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Thunder – Rip It Up – recensione

07 Aprile 2017 5 Commenti Matteo Trevisini

genere: Classic Rock / Hard Rock
anno: 2017
etichetta: EarMusic

Dovete vederlo con i vostri occhi, come ha fatto il sottoscritto, per crederci! Andare a casa loro in Inghilterra, ad un loro concerto, e vedere, ma soprattutto sentire sulla vostra pelle, quanto seguito, amore, rispetto e devozione abbiano i Thunder in patria. Assistere ad un loro show scalda il cuore e si viene magicamente trasportati da tutti i fans presenti in un tifo calcistico da stadio… una cosa che ha dell’incredibile, in un Inghilterra cosi facile a cambiare casacca delle mode musicali che arrivano e poi se ne vanno veloci.
Incuranti delle mode suddette loro vanno avanti da ormai quasi trent’anni a proporre il loro vecchio hard rock, venato di blues. La splendida voce nasale di Danny Bowes e la chitarra calda e graffiante di Luke Morley sono sempre là – album dopo album – a regalare emozioni e canzoni formidabili.
Da quel debutto folgorante che è stato Back Street Symphony del 1990 che ha aperto, in pochi mesi, la porta dell’ascensore verso la celebrità in patria, un Monsters Of Rock a Donington da protagonisti e un secondo disco come Laughing on Judgement Day che ha cementato definitivamente la reputazione della band di Londra. Da quei primi anni novanta la carriera dei Thunder è andata avanti, in barba alle mode, con due scioglimenti e altrettante reunion in mezzo ed altri sette album sempre al di sopra della media per classe e scrittura.
Ora, con il ritorno dopo l’inaspettato successo del loro precedente album, il bellissimo ed evocativo Wonder Days di due anni fa, i Thunder ci hanno ripreso gusto e tornano con questo nuovo disco fresco di stampa, il numero undici.

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Lioncage – The Second Strike – Recensione

31 Marzo 2017 3 Commenti Nico D'andrea

genere: AOR/West Coast
anno: 2017
etichetta: Pride And Joy

Nella battaglia delle Labels che scuote la galassia AOR sembra esserci un solo ed unico vincitore.
I pianeti stanno per esplodere, fagocitati dalle valanghe di pubblicazioni impossibili ormai da monitorare nel loro insieme.
Con uscite del livello di Pride Of Lions, Tokyo Motor Fist e Lionville (e non si è ancora chiuso il primo trimestre dell’anno) l’impero di Frontiers sembra non avere davvero più rivali.
Eppure c’è ancora vita in piccole colonie come AOR HEAVEN (titolare dell’eccelso ritorno dell’ex Alien Jim Jidhed) ed in quella della vicina ed attivissima Pride and Joy.
L’etichetta basata ad Aschemberg, già lo scorso anno aveva svolto un’eccellente lavoro di promozione e distribuzione per Closer To Heaven dei “nostri” Danger Zone e con puntualità ci fa oggi pervenire in redazione la promo di questi misconosciuti Lioncage.
Non annotiamo infatti nella lunga lista di musicisti (tra ospiti e formazione base) elencati nei crediti del disco alcun nome di spicco, se non quello del plurititolato chitarrista americano Tim Pierce (presente comunque alle chitarre in un solo brano).

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Bonfire – Byte The Bullet – Recensione

27 Marzo 2017 7 Commenti Nico D'andrea

genere: Melodic Rock - Melodic Metal
anno: 2017
etichetta: UDR

Arriva senza grande preavviso questo nuovo album dei redivivi Bonfire.
Fresca di un nuovo contratto con UDR Music (già “casa” di Top Acts come Europe,Saxon e Motörhead) la band di Hans Ziller scende quindi dal treno “in fiamme” allestito a fine gennaio per la promozione della nuova release, pronta ad imbarcarsi nella prossima tournée europea di Aprile.
Registrato in mezzo alle numerose date del precedente tour, Byte The Bullet presenta diverse importanti ed interessanti novità.
Con l’abbandono del vocalist americano David Reece, il gruppo perde quelle sfumature hard-blues che avevano caratterizzato l’ottimo precedente Glorious, irrobustendo le proprie nervature Metal come mai accaduto in passato.

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Viana – Viana – recensione

24 Marzo 2017 11 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2017
etichetta: Street Symphonies Records

Una bella storia tutta italiana, come solo la musica sa dipingere, quella che ci regala questo nuovo progetto portato in grembo dalla piccola, ma sempre più prolifica in territorio Melodic Rock e Hard Rock, Street Symphonies.
Parliamo di VIANA, progetto del chitarrista Stefano Viana, che se siete abituali frequentatori di queste pagine già conoscerete (qui l’anteprima di alcuni pezzi).
Parlavamo di una bella storia, che però durante la sua gestazione ha visto momenti anche travagliati. Infatti l’album che ci troviamo tra le mani vede in realtà le sue prime luci all’alba del 2009 quando Stefano Viana, chitarrista con una passione per Randhy Roads e influenzato da band quali Whitesnake, Bon Jovi, Def Leppard, Ozzy Osbourne, Y&T e con alle spalle due dischi mai pubblicati ed un terzo in lavorazione, incontra Alessandro Del Vecchio (Edge of Forever, Hardline, Ted Poley… ) che da li in avanti prenderà parte alla gestione e produzione di questo primo album ufficiale a nome Viana.
Del Vecchio si prenderà carico dei testi, delle parti vocali e delle registrazioni dei pezzi incisi da Viana. I due si circonderanno quindi di validi artisti della scena italiana quali Anna Portalupi al basso, Alessandro Mori alla batteria, Gabriele Gozzi ai cori e Pasquale India alle tastiere.
Per motivi personali il progetto vedrà però da quel momento uno stop che durerà fino al 2016, quando Stefano Viana rimetterà finalmente mano a quanto iniziato nel 2009 e, con l’aggiunta della chitarra di Francesco Marras, si arriverà alla consegna di questo primo album marchiato Viana la cui copertina, per rimanere in ambito tricolore, è stata realizzata dall’artista italiana Aeglos Art!

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One Desire – One Desire – recensione

23 Marzo 2017 25 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Rock / Pop Rock
anno: 2017
etichetta: Frontiers Music

Chi segue queste pagine sa che ormai è da qualche mese che spingo questi nuovi One Desire, nuova “creatura” che ci regala mamma Frontiers. Li spingo praticamente da quando ho avuto la possibilità di ascoltare in anteprima tre pezzi di questa loro prima fatica (potete leggere qui le mie impressioni “a caldo”).
Inutile negarlo, per me è stato Amore a primo ascolto e come potete leggere dal voto in alto per fortuna non è stata solo una semplice infatuazione, ma i nostri hanno saputo mantenere quanto mi avevano promesso con quella succulenta anteprima.
Le basi di questa nuova band vengono gettate nel 2012 quando il batterista Ossi Sivula inizia a raccogliere musicisti intorno a se e a scrivere i primi pezzi. Nel 2014 avviene la prima svolta con l’incontro con il chitarrista Jimmy Westerlund (Negative, Sturm Und Drang, Joel Madden of Good Charlotte, Pitbull etc.), personaggio con un paio di lavori certificati platinum e gold (come produttore, chitarrista e songwriter) nel suo curriculum, e che sarà in grado di dare una nuova direzione musicale a tutto il progetto (che inizialmente si chiamerà solo O.D.).
L’amicizia poi tra Jimmy e quella splendida voce che è Andre Linman sarà poi l’aggancio che porterà la voce degli Sturm und Drang alla corte dei One Desire. Mentre l’aggiunta di Jonas Kuhlberg (Paul Di´Anno, Cain´s Offering, MyGrain) al basso sarà l’ultimo tassello per dare formalmente vita agli attuali One Desire!

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House of Lords – Saint of the Lost Souls – Recensione

22 Marzo 2017 24 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2017
etichetta: Frontiers Music

Gli ultimi giorni del mese di marzo 2017 ci regalano il ritorno dei sempre più attivi e convincenti House of Lords con il loro decimo album in studio, intitolato Saint Of The Lost Souls e in uscita nei negozi su Frontiers Music in data 24.

Ancora una volta registrato e prodotto dal leader del gruppo James Christian, il platter prosegue – a livello sonoro – sulla falsariga dei suoi predecessori, presentando suoni più grezzi e caserecci rispetto agli standard del mercato (che puntano in modo ben più netto verso la limpidezza sonora dell’insieme), ma migliorandosi nella amalgama degli strumenti, prima davvero deficitaria e oggi penalizzante quasi soltanto nel sound di una batteria ancora plasticosa e vuota all’ascolto. Tolte queste incertezze in fase di registrazione, Saint Of The Lost Souls si mette però in mostra come un album dalle grandi qualità, dotato di un songwriting di prim’ordine (molto vario e dal tipico tratto epico-sinfonico in grande spolvero) e di una eccellente prova strumentale dei musicisti, con Jimi Bell a tratti davvero indomabile alla chitarra (tanto che alcuni suoi riff si avvicinano quasi agli standard del metal melodico) e il nuovo bassista Chris Tristram autore di una performance solida in supporto alle pelli del bravo BJ Zampa. Appare così-così il solo James Christian, i cui vocalizzi restano ancora riconoscibilissimi ed eleganti come pochi, ma che suonano in verità un po’ più forzati che in passato, segno di un età che – per lui come per altri – piano piano avanza..

E’ allora il lotto di canzoni, undici in totale, a fare in questo caso la differenza, spingendo l’ago della bilancia decisamente verso un giudizio favorevole e meritevole della palma di release da tenere in considerazione per i pagelloni finali del 2017. Questo anche in virtù del saccente utilizzo che il gruppo fa delle basi di tastiere (suonate anche da Michele Luppi), oggi nuovamente in primo piano come non accadeva da tempo, o meglio dai tempi in cui un certo Giuffria militava nella formazione. E fin dalla partenza ci dimostra proprio questo l’opener, singolo e video Harlequin, la cui intro di tastiere, mamma mia, è da strapparsi i capelli dalla testa, per un pezzo che ci riporta indietro nel tempo di almeno vent’anni e che rimane impresso nella mente fin dal primo ascolto. Magistrale ed elegante è anche Oceans Divide, a cui segue la ottima mid-tempo melodica Hit The Wall, tra i brani più belli non solo del platter ma anche della carriera recente del gruppo per come sa combinare alla perfezione ricercatezza sonora e melodicità. Non delude certamente neppure la title track Saint Of The Lost Souls, una canzone più rocciosa ed eleborata nelle sue parti, ma non meno melodica delle precedenti, che apre alla dolce ballad The Sun Will Never Set Again, molto ispirata nelle sue atmosfere e di grande qualità compositiva.

Parlavamo di un disco dotato di un ottimo songwriting, ed ecco che è allora impossibile trovare tracce riempitive (o filler), tanto che la numero sei in elenco, la pomp New Day Breakin’, potrebbe tranquillamente valere le stesse parole di elogio date alle precedenti. E ancora, vale eccome il tempo di un ascolto una Reign Of Fire che, senza alzare troppo il ritmo, calca la mano sull’ottimo binomio chitarre e tastiere, lasciando spazio alla rocciosa e ottantiana Concussion e alla ottima Art Of Letting Go, quest’ultima forte di uno dei refrain più particolari del lotto. Chiudono infine l’opera la metallica e possente sinfonia di Grains Of Sand, e The Other Option, che cala il sipario concentrando la sua forza ancora sulle chitarre e sulle epiche tastiere.

IN CONCLUSIONE

Nonostante qua e là qualche forzatura vocale di James Christian e una produzione ancora una volta lontana dagli standard alti del mercato, Saint of the Lost Souls è un album di tutto rispetto e godibilissimo, che da continuità al buono stato di forma del gruppo, migliorando alcuni particolari del suo songwriting.

Un lotto di canzoni inedite che annovera alcuni dei migliori componimenti della band del recente passato. Decisamente, un must buy.

 

Dirty White Boyz – Down And Dirty – Recensione

21 Marzo 2017 5 Commenti Lorenzo Pietra

genere: Melodic Rock
anno: 2017
etichetta: Escape Music

Per capire la nascita di questo lavoro dobbiamo tornare nei primi mesi del 2016, quando Tony Mitchell (Kiss Of The Gyspy/Kingdom of Deadmen) ha iniziato a scrivere quello che doveva essere il suo 5^ album solista con l’etichetta XGypsy; l’idea iniziale era quella di tornare al sound AoR dei primi lavori, ma solo dopo una serie di cambiamenti e di chiamate ecco arrivare la decisione finale: pubblicare con la Escape Music e unirsi ad un “super gruppo” con Paul Hume e Jamie Cri alle chitarre, Nigel Bailey al basso e Neil Ogden alla batteria. Tutto questo cambiamento non poteva che portare anche ad un nuovo monicker…..ecco nascere i Dirty White Boyz e Down And Dirty.

L’insieme di questi musicisti e la penna di Mitchell hanno creato un mix di Rock Melodico, AoR e un pizzico di Hard Rock che non poteva che lasciare il segno. Suoni molto eightes, conditi con tocco di Metal, un pizzico di Blues, il tutto racchiuso nel classico Rock più orecchiabile.

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Night Ranger – Don’t Let Up – Recensione

19 Marzo 2017 7 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Hard Rock
anno: 2017
etichetta: Frontiers Music

Con 17 milioni di album venduti nel mondo, oltre 3000 concerti all’attivo, 1 bilione di ascolti stimati alla radio, ma soprattutto il traguardo raggiunto di 35 anni di carriera alle spalle, i leggendari Night Ranger ritornano con un nuovo disco di inediti, intitolato Don’t Let Up, in uscita il 24 marzo 2017 su Frontiers Music Srl.

Sempre fedele al passato storico di un gruppo indissolubilmente ancorato al tipico sound arena rock statunitense, il dodicesimo platter in studio di questi eterni giovani del rock sprizza energia da ogni nota grazie anche a una produzione curata direttamente dai componenti della band per dare ampio spazio alle chitarre indomabili di Brad Gillis, sugli scudi lungo l’intero minutaggio del disco, tra assoli mozzafiato e riff hard rock adrenalinici come pochi. La tecnica strumentale sopraffina dei Night Ranger viene fuori brano dopo brano, e ascoltando la sezione ritmica dei soliti Jack Blades e Kelly Keagy, fratelli nella creazione del grande groove e dei suoni profondi di cui gode il disco (completati dalle belle tastiere in sottofondo di Eric Levy), notiamo come questi siano uniti come non mai anche nell’alternanza delle loro splendide parti vocali, che sono la definitiva valvola di sfogo della grinta sempreverde della band americana.

Nel complesso siamo allora di fronte a un prodotto che suona sulla falsariga dei precedenti, tanto che risulta davvero difficile che un fan di vecchia data o un amante di questo genere musicale possano trovarsi in qualche modo poco partecipi di questo ascolto. Certo, se proprio vogliamo trovare qualche difetto possiamo notare una leggera involuzione nella varietà di un songwriting che, salvo in qualche occasione di cui diremo tra poco, tende a presentare sempre lo stesso sound di fondo, peraltro musicalmente meno melodico di altre occasioni e più incentrato sulla vena rock dello stile del gruppo. Ma, davvero, parliamo di sfumature minime che non mi sento di definire come penalizzanti ai fini del giudizio complessivo dell’opera.

Così, Somehow Someway è la tipica opener che ci aspetteremmo su ogni disco dei nostri, ovvero una traccia rapida e compatta, energica, con un bel refrain da cantare. Di contro, Running Out Of Time è un brano più radiofonico, ritmato e bombastico, con una melodicità più evidente nelle parti di chitarra e nel cantato delle strofe, che porta a un ritornello tra i migliori di questo lotto. La #3 in esame, Truth, ricorda un po’ alcuni motivi dei danesi D-A-D e ha un sound più moderno delle precedenti, mentre Day And Night picchia forte con il suo solido groove e le sue accese parti strumentali. Di un altro livello è decisamente la title track Don’t Let Up, il cui refrain da stadio basta da solo ad elevarla a una delle top track di questo lavoro, con Won’t Be Your Fool Again che invece torna a mostrare il lato più rock USA del gruppo, evidenziando qualche richiamo ai Lynyrd Skynyrd più recenti.

Al giro di boa, Say What You Want è un frizzante motivo hard rock di immediato appeal che, anche nel cantato, ha qualche richiamo ai vecchi inni del gruppo. E’ il turno poi di una intensa traccia melodica,We Can Work It Out, dal mood positivo e allegro, a cui segue la divertente Comfort Me, decisamente nominabile come altra hit di questo platter grazie al suo ritornello semplice e genuino. Alla pari di Jamie, altra traccia da novanta del disco (sentite le chitarre!!) che anticipa la chiusura affidata a Nothing Left Of Yesterday, bellissimo commiato rock melodico di un altro album dei Night Ranger meritevole di un posto nelle nostre collezioni.

IN CONCLUSIONE

Anche se i tempi d’oro della band sono ormai alle spalle, i Night Ranger continuano a tenere botta contro se stessi e conto gli altri, producendo l’ennesimo disco di spessore della loro immensa carriera.

Tecnica strumentale da vendere, ottime melodie, tantissima energia, immense vocalità e uno spirito di gruppo che non ha praticamente eguali: tutto questo sono i Night Ranger, tutto questo lo potete ascoltare in Don’t Let Up.

Eclipse – Monumentum – recensione

18 Marzo 2017 27 Commenti Giulio Burato

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2017
etichetta: Frontiers Music

Erik Martensson torna in sella ai suoi Eclipse, due anni dopo “Armageddonize” (qui la recensione), una delle uscite discografiche che più mi ha entusiasmato nel 2015, e dopo un anno dall’ottimo project album a nome Nordic Union (qui la recensione).
Torna in sella ad un cavallo ormai di razza visto che già con i precedenti lavori, “Are You Ready to Rock “ nel 2008 e “Bleed And Scream” nel 2012, aveva ricevuto ottimi consensi; per non parlare poi della recente partecipazione all’importante rassegna svedese “Melodifestivalen”, contest Tv per selezionare il partecipante all’Eurofestival. Un gruppo che sta quindi guadagnando, , album dopo album, spazio, visibilità e notorietà in Scandinavia e oltre confine.

Erik è mentore, fondatore, oltre che riconosciuto compositore e produttore a livello internazionale, di una realtà che può definirsi, in ambito hard rock melodico, una delle più belle ed innovative in circolazione. Affiancato alla chitarra dall’ottimo Magnus Henriksson, dal motore pulsante, l’altro Magnus, Ulfstedt al basso e da Philip Crusner, martellante e recente new entry alla batteria.
Tutto ciò fa sì che questo sesto album, intitolato “Monumentum”, abbia lo stesso effetto che può avere un sacchetto di gustose caramelle agli occhi di un bambino: sbalordito e desideroso del contenuto. Ecco, dunque, pronti ad addentrarci “a piene mani nel sacchetto”… ohps, scusate, a pieni padiglioni auricolari nella nuova release uscita sotto l’etichetta dell’immancabile Frontiers.

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Sainted Sinners – Sainted Sinners – recensione

18 Marzo 2017 1 Commento Luka Shakeme

genere: Rock'n Roll
anno: 2017
etichetta: El Puerto Records

L’amore primordiale per il rock ‘n roll sembra essere elemento comune a tantissimi artisti coinvolti nel mondo dell’hard ‘n heavy. Un genere definito più volte obsoleto seppur risulti bramato soprattutto da chi per i motivi più disparati ha costruito le sue fortune con band dal sound decisamente più roccioso. Quando si presenta l’occasione di metter su un progetto di grezzo e polveroso rock ‘n roll è bene lasciarsi ammaliare. E’ il caso dei teutonici Sainted Sinners che fra le proprie fila annoverano l’ex ugola degli Accept, David Reece; ugola che a dire il vero sposta l’attenzione su sonorità ai limiti del metal, proprio per il suo stile aggressivo e tagliente. E’ giunto il momento di spendere qualche parola sull’omonimo debutto.

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