventare predominante per quasi tutte le nuove registrazioni. L’introduzione nel 1979 di un sistema di mastering digitale, che includeva un sistema Ampex a 16 bit per il tornio di taglio, ha ulteriormente facilitato la produzione di dischi in vinile, rendendo possibile la masterizzazione indipendentemente dal fatto che le registrazioni fossero analogiche o digitali. In effetti, pur rimanendo un supporto analogico, gran parte della musica che ascoltiamo su vinile oggi ha subito una fase di elaborazione digitale. Tuttavia, questo non implica che la qualità del suono ne risenta; anzi, l’uso del digitale può migliorare la resa sonora del vinile, ottimizzandone l’audio per i limiti fisici del formato stesso, senza alterarne l’esperienza d’ascolto finale.

Il Vinile a 180 g suona meglio:

E perché dovrebbe?

La grammatura di un disco in vinile non influisce positivamente sulla qualità del suono. Anzi, potrebbe rappresentare un problema se la macchina stampatrice non è regolata correttamente per gestire il peso e la temperatura necessari ad imprimere i solchi su una quantità maggiore di materiale. In pratica, le presunte stampe “audiophile” possono essere realizzate tranquillamente anche sulla grammatura standard di 140 g. L’unico vantaggio reale di un disco più pesante è la minore tendenza a deformarsi, grazie alla sua maggiore robustezza.

La prima stampa di un vinile suona sicuramente meglio:

E chi lo ha detto?

Se per stampa s’intendono le prime copie di una tiratura, in genere le migliori non sono proprio le primissime, ma piuttosto quelle che si trovano dalla decima fino a metà della tiratura massima possibile con uno stamper. In questo intervallo, la macchina è a regime di temperatura e pressione e lo stamper non presenta ancora degrado d’uso. Va detto che, con le macchine più moderne, il degrado è molto minore rispetto al passato.

Se invece, come è più comune pensare, per stampa si intende un’edizione di un disco, la faccenda si complica assai. In passato, le stampe venivano localizzate in diversi paesi del mondo e, all’interno dello stesso paese (come gli USA), affidate a molteplici fabbriche. Questo avveniva sia per le prime edizioni sia per le successive ristampe o riedizioni. Come è facile intuire, la differenza è fatta dalla qualità dell’impianto con le sue macchine e i suoi processi produttivi. In genere, paesi come il Giappone e la Germania sono molto rinomati per la stampa, mentre, parlando a titolo personale, trovo le stampe italiane generalmente di qualità più scadente. Tuttavia, ovviamente, dipende da caso a caso e una generalizzazione non può essere fatta.

In conclusione, un Test emblematico:

Per concludere la discussione sul vinile e offrire una panoramica imparziale sui vari formati audio, vorrei proporre un test emblematico che ho seguito su YouTube. Questo test evidenzia aspetti chiave legati al concetto di riproduzione sonora.

Dom Sigalas, produttore musicale, compositore per il cinema, sound designer e musicologo londinese, ha condotto un’analisi approfondita delle variazioni di qualità del suono tra diversi formati audio, utilizzando il suo singolo “Home” come riferimento. Con una carriera prestigiosa che include collaborazioni con Universal Music, StudioCanal, Sony Pictures Home Entertainment e National Geographic, oltre al ruolo di Head Producer/Mixing and Mastering Engineer presso DoctorMix.com per sette anni, Sigalas ha le credenziali per offrire una valutazione autorevole sui miti riguardanti la presunta superiorità di un formato audio rispetto a un altro. Grazie alla sua esperienza, certificata dal titolo di Apple Digital Mastering Engineer, ha guidato un’indagine rigorosa e tecnicamente accurata sulle caratteristiche sonore di formati come vinile, nastro bobina, audiocassetta, Apple Music lossless e streaming su Spotify alla massima qualità.

Per garantire un confronto equo, tutti i campioni audio sono stati normalizzati a -14 LUFS (un’unità di misura del volume che rappresenta uno dei metodi più precisi per misurare il volume dell’audio riprodotto dai servizi di streaming, dai film e dalla TV) e riprodotti con apparecchiature consumer di livello medio: un Audio Technica Sound Burger per il vinile, un Technics RS BX 404 per le audiocassette e un Akai 4000DS Mark II per il nastro bobina a bobina. I risultati hanno rivelato le peculiarità di ciascun formato. Il nastro bobina a bobina si è distinto per un suono “setoso” e aperto, con una gamma media particolarmente espressiva, mentre il vinile ha offerto una tonalità calda, bassi ricchi e alti morbidi ed una dinamica meno compressa, confermandosi il preferito di molti ascoltatori. Le cassette, pur evocando nostalgia, hanno evidenziato una compressione marcata e una riduzione dei transienti, che ne limitano la fedeltà sonora rispetto ad altri formati. Sul fronte digitale, Apple Music lossless ha mostrato una maggiore fedeltà al master originale rispetto a Spotify, pur evidenziando una larghezza stereo leggermente inferiore e un roll-off negli alti.

Tutte le forme d’onda analizzate presentavano differenze significative rispetto al master digitale originale. Grazie alla sua doppia prospettiva di tecnico certificato e artista creativo, Sigalas ha messo in luce come ogni formato offra un’esperienza unica: l’analogico, con le sue imperfezioni, conferisce calore e carattere, mentre il digitale, specialmente nei formati lossless, pur preservando con maggiore fedeltà il master originale, finisce comunque per alterarlo in qualche modo.

Nel ringraziare chi ha voluto seguirmi in questo lungo viaggio, vorrei sottolineare, che tutto ciò dimostra come l’audio e le preferenze sulla modalità di ascolto siano un fatto puramente personale. Ogni formato, sia esso fisico o digitale, porta con sé pregi e limiti. Poiché i nostri apparati uditivi sono unici, non può esistere un vincitore assoluto. La preferenza personale, dunque, fa tutta la differenza del mondo, ed è bello che sia così.

LINK ALLE FONTI USATE PER L’ARTICOLO.

Top 2024 By MelodicRock.it

22 Dicembre 2024 15 Commenti Redazione MelodicRock.it

Anno strano il 2024, con tantissime uscite. Questo ormai è un trend da diversi anni, ma con un differenziale qualitativo notevole tra i migliori e i peggiori. Come sempre, abbiamo cercato di offrire un quadro dell’annata il più omogeneo possibile, scartando ciò che non ci sembrava rilevante e dedicando il nostro tempo, che si fa sempre più scarso, a ciò che ci è sembrato meritevole di essere recensito. Siamo andati a cercare uscite indipendenti, tralasciando anche alcune proposte delle etichette maggiori e ripescando, per quanto possibile, anche ciò che non ci è stato fatto pervenire come promo. Noi siamo volontari e mandiamo avanti il sito con passione, a prescindere da chi ci considera più o meno. Sappiamo di avere una base solida di lettori che ci apprezzano e cerchiamo sempre di offrire il nostro punto di vista e confrontarci amabilmente con chi ci segue da tanti anni. Noterete magari che la nostra media voto si è abbassata notevolmente, perché abbiamo tentato di cambiare un po’ approccio e valutare i dischi in maniera più analitica e meno emozionale. Noterete altresì che quest’anno ci sono state un sacco di uscite Made in Italy di livello assoluto, il che naturalmente non può che farci piacere.

Insomma, con circa 130 recensioni tra novità e classici e con le nostre news sempre aggiornate, ci apprestiamo a riassumervi il nostro 2024 che, tra l’altro, ci vede anche sponsor di un evento che gli appassionati aspettavano da anni, ovvero il Frontiers Rock Festival 2025. Speriamo che tutto questo sia di buon auspicio per il melodic rock e tutta la scena anche nel prossimo anno!

Samuele Mannini:

Come sapete, oltre all’AOR, il mio orizzonte musicale spazia spesso dal progressive a sonorità più moderne e contaminate. Quest’anno ho trovato un perfetto equilibrio tra l’AOR più classico, rappresentato dal magnifico disco di Steve Emm, e l’esordio splendido dei Night Pleasure Hotel del sorprendente Alex Mari. Quest’ultimo, dopo aver prestato la voce (stupefacente) ai Barock Project, si cimenta ora in campo più tipicamente AOR. voglio assolutamente citare anche l’eccellente performance dei Nightblaze con alla voce Damiano Libianchi, che a mio avviso è uno dei migliori cantanti del genere (e non solo in Italia). Per quanto riguarda il lato più prog, i già citati Barock Project hanno sbaragliato la concorrenza, piazzando una gemma destinata a durare nel tempo, mentre i Caligula’s Horse sono ormai una certezza di questo genere.

Noterete che ho menzionato un sacco di artisti italiani, e oltre a quelli in classifica ce ne sarebbero molti altri a testimoniare che è stata davvero un’annata eccezionale, ma non mancano certo gli artisti internazionali e la vecchia guardia del genere è certamente ben rappresentata dai Magnum (e come non celebrare Tony Clarkin) e dai DAD, mi ha inoltre sorpreso positivamente la svolta più easy dei Myrath ed ho apprezzato anche la modernità sonora del disco dei Silvera. Inoltre, a chiusura dell’anno, la Svezia ha piazzato un vero colpo da maestro con l’hard rock a tutto tondo dei 7th Crystal. Vorrei menzionare anche un disco che, pur essendo fuori dal contesto del sito, mi ha davvero colpito: l’Ep d’esordio di Aursjoen, che consiglio vivamente di ascoltare.

Insomma, un anno decisamente proficuo!

Yuri Picasso:

Impegnativa e lacunare. Se dovessi descrivere la lista sottostante in totale onestà, questi sarebbero i primi due aggettivi. È impossibile dedicare l’attenzione necessaria e trovare il tempo di ascoltare tutto. Tuttavia, possiamo garantirvi il nostro impegno e la nostra dedizione alla causa. Tra i lavori ascoltati (e assorbiti a dovere), noto una leggera risalita in termini di qualità, anche se persistono i soliti deficit in fase di produzione e originalità (su cui si potrebbe lavorare di più). Come amante del supporto fisico, non posso fare a meno di riportarlo. Eccovi, dunque, i 10 dischi da avere (CD/LP a vostra discrezione) in ordine casuale, esplorando il nostro genere a 360°, con buona pace di alcuni lavori esclusi ma meritevoli di menzione, se non altro per la loro carriera: vedi Stryper, Newman, FM, Russell (RIP) Guns.

Paolo Paganini:

Dicembre è tempo di bilanci anche per noi redattori di Melodicrock. Il 2024 non è stato un anno esaltante per la qualità delle uscite, ma ci ha comunque regalato alcuni lavori davvero degni di nota.

Lionville ha stravinto la classifica di fine anno con il loro album “Supernatural”. È un disco di altissima qualità, da ascoltare dal primo all’ultimo minuto. Revolution Saints, con “Against The Winds”, ha offerto un’ottima conferma, grazie a un Dean Castronovo in grande spolvero che ha rinnovato la formazione producendo un disco ad alto tasso melodico. Eclipse, con “Megalomanium II”, ha fatto centro ancora una volta. Erik Mårtensson & Co. hanno creato un album pieno di energia che abbiamo apprezzato anche dal vivo al Ferrara Summer Festival. Myles Kennedy, con “The Art Of Letting Go”, ha mostrato il suo talento assoluto, sfoggiando le mille sfumature della propria incredibile voce in veste solista. Una vera sorpresa dell’anno è stato il disco dei 7th Crystal, energico e capace di mischiare con grande gusto il classico hard rock a sonorità moderne. I DGM si sono riconfermati come i fuoriclasse del prog rock italiano con “Endless”, mantenendo livelli di eccellenza assoluta anche nel 2024. Tommy Denander, polistrumentista, è tornato in grande stile con Radioactive e l’album “Reset”, circondato da una miriade di illustri ospiti. FM, con “Old Habits Die Hard”, non ha deluso: i vecchi leoni britannici sono sempre una garanzia. Non vediamo l’ora di vederli dal vivo al prossimo Frontiers Rock Festival ad aprile 2025. La quota rosa è stata rappresentata dalla talentuosa Issa con “Another World”, grazie alla collaborazione con il marito James Martin (Nitrate). Infine, Robby LeBlanc e Daniel Flores hanno riportato in alto la loro creatura Find Me con l’album “Nightbound”, un buon lavoro di AOR Weastcoastiano.

Giulio Burato:

Il 2024 è stato un anno da dimenticare sotto molti punti di vista, sia musicali che personali. Dal punto di vista musicale, è stato uno degli anni peggiori degli ultimi dieci. Poche uscite di qualità e tante band, o presunte tali, che hanno prodotto CD piatti e privi di originalità. Forse sarebbe meglio pubblicare meno uscite, ma con maggiore qualità e con investimenti migliori nella produzione? Purtroppo, temo che questa rimanga solo una mia utopia. Nonostante tutto, ci sono state alcune sorprese piacevoli. I Scarlet Rebels sono stati una rivelazione, con singoli di assoluto livello come “Streets of Fire” e “It Was Beautiful”. Un’altra piacevole sorpresa sono stati i Fighter V che, nonostante il cambio forzato di cantante, hanno prodotto un album di grande qualità con “Heart of the Young”, arricchito da tastiere e sassofono. In terza posizione simbolica troviamo una contesa tra gli storici Honeymoon Suite con il loro album “Alive” e la rivelazione AOR dell’anno, il duo Rydholm/Safsund. L’album “Alive” ha una delle copertine più eleganti dell’anno e rappresenta il ritorno in studio della band dopo sedici anni. Altri ritorni degni di nota sono quelli degli Atlantic, con la loro iconica “Power of Me”, e dei Cats in Space, che hanno prodotto un grande album a livello compositivo. Anche i Nestor e gli Eclipse si sono confermati, con il secondo capitolo di “Megalomanium” che hanno mostrato la loro energia contagiosa, in sede live (Ferrara Summer Festival). Infine, i sorprendenti Remedy, che si distinguono per la loro proposta musicale riconoscibile, ed i teutonici Kissin’ Dynamyte chiudono il quadro delle uscite degne di nota. Segnalo anche l’ultimo album di Storace, molto orientato verso il sound di AC/DC e Krokus.

Concludo dedicando un pensiero affettuoso a mio padre e sperando che il 2025 sia un anno migliore per tutti noi e per il nostro amato Melodic Rock.

 

Alberto Rozza:

Eccovi un veloce riassunto di quello che più ho graditi in questo 2024 comunque ricco di proposte musical:
Rydholm Safsund: Grandissimo impatto, suonato benissimo; di certo la miglior sorpresa dell’anno.
DGM: Impressionante a dir poco, pura poesia che fa venire l’acquolina in bocca in vista delle date dal vivo.
Vanden Plas: Bellissima perla del 2024, da assaporare e contemplare in continuazione.
Black Country Communion: Un lavoro interessante grazie alla spontaneità nell’esecuzione, globalmente piacevole.
Lazarus Dream: Primo ascolto dell’anno che ha aperto in modo molto positivo le danze per un 2024 un po’altalenante a livello qualitativo.
Mystery Moon: Pfeffer non mi delude davvero mai.
Altri dischi meritevoli di menzione, perché comunque si sono distinti dalla media delle uscite ed entrano dunque in classifica sono:
Seelcity, JD Miller, 7H Crystal e Steve Emm.
Speriamo che il 2025 ci porti tanta buona musica!

Giorgio Barbieri:

Nella top ten del 2023 mi auspicavo un’annata migliore dal 2024 ed in effetti qualcosa di meglio è successo, ma siamo sempre risicati e, per quanto mi riguarda, devo ancora andare a scomodare i mostri sacri (Deep Purple, Saxon, Judas Priest), oppure rivolgermi a semi off topic (Lucifer, My Darkest Red) per riuscire a mettere assieme dieci titoli che rappresentino gli highlights di quest’anno. Come per il 2023, sono rimasti fuori di un nonnulla alcuni dischi (DGM,Anims,Social Disorder) e sono invece entrate piacevolmente alcune sorprese (Nubian Rose, Tessilgar), oltre ad alcuni “porti sicuri” (Blind Golem, Storace),e siccome siamo pur sempre su MelodicRock.it, il disco di Steve Emm entra in classifica perchè nel suo genere non ha niente da invidiare a nomi stranieri che generano molto più hype. Sicuramente c’è qualcos’altro che, da qui a sei mesi, potrebbe farmi cambiare idea, ma questa è una classifica di fine anno, non di mezza stagione e quindi… eccola qui!

Vittorio Mortara:

Dieci albums per il 2024. Vediamo un po… Beh, numero uno i Kissin’ Dynamite: un altro pianeta per professionalità, tecnica, capacità compositive ed attitudine tamarra. Podio per il rock oltre i generi degli Scarlet Rebel e per la raggiunta maturità degli estrosi Fans of the Dark. Poi cito alla rinfusa il gran bel ritorno degli Honeymoon Suite, la nuova incarnazione degli Atlantic, il solito bel disco del “giovane vecchio” Steve Emm, l’energia a profusione dei veterani Danger Zone, il variegato e pretenzioso nuovo album dei 7th Crystal del talentuoso Kristian Fyhr, l’attitudine darkeggiante dei miei beniamini Reach e il caleidoscopico e tecnicissimo album di Rudholm Sasfund. Ma, oltre a questi dieci, quest’anno di lavori ben fatti ne abbiamo ascoltati parecchi. Possiamo ritenerci assolutamente soddisfatti. Buone feste miei melodici e rocchettari amici! Ci vedremo sicuramente sotto un palco ai festival estivi del 2025!

Francesco Donato:

Anno che certamente chiude in positivo il bilancio rispetto alla scorsa annata, supportato da ritorni importanti e da esordi interessantissimi. Eccovi dunque il mio elenco in ordine di preferenza:

1 VAIN – Disintegrate Together :Il ritorno in scena dei leggendari sleaze rockers americani per quanto mi riguarda si aggiudica l’oro sul podio.
Un disco che alla lunga risulta uno tra i migliori della band. 2 NESTOR – Teenage Rebel : Era difficile ripetersi, ma superarsi era quasi improponibile. Invece i Nestor, mescolando sapientemente le carte dello stile, sfornano un album ruffiano ma altamente performante. 3 PALACE – Reckless Heart: Terzo album che riscatta alla grande la debolezza dell’album precedente. Atmosfere ottantine a go-go e melodie che si stampano in testa. 4 ECLIPSE Megalomanium II: Se gli svedesi avessero tirato fuori un solo capitolo da questo doppio album uscito in due annate differenti avremmo gridato al capolavoro. Qualche filler lo perdoniamo, ma il podio sfugge. 5 NATIONWIDE Echoes: Esordio dell’anno. Disco forgiato con maestria e accurata cura melodica. 6 FANS OF THE DARK: Non mi hanno mai appassionato, ma non posso non riconoscere la validità di questa uscita ricca di potenziali hits da classifica. 7 THE TREATMENT Wake Up The Neighbourhood: Energico, melodico e ben arrangiato. Una band che conferma il suo stato di grazia. 8 ACE FREHLEY 10.000 Volts: Disco che non passa di certo inosservato! Un ulteriore vittoria di Ace… 9 SEBASTIAN BACH Child Within The Man: Semplicemente uno dei migliori dischi solisti del buon Seb! 10 HYDRA ReHydration Secondo album della band svedese che conferma la bontà del progetto.

Denis Abello:

Diciamolo subito, così a orecchio sembra essere andata nettamente meglio dello scorso anno! Se a questo aggiungiamo che un sacco di roba (veramente) buona è pure uscita dalle nostre Italiche latitudini (Steve Emm, Mike Della Bella Project, Night Pleasure Hotel, Nightblaze, Danger Zone) allora non possiamo che ritenerci, se non pienamente soddisfatti, almeno tranquilli che sembra essere tornati su una strada, musicalmente parlando, meno impervia rispetto agli scorsi anni.
Difficile (soprattutto per me!) quindi alla fine racchiudere in soli 10 album quanto di meglio, a mio parere e per gusto personale, uscito in ambito Melodic Rock / Hard Rock e AOR quest’anno… ma ci proviamo! Difficile inoltre stare dietro a tutte le uscite e quindi come sempre la mia lista si basa sugli album che più ho ascoltato e mi hanno colpito in questo 2024!
Di seguito quindi troverete i 10 album, assolutamente in ordine sparso, che per me bisogna assolutamente ascoltare almeno una volta in questo 2024!

Nestor – Teenage Rebel , At 1980 – Forget To Remember, Steve Emm – Framework, Mike Della Bella Project – The Man With The Red Shoes, Black Diamonds – Destination Paradise, Kissin’ Dynamite – Back With A Bang, Night Pleasure Hotel – Portraits, Danger Zone – Shut Up!, Fans of The Dark – Video, Lionville – Supernatural.

P.s.: come al solito e da mia tradizione aggiungo qualche “menzione” particolare a fine lista… 🙂

Nightblaze – Nightblaze, Remedy – Pleasure Beats The Pain, Palace – Reckless Heart, Honeymoon Suite – Alive, Revolution Saints – Against The Winds, Rydholm Säfsund – Kaleidoscope, Fighter V – Heart Of The Young, 7Th Crystal – Entity.

 

 

 

 

Best Of 2023 By MelodicRock.it

27 Dicembre 2023 15 Commenti Redazione MelodicRock.it

E come tutti gli anni cerchiamo di continuare la tradizione di condensare in 10 dischi un anno di musica e nonostante numericamente sia stato un anno ricco di uscite, ad occhio sembra che la qualità media sia tutto sommato in lieve discesa rispetto agli anni precedenti, eppure ci sono stati dischi di valore assoluto ed anche nuovi nomi interessanti che si sono affacciati alla ribalta. Eccovi dunque un sunto dei nostri recensori liberi di esprimere in forme diverse il loro punti di vista… vediamo se sarete d’accordo con noi…

La redazione di MelodicRock.it

Samuele Mannini:

Chi legge le mie recensioni oramai dovrebbe aver capito che il mio gusto ondeggia spesso verso le derive più prog del rock/hard rock melodico ed ovviamente i dischi che prediligo spesso hanno questo tipo di influenza sonora, perché al di là dei vari gruppi clone quello che mi intriga di più è la passione e la voglia di inventare e trasmettere qualcosa. Anche quest’anno qualcosa di buono si è visto, vediamo se la mia lista vi incuriosisce…

TOP 10
  •   Perfect View – Bushido
  •   Pendragon – North Star
  •   Boys From Heaven – The Descendant
  •   Martin Miller – Maze Of My Mind
  •   Mystery – Redemption
  •   Bad Touch – Bittersweet Satisfaction
  •   Steve Emm – Dangerous Goods
  •   Vandenberg – Sin
  •   Blindstone – Scars To Remember
  •   Winger – Seven

 

 

Denis Abello:

Una cosa ormai è chiara dal mio punto di vista, sono in un periodo di stanca da “progetti” studiati a tavolino che ormai viaggiano a mio parere senza anima e definizione.
Così nella mia classifica personale, che come al solito ricalca quelli che sono stati gli album che più ho ascoltato durante l’anno, ritrovo praticamente solo band o artisti con una propria identità definita, unica eccezione per gli Heroes & Monsters che però portano con se un’alchimia da band che va oltre il semplice progetto.
Da qui troviamo poi qualche “vecchio” volpone che non tradisce (Ronnie Atkins, Secret, Edge of Forever, Perfect View, Mitch Malloy), qualche conferma in anni recenti (Stardust, Degreed, Creye, Care of Night) ed una serie di band e artisti relativamente freschi (Boys From Heaven, Steve Emm, Lebrock, Martin Miller) che in tutto salvano baracca e burattini.
In chiusura menzione per due EP che meritano un ascolto, il sinth pop/rock dei Lebrock e l’eccezionale colpo da maestro regalato da Martin Miller!

TOP 10
  •    Tempt – Tempt
  •    Stardust – Kingdom of Illusion
  •    Degreed – Public Address
  •    Edge of Forever – Ritual
  •    Perfect View – Bushido
  •    Secret – Stop This World
  •    Boys From Heaven – The Descendant
  •    Creye – III Weightless
  •    Ronnie Atkins – Trinity
  •    Nitrate – Feel The Heat

 

Altri Album meritevoli dell’anno:

Streetlight – Ignition
Mitch Malloy – The Last Song
Heroes And Monsters – Heroes And Monsters
Steve Emm – Dangerous Goods
Care of Night – Reconnected
Martin Miller – Maze Of My Mind (EP)
Lebrock – Gone (EP)

Giorgio Barbieri:

E’ stata un’annata un po’ sottotono rispetto a quella precedente, ma tutto sommato sono riuscito a trovare delle ottime cose anche quest’anno e anche se alcuni album che ho inserito in questa top ten non sono passati sotto alle mie spazzole, non posso fare a meno di citarli perché lo meritano. Di un’inezia sono rimasti fuori gli Extreme, comunque i grandi nomi ci sono, assieme a realtà meno prominenti, ma non per questo meno interessanti, quali Blindstone, Visione Inversa, Bad Touch e gli stupendi Perfect View. Sperando che il 2024 ci porti un po’ più di vigore, vi esorto a fare vostro il “mio” motto, Open minds will dominate!

TOP 10
  • Perfect View – Bushido
  • Blindstone – Scars To Remember
  •  Angel – Once Upon a Time
  • Tygers Of Pan Tang – Bloodlines
  • Damn Freaks – III
  • Bad Touch – Bittersweet Satisfiction
  • Visione Inversa – Cortocircuito
  • Jelusick – Follow The Blind Man
  • Heroes And Monsters – Heroes And Monsters
  • Uriah Heep – Chaos And Colours

 

 

Alberto Rozza:

Barbabas Sky: Vera sorpresa dell’anno: un album che non stanca mai.
Vambo: Non ci avrei scommesso, ma oggettivamente un grande album.
Star Gazer: Album chiaro, deciso e maturo.
Fifth Note: Ultimo ascolto del 2023, ultima sorpresa del 2023.
Mats Karlsson: Album maturo con alcuni spunti originali, ottimo ascolto estivo.
Sergeant Steel: Ascolto leggero e piacevole, non poteva mancare nella top 10 del 2023.
Paul Gilbert: Paul Gilbert che reinterpreta i brani di Dio: non c’è nulla da aggiungere.
Joel Hoekstra’s 13: Lavoro ben inquadrato nel genere hard rock, adatto per gli amanti del chitarrismo.
Czakan: Non eccezionalmente originale, ma pestato e tosto quanto basta per piacere.
Arctic Rain: Chiudo con un album di buonissima fattura e dai suoni eleganti.

TOP 10
  • Barbabas Sky – What Comes To Light
  • Vambo – II
  • Star Gazer – Life Will Never Be The Same
  • Fifth Note – Here We Are
  • Mats Karlsson – Mood Elevator
  • Sergeant Steel – Mister Sippi
  • Paul Gilbert – The Dio Album
  • Joel Hoekstra’s 13 – Crash Of Life
  • Czakan – Unreal
  • Artic Rain – Unity

 

 

Yuri Picasso:

365 giorni Spesi ad ascoltare musica, in circostanze e situazioni diverse. Classici dal passato, lost gems di proprietà sepolte nei ricordi e ancora improbabili ma possibili nuove ri(scoperte).
Come tutti voi amici lettori abbiamo dedicato tempo di ascolto alle annuali uscite discografiche, crogiolandoci il giusto in tempi che mai torneranno. Personalmente ritengo il 2023 similare al 2022, laddove i vecchi leoni del rock (Winger, Lukater, Vandeberg, Overland) riescono a prevalere rispetto i debutti e generalmente le nuove leve, queste ultime desiderose di primeggiare ma carenti nella riuscita di tali intenti. Manca oggi più che mai la figura del produttore esperto, al fine di renderizzare al meglio il risultato finale. Lo sappiamo, il mercato discografico è stato stravolto, nulla tornerà come prima.
Ad ogni modo, ecco dieci titoli da comprare, ascoltare, e riascoltare in futuro, in ordine assolutamente casuale:

TOP 10
  • Lukater – Bridges
  • Jelusick – Follow The Blind Man
  • Winger – Seven
  • Vandenberg – Sin
  • Overland – Six
  • Heaven’s Edge – Get It Right
  • Electric Boys – Grand Explosivos
  • Mitch Malloy – The Last Song
  • Nitrate – Feel The Heat
  • The Struts – Pretty Vicious

 

 

Giulio Burato:

Anno 2023, tante, tantissime uscite ma nella realtà dei fatti quante ne ricorderemo?
A pelle, poche, ed io, scremando e scremando ancora, ho selezionato la decina di album che spero di portarmi appresso negli anni.
Le metto in ordine di preferenza personale.

1) Extreme – Six: album che mi ha spiazzato e che mi ha preso, da subito, un sacco per potenza e varietà di idee (peccato che ho mancato il concerto a Milano) e poi con una copertina del genere, non posso che assecondare il gorilla incazzato! 2) Tempt – Tempt: sorpresona dell’anno? a mio avviso, sì. L’omonimo album della band americana sprizza freschezza musicale. Contagioso! 3) Heroes and Monsters S/N: non gli davo molto credito a inizio 2023 finché non ho assaporato la band dal vivo (a Desenzano del Garda). Potente e fatto da dei veri artisti. 4) Bad Touch – Bittersweet Satisfaction: uscito a fine anno e ascoltato pochissimo ma ragazzi, che qualità! un hard blues con i fiocchi (di Natale). 5) The Struts – Pretty Vicious: a pari merito dei Bad Touch, pure questo album è uscito da poche settimane, più pop-oriented, ma di valore assoluto. 6) Degreed – Public Address: poco conosciuti e soprattutto poco pubblicizzati (seppure con già diversi album in cascina) ma originali e con molte frecce al loro arco. 7) Winger – Seven: un album intitolato Seven in quale posizione poteva piazzarsi? nella mia classifica personale do “un ben tornati Winger” con questo album solido, magai senza il pugno da ko, ma fatto con sagacia. 8) Nitrate – Feel the heat: l’avvento dei fratelli Martin ha reso molto “VEGAna” la proposta melodica dei Nitrate; con l’ugola Strandell, questo album si sposa alla perfezione con l’idea per cui nacque il nostro sito. Diverse canzoni ad alto contenuto melodico. 9) Boys from Heaven – The Descendant: particolari e fuori dalla monotonia delle ripetitive uscite in ambito melodic rock. Semplicemente bravi ed interessanti. 10) Roxanne – Stereo Typical: classe innata per questa band, “Stereo Typical” è un bell’album, seppure non al livello del precedente “Radio Silence”.

NB non lo dovrei scrivere, a rischio di essere cacciato dal sito 😊, ma vorrei fare un plauso a due uscite discografiche che, per motivi molto diversi tra loro, mi hanno comunque sorpreso e che apprezzo all’ascolto. Gli album in questione sono quelli dei Rolling Stones (pop-rock supremo) e Blink 182 (ricordi di infanzia). Aiuto!

TOP 10
  • Extreme – Six
  • Tempt – Tempt
  • Heroes and Monsters – Heroes and Monsters
  • Bad Touch – Bittersweet Satisfaction
  • The Struts – Pretty Vicious
  • Degreed – Public Address
  • Winger – Seven
  • Nitrate – Feel The Heat
  • Boys From Heaven – The Descendant
  • Roxanne – Stereo Typical

 

 

Lorenzo Pietra:

In un anno sicuramente particolare come il 2023 che non ha visto molte vette artistiche, qualche nome nuovo si fa comunque largo nel sempre affollato mondo del rock melodico ed affini, vediamo in sintesi cosa mi ha più esaltato in questa annata musicale:

TOP 10
  • Winger – Seven
  • Extreme – Six
  • Stardust – Kingdom Of Illusion
  • The Defiants – Drive
  • Electric Boys – Grand Explosivos
  • Tempt – Tempt
  • Electric Mob – 2 Make You Cry & Dance
  • Uriah Heep – Chaos & Colour
  • Steve Emm – Dangerous Goods
  • Ten -Something This Wicked Way Comes

 

Paolo Paganini:

Come da tradizione anche quest’anno arriva l’immancabile e attesissimo (?!?!) (molto attesissimo! 🙂 NdR) appuntamento con la top ten dei redattori di Melodicrock. Un anno che si è rivelato complessivamente ricco di buone uscite anche se magari è mancato il disco che svetta su tutti gli altri con il movimento scandinavo particolarmente attivo (come accade ormai da qualche anno a questa parte) e che troverete inevitabilmente anche nella mia lista tra i dominatori del 2023.

1) DEGREED – Public Address Credo che parlare di sorpresa per questa band sia ormai fuori luogo. I ragazzi hanno già al loro attivo 7 dischi e quest’album segna la loro definitiva consacrazione. 2) NITRATE – Feel The Heat Una vera sorpresa per il sottoscritto. Una band che avevo fino ad oggi sottovalutato ma che complice un lotto di canzoni molto radio friendly ha fatto breccia nel mio cuore 3) CREYE – Weightless Mi aspettavo molto da questo nuovo lavoro ed ero convinto che si sarebbe piazzato facilmente in vetta alle mie preferenze. Il disco è ottimo ma i precedenti erano più diretti. Il podio comunque non glielo toglie nessuno. 4) DGM – Life Ai piedi del podio ma non per questo molto distanti dalla vetta gli italianissimi DGM con un album di prog rock immediato e orecchiabilissimo. Anche loro ormai una garanzia. 5) BLACK STONE CHERRY – Screamin’ At The Sky Anche in questo caso una prova del valore assoluto di questa band dal tipico sapore Southern Rock divenuti ormai un caposaldo nel panorama alternative, post grunge o come volete definirlo. 6) OVERLAND – S.I.X. E anche questa volta il buon Steve non delude i fan dell’AOR made in U.K. Un disco di gran classe che punta tutto o quasi sulla superba voce del singer inglese. 7) H.E.A.T. – Extra Force In attesa di un vero e proprio nuovo lavoro gli H.E.A.T. scaldano i propri fan con due inediti che valgono da soli la settima posizione in classifica. Se le basi del prossimo disco sono queste credo che ne vedremo… oops sentiremo delle belle. 8) ART NATION – Inception Il nuovo prezzemolino del melodic rock Alexander Strandel piazza un altro colpo con la band che più lo rappresenta e che gli ha dato notorietà. 9) PERFECT VIEW – Bushido Un’altra band italiana (e per di più emiliana) in questa speciale classifica segno che anche dalle nostre parti si fa ottima musica. Un progetto ambizioso e ben riuscito questo concept album accolto favorevolmente dalla critica internazionale. 10) FIRST SIGNAL – Face Your Fears In attesa di deliziarci con la band madre (Harem Scarem) il prolifico Harry Hess ci intrattiene con il proprio side project First Signal finalmente all’altezza dopo i non proprio convincenti lavori precedenti.

TOP 10
  • Degreed – Public Address
  • Nitrate – Feel The Heat
  • Creye – III Weightless
  • DGM – Life
  • Black Stone Cherry – Screamin’ At The Sky
  • Overland – Six
  • HEAT – Extra Force
  • Art Nation – Inception
  • Perfect View – Bushido
  • First Signal – Face Your Fears

 

 

Vittorio Mortara:

Per questo 2023 innanzitutto un plauso ai nostri Perfect View che con Bushido hanno dimostrato ancora una volta quanto poco abbiano da invidiare ai colleghi nordeuropei. Grazie anche ai Boys From Heaven per averci deliziato con splendide melodie pop/Aor. Ed ai Roxanne per averci portato ancora una volta a spasso per il Sunset Boulevard a bordo di una cabriolet. Un bravo anche a Standrell: nei Nitrate dei fratelli Martin pare aver trovato finalmente la dimensione ideale per le sue doti canore. La bandiera dei tamarri faciloni sventola anche quest’anno grazie ai nuovi Midnite City e The Defiants, una certezza assoluta in materia. Menzione d’onore per i modernisti americani Tempt, per il coraggioso ritorno degli Extreme e per la bella conferma dei canonici Stardust. Infine, ragazzi, un ringraziamento a Hugo Valenti che ha completato la sua metamorfosi musicale e fisica in Steve Perry con un album tributo di canzoni originali. Buon anno a tutti, melodicrockers! E che il 2024 ci porti un nuovo disco degli Stage Dolls!!!!

TOP 10
  • Perfect View – Bushido
  • Boys From Heaven – The Descendant
  • Roxanne – Stereo Typical
  • Nitrate – Feel The Heat
  • Midnite City – In At The Deep End
  • The Defiants – Drive
  • Tempt – Tempt
  • Extreme – Six
  • Stardust – Kingdom of illusion
  • Hugo’s Voyage – Inception

 

Francesco Donato:

Non sarà certamente ricordato come un anno cruciale per il nostro genere questo 2023 che volge al termine, anno non di certo avaro di uscite (tra novità, superband e vecchi e graditi ritorni) ma pochissimi album sono riusciti a regalarmi emozioni da “ascolto imperdibile”.

1 – TEN Something Wicked This Way Comes Tra le conferme di quest’anno ci sono sempre loro. Album che non toglie e non aggiunge nulla alle aspettative, ma la classe e la maestria nel manipolare splendide melodie resta immutata, regalandoci un album che si lascia ascoltare dall’inizio alla fine con estremo piacere. 2 – WINGER Seven A distanza di quasi dieci anni tornano loro e anche per loro un album dove la classe fa da padrona. Soddifazione che cresce ascolto dopo ascolto. 3- STREETLIGHT Ignition Sono loro la vera sorpresa dell’anno in merito a nuove leve del genere. Un album che nonostante le numerose influenze suona fresco e con melodie altamente appiccicose. 4 – NITRATE Feel The Heat Band cresciuta tantissimo nell’arco di 4 album, con questo lavoro sicuramente piantano una bella bandierina tra le top band degli ultimi anni. 5- EXTREME Rise Anche qui poco da dire in merito alle referenze, album piacevole e granitico che si eleva rispetto a tutto quello che di simile è uscito durante l’anno. Una solida conferma gli Extreme. 6 – HEROES & MONSTERS Heroes & Monsters Non amo alla follia i progetti nati a tavolino, ma qui si va oltre con tre grandi veterani del rock che realizzano un album ruvido ma estremamente elegante. 7 – THE DEFIANTS Drive Terzo lavoro per la band del buon Paul Laine, e anche in questo caso nulla, si toglie nulla si aggiunge. Ma per chi ama atmosfere sonore alla Danger Danger questo è certamente un album altamente meritevole. 8 – OVERLAND S.I.X. Torna anche Steve Overland e qui la menzione in top sarebbe quasi d’ufficio. Per quanto mi riguarda uno degli album più interessanti di questo progetto! 9 – ECLIPSE Megalomanium Forse ci si aspettava il podio dagli svedesi, lo ammetto, ma pur essendo un album interessante, questo Megalomanium non mi ha regalato emozioni equiparabili ai precedenti lavoti. 10 – EXXOCET Dagger Constellations Sono stato indeciso fino alla fine se inserire i veterani L.A. Guns o i cileni Exxocet. Alla fine messo ai bordi della valutazione il cuore, il disco degli Exxocet prende di slancio il sopravvento con ottimi pezzi, un sound granitico e una produzione veramente importante.

Fuori classifica,ma di un pelo, voglio menzionare i THE STRUTS ed il loro Pretty Vicious, che si confermano una realtà da seguire con attenzione. Pezzi che si inchiodano in testa al primo ascolto favoriti da un sound che invita a sbattere il piedino.

TOP 10
  • Ten -Something This Wicked Way Comes
  • Winger – Seven
  • Streetlight – Ignition
  • Nitrate – Feel The Heat
  • Extreme – Six
  • Heroes and Monsters – Heroes and Monsters
  • The Defiants – Drive
  • Overland – Six
  • Eclipse – Megalomanium
  • Exxocet – Dagger Constellations

 

Sei Schegge Lucenti Dalla Golden Era

05 Dicembre 2023 2 Commenti Leonardo "Lovechaser" Mezzetti

Per definire il concetto di età dell’oro, mi basta scomodare un frammento delle mie reminiscenze classiche. Cito, quindi, le parole del poeta romano Ovidio: “Fiorì per prima l’età dell’oro; spontaneamente, senza bisogno di giustizieri,senza bisogno di leggi, si onoravano la lealtà e la rettitudine”.
Ebbene, se ci riferiamo ad un certo versante melodico dell’hard rock e dell’hair metal, possiamo individuare la sua golden era nel triennio che andò dal 1985 al 1987. Pur senza intaccare lo spettro melodico, i volumi erano sparati a mille, l’enfasi e l’aggressività erano caricate a dismisura e l’impatto doveva essere strabordante, a differenza degli anni appena precedenti, dove, invece, la cura e l’attenzione erano dedicate maggiormente agli arrangiamenti e alla struttura dei pezzi.
Questo scintillante genere si era improvvisamente fatto interprete del clima godereccio e festaiolo che aveva fatto capolino nella società, soprattutto negli USA.
Indiscutibilmente erano gli anni di Reagan, il presidente che più di tutti seppe cavalcare e lanciare il Sogno Americano. Ottimismo, entusiasmo e sconfinata fiducia nel futuro: tutto ciò di cui avevano bisogno gli yankee. Dopo i tristi e grigi anni settanta, il popolo americano aveva deciso che voleva godersi ogni lusso, in modo assolutamente e spudoratamente egoistico. Reagan riuscì a insufflare negli americani l’idea che la vita fosse una corsa di velocità, dove chi restava indietro era perduto e solo i primi potevano cogliere i frutti proibiti e raggiungere sfarzo e godimento all’ennesima potenza.
Fu così che, in quei gloriosi giorni di tuono, molte band parteciparono a questa eccitante, spasmodica corsa per conquistare un posto tra i lucenti bagliori del sole che illuminava la seconda metà degli Eighties. Perfino molte band di heavy metal rinunciarono al look tutto pelle e borchie e all’aria truce per darsi un’immagine più colorata e spensierata. Tutti capirono che sotto il sole della California, in quella Los Angeles che era diventata la mecca per l’hard rock melodico, non si poteva restare incazzati. Bisognava vivere la vita, godersela fino in fondo, e lo si faceva prendendo d’assalto i nuovi luoghi di culto come Roxy, Troubadour, Gazarri’s, Blue Jay e Cathouse. A parte qualche eccezione, tutta la storia di questo genere si svolgerà lì, nella città degli angeli, tra le sfavillanti ville di Beverly Hills e Bel Air, nel quartiere di Hollywood e tra le boutique di lusso di Rodeo Drive.
Nel desolante panorama del melodic rock di oggi molte band sono abbandonate a se stesse. Magari volenterose e ben dotate nella scrittura dei pezzi, si trovano però senza una guida che sappia donare loro un input tecnico e artistico di alto livello. Nello scenario migliore si affidano ad onesti ingegneri del suono che sanno come ottenere una buona resa sonora, ma senza anima.
In quegli anni gloriosi, invece, le produzioni erano magnificenti, perché di soldi nel melodic rock ne giravano a palate. Geniali produttori mettevano la loro arte e le loro conoscenze al servizio delle band, e i risultati si sentivano. Scegliendo tre esempi illustri, i Bon Jovi sono esplosi quando si affidarono a Bruce Fairbairn, i Ratt trovarono la loro accattivante miscela tra pop e metal grazie a Beau Hill, e come non nominare Mutt Lange che ha praticamente inventato il sound dei Def Leppard?
Tra il 1985 e il 1987 queste band, come anche gli Europe e gli Whitesnake, sconquassarono il mercato discografico e ottennero vendite stratosferiche. Le altre band capirono che la cosa più furba era allinearsi ad un sound ben conosciuto dal grande pubblico e capace di vendere montagne di dischi. Le stesse label preferivano stipulare contratti con qualche clone dei Bon Jovi o dei Def Leppard, piuttosto che rischiare con una band che offrisse un sound diverso. Anche gruppi già consolidati si allinearono a questa tendenza, come i Survivor o i Loverboy.
Nell’arco di questi tre anni, tante altre band, come ad esempio White Lion, Bonfire, Stage Dolls, FM, Treat e Haywire, seppure per tratti di tempo più o meno lunghi, tentarono anche solo di essere accarezzati dal dolce sciabordio della fama e di conquistarsi un posto al sole, alle spalle dei mostri sacri. Erano i magici tempi in cui ognuno di questi gruppi poteva giocarsi la possibilità di conquistare un breve passaggio sulla neonata MTV. I video di AOR o hair metal, infatti, spesso e volentieri uscivano dai loro recinti (il leggendario Headbangers Ball) per sconfinare nella heavy rotation.
Negli anni appena successivi, il biennio 1988/1989 rappresentò un periodo di strana, perversa transizione. Da un lato il melodic rock e l’hair metal vivevano ancora un momento di grande splendore, soprattutto nel mercato nordamericano e giapponese, dall’altro lato le nubi iniziavano ad addensarsi all’orizzonte. Il fango che di lì a poco sarebbe arrivato da Seattle iniziava lentamente ad inquinare le strade di LA e il sole che prima splendeva alto nel cielo si faceva via via sempre più offuscato.
Molti gruppi, come i Danger Danger, i Giant, gli House of Lords, i Bad English o i Signal, avrebbero continuato fino alla fine a regalarci, proprio in quegli ultimi anni, alcune delle opere più spettacolari, forgiando quella che potremmo chiamare una dorata decadenza. Riuscirono a distillare lo spirito del melodic rock, elevandolo ad una interpretazione squisita e sfarzosa. Celebrarono, così, per l’ultima volta le luci rossastre di quello che era un tramonto, ma lo resero splendente, ai limiti dell’accecante.
Ma la festa sarebbe durata ancora poco. Il triste destino che divorò proprio il capolavoro dei Signal simboleggia alla perfezione l’atmosfera cupa e nefasta che, in parte, già nel 1989 aleggiava intorno al melodic rock. La EMI, dopo aver speso Dio solo sa quanto per incidere quella meraviglia di disco (che aveva alle spalle il lavoro di un team stellare, a cominciare dal produttore Kevin Elson), lo ritirò dal mercato dopo aver pubblicato solo una manciata di copie, e finendo addirittura per cancellarlo dai cataloghi. Un pezzo di lucente bellezza come Arms of a Stranger, uscito qualche anno prima, e lanciato da un’attività promozionale adeguata, avrebbe potuto e dovuto sfondare le classifiche.
Al termine di questo biennio, le tenebre di una notte buia e gelida stavano iniziando a calare. Una nebbia triste e tossica soffocava le stesse chitarre che solo qualche anno prima erano sparate in overdrive, e alcune band uscirono veramente troppo tardi, fuori tempo massimo. Fu il caso degli Unruly Child, e della seconda splendida opera dei Bad English. Quando Backlash arrivò nei negozi, i Bad English non esistevano già più. In questi primissimi anni novanta, mi raccontava alcuni giorni fa Paolo Cossali, i negozi riempivano intere ceste di dischi di AOR, hard rock melodico ed hair metal, svendendoli anche a un dollaro, come fosse merce avariata di cui bisognava liberarsi il più presto possibile. Questo “straziante” aneddoto fa capire bene il senso di catastrofe imminente che in quei giorni si riversava sul Santa Monica Boulevard.
Ma, a questo punto, il cuore del mio articolo prende vita facendo un passo indietro. Torniamo all’età dell’oro, torniamo tra il 1985 e il 1987. Ebbene, in quegli anni di splendore non tutti i gruppi di hard rock melodico e hair metal raggiunsero il successo. Nonostante fossero usciti nei tempi giusti, quando ancora le spiagge di Malibu erano accarezzate da tramonti sfavillanti di rosso, alcune band rimasero nell’ombra. E il loro destino si consumò miseramente nell’oblio. Ebbene, se i dischi erano ottimi, se i tempi erano quelli giusti, allora perché questo oblio?
Mi rendo conto che è impossibile trovare una sola risposta valida per tutti. Ogni caso andrebbe valutato nella sua singolarità. All’Università il mio professore di storia contemporanea raccomandava sempre che un’efficace analisi storica, e questa, in fondo, lo è, deve necessariamente avere origine da un accurato e razionale esame del contesto ambientale nel quale si sono svolti i fatti. In questo caso dobbiamo riferirci ai diversi contesti ambientali nei quali le band si formarono e operarono.
Per i gruppi inglesi, ad esempio, vi fu certamente la quasi insormontabile impresa di dover approdare negli USA. Il miracolo dei Def Leppard era destinato a restare unico ed irripetibile. Il mercato principe erano sempre gli USA. L’Europa in quegli anni era abbastanza sorda alle sirene del melodic rock, e le band inglesi che cercavano di lanciarsi trovavano davanti a sé un muro invalicabile. Né la bellezza dei pezzi, né il look giusto. Nulla sembrava poter offrire alle band inglesi la possibilità del successo. Quelli che tentarono con più convinzione furono gli Shy, con il loro capolavoro Excess All Areas, ma i risultati furono alquanto deludenti. La mancanza di una promozione adeguata causò il flop dell’album, e neppure il loro tentativo di cambiare pelle, avvicinandosi allo street/glam metal, nel successivo Misspenth Youth, ottenne risultati apprezzabili, tanto che la RCA pensò bene di stracciare il loro contratto.
Ma la triste parabola degli Shy fu simile a quella di molte altre band americane, che pur essendo nel centro del mercato che contava, finirono travolte da una concorrenza spietata e spesso rafforzata da una promozione molto più strutturata. In ultima analisi, quindi, consapevole dei rischi che ogni generalizzazione può portarsi dietro, possiamo ragionevolmente individuare le due cause principali dell’oblio che divorò alcuni di questi gruppi, a prescindere dalla loro provenienza geografica: una scarsa, o in alcuni casi addirittura assente, attività di promozione da parte delle case discografiche e una sfacciata, strabordante abbondanza di band melodic rock e AOR. Un dedalo di gemme splendenti di fronte al quale spesso il pubblico si ritrovò abbagliato, come un bambino che, circondato dalle innumerevoli e luminescenti giostre di un luna park, si guarda attorno con espressione estasiata, finendo per ignorarne qualcuna. Una posizione altamente invidiabile se consideriamo il disarmante panorama che il melodic rock ci offre quest’oggi.
Ebbene, io ho voluto individuare sei pezzi usciti nella golden era dell’hard e hair metal melodico che, a mio avviso, supportati da una promozione con le palle d’acciaio, avrebbero avuto anima e corpo per sbancare le classifiche di quegli anni ed entrare in heavy rotation su MTV.

Icon – Shot at my Heart
Gli Icon arrivavano da Phoenix e nell’anno Domini 1985 uscirono con il loro secondo album Night of The Crime pubblicato dalla Capitol. Gli Icon erano una prorompente miscela di hard rock melodico con cori solenni e tastiere roboanti e qualche venatura class metal alla Dokken, e in questa seconda opera impreziosirono la proposta con una vena melodica molto più accentuata rispetto all’esordio. Su Billboard il disco andò malissimo e la Capitol strappò il loro contratto prima che il 1985 finisse, anche se proprio a quest’ultima viene unanimemente addossata la colpa per la mancanza di promozione per un album che in altre mani avrebbe sicuramente fatto il botto. C’è altresì chi fa notare che il 1985 non fu un buon anno per il rock melodico nelle classifiche americane, intasate dalle band pop e rock britanniche, grazie al clamore del Live Aid, e si domanda cosa sarebbe successo se il disco fosse uscito solo l’anno dopo.. Mi piace immaginare Night of The Crime come opera simbolo di questo articolo, e Shot at my Heart è una bomba di magnificente melodia, ma altresì forgiata di purissimo acciaio cromato, esattamente come quei tempi pretendevano, e avrebbe dovuto deflagrare in tutte le classifiche.

Rio – Shy Girl
Sempre nell’anno Domini 1985 gli inglesi Rio uscirono con il loro primo album Borderland. A differenza di altre band inglesi come gli Shy o gli FM, i Rio non furono pubblicati da una major ma da una label indipendente come Music For Nations, dotata di mezzi non certamente esagerati. Il loro AOR ultramelodico di matrice canadese fu completamente ignorato. Ma Shy Girl rimane un pezzo mostruoso, con quel coro finale che ti spacca il cuore.

Aviator – Can’t Stop
Nel 1986 uscirono gli Aviator. Il loro caso è veramente strano. A differenza di altri album che cito qui, ignorati fin da subito, gli Aviator furono immediatamente osannati da pubblico e critica. Nonostante questo, il disco finì fuori catalogo e per molto tempo è addirittura scomparso dalla faccia della Terra. Ristampato dalla Escape nel 1997, è sparito nuovamente. La loro Can’t Stop è uno dei pezzi più trascinanti dell’intero genere, con un refrain che ti porta via. Ultimamente i Palace hanno fatto uscire un Ep di cover contenente una versione spettacolare, potentissima, di Can’t Stop.

Urgent – Pain
Nell’anno Domini 1987 gli americani Urgent uscirono con il loro secondo album Thinking Out Loud, e lo fecero con una label tutt’altro che trascurabile. Era la Manhattan Records, che altro non era che una division della Capitol, cioè una label creata in seno alla major per dedicarsi a certi generi musicali e dotata di una certa autonomia. Ebbene, il primo pezzo dell’album era questa Pain, una autentica bomba di cori pazzeschi e melodia dannatamente Eighties, un pezzo che avrebbe meritato di viaggiare in alto in classifica. Ma, dopo questo secondo album, i fratelli Kehr, il nucleo della band, scomparvero nella nebbia.

Outside Edge – Heaven Tonight
Svariate volte, scrivendo i miei articoli per Melodicrock.it, ho avuto occasione di celebrare il mio sconfinato amore per gli inglesi Outside Edge. In questo elenco voglio citare Heaven Tonight, dall’album More Edge del 1987 ma rilasciato solo nel 2000 per problemi di label, come fulgido esempio del loro space hair metal, come mi piace definirlo, fatto di scintillanti scie di tastiere e sognanti atmosfere futuristiche. Ebbene, considero un peccato mortale che i gemelli Tom e David Farmer, le menti degli Outside Edge, non si siano potuti sedere nell’Olimpo dell’hair metal melodico accanto a Joe Elliot.

Preview – Find my Way back to You
Avevo già scritto di questo pezzo in un mio articolo sui pezzi dell’universo AOR mai pubblicati. Find me Way back to You, infatti, è l’unico demo di questo elenco, ma la sua stratosferica bellezza mi ha da sempre stregato. Il coro radioso e sfavillante del pezzo racchiude tutta l’atmosfera che si respirava in quel magico 1987, e mi sanguina il cuore al solo pensiero di non averlo potuto ascoltare con una resa sonora adeguata al capolavoro quale è.

Dunque, signori, non vi resta che una sola cosa da fare. Immaginate di essere ancora in quella magica estate del 1987. Da pochi mesi l’URSS ha lanciato la Soyuz TM 2 con due astronauti a bordo per mettere in funzione una stazione spaziale permanente, mentre da qualche giorno nel Regno Unito un terzo governo è stato affidato ai conservatori di Margaret Thatcher e dalla Casa Bianca Ronald Reagan ha dato ordine di attuare l’operazione Earnest Will, inviando forze navali statunitensi a scortare i convogli delle petroliere neutrali contro i ripetuti attacchi iracheni e iraniani. Se vi guardate attorno, in lontananza potete scorgere chiome platinate, pantaloni di pelle, spandex multicolori, stivali da cowboys e spolverini di seta, e il sole deve ancora tramontare sulle spiagge di Malibu.. E allora alzate il volume al massimo, per un altro giro di giostra, un altro ancora!

Chi Siamo, da dove veniamo, ma soprattutto… dove stiamo andando?

24 Febbraio 2023 22 Commenti Samuele Mannini

 

Riflessioni in libertà sull’hard rock ed il suo ascolto.

Questo articolo vuol essere solo uno spunto per prendere coscienza di un argomento in realtà piuttosto dibattuto nei vari gruppi e forum che si occupano di musica in generale e di rock/hard rock in particolare, ovvero: quale futuro per la fruizione e l’evoluzione di questo genere? Qual è lo stato di salute di questo tipo di musica in mezzo a tutte le rivoluzioni, anche tecnologiche, che caratterizzano l’epoca odierna?

Ha senso per esempio avere 180 uscite l’anno di Hard rock più o meno melodico e Aor? Il numero è probabilmente arrotondato per difetto visto che noi su MelodicRock.it abbiamo fatto 150 recensioni lo scorso anno ed alcune uscite le abbiamo dovute tralasciare (dopotutto siamo umani)… Ha senso inoltre che la qualità media di tali uscite sia diciamo non eccelsa? Ed infine ha senso che gran parte delle produzioni (in senso di qualità sonora) sia abbastanza scadente? Per non parlare dei prezzi che il supporto fisico sta raggiungendo ai nostri giorni…

Per rispondere a questi interrogativi penso sia utile tornare a guardare il periodo in cui questo genere è stato in auge, ovvero gli anni tra il 1987 ed il 1991. In quegli anni infatti il genere hard rock ( in tutte le sue derivazioni, che non starò ad elencare) ha addirittura rischiato di diventare mainstream con camionate di dischi venduti, Whitesnake, Scorpions, Def Leppard, Guns N’ Roses, Bon Jovi, per non citare i Metallica del Black Album erano ascoltati comunemente persino qui in Italia, dove le atmosfere rock non sono mai state commercialmente redditizie. C’erano persino programmi Tv e Radio dedicati al genere nonché riviste specializzate in gran numero. Tutto ciò è stato solo frutto del caso? Oppure le colpe della situazione odierna sono da distribuire su molteplici fattori? C’è rimedio a questa situazione oppure dobbiamo rassegnarci all’ estinzione?

Un fattore sicuramente determinante è stata la politica delle allora major discografiche che hanno sempre inseguito solo il profitto e quasi mai arte e profitto vanno a braccetto (almeno nel lungo periodo). Mi ricordo che anche ai tempi ci lamentavamo delle tante uscite e dei tanti gruppi lanciati allo sbaraglio, ma è altresì vero che dal calderone della selezione naturale e selvaggia sono usciti poi gruppi che sono arrivati anche ai giorni nostri, e parlando di numeri, veniva considerato un flop un disco che vendeva 250000 copie, mentre oggi venderne 5000 è un successo.

Sicuramente l’avvento del digitale e tutta la faccenda Napster ha segnato un punto di svolta in negativo per tutto il music business, ma il modo in cui è stato gestito dalle etichette discografiche ha del paradossale e del suicida. Mentre all’inizio il fenomeno è stato combattuto con le più assurde tecniche di protezione digitale dei contenuti (vi ricordate i cd copy protected e la famosa copia legale?), successivamente il mezzo di diffusione digitale in formato mp3 ha fatto pensare alle etichette ad un facile guadagno tanto da far nascere i primi embrioni dei servizi di streaming… risultato? Molte case discografiche con i bilanci traballanti sono sparite dal mercato acquisite dalle più grandi ed alcune assorbite dagli stessi servizi di streaming con tutto il loro patrimonio di opere in catalogo. Questo diminuire di giro di affari alla lunga non solo ha distratto capitali da investire nella ricerca e promozione di nuove band e scene musicali, ma ha anche costretto le etichette a giocare sul sicuro con i soli grossi nomi che comunque garantissero un ritorno economico certo, il tutto in un circolo vizioso dove anche numerosi artisti si sono trovati fuori dal mercato o in ambiti estremamente ristretti con conseguente riduzione del giro d’affari complessivo.

Il cambiamento tecnologico ha infine ulteriormente portato ad un mutamento delle abitudini degli ascoltatori. Il rendere fruibile la musica su ogni genere di device tecnologico di basso livello ha fatto abbassare lo standard qualitativo delle produzioni rendendole tutte omologate e fatte apposta per essere ascoltate su un cellulare con le cuffiette o su You Tube dagli speaker del pc. Per chi come me è cresciuto con le produzioni stellari dei mid-eighties, fatte da produttori con i controcoglioni ( Alan Parsons, Beau Hill, Richie Zito… e l’elenco è sterminato) e magari abituato ad ascoltare la musica su un impianto hi-fi, è un vero e proprio trauma ascoltare certi pastrocchi moderni.

Siamo infine sicuri che l’aver trasformato gli ascoltatori in semplici fruitori a noleggio abbia giovato alla musica come forma d’arte? Prendiamo qualche dato economico: quanto è l’introito per una band che oggigiorno si appresta a rilasciare un disco? E quanto può essere il giro d’affari di una etichetta discografica che decide di investire dei capitali in un determinato artista? Crollando le strutture distributive delle major, anche la distribuzione delle copie fisiche ha subito una profonda ristrutturazione e col calo dei fatturati ( il famoso cane che si morde la coda). Sono poi  aumentati i passaggi diminuendo così il margine operativo per le etichette e gli artisti, se prima infatti per esempio una Emi Records curava tutto dalla registrazione, stampa e distribuzione, il cambio verso realtà più piccole ha costretto ad affidarsi a distributori locali, aumentando i passaggi e diminuendo di conseguenza la catena del valore, oltretutto a scapito del prezzo dei supporti. Qualche numero per chiarire: se nel 1989 un disco stampato da una major al netto del costo garantiva un margine per l’etichetta di circa il 40/50%( da spartire poi con l’artista in base al proprio contratto) per copia venduta oggigiorno  questo margine, soprattutto per le realtà medio piccole, si aggira se va bene al 20/25%.  Esemplifichiamo: per una tiratura diciamo piccola/media (che però nel nostro genere ed al giorno d’oggi è praticamente uno standard) di 1000 copie e contando tutti i canali di distribuzione fisica ovvero, vendita diretta sul proprio sito, vendita coperta tramite distribuzione diretta e vendita in territori coperti da un distributore locale, a spanna il margine medio per un etichetta è di 4,5/5 euro a copia, mentre quello riconosciuto all’artista è 1/1,20 a copia, fate pure il conto di che cifre ridicole vengono fuori… (naturalmente poi ci sono le tasse, ma questa è un’altra storia). Ma lo streaming? Mi direte voi? Oggi lo streaming è il futuro ed è lì che si concentrano i guadagni… Beh fino ad un certo punto… Considerato che mediamente una piattaforma di streaming paga 0,005 Eur per brano, per fare 10 euro servono 2000 streaming ed anche qui l’introito va diviso tra etichetta ed artista, quindi tolta la percentuale che va al distributore digitale restano 4,5 euro a testa tra etichetta ed artista… ( anche da qui van tolte le tasse). Ergo, se per un artista dai grandi numeri che so una Shakira o una Rhianna non è un problema sbarcare il lunario, per una band del nostro genere oserei dire che l’apporto della musica liquida è in molti casi nulla più che un rinforzino ed ha più la valenza di farsi conoscere che un riscontro economico. Potrei aprire una piccola parentesi sul ritorno del Vinile, che come oggetto da collezione potrebbe garantire un piccolo margine in più sotto il profilo della remunerazione economica visti i prezzi di vendita, ma ad occhio e croce anche qui sembra che le grandi etichette si siano gettate sulla preda come squali affamati con il solo intento di mungere gli acquirenti senza realmente creare valore aggiunto per gli artisti.

Eccoci dunque al punto: al giorno d’oggi siamo diventati noleggiatori digitali di una musica creata da operai cottimisti, costretti dai numeri a fare dischi a ripetizione che suonano tutti uguali e che saturano un mercato sempre più piccolo. Questa è almeno la strada che io vedo percorrere da chi oggi gestisce il music business e viene da chiedersi se sia la strada giusta, oppure se sia necessario un radicale cambio di visione. Naturalmente le mie sono solo elucubrazioni di un ascoltatore e quindi ampiamente opinabili, ma viene da pensare che forse si dovrebbe puntare più sulla qualità che sulla quantità per sopravvivere in un ambito così di nicchia, fare magari meno uscite, puntare di più su gruppi artisticamente validi che siano in grado di abbracciare audience più vaste e destinare più risorse per promuoverli in vari ambiti, forse ci vorrebbe anche una maggiore coesione tra le varie realtà discografiche del genere che dovrebbero avere più coraggio, collaborare di più ed unire gli sforzi invece di promuovere una guerra tra poveri che, temo, in poco tempo ci porterà alla inevitabile fine. Anche noi fruitori infine potremmo con i nostri comportamenti indirizzarci verso le forme che consentano ad una etichetta ed una band di avere più margine orientando i nostri acquisti verso la qualità e cominciando a ri-considerare la musica un bene tangibile e prezioso invece di un sottofondo da avere mentre passiamo l’aspirapolvere.

Trovo svilente che la musica sia oramai considerata qualcosa di gratuito di cui fruire in qualità infima su YouTube o che pagando 9,90 al mese ci sentiamo con la coscienza pulita perché… beh insomma io ho pagato. Io penso che una volta quando avevamo comprato un disco, solo per il fatto di averlo pagato caro, gli dedicavamo una attenzione molto superiore e non limitandoci a dare giudizi solo per aver ascoltato 30 secondi di ogni brano; in poche parole avere a portata lo scibile umano non necessariamente ci porta ad avere una cultura più vasta e, personalmente, preferisco conoscere un disco nota per nota che ascoltarne 50 a pezzetti per poi poter sciorinare giudizi divini e paventare conoscenza enciclopedica.

Per concludere questo mio scomposto fluire di riflessioni vorrei dire che i dati numerici che ho citato sono un conto fatto a spanna e quindi (anche se mi sono documentato a proposito) devono essere presi come ordine di grandezza che naturalmente può variare da etichetta ad etichetta da paese a paese ed anche per artista coinvolto; servono solo a dare un quadro d’insieme per eventualmente stimolare una discussione ed una riflessione che necessariamente dovrà essere personale.

The Best Of 2022 – MelodicRock.it!

30 Dicembre 2022 19 Commenti Samuele Mannini

Cari lettori, anche il 2022 volge al termine ed è stato un anno di transizione sia probabilmente per il genere sia per noi di MelodicRock.it. A dispetto del sempre elevato numero di uscite mi è sembrato un anno meno vivace dal punto di vista discografico con , ovviamente, le dovute eccezioni. Non sono mancati i grandi nomi che hanno fatto discutere (vedi Journey e Giant) ed in mezzo a tanto marasma forse c’è stata meno voglia di innovare, ma magari è solo una mia impressione.

Per quanto riguarda MelodicRock.it pur in mezzo a difficoltà di ogni  genere (delle quali magari parleremo in separata sede), avvicendamenti e nuovi ingressi, abbiam cercato di proporvi con i nostri soliti standard tutto il meglio della nostra musica preferita, cercando inoltre di ampliare un po’ gli orizzonti musicali strettamente legati al Rock melodico ed affini, senza però stravolgere la linea editoriale del sito. Insomma con le nostre 180 ed oltre recensioni tra novità e classici, le nostre tonnellate di news sempre esaustive e tempestive e la nostra presenza nella trasmissione radio Rock Of Ages speriamo di avervi fatto buona compagnia durante tutto l’anno.

Per il futuro con un po’ di riorganizzazioni interne e sempre sbattendoci al massimo delle nostre potenzialità, intendiamo proseguire la nostra crociata nel nome della melodia seppur in questo panorama non proprio idilliaco, ampliando per quanto possibile anche la parte social che oltre a Facebook per l’anno prossimo prevedrà anche il potenziamento e la razionalizzazione della nostra pagina Instagram, oltre alla creazione di nuove rubriche  ed un maquillage al sito. Insomma, noi ci siamo e ci saremo nonostante tutto, sperando sempre di poter contare su di voi.   We Rock!

Mannini Samuele, Direttore Esecutivo Di MelodicRock.it.

 

*Ecco dunque le nostre Top Ten 2022*

 

Samuele Mannini: Come ho scritto nell’introduzione, nel marasma delle numerose uscite del genere ho preferito come mio solito muovermi in territori un po’ borderline ed a tal proposito non ho potuto fare a meno di premiare le clamorose uscite Dei Poets Of The Fall, il ritorno da me attesissimo di nuova musica da parte dei The Quest e quel geniaccio di Andreè Theander con la sua nuova creatura Clouds of Clarity. Per il resto non poteva certo passare inosservato il ritorno dei Tears For Fears, mentre dopo un inizio altalenante mi sono ritrovato ad ascoltare con insistenza il power pop dei Taboo (che forse ho penalizzato un po’ troppo in sede di recensione). L’Italia è ben rappresentata dai veterani Lionville e dalla sorpresa StreetLore, mentre per i Journey ammetto che ha pesato il nome, anche se sono entrati per il rotto della cuffia per via della produzione diciamo…discutibile. Ecco dunque la mia top 2022.

  • Poets Of The Fall – Ghostlight
  • The Quest – The Book Of Caleb
  • Clouds Of Clarity – Superficial Society
  • Lionville – So Close To Heaven
  • Tears For Fears – The Tipping Point
  • StreetLore – Streetlore
  • Lalu – Paint The Sky
  • Taboo – Taboo
  • Dare – Road To Heaven
  • Journey – Freedom

Vittorio Mortara: Difficile scegliere questi 10 dischi. Difficile perché quest’anno ne abbiamo ascoltati veramente tanti. Tralasciando la delusione per le uscite di alcuni big e l’inconsistenza di un nugolo di esordienti, per il sottoscritto i botti di questo 2022 sono stati il veterano Richard Marx , i discotecari Reckless Love ed i tamarrissimi crucchi Kissin’Dynamite, con l’aggiunta dell’ultim’ora dei giovanissimi Violet! Menzione d’onore per i fuori tema Hellacopters, per i modernisti Taboo, per i pluriacclamati Generation Radio ed il progetto Monti/Nava a nome Street Lore. Insomma, anche se inflazionatissima di produzioni e supergruppi inutili, la nostra musica dimostra di potere avere un futuro. E per fortuna! perché io, come tutti voi , ne ho assoluto bisogno. Tanti auguri melodicrockers!

  • Richard Marx – Songwriter
  • Reckless Love – Turborider
  • Kissin’ Dynamite – Not the end of the road
  • Generation Radio – Generation Radio
  • Violet – Illusions
  • Terra Nova – Ring that bell
  • Street Lore – Black Tide
  • The Hellacopters – Eyes of oblivion
  • 91 Suite – Back in the game
  • Taboo – Taboo

Yuri Picasso: Passa il tempo, non la sete di nuova musica di noi aficionados. E nonostante le note siano sempre quelle, di anno in anno il numero di uscite discografiche aumenta sempre più, rendendo oggettivamente questo angolo di riepilogo sempre più arduo, lacunoso e contestabile vista l’impossibilità ad ascoltare ed assimilare TUTTO. Delle tonnellate di musica fisica e non passata delle mie orecchie, chi premiare? Tra i new Act, gli svedesi Vypera per tecnica, freschezza e idee. Tra i vecchi leoni: La classe dei Dare; i Journey, dove la non curanza della produzione fa da contraltare alla capacità di trasformare emozioni in pentagramma. L’inossidabilità dei Treat, e la ritrovata verve di James Christian grazie l’ausilio di Mark Mangold. Cosa dire dei supergruppi o presunti tali? Buona parte meri tentativi di rivitalizzare encefalogrammi artistici piatti. Ad ogni modo, tra codesti, pollice su per i Generation Radio e i Kings of Mercia. Mio malgrado rimangono fuori di poco Violet e Skid Row. Quindi, anche se non in ordine, ecco la mia personale top 10.

  • Treat – The Endgame
  • Dare – Road To Eden
  • Vypera – Eat Your Heart Out
  • Journey – Freedom
  • Generation Radio – Generation Radio
  • Kings of Mercia – Kings of Mercia
  • Reckless Love – Turborider
  • Streetlore – Streetlore
  • House of Lords – Saints and Sinners
  • Van Stephenson – Van’s Versions

Denis Abello: Anno quello appena passato che ha riservato ben pochi colpi ad effetto,e forse l’unico veramente degno di nota porta il nome di Generation Radio, superband nel vero senso del termine. Oltre a loro qualche colpo ad effetto c’è stato come StreetLore e Vypera ma il grosso della Top 10 è una conferma della bontà di alcune nuove leve (Fans of The Dark, Satin) o della classe dei soliti noti (91 Suite, Treat, Dare, Lionville, Edge of Forever). Incrociamo le dita per un 2023 più scoppiettante in termini di nuove proposte! P.s.: al solito alla mia Top 10 aggiungo qualche disco meritevole di menzione tra cui spiccano i Journey che con una scelta più bilanciata dei pezzi e una produzione di livello avrebbero potuto puntare mooooolto in alto… peccato… Altre menzioni per Ronnie Atkins – Make It Count, Kissin Dynamite – Not The End of the Road, Vypera – Eat Your Heart Out, Palace – One for the Road,  Ten – Here Be Monsters e Rob Moratti – Epical.

  • Generation Radio – Generation Radio
  •  91 Suite – Back in the Game
  • Fans of The Dark – Suburbia
  • Satin – Appetition
  • Ghost – Impera
  • Treat – The Endgame
  • Dare- Road to Eden
  • Lionville – So Close To Heaven
  • Edge of Forever – Seminole
  • StreetLore – Streetlore

Giorgio Barbieri: Come oramai saprete, io sono l’anima più heavy del sito (anche se non sono l’unico) e le mie scelte vanno quindi quasi esclusivamente sugli album che ho recensito, dato che sono quelli più nelle mie corde. Perciò, quando vedete nomi come Lugnet, Avatarium e Queensryche, non stupitevi più di tanto, questo sono io, nel bene e nel male. Buon 2023 a tutti i lettori!

  • Lugnet – Tales from the great beyond
  • Avatarium – Death where is your sting
  • Queensryche – Digital noise alliance
  • Ellefson/Soto – Vacation in the underworld
  • The Quest – The book of Caleb
  • The Cult – Under the midnight sun
  • Silver Nightmares – Apocalypsis
  • Francesco Marras – It’s me!
  • Nazareth – Surviving the law
  • Zero Hour – Agenda 21

Giulio Burato: Il 2022 verrà forse ricordato come l’anno dell’ultimo album in studio (sarà vero?) dei grandi Treat che mi sento dunque di omaggiare come migliore uscita dell’anno; “the endgame”, titolo esplicativo, è un album di grandi canzoni. Mi hanno poi stupito due band di stampo A.o.r. come gli spagnoli 91 Suite e i Generation Radio. I primi partoriscono un album con tante potenziali hit; i secondi sono una delle migliori “super band” create da sempre dall’etichetta Frontiers. Non posso però dimenticare “Impera”, altro album di spessore dei Ghost e “Freedom” dei carismatici Journey. Sorprese dell’annata: “Automaton” dei Crashdiet e “Are you ready” dei bravi Degreed. Buono il come back di Kenny Leckermo in sella agli H.e.a.t. Segnalazione finale per i Kissin’ Dynamite che con “No the end of the road” trovano la consacrazione con un album potente, melodico e ricco di belle canzoni.

  • Treat – The Endgame
  • Kissin’ Dynamite – Not the end of the road
  • 91 Suite – Back in the Game
  • Ghost – Impera
  • Generation Radio – Generation Radio
  • Crashdiet – Automaton
  • Journey – Freedom
  • H.E.A.T.- Force Majeure
  • Degreed – Are You Ready?
  • Nickelback – Get Rollin’

Alberto Rozza: Quest’anno proverò a cimentarmi per la prima volta nella top ten con un particolare riguardo ai tre dischi che ho gradito maggiormente. Al terzo posto il debutto dei rumeni Manic Sinners (“King Of The Badlans”), album interessantissimo, fresco, con sprazzi di originalità rari ai nostri giorni; sono stati veramente una scoperta e spero di vederli pure dal vivo. Al secondo posto “The Final Battle” degli Stryper, che dimostrano ancora una volta che nonostante tutto se sei a certi livelli da anni c’è un motivo senza considerare che il sound del disco è una vera e propria bomba. Al primo posto l’eterno Graham Bonnett con “Day Out In Nowhere”… semplicemente un maestro vero, paradossale che il più anziano sforni ancora i prodotti migliori, ma si sa: gallina vecchia fa buon brodo! Per il resto gli altri dischi che ho trovato meritevoli sono elencati qui sotto. Buon 2023 ai lettori!

  • Graham Bonnett Band – Day Out In Nowhere
  • Stryper – The Final Battle
  • Manic Sinners – King Of The Badlands
  • Chip Z’ Nuff – Perfectly Imperfect
  • Enuff Z’Nuff – Finer Than Sin
  • Vinnie Moore – Double Exposure
  • Saints Trade – The Golden Cage
  • DeVicious – Black Heart
  • Wolvespirit – Change The World
  • Ghost – Impera

Francesco Donato: Anno sicuramente non avaro sul fronte uscite questo 2022, con parecchie band che hanno approfittato dell’allentamento della situazione covid e consequenziale apertura ai live per sfornare i loro lavori. Non sono mancati nomi importanti della scena più recente come Hardocore Superstar, H.E.A.T, Crashdiet e tanti graditi ritorni dalla golden era come Def Leppard, Treat, Dare, Skid Row, Ten, Stryper, Michael Monroe, Journey. Poche per quanto mi riguarda le uscite folgoranti in merito agli esordi, quest’anno insomma è mancato “l’effetto Nestor” ma non sono mancate le superband come ad esempio i Generation Radio. Ecco dunque la mia Top Ten e buon 2023 a tutti i lettori!

  • Crashdiet – Automaton
  • Ten – Here Be Monsters
  • Lionville – So Close To Heaven
  • Hardcore Superstar – Abrakadabra
  • Find Me – Lighthing In A Bottle
  • Dare- Road to Eden
  • H.E.A.T.- Force Majeure
  • Satin – Appetition
  • Treat – The Endgame
  • Skid Row – The Gangs All Here

Iacopo Mezzano: In un anno, a mio avviso,  non molto ricco di uscite di rilievo certificato da soli 15 dischi acquistati datati 2022, presento la mia personale top ten con cinque nomi convincenti ed altri cinque un po’ così così… sperando in un 2023 più entusiasmante faccio i miei migliori auguri a tutti i lettori!

  • Dare- Road to Eden
  • Poets Of The Fall – Ghostlight
  • Marillion – An Hour Before It’S Dark
  • Evergrey – A Heartless Portrait
  • Nickelback – Get Rollin’
  • Generation Radio – Generation Radio
  • Fm – Thirteen
  • Hammerfall – Hammer of Dawn
  • Bryan Adams – So Happy It Hurts
  • Fortune – Level Ground

 

NEW RETRO WAVE. PIU’ ANNI 80 DEGLI ANNI 80.

13 Maggio 2022 7 Commenti Leonardo "Lovechaser" Mezzetti

 

La fama planetaria ha avuto inizio con Drive, uscito nel 2011. Un autentico gioiello cinematografico di violenza e romanticismo, dove la sublime fotografia di Newton Thomas Sigel, strabordante di luci e colori, riporta lo spettatore nel pieno degli anni Ottanta. Ma gli embrioni della New Retro Wave brillavano di vita già da qualche tempo. Gli anni Ottanta erano tornati. Coloro che erano nati negli anni Ottanta avevano riscoperto gli anni Ottanta. E li avevano fatti diventare più anni Ottanta degli anni Ottanta stessi. Alcuni generi capisaldi degli Eighties (synth pop, new wave, new romantic) erano stati assorbiti ed espansi, i modelli raggiunti e superati. Su questo simulacro era così nato un nuovo genere, appunto la New Retro Wave, chiamata anche Dreamwave, o Synthwave, che rievocava il sognante universo immaginifico di un decennio magico, visto con gli occhi dei bambini di allora.
Oltre a Drive, ricordiamo ampi sfondi di Dreamwave in Stranger Things, Turbo Kid, Kung Fury, Moonbeam City, l’episodio San Junipero di Black Mirror, o i videogiochi come Hotline Miami, Neon Drive, Retro City Rampage e New Retro Arcade.

Si tratta di una nuova tendenza musicale che, a differenza di quanto è accaduto con altre tendenza del passato, non si fonda sulla prossimità fisica o su una città precisa, come New York, o Londra, ma addirittura sull’immateriale, sull’astratto: si fonda su un nostalgico, sognante paradiso perduto.
Ma stiamo parlando solo di musica? No, affatto. Stiamo parlando di molto, molto di più. La New Retro Wave afferra il tuo inconscio, i tuoi ricordi, la tua infanzia, mette tutto dentro un dannato frullatore e ti restituisce un orizzonte perduto, fatto di colori fluo e sintetizzatori. Questa musica vede il presente e il quotidiano come una realtà che non interessa e che deve essere rifiutata. L’obiettivo è creare un presente alternativo, sulle ceneri di un tempo che sembrava svanito per sempre.

La Dreamwave riesce a dare nuovamente vita agli anni Ottanta, una versione elaborata e sofisticata degli anni Ottanta, come fossero una nuova Isola che non c’è (..o meglio che non c’era fino a quel momento!) e noi tanti, sognanti, Peter Pan che la intravedono delinearsi all’orizzonte. L’universo che la New Retro Wave vuole rievocare è un universo vivido, molto potente, e ancora pulsante. Il passare del tempo non lo ha scalfito. Anzi, succede che l’inconscio e i ricordi sobbalzano quando passano certe immagini. Le lancette fanno un balzo indietro nel tempo di trent’anni, come se nella memoria si potesse percorrere una distesa e soleggiata Ocean Drive, quando tutto era ordinato, pulito e colorato, e noi potevano guardare il mondo con gli occhi della giovinezza.
Gli anni Ottanta erano e magicamente tornano ad essere un paradiso pronto ad accoglierci. Rocky che corre sulla spiaggia con Apollo, la breakdance, i pattini a rotelle e lo skateboard, la BMX, Cindy Crawford, Tony Montana e Mannie in Scarface, Miami Vice. E più l’Ocean Drive scorre, più veniamo nuovamente travolti ed abbagliati dai neon e dalle insegne brillanti dei Cinema di allora. E’ di nuovo tutto lì, davanti ai nostri occhi. Star Wars, E.T, Indiana Jones, Batman, i Goonies, Ritorno al Futuro, Robocop, Rambo, Arma Letale, e così via. E, ancora, avete presente la mitica scena di Terminator, dove Schwarzy rade al suole il distretto di polizia e uccide tutti i poliziotti? Ebbene, il sound in sottofondo è estremamente Dreamwave.. E sempre citando Terminator.. (si capisce che sale sul mio podio cinematografico di sempre?) vi ricordate alla fine cosa urla il bambino accorgendosi delle nuvole che stanno arrivando nel cielo? “Mira, mira, viene una tormenta!”. E’ esattamente quello che è accaduto nella realtà, alla fine di quel magico decennio. Nessuno immaginava che di lì a poco il futuro potesse ribaltare la realtà in modo tanto nefasto e deprimente. Ma noi siamo ancora qui, altri no. E siccome noi siamo qui, quel paradiso perduto ce lo andiamo a riprendere!

La nostalgia degli anni Ottanta è molto di più di un revival passeggero, ormai è un vero e proprio caposaldo del mondo di oggi. È un fenomeno nato tra le pieghe del web e partorito dalla fantasia e dalla creatività di artisti con la speleologia musicale scolpita nel cuore e scintillante di rosa fluo. In qualche anno la New Retro Wave ha assunto la dimensione di un fenomeno di portata planetaria. Un artista come Perturbator dalla colonna sonora di Hotline Miami è arrivato a diventare un nome di punta in vari festival, tra cui quelli metal, gli autori della colonna sonora di Stranger Things sono finiti sui palchi del Primavera Sound, e i The Midnight e gli FM84 fanno sold out a Los Angeles, in un locale come il Globe Theatre.
Ma esiste un luogo, seppur immateriale, a metà strada tra realtà e sogno, dove l’universo della New Retro Wave prende forma, e dove per certi versi ha visto la luce: il canale New Retro Wave.
Nato nel 2011 come semplice aggregatore di brani Dreamwave, per il suo fondatore Ten NRW è sempre stato un progetto che nell’arco di qualche anno ha finito per diventare una vera e propria piattaforma multi sfaccettata. Il canale You Tube ha superato abbondantemente il mezzo milione di iscritti, il sito NewRetroWave ha una sezione Music, una Art & Photography e addirittura un negozio online per acquistare il merch ufficiale. In una recente intervista è lo stesso Ten a raccontare: “.. questo meccanismo è in azione da prima che il fenomeno della Synthwave arrivasse ad una coerenza. La gente cominciò ad interessarsi ai generi anni Ottanta come la new disco o la french house, magari un po’ di retro electro. Da questa scoperta il passaggio fondamentale fu il campionamento. I ragazzi appassionati iniziarono a campionare quelle basi, quei suoni così profondamente Eighties, e li usarono per creare qualcosa di nuovo”. Secondo Ten, la svolta decisiva della Synthwave fu proprio questa inversione di prospettiva. L’abbandono del sampling Eighties per creare qualcosa di nuovo, per creare materiale che suonasse anni Ottanta ma che rispettasse generi e regole contemporanei.

 

 

 

“Artisti come College o Futurecop furono tra i primi a comporre musica quasi revivalista, con quel retrogusto nostalgico eppure con un sound personale. E quello è il nucleo dell’intero movimento, il cuore pulsante della Synthwave: la musica che ogni giorno gli artisti creano e condividono. Io sono arrivato solo nel 2011 e ho aperto il canale, ma il materiale era già tutto lì. Musicalmente, ma anche in termini di immagini e video, perché questo è un genere che ha una fortissima impronta visiva”. Abbiamo già citato Drive come un fulgido simulacro cinematografico della New Retro Wave. Ebbene, oltre ai College, là dentro c’era anche Kavinsky, e “la sua Nightcall cambiò le regole del gioco, portando un numero incredibile di persone a contatto con quel sound su You Tube. Fu lì che cominciò a crearsi una domanda per questi suoni, e io aprii New Retro Wave proprio in quel momento”, racconta ancora Ten.
E se la New Retro Wave è esplosa in un lasso di tempo relativamente breve ed è ancora adesso un fenomeno in fase embrionale, è lo stesso Ten che si domanda dove potrà arrivare tra cinque o dieci anni. Beh, quasi non lo vogliamo sapere, ma al solo pensiero i nostri cuori Eighties sussultano. Certamente la cosa più bella e figa che possiamo fare, oggi, è goderci i meravigliosi pezzi che la New Retro Wave ci sta regalando. Mi piace pensare di essere stato fortunato ad aver potuto seguire il suo maestoso evolversi fin dagli esordi. Correva l’anno 2011 quando ebbi il primo contatto con il mondo della New Retro Wave. Al cinema avevo visto Drive, imperniato di quella magica atmosfera Eighties, e avevo potuto conoscere le bellissime Real Hero dei College e Nightcall di Kavinsky. Ma eravamo ancora ai primordi della New Retro Wave.
La vera tempesta mi investì due anni più tardi, quando conobbi uno dei punti più alti della Dreamwave. Nell’estate del 2013, infatti, scoprii qualcosa di meraviglioso nelle pieghe nascoste di internet. Si trattava di un album di demos di una sconosciuta cantante greca di nome Kristine. Mi ricordo ancora le parole usate dal sito per lanciare Kristine.
Get a ride in your DeLorean and enjoy her demos!
Fu esattamente così! Un tripudio di sintetizzatori e batterie elettroniche, un’atmosfera anni Ottanta come non mi capitava di percepire da anni. Sensazioni che l’AOR e l’Hair Metal ormai non mi trasmettevano più, come più volte ho scritto sulle pagine di melodicrock.it. Generi questi che da tempo mi lasciavano la netta sensazione di essere mostri sacri che stancamente si trascinano lungo il viale del tramonto, tra vane nostalgie ormai prive di dirompenza e “bolliti” tentativi di rinnovarsi miseramente destinati a fallire.
Nei pezzi di Kristine, invece, tutto sapeva di anni Ottanta. Ti riportavano indietro di almeno trent’anni. Intendo proprio dire fisicamente. Quei pezzi prendevano il tuo corpo e lo riportavano nel 1985. L’ultima volta che avevo sentito simili emozioni correva l’anno 2004. Avevo appena scoperto gli Outside Edge, ed era stato amore al primo ascolto.
Quattro anni fa, sulle pagine di melodicrock.it, in un articolo della sezione Gemme sepolte, avevo inserito proprio gli Outside Edge e il loro Running Hot datato 1986. Avevo descritto il loro AOR come uno “space AOR”, fatto di futuristiche melodie, trasportate da un tappeto di roboanti tastiere. E suggerivo che bastava farsi trasportare da quelle tastiere, salire sulla navicella spaziale e correre tra le galassie. Ebbene oggi posso dire che tra le galassie, in uno scintillante cunicolo temporale, abbiamo trovato la Dreamwave!
Gli Outside Edge sono in assoluto il gruppo che più avvicina l’AOR alla Dreamwave, come uno scontro tra galassie lontane, per dare origine ad una “supernova Eighties” irradiata di magici riflessi rosa fluo. In qualche modo, mi piace pensare che gli Outside Edge possano essere considerati gli antesignani della Dreamwave.
Ho scelto per voi dodici pezzi che a mio parere rappresentano l’Olimpo della Dreamwave, e ve ne parlerò rispettando un rigoroso ordine di uscita, come se fosse una maestosa risalita tra i meandri del tempo di un’anima anni Ottanta tornata a nuova vita.

Se non conoscete appieno la Dreamwave, ascoltare Kristine è senza ombra di dubbio la strada maestra per farsene travolgere. Dal suo unico album, che venne pubblicato nel 2015, vi invito ad ascoltare The Danger. Fu il primo pezzo che ascoltai, e fu subito tempesta! L’incedere martellante della batteria, le tastiere che aprono l’orizzonte, immagini di Top Gun che scorrono nella memoria, e quei cori così dannatamente anni Ottanta che sfumano nel finale.. goduria Eighites totale!
Kristine ci ha anche regalato The Deepest Blue, pezzo in origine non compreso nei demos, ma uscito successivamente come singolo e poi pubblicato all’interno dell’album. Nelle estati successive The Deepest Blue è stata la sognante colonna sonora delle mie vacanze in barca, accompagnandomi dalla Sicilia alla Puglia, dalla Grecia a Ponza, mentre lo sconfinato blu del mare mi circondava e i gabbiani volavano alti nel cielo. Vorrei anche ricordare che Kristine ha collaborato con i Crazy Lixx nella realizzazione della loro bellissima Walk The Wire.
Right Back to You degli Electric Youth rappresenta un altro incredibile salto nel 1985. Il video del pezzo è costruito sul film Il Giorno della Luna Nera, e mostra una giovane Linda Hamilton sfrecciare alle 300 miglia all’ora a bordo del veicolo chiamato Luna Nera, tra le strade di una notturna Los Angeles.
Magic degli Fm Attack è un pezzo del 2013 cantato da Kristine. Gira un video fatto con immagini di videogiochi degli anni Ottanta prese da svariati film. Bastano quelle immagini e quella tastiera così Eighties ad introdurre il pezzo e la voce sognante di Kristine a costruire attorno a noi un romantico e nostalgico caleidoscopio di ricordi di infanzia.
Days Of Thunder dei The Midnight è a mio parere uno dei pezzi più rappresentativi della Dreamwave. Uscito nel 2014, Days Of Thunder rappresenta un vero e proprio salto indietro nel tempo. Il sax trasporta lontano, e riesce a catturare lo spirito di un tempo perduto, in cui il mondo sognava un futuro paradisiaco, e sembrava che quei giorni di tuono non dovessero finire mai..
Nel 2015 esce Take Me Back dei Kalax, e qui arriva un altro classico della Dreamwave. Il coro Take me back to 1984 I can not stand the future anymore è una vera e propria bomba Dreamwave, ed è da cantare a squarciagola in cabrio, mentre si sfreccia in piena notte per le strade della città! Io l’ho fatto, e si ritorna veramente al 1984!
Dana Jean Phoenix è un’altra regina della Dreamwave. Le Mirage è un pezzo uscito nel 2016, ma in realtà vi riporta in piena estate ’85. Siete sdraiati su una calda spiaggia di Malibu, e davanti a voi il sole sta tramontando, lanciando riflessi dorati sul mare..

Nel 2017 esce Bad Dream Baby dei September 87. Riguardo a questo pezzo, ricordo un paio di commenti su YouTube che recitavano circa Retrowave is the best thing that has happened the music industry since the 80’s, e When it’s more 80’s than the 80’s. Andando a rievocare tra le mie memorie AOR, il pezzo potrebbe ricordarmi i migliori Haywire. Più anni Ottanta degli anni Ottanta, appunto.
I Wolfclub fanno uscire la loro Had To Get To You nel 2018. Qui siamo ai livelli più alti della Dreamwave. C’è tutto. Grinta, romanticismo, e vena malinconica. Un mix perfetto che ci riporta a metà anni Ottanta, ancora una volta. Un coro spettacolare, che praticamente tutti i gruppi AOR in attività oggi pagherebbero a peso d’oro!
Nel 2019 i LeBrock escono con la spettacolare Takes All Night. Ma i LeBrock sono attivi già dal 2016 con album di grandissimo impatto, tastiere a profusione e cori che sembrano scolpiti negli Eighties. I LeBrock sono senza dubbio il massimo punto di congiunzione tra la Dreamwave e l’Hair Metal di leppardeggiante memoria. Proprio la chitarra nel finale di Takes All Night spalanca una specie di tunnel spazio temporale, e se lo percorriamo tutto ci troviamo nel 1986.

Arriviamo al 2021, l’anno che ci siamo lasciati alle spalle. Ebbene, da questo 2021 io porto con me due pezzi che si collocano forse tra le prime posizioni di sempre nella mia classifica Dreamwave.
Come nel caso di Had To Get To You, anche City Nights dei Dryve spara un coro che molti gruppi AOR di oggi invidierebbero fino a torcersi lo stomaco. Melodico, romantico, intenso, e dannatamente anni Ottanta.
Come Alive di Ace Buchannon e cantata da Anna Moore rappresenta un altro altissimo punto di Dreamwave. Il sax è una potenza, ti entra in testa fin dai primi secondi di ascolto, ed immediatamente ti trasporta a Miami Beach, nel giugno del 1987. In cabrio stai sfrecciando sull’Ocean Drive, lo sguardo si perde lungo l’Oceano Atlantico, e alla radio Ronald Reagan pronuncia le storiche parole davanti alla porta di Brandeburgo “Mr Gorbacev, tear down this wall!”.
Inoltre è uscito da non molto il nuovo album dei Midnight Danger. Out in The City Lights è un bellissimo pezzo cantato da Danny Rexon dei Crazy Lixx e addirittura da un vecchio mito anni Ottanta come Kane Roberts. Il melodic Hair Metal ispirato alla seconda metà degli anni Ottanta è come un vecchio leone tramortito e annebbiato dalle polveri del tempo. Ha un dannato bisogno di nuova linfa vitale. E’ forse un caso che Danny Rexon dei Crazy Lixx, forse l’unico gruppo top di adesso, oltre ad aver collaborato con Kristine qualche anno fa, come abbiamo già detto, si sia lanciato adesso in questa avventura?
Cosi, nel 2022.. che la galassia Dreamwave stia per impattare la galassia Hair Metal.. per dare luogo ad un Big Bang più anni Ottanta degli anni Ottanta stessi?? A quel punto potremmo anche morire felici..

I dischi del 2021 di MelodicRock.it – Il riassunto dell’anno secondo noi.

30 Dicembre 2021 19 Commenti Samuele Mannini

 

Attraverso le selezioni delle uscite di questo 2021, ahimè ancora pandemico, potrete farvi una idea dei dischi che hanno fatto parlare di se e potrebbe essere una occasione per approfondire o scoprire qualcosa che è sfuggito alle vostre orecchie. Troverete i diversi pareri dei redattori che guardano alla nostra musica secondo le loro diverse sensibilità, per offrire ai nostri lettori uno sguardo a 360° su tutto il panorama dell’ Hard Rock, Melodic Rock, Aor ed affini. Fateci sapere la vostra opinione sui dischi dell’anno e speriamo che il 2022 ci porti tanta buona musica!

Denis Abello:

Parliamoci chiaro, questo per me è l’anno dei NESTOR… erano anni che un album non mi coinvolgeva in questo modo, vorrà pur ben dire qualcosa? Secondo, la Redazione mi ha obbligato a buttare giù una lista con “SOLO” 10 titoli… cosa che mi ha fatto quasi dare le dimissioni e appendere le casse al chiodo! Poi ho riflettuto sul fatto che sarei stato una perdita troppo grande sia per la redazione che per i nostri affezionati lettori e così ho deciso di adeguarmi a questo regime musicale dittatoriale. Anno a livello di uscite con pochi colpi ad effetto e tante conferme con in più l’incertezza di un futuro live che ormai da fans bramiamo con profondo desiderio (Fuck Covid!)! Di seguito trovate la mia personale TOP 10… ma con l’aggiunta di una serie di album fuori
classifica ma per il sottoscritto meritevoli di menzione.

Menzioni: Steve Emm – First Strike, Micheal Kratz – Tafktano, Cruzh – Tropical Thunder, Seventh Crystal – Delirium, Wig Wam – Never Say Die, Gary Hughes – Waterside, Chez Kane – Chez Kane, John Dallas – Love & Glory, The Night Flight Orchestra – Aeromantic II, Eclipse – Wired, W.E.T. – Retransmission, Mark Spiro – Traveling Cowboys, Platens – Of Poetry and Silent Mastery

(Nota Di Redazione: Ci vuole pazienza coi megadirettori…. 🙂 )

 

  • Nestor – Kids In A Ghost Town
  • Ronnie Atkins – One Shot
  • Fans Of The Dark – Fans Of The Dark
  • Art Of Illusion – X Marks The Spot
  • Creye – II
  • Kent Hilli – The Rumble
  • Temple Balls – Pyromide
  • Crazy Lixx – Street Lethal
  • Hardline – Heart, Mind and Soul
  • Alirio – All Things Must Pass

 

Samuele Mannini:

Contrariamente a molti altri , io ho trovato questa annata tutt’altro che disprezzabile. A livello di uscite, se si va un po’ oltre  al marasma dell’onda scandinava, anche abbastanza varia. I dischi che ho scelto spaziano infatti dal melodic rock più intimista, al prog tendente anche al metal, oltre naturalmente all’ hard rock d’autore. Sono particolarmente orgoglioso della scena italiana che ha proposto dischi di qualità assoluta. Per chiudere, a metà dicembre l’uscita bomba dei Cap Outrun mi ha scombussolato tutti i piani, balzando in cima alla classifica di slancio. Per carità, magari non siamo tornati alla golden age, ma con un po’ di pazienza e un po’ di mente aperta, qualche piccolo tesoro si trova.

 

  • Cap Outrun – High On Deception
  • Thunder – All The Right Noise
  • Touch – Tomorrow Never Comes
  • Art Of Illusion – X Marks The Spot
  • Mark Spiro – Travelling Cowboys
  • Six Silver Suns – As Archons Falls
  • Devils In Heaven – Rise
  • Steve Emm – First Strike
  • Styx – Crash Of The Crown
  • Wine Guardian – Timescape

 

Yuri Picasso:

Il 2021 verrà ricordato in ambito artistico, specialmente nell’universo musicale ma non solo, come un anno di transizione e di attesa. Nell’anno venturo dovremmo (condizionale d’obbligo al momento in cui scrivo) tornare all’adrenalina dei concerti e dei festival. E solo in Italia se scorriamo tutti i gruppi rock, metal ma non solo, che hanno date programmate nel 2022, c’è da farsi venire l’acquolina in bocca. Speriamo che la musica live e il lieto fine possano ricongiungersi come da programma. Cosa dire degli sforzi profusi sulla nuova musica da studio in questo anno volto a fine tramonto? Nessun capolavoro, limitate ed interessanti sorprese, conferme di qualità da parte di chi un tempo ruggiva. Quindi, anche se non necessariamente in lista di preferenza assoluta, ecco la mia personale top 10.

 

  • Nestor – Kids In A Ghost Town
  • Inglorious – Heroine
  • Kent Hilli – The Rumble
  • Heartland – Into The Future
  • Chez Kane – Chez Kane
  • Groundbreaker – Soul to Soul
  • Levara – Levara
  • Bad Habit – Autonomy
  • Fm – Though It Out Live
  • Seventh Crystal – Delirium

 

Giulio Burato:

Nel complesso il 2021 è stato un discreto anno a livello di uscite discografiche nel settore melodic rock. Le migliori uscite, a mio avviso, sono state ad inizio anno (Ronnie, Chez Kane, Creye, Inglorious, W.e.t, The Dead Daisies, Seventh Crystal e Thunder) e c’è stato un buon colpo di coda a fine anno con dei validi album come Eclipse, Heartland e l’oggetto misterioso Nestor, solo per citarne alcuni. A livello produttivo, mediamente, siamo sempre, e purtroppo, distanti anni luce dalla qualità degli anni 80/90, ma ovviamente i budget sono esigui e quindi bisogna adattarsi.

 

  • Ronnie Atkins  – One Shot
  • W.E.T. – Retransmission
  • Eclipse – Wired
  • Nestor – Kids In A Ghost Town
  • Creye  – II
  • Heartland – Into The Future
  • Seventh Crystal – Delirium”
  • Thunder – All The Right Noises
  • Crowne – Kings In The North
  • Chez Kane – Chez Kane

 

Vittorio Mortara:

Diciamoci la verità: il 2021 non è stato un anno straordinario per le uscite nell’ambito della nostra musica. Tuttavia, pescando in mezzo a miriadi di uscite più o meno inutili, abbiamo ascoltato alcune piacevoli sorprese accanto a conferme e delusioni clamorose di nomi di livello. La classifica che ho stilato cerca di premiare un po’ tutto: la qualità, la classe, l’innovazione, i sentimenti, l’adrenalina e, perché no, la “piacioneria”. Canzone dell’anno: “Motherland” dei Reach. A voi l’ascolto e il giudizio ultimo. Buon anno melodic-rockers!

 

  • Heartland – Into the future
  • Reach – The promise of a life
  • Seventh Crystal – Delirium
  • Temple Balls – Pyromide
  • Ronnie Atkins – One Shot
  • The Pretty Reckless – Death By Rock’n’Roll
  • Eclipse – Wired
  • The Night Flight Orchestra – Aeromantic II
  • W.E.T. – Retransmission
  • Nestor  – Kids In A Ghost Town

 

Max ‘Aor’ Carli:

Anno di transizione causa pandemia? Può essere, ed anche se non mi sono particolarmente esaltato con le uscite dell’anno in corso qualcosa di buono sicuramente c’è. La scandinavia continua a farla da padrona nella scena melodic rock e detta la linea delle moderne sonorità, ecco qui sotto una lista di quello che più mi è piaciuto in questo 2021.

 

  • Levara – Levara
  • The Night Flight Orchestra –  Aeromantic II
  • Save The World – Two
  • Nestor  – Kids In A Ghost Town
  • Styx – Crash Of The Crown
  • Chez Kane – Chez Kane
  • Art Of Illusion – X Marks The Spot
  • Crazy Lixx – Street Lethal
  • Wig Wam – Never Say Die
  • Heart Line – Back In The Game

 

Max Giorgi:

Gentili lettrici e lettori di www.melodicrock.it anche questo 2021 dal punto di vista musicale è andato in alterne direzioni, con belle sorprese e tonfi importanti . Tre band su tutte, ed anche al loro esrordio, meritano il podio: sono i Seventh Crystal, i Nestor ed Cap Outrun che con diversi stili ed approcci hanno deliziato i miei padiglioni auricolari. Bella sorpresa anche i Fans Of the Dark che però vincono a piene mani anche la mia personale classifica della copertina più brutta. Parlando in generale, si denota l’altissimo numero di uscite discografiche che però non si associa ad alte medie qualitative e purtroppo. alla cronica carenza di produzioni di alto livello. Buone Feste a tutti!!!!

 

  • Seventh Crystal -Delirium-
  • Cap Outrun – High On Deception
  •  Nestor – Kids In A Ghost Town
  •  Art of Illusion – X Marks The Spot
  •  Ronnie Atkins – One Shot
  •  Creye – II
  •  Dion Bayman – Alive
  •  Groundbreaker – Soul To Soul
  •  Fans of the Dark – Fans Of The Dark
  •  W.E.T – Retransmission

 

Giorgio Barbieri:

Annata un po’alterna il 2021, da un lato l’esplosione della melodia in salsa scandinava, gradevole sì, ma anche abbastanza ripetitiva, dall’altro una voglia di esplorazione e di contaminazione sia in area prog, sia nella riscoperta dei seventies. Un bell’applauso alla scena italica che riesce ad esprimere vette di eccellenza come (quasi) mai è riuscita negli anni. Quindi che dire, tra mostri sacri e nuove promesse speriamo che il 2022 ci porti anche la possibilità di godere nuovamente dei live e di proposte musicali sempre all’altezza. Stay Rock!

 

  •   Blind Golem -A Dream Of Fantasy
  •   Wine Guardian – Timescape
  •   L.A. Guns -Checkered Past
  •   Styx – Crash Of The Crown
  •   Cap Outrun – High On Deception
  •   Dirty Honey – Dirty Honey
  •   Thunder – All The Right Noises
  •   Art Of Illusion – X Marks The Spot
  •   Intelligent Music Project – The Creation
  •   Steve Emm – First Strike

 

Leonardo Mezzetti:

Il 2021 è un anno senza uscite che resteranno nella storia. I Crazy Lixx sono i dominatori incontrastati del 2021, e non potrebbe essere altrimenti. Gran parte del destino dell’hair metal melodico è ancorato a loro. La grande melodia dei Creye al secondo posto e la scintillante Chez Kane al terzo. Parziale delusione per gli Eclipse al quarto posto.

 

  • Crazy Lixx – Street Lethal
  • Creye – II
  • Chez Kane – Chez Kane
  • Eclipse – Wired
  • Midnite City – Itch You Can’t Scratch
  • W.E.T – Retransmission
  • Cruzh – Tropical Thunder
  • Walk The Walk – Walk the Walk
  • Nitrate – Renegade
  • Nestor – Kids in a Ghost Town

Vinyl Care

03 Settembre 2021 7 Commenti Samuele Mannini

 

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Dopo l’approfondimento sulla Loudness War che potete rileggere a questo LInk , andiamo ad affrontare un’altro argomento legato alla qualità degli ascolti.

Negli ultimi anni si assiste al ritorno in grande stile del disco in vinile come mezzo di distribuzione musicale e con sempre più nuovi titoli, fiere del disco, mercatini dell’usato etc.. le collezioni di noi appassionati di questo glorioso supporto sono in piena espansione. Vediamo quindi quali sono i metodi per prendersi cura del vinile in modo di fruire al meglio delle sue possibilità, troppo spesso sottovalutate.

Sicuramente i graffi profondi e l’usura (spesso dovuta ad incuria e all’uso di giradischi scadenti), sono danni ai quali non si può porre rimedio, ma con le dovute cautele si può preservare per lungo tempo questo supporto e fruirne in qualità elevata. Per quanto riguarda invece l’accumulo di carica statica e il deposito di polvere, che sono i veri nemici dell’ascolto, abbiamo diverse frecce al nostro arco per migliorare drasticamente la situazione.

Piccola premessa doverosa, quello di cui scriverò è frutto delle mie ricerche e di prove effettuate  direttamente da me, nonché dalla lettura di numerosi articoli e dalla visione di decine di video guide sull’argomento, inoltre dove è stato possibile mi sono premurato di informarmi direttamente verso le aziende produttrici, soprattutto per quanto riguarda la parte chimica e le varie interazioni tra materiali. Nel mondo del vinile ci sono infatti credenze e miti, con relativi guru portatori di verità assolute, che sono difficili da sfatare soprattutto per via della soggettività con la quale viene vissuta questa passione. Lungi da me quindi mettere in discussione le certezze di chi leggerà, ma soltanto la volontà di affrontare l’argomento con un approccio più possibile scientifico , basato come detto su un minimo di chimica, esperienza diretta ed informazione, condite da una goccia di buon senso. Se tutto ciò porterà ad un sano confronto e offrirà spunti di discussione interessanti, allora ne sarò veramente lieto.

L’elettricità Statica.

La prima cosa da affermare con certezza è che ciò che impedisce al vinile di restare pulito, oltre a produrre fastidiosi rumori durante l’ascolto, è l’elettricità statica che si accumula sul disco dall’azione meccanica dovuta allo scorrere della puntina sui solchi e dai micro movimenti del disco che struscia sulla carta delle buste interne  della custodia del vinile. Senza stare a scomodare la scienza, quando un corpo è caricato elettrostaticamente è risaputo che attiri a se le particelle di polvere presenti nell’ambiente circostante e quando la polvere si infiltra nei microsolchi di un vinile è un bel problema tirarla fuori. Vediamo dunque quali possono essere i metodi per limitarne al minimo l’accumulo.

Primo fattore critico è quello ambientale. Il clima secco favorisce la formazione di cariche elettrostatiche, in determinate stagioni quindi un umidificatore per ambienti può aiutare almeno in parte a ridurre il problema.

Secondo fattore, il giradischi. Il tappetino che giace sul piatto del giradischi contribuisce a caricare elettrostaticamente il vinile durante la sua rotazione. Per determinare quale materiale sia più dannoso ci vorrebbe uno strumento di misura e delle prove oggettive difficilmente ripetibili, ma da numerosi video che circolano che effettuano questo tipo di prove empiriche, sembrerebbe che i tappetini in gomma e quelli in feltro siano quelli più nocivi. Quelli elettricamente più neutri sembrano invece essere quelli in acrilico o perspex, ma anche senza andare troppo su materiali esoterici, in pelle . Giova inoltre sapere che una puntina pulita aiuta a caricare meno il vinile, così come un taglio della puntina più pregiato, come il microlinear o lo shibata, venendo in contatto con una porzione minore del solco accumula meno carica sul disco.

Terzo fattore, lo stoccaggio del vinile. Le buste di carta bianche classiche che si trovano spesso nei dischi, sono letali per quanto riguarda il caricamento elettrostatico, il continuo strusciare , anche in fase di estrazione o inserimento, favorisce l’accumulo sul disco, senza contare che quelle forate addirittura non pongono nessun ostacolo all’infiltrazione della polvere. Sostituire queste, con delle bustine trasparenti in materiale plastico o con buste con l’interno rivestito in materiale antistatico, aiuta sicuramente sia nella fase di stoccaggio , sia nel mantenimento di una bassa carica.

Quarto fattore, la pulizia. Ci sono metodi che riducono fortemente le cariche statiche e sono quelli ad immersione. Il bagno in soluzioni prevalentemente di acqua distillata eliminano quasi totalmente gli ioni presenti sul vinile, mentre altri sistemi di pulizia non sono altrettanto efficaci , ma ne parleremo in maniera approfondita nella parte dedicata alla pulizia.

Ultima e probabilmente più efficace cura è invece la mitica pistola spara ioni, milty zerostat , il funzionamento è semplice basta puntarla sulla superficie premere il grilletto e genererà ioni che praticamente azzerano la carica presente sul disco.

Una volta capito come limitare l’effetto calamita che riempie di polvere il nostro amato supporto, affrontiamo il problema della pulizia vera e propria e poiché, tra i metodi di pulizia più efficaci ci sono quelli che prevedono l’uso di soluzioni liquide con cui cospargere o in cui immergere il vinile, dovremmo portare la nostra attenzione sulla composizione sia delle sostanze, sia del supporto su cui andremo ad agire.

Di cosa è fatto il Vinile e cosa usare per pulirlo.

Il materiale di cui sono fatti i dischi è sostanzialmente policloruro di vinile comunemente noto come PvC , ma questa è una grossolana approssimazione. In realtà è una composizione a base di PvC alla quale vengono aggiunte varie sostanze, che la maggior parte dei produttori tengono segrete. Come mi sono peritato di chiedere ad un paio di aziende, esse forniscono su richiesta dei vari impianti di stampa almeno sei tipi di compound diversi a seconda, per esempio, del tipo di pressa che andrà a stampare fisicamente il disco . Se a tutto ciò aggiungiamo che ci sono numerose aziende che producono il pellet di vinile, che numerose aziende che producevano in passato non esistono più, che in varie aree del pianeta si usano procedure leggermente differenti, che certi additivi del passato non sono più a norma di legge, che in diversi impianti si usa anche vinile riciclato ed infine che i vinili colorati ( anche il nero perché tecnicamente il PvC sarebbe semi trasparente) usano additivi diversi tra loro, è facile capire che praticamente nessun disco ha la stessa composizione chimica di un’ altro. Questo discorso serve a fare notare con quante accortezze bisogna muoversi quando si intendono usare liquidi per pulizia che potrebbero andare ad interagire chimicamente con uno dei componenti del vinile che nemmeno ci è dato di conoscere.

Da ricerche in giro sul web e da esperimenti personali sono concorde che usare un approccio conservativo nel comporre la propria soluzione pulisci vinile sia di fatto la cosa migliore. Molti guru consigliano le soluzioni più improbabili come prodotti di pulizia per vetri, sgrassatori vari ed eventuali, detersivi per piatti e addirittura shampoo per capelli, adottando un approccio un po’ più scientifico corroborato da pareri esperti e meno basati sulla magia, direi che la perfetta soluzione di pulizia è composta da acqua distillata , alcool isopropilico e un’agente tensioattivo (ovvero una sostanza che rompe la tensione superficiale dell’ acqua consentendole di penetrare più in profondità nei solchi), ma adesso vediamo però in che proporzioni. Poiché comunque esiste una scuola di pensiero che dice che l’alcool sia dannoso per il PvC , è meglio mantenere un approccio conservativo ed evitare di esagerare, perché comunque è risaputo che l’alcool sia un ottimo solvente per i grassi, dovremmo trovare un giusto bilanciamento tra pulizia e sicurezza. Direi che una percentuale in diluizione del max 5% in acqua distillata possa fornire una pulizia efficace senza mettere a rischio la composizione chimica del vinile, per quanto riguarda il tensioattivo esistono specifici prodotti in commercio studiati proprio per la pulizia degli Lp, il più famoso dei quali è il tergitol, una alternativa molto apprezzata e impiegata vista la sua efficacia e maggiore economicità è ILFOTOL di ilford, agente bagnante largamente utilizzato nello sviluppo delle pellicole fotografiche. Per quanto riguarda le mie prove personali ho ottenuto splendidi risultati con la seguente miscela 95% acqua distillata 4% alcool isopropilico 1% ILFOTOL. Chiaramente ognuno sarà libero di fare i propri esperimenti ed anzi sarei curioso di sapere quali sono le soluzioni più usate.

Vediamo adesso quali sono i metodi di pulizia vera e propria cercando di valutarne l’efficacia caso per caso.

Metodi di pulizia manuali.

Il primo metodo di pulizia consiste senz’altro nella famigerata e ultra nota spazzolina in fibra di carbonio . Ne esistono di svariati tipi e anche di svariati prezzi e con millantate capacità antistatiche, in realtà passare le fibre in carbonio sul disco mentre ruota sul piatto può solo contribuire a mantenerlo più pulito quando lo sia già, perché a parte raccogliere un po’ di povere grossolana in superfice, di più non può fare e sicuramente numerose prove empiriche mostrano che non ha nessunissimo effetto contro l’elettricità statica. Resta comunque una buona abitudine passarla prima di ogni ascolto.

 

Secondo metodo pulizia con liquido spray e panno in microfibra. Il primo e vero passo verso la pulizia fai da te del vinile consiste sicuramente nello spruzzare una soluzione apposita (anche per esempio quella che ho formulato sopra) . Poggiare il disco su un panno abbastanza grande in microfibra , spargere la soluzione sulla superficie del vinile e per aiutare a farla penetrare nei solchi ci si può aiutare con un pennello a setole morbide, dopodiché si procederà ad asciugare il disco con un panno morbido seguendo la tracciatura dei solchi . Questo metodo anche se è artigianale consente di mantenere i dischi abbastanza puliti, anche se per ovvi motivi sarà difficile effettuare una pulizia approfondita per la difficoltà di fare penetrare in profondità tra i solchi il liquido, inoltre attenzione perché lo sfregamento del panno durante l’asciugatura farà caricare il disco elettrostaticamente.

 

Altro metodo per tenere puliti i dischi è l’ormai tornato in auge rullo gommato. Tempo fa lo produceva solo la Nagaoka ed aveva prezzi piuttosto spropositati, adesso invece ne esistono diverse versioni estremamente economiche che consiglio di provare. Il tutto non è altro che un rullo in silicone lavabile dopo ogni uso, che scorrendo sul vinile raccoglie la polvere ed è sicuramente  più efficace della semplice spazzolina, oltretutto non ha effetti negativi sulla carica statica.

 

 

Pulizia con macchine lavadischi.

Qui cominciamo veramente a parlare di pulizia approfondita , tale da riportare in molti casi il vinile allo stato dell’arte come e meglio di quando era uscito dalla fabbrica.

Prima tipologia macchine manuali (70/ 100 Eur). La soluzione più economica , ma di certo funzionale consiste nell’utilizzo di quelle macchine lavadischi dove il disco viene inserito in una vasca riempita di soluzione detergente, viene fatto ruotare manualmente , mentre delle spazzole o dei pad in materiali vari strofinano la superficie del vinile asportando lo sporco che si annida nei solchi. I due modelli più famosi che hanno poi generato miriadi di cloni sono la Knosti Disco Antistat, e la Spin Clean. Le differenze sostanziali tra le due macchinette riguardano la protezione dell’etichetta con la Knosti che prevede una protezione completa e le spazzole , che nel caso di knosti sono vere e proprie spazzoline in….. peli di capra, mentre nella spin clean sono pad in materiale spugnoso.

 

Insomma tutto facile si riempie la vasca con la soluzione pulente, si inserisce il disco tra le spazzole , e lo si fa ruotare per 5/6 volte in senso orario e per altrettante in senso inverso, dopodiché Knosti consiglia di lasciare asciugare i dischi all’ aria in un apposito rack (tipo scolapiatti), mentre spin clean fornisce dei panni in microfibra per l’asciugatura. Personalmente trovo che le spazzole di Knosti svolgano un lavoro migliore ed accurato nella rimozione della povere grazie al gentile attrito che provocano sulla superficie, mentre spin clean non riesce ad arrivare così in profondità. Per quanto riguarda l’asciugatura, specie se nella soluzione è stato usato un buon agente bagnante, preferisco l’asciugatura all’aria perché consente alle particelle intrappolate nell’acqua di defluire via, mentre con l’uso del panno si rischia di spanderle nuovamente tra i solchi, senza contare che lo sfregamento del panno potrebbe caricare il disco elettrostaticamente, vanificando in parte il processo di pulizia.

Seconda tipologia le macchine ad aspirazione (300/500 Eur). Probabilmente la più famosa è la Okki Nokki, ma ne esistono anche altre a marchio Project per esempio. In questa tipologia di macchine il disco viene collocato su un piatto come fosse un giradischi (attenzione, alcune hanno il piatto full size, mentre altre ne hanno una versione ridotta), viene fissato al perno centrale, successivamente il disco viene cosparso con la soluzione per pulizia. Azionando il motore della macchina si può far ruotare il disco in entrambi i sensi ed aiutandosi con una spazzolina fornita, stendere il liquido uniformemente sulla superficie, fatto ciò si appoggia il bocchettone aspirante e si accende l’aspiratore, in men che non si dica il liquido verrà aspirato e con esso le impurità disciolte.

Il vantaggio di questa tipologia di pulizia è senz’altro la velocità di asciugatura e l’aspirazione del liquido, ma attenzione soprattutto per quelle macchine con il piatto in formato ridotto, non è possibile fare troppa pressione con la spazzola nel distribuire il liquido, inoltre la soluzione detergente ha meno tempo per agire rispetto alle altre soluzioni ad immersione.

Ultima tipologia, le macchine ad ultrasuoni (da 1000 Eur a salire). Sicuramente la tecnologia ad ultrasuoni è la più efficace , ma anche la più costosa, anche se sembra che un marchio di Hong Kong sia in rampa di lancio per farne uscire un modello intorno ai 300 Eur e allora diverrebbe una soluzione decisamente accessibile. Le macchine di questa tipologia utilizzano un bagno in una soluzione pulente , dove grazie agli ultrasuoni ed al principio della cavitazione, vengono create piccolissime bolle che vanno ad urtare continuamente la superficie del vinile andando ad asportare lo sporco anche nella profondità dei solchi più piccoli, sono inoltre motorizzate e quindi il disco ruota automaticamente nel bagno e dotate in molti casi di ventola per l’asciugatura automatica, insomma una vera e propria Spa e centro benessere per vinili. Anche qui esistono varie teorie sulla frequenza degli ultrasuoni , che di norma sono a 44.000 Hz , mentre qualcuno sostiene che le macchine a 120.000 Hz siano migliori, altri sostengono che sia cruciale il punto di emissione degli ultrasuoni etc… Mi manca la conoscenza pratica per poter verificare queste teorie , anche perché naturalmente si trovano un sacco di discussioni discordanti, quello che è certo è che ho potuto provare la differenza con gli altri metodi di pulizia e la differenza si sente, distintamente.

 

I metodi “esoterici”, da provare solo se non ci sono altre speranze.

Se girerete un po’ in rete troverete diversi video su strabilianti metodi di pulizia “alternativa” dai risultati strabilianti, ecco se tutto ciò che avete fatto per pulire il vinile non ha dato nessun risultato e vi apprestate a lanciare il disco dalla finestra, potete anche provare questi metodi, anche se vi anticipo che dalle mie prove i risultati sono stati abbastanza irrilevanti e con effetti collaterali da considerare attentamente.

Il Wood Glue. Consiste nello stendere un sottile strato di colla vinilica sulla superficie del disco (il Vinavil, va benissimo), aspettare che si secchi (7/8 ore mediamente), sollevare la sottile pellicola trasparente che si sarà formata che trascinerà via ne particelle di sporco annidate tra i solchi.

 

 

Questo metodo oltre ad essere altamente inefficiente in ordine di tempo (8 ore per lato), in realtà secondo le mie prove non offre nulla più di un lavaggio con una macchina knosti in termini di pulizia effettiva, oltre a fare correre il rischio, qualora che la pellicola non si formi in modo adeguato, di dover rimuovere dai solchi particelle di colla particolarmente fastidiose.

Il Wd 40. Si proprio lui, il lubrificante mille usi. Spruzzate su un panno i microfibra un po’ di Wd 40 ed applicatelo sulla superficie del disco, soprattutto se ci sono parti estremamente rumorose o nei punti critici dove il disco tende a saltare, poi fatelo suonare in quei punti critici per vedere se il lubrificante ha fatto superare queste criticità, a me un paio di volte il giochetto ha funzionato. Attenzione però, subito dopo il disco va assolutamente lavato e la puntina pulita accuratamente, perché il composto oleoso tende ad ungere in maniera terrificante, impiastricciando la puntina ed i solchi in modo molto rilevante, senza contare che non si può conoscere se il Wd 40 abbia effetti negativi sul vinile stesso, quindi cautela massima ed utilizzo solo in casi super estremi.

Ecco questo è tutto ciò che sono riuscito ad appurare e a sperimentare, ma lasciatemi dire un’ultima cosa, se manterrete pulito un buon vinile usando queste accortezze, potrete lasciare a bocca aperta molti digitalisti convinti.  Vi accorgerete inoltre che forse questo supporto è stato per troppo tempo denigrato e sottovalutato ingiustamente e potrete tornare ad apprezzare dischi che avevate dato già per vecchi con una qualità che nemmeno vi ricordavate possibile.