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22 Ottobre 2017 41 Commenti Nico D'andrea
genere: Hard Rock - Classic Rock
anno: 2017
etichetta: Hell And Back
Non c’è dubbio che gli Europe siano assorti a status di band leggendaria non solo per i loro trascorsi da “chart stormers” con il multi platinato The Final Countdown.
Il poderoso lignaggio tecnico ed un’invidiabile forma fisica e d’immagine li ha spesso portati a farsi perdonare più di un episodio dallo spessore compositivo non proprio trascendentale.
Giusto per lasciare un mio parametro personale ai lettori più indulgenti, l’amata band di Stoccolma aveva a mio avviso perso l’ispirazione già dal dopo Prisoners in Paradise per ritrovarla solo e parzialmente (eccezione fatta per l’ottimo Secret Society) nell’ultimo spiazzante War Of Kings.
Un lavoro che pur penalizzato da un songwriting altalenante, li catapultava in una dimensione che si spingeva oltre l’Hard Rock classico di ispirazione Rainbow dei primissimi lavori.
War Of Kings in almeno la metà della sua set-list, rimane infatti una convincente testimonianza del miglior Classic Rock che oggi si possa ascoltare.
21 Ottobre 2017 31 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Pop Rock
anno: 2017
etichetta: BMG
Con colpevolissimo ed enorme ritardo arrivo soltanto ora, a sette mesi di distanza dalla data di uscita (7 aprile 2017, BMG), ad ascoltare il nuovo e ottavo album dei pop rockers britannici Mike & The Mechanics, intitolato Let Me Fly.
Il disco, che è la seconda release registrata dall’attuale line-up del gruppo del co-fondatore dei Genesis, Mike Rutherford, schiera una formazione di tutto rispetto, che è riunita intorno ai due nuovi cantanti Andrew Roachford e Tim Howar, subentrati nel 2010 per sostituire il compianto Paul Young, deceduto improvvisamente nel 2000, e Paul Carrack, che ha lasciato nel 2004. Con loro, il bravo tastierista Luca Juby, il preciso batterista Gary Wallis e il chitarrista Anthony Drennan.
Il primo dettaglio fondamentale ad emergere dall’ascolto di questo nuovo platter è la sua produzione, molto più pop oriented e commerciale rispetto alle passate edizioni, e mirata a mettere ben più in risalto il groove e le basi di tastiere su cui si fondano i brani, piuttosto che la chitarra dello stesso leader Rutherford, sovente in secondo piano e concentrata sul solo accompagnamento melodico (nonostante qua e là sappia ancora emergere con grinta). Attenzione però, lungi da me definire questa scelta una critica, ma solo una precisa connotazione stilistica che il gruppo ha voluto dare a un disco decisamente convincente, orecchiabile, piacevole nell’ascolto, vario e allo stesso tempo omogeneo. E soprattutto composto e suonato da una combo di artisti che dal grande bagaglio tecnico, con i due nuovi cantanti che si cimentano entrambi in una prova vocale magistrale, decisamente emozionante e carismatica, e Rutherford e soci a seguire nell’accompagnamento strumetnale con classe e stile da vendere.
17 Ottobre 2017 3 Commenti Denis Abello
genere: AOR / Melodic Rock
anno: 2017
etichetta: Rockshot Records
Questi Freight Train mi incuriosiscono. Un colpo d’occhio ad una copertina che non fa nulla per nascondere la voglia di USA ed un’immagine globale della band che gioca tra richiami anni ’80 e ’90 a cui si aggiunge la personalità trasformista ed eclettiva della voce Ivan Mantovani bastano a farmi sperare in un profumo di originalità che spesso e volentieri quando si parla di AOR viene relegato su un piano secondario in favore di stereotipi ormai saldamente legati a questo genere di musica.
Prima di constatare se anche “musicalmente” il sestetto di questo Treno Merci (Freight Train tradotto in Italiano vuol dire esattamente Treno Merci) saprà portare una ventata di originalità è doveroso introdurre quella che a tutti gli effetti potrebbe giocarsi un ruolo importante tra le nuove leve dell’AOR (si si, tanto era inutile fare ancora il misterioso che il voto in alto l’avete già visto tutti e quindi sapete che mi sono piaciuti 😀 ).
Nati a Rimini nel 2015, I Freight Train, composti da Ivan Mantovani alla voce, Enrico Testi alle chitarre, Anton Bagdatyev alle tastiere, Lorenzo Pucci al basso, Andrea Cappelletti alla chitarra e Mattia Simoncini alla batteria, iniziano a farsi conoscere con l’azzardata, ma riuscita, cover di Anyway You Want It dei Journey, brano che ritroviamo riproposto anche in questa loro prima fatica ufficiale!
Vedendo la cover proposta direi che non è difficile capire dove puntano i Freight train, ma non fatevi ingannare perchè il loro sound è ben più che un AOR stereotipato alla Journey. I nostri riescono infatti ad aggiungere un tocco moderno e un carattere personale ai pezzi inediti di questo I. Merito degli arrangiamenti mai banali, del songwriting di alto livello messo in scena da Enrico Testi (autore principale di tutti i brani inediti presenti sul disco) e da una band che non lesina su talento e qualità complessiva.
Dopo quindi un intro d’atmosfera dal titolo non propriamente originale (The Beginning) ci si lancia a testa bassa in un terzetto di classe e livello che risponde ai nomi di You Won’t Fall, Into The Fire e Another Change. Tastiere e chitarre sempre ben presenti in tutti i pezzi, You Won’t Fall richiama una sorta di sound alla Toto ipervitaminizzato, Into The Fire se la gioca in territori hard rock di classe (Dokken style?) mentre Another Change è il brano più classicamente AORizzato del lotto con una gran prova vocale di Ivan Mantovani.
A questo punto entra in scena la prima cover proposta. Here I Am infatti arriva diretta da Swedish Idol. Brano presentato dall’artista Petri, nella versione dei Freight Train acquista potenza e vitalità grazie ad una sezione ritmica più vigorosa mitigata però da un lavoro di tastiere levigato e d’atmosfera.
Centro pieno sulla (semi) ballad Somewhere, Someday in cui ancora una volta arrangiamenti azzeccati uniti ad un gioco delicato di tastiere, voce e chitarre mostrano il potenziale di primo livello che la band può mettere in scena. Un brano che entra in circolo lentamente nota dopo nota, parliamo di roba di una certa classe!
Dopo l’intro ancora un brano strumentale, The Prelude riporta alla mente frammenti dell’album Flamenco a Go Go di Steve Stevens (1999) e rilancia verso l’ultimo (aimè) inedito del lotto proposto. Reach For The Stars mostra il lato “moderatamente” heavy della band!
A riportarci in territori nettamente AOR ci ripensa la cover di uno dei classici del genere. Con uno sprezzo del pericolo non indifferente la band si gioca la sua credibilità sulle note di Any Way You Want It dei Journey. Partita vinta per un pezzo riarrangiato in perfetto Freight Train Style che non tradisce l’originale e che ne risulta… originale. Di primo piano la prova della band e soprattutto la “credibilità” vocale di Ivan in questo caso mai così a rischio di fallimento trovandosi al cospetto dei un mostro sacro quale Steve Perry!
In chiusura viene ripresa con una bella versione acustica il brano Into The Fire!
IN CONCLUSIONE
In un’italia AOR e Melodic Rock che se la gioca a livelli sempre più alti, i Freight Train meritano e si conquistano con questo I un loro posto nella partita. Solo sei pezzi originali più due cover e due strumentali potrebbero far un po’ storcere il naso, ma la qualità complessiva è elevata e la band mostra un tocco autentico ed originale che in pochi possono vantare al giorno d’oggi. Avrebbero meritato una produzione di maggior valore, e a farne le spese maggiori ne è forse la voce, ma siamo pur sempre al cospetto di un lavoro autoprodotto con l’intento di far conoscere il più possibile la band.
Date una possibilità a questi giovani ragazzi, perchè i numeri ed il talento non gli mancano e potrebbero stupire negli anni a venire! Promossi!
16 Ottobre 2017 9 Commenti Giulio Burato
genere: Modern Rock
anno: 2017
etichetta: Gain / Sony Music
In una partita a scacchi, c’è il bianco o il nero, il re o il pedone, la regina o la torre, il cavallo o l’alfiere; i Degreed sono una band che metaforicamente fa parte del gioco; non ci sono mezze misure; una mossa sbagliata e sei fuori; la loro musica è così, da dentro o fuori, ti piace o non ti piace.
I quattro svedesi nascono musicalmente in Svezia nel 2005 e propongono un modern rock unico e difficilmente paragonabile alle molteplici uscite in ambito hard rock melodico. Questo sicuramente è un pregio ma, nel rovescio della medaglia, può essere anche un boomerang poiché le canzoni possono essere, alla lunga, un anello di congiunzione dell’altra, senza variazioni di tema. In tal senso una piccola variazione può banalmente apparire nella copertina di questa quarta release, dove manca il titolo (self titled) e nel cambio di etichetta discografica: la band, composta da Robin Ericsson alla voce & basso, Mats Ericsson alla batteria, Mikael Jansson alle tastiere e Daniel Johansson alla chitarra, è stata infatti recentemente ingaggiata da Gain / Sony Music.
13 Ottobre 2017 6 Commenti Marco 'Rokko' Ardemagni
genere: Melodic Hard Rock
anno: 2017
etichetta: Frontiers Music
La commozione che Claus Lessmann, in occasione del FRF di due anni fa, non ha nascosto affatto, lo rende una bella persona, merce molto rara di questi tempi..
L’unione con Michael Voss (Casanova, Mad Max, più un sacco di altra roba…) ha generato una buona produzione gìà nel 2016, oggi tornano fra noi proponendo ciò che sanno fare meglio: comporre ed eseguire onestamente melodie dal sapore tipicamente teutonico…
10 Ottobre 2017 9 Commenti Marco 'Rokko' Ardemagni
genere: Hard Rock / Street Rock
anno: 2017
etichetta: Frontiers Music
I miei occhi bruciano ancora della performance che questi ragazzi terribili hanno sciorinato all’ultimo Frontiers Rock Festival… a dispetto delle loro primavere sono ancora Lo Street fatto persona!!
Ora tornano fra noi! Innanzitutto con una copertina (ormai sapete che le cover sono la mia passione…) Degna del loro nome, vediamo la ciccia.
10 Ottobre 2017 0 Commenti Luka Shakeme
genere: Aor, Hard Rock
anno: 2017
etichetta: Fame Of Poets Records
Il progetto di cui mi accingo a parlarvi nasce nei primi anni ’90 ma come spesso accade per le vicissitudini più disparate, vede arenarsi sogni di gloria e prospettive magari importanti. E’ il caso dei greci Raw Silk che dopo l’ottimo riscontro di critica ottenuto con “Sik Under The Skin” mollano la presa e per lunghi anni piombano nel silenzio più assoluto, fino ad arrivare ai giorni d’oggi con la produzione di un secondo full lenght, “The Borders Of Light”.
08 Ottobre 2017 29 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Melodic Hard Rock
anno: 2017
etichetta: Frontiers Music
Light In The Dark è il titolo dell’attesissimo secondo album del super-gruppo melodic rock Revolution Saints, composto da un trio di musicisti incredibili come Deen Castronovo, Jack Blades e Doug Aldrich, con Alessandro Del Vecchio ancora una volta nella veste di produttore tutto-fare del disco.
Disponibile dal 13 ottobre 2017 per Frontiers Music e registrato nella sua maggioranza negli studi di Del Vecchio a Somma Lombardo, il platter riesce nell’arduo compito di confermare il livello compositivo del debutto targato 2015, migliorandone a mio avviso sensibilmente la coesione delle parti e la qualità generale del songwriting, oggi molto più vario e compatto. Eh sì, perchè l’essere passati da essere un progetto in studio, a essere una band a tutti gli effetti (ricordiamo a proposito il bellissimo show al Frontiers Rock Festival dello scorso anno), ha giovato eccome ai Revolution Saints, che ora si trovano a meraviglia in ogni fraseggio e in ogni passaggio strumentale. Inoltre, Deen Castonovo appare oggi molto più sicuro di se stesso al microfono, molto più energico e convinto delle sue eccezionali doti vocali, e il supporto che gli viene fornito da Jack Blades ai cori (e allo strumento) è determinante alla riuscita dell’insieme tanto quanto la grande grinta con cui Doug Aldrich affonta le sue parti di chitarra, che regalano (finalmente) al disco ampie dosi di gusto e melodia, oltre che una prova tecnico-strumentale davvero importante (in definitiva: un Doug così in forma in parti rock melodiche non lo sentivamo dai tempi dei Lion).
08 Ottobre 2017 19 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Hard Rock
anno: 2017
etichetta: Cooking Vinyl/Edel
Ritornano nei negozi i The Darkness con Pinewood Smile, il loro quinto album di studio uscito il 6 ottobre 2017 per Cooking Vinyl/Edel, forti del loro immancabile e inconfondibile stile hard rock anni ’70, che da sempre si ispira a mostri sacri come AC/DC, Led Zeppelin, The Queen e Van Halen.
Scritto a Putney, registrato in Cornovaglia e prodotto da Adrian Bushby (già al lavoro con Foo Fighters e Muse), il disco contiene (e in parte rielabora) tutti i tratti distintivi della musica dei Darkness, che hanno recentemente accolto in gruppo Rufus Tiger Taylor, il loro nuovo batterista e seconda voce. Non mancano infatti i ritornelli melodici e tutti da cantare che hanno reso così di successo la musica dei fratelli Hawkins, con Justin alla voce e alla chitarra che sembra definitivamente ristabilito dal lungo periodo di rehab, e torna ora a farci divertire davvero con il suo immancabile falsetto e le sue belle schitarrate hard rock al fianco del bravo Dan. Immancabile anche l’apporto di groove del sempre presente bassista Frankie Poullain, adesso supportato da un Taylor davvero in forma alle pelli, ben integrato all’interno del suo nuovo gruppo, e in ampio risalto con le sue belle ritmiche.
Quello che cambia rispetto all’imponente passato storico con cui la band deve da sempre confrontarsi (ricordiamo a proposito il successo che avevano avuto i primi due album, in heavy rotation persino su MTV, e da allora mai più bissato) è allora soltanto il modo di porsi all’ascoltatore, che è ora forse meno immediato (manca infatti ancora l’istantanea orecchiabilità delle canzoni) ma allo stesso tempo più maturo, con dieci brani più elaborati che necessitano di almeno un paio di ascolti completi per essere del tutto compresi. E così positivamente valutati.
02 Ottobre 2017 6 Commenti Nico D'andrea
genere: Hard Rock - Classic Rock
anno: 2017
etichetta: Mascot Label Group
Black Country…il Territorio Nero approssimativamente circoscritto intorno alle West Midlands inglesi.
Un’area geografica soffocata tra le coltri di fuliggine , prodotte dall’intesa attività siderurgica e mineraria che si concentrava un tempo tra i distretti di Birmingham e Wolverhampton.
Da quell’area provengono Jason Bohnam e Glenn Hughes, uniti in “comunione” agli Yankees Joe Bonamassa e Derek Sherinian da Kevin Shirley, produttore è vero mentore di questo granitico sodalizio anglo-americano.
Dalla Black Country provengono inoltre i due Led Zeppelin Robert Plant e John “Bonzo” Bohnam ma i traits d’union tra la “Comunione “ed il famoso dirigibile non sono solo territoriali e “di sangue”.
Il sound dei Black Country Communion è figlio naturale della grande tradizione Hard Rock britannica e sin dal primo omonimo capitolo (BBC 2010), sembra essere stato forgiato tra incudini e presse metallurgiche di fragorosa potenza.
L’eredità lasciata loro da Led Zeppelin (in primis) e Deep Purple è quindi più che legittima.
Se poi l’ambizioso titolo di “IV” volesse ricondurci ad un illustre paragone…beh nessuno oggi più dei Black Country Communion avrebbe la forza ed il pedigree per sostenerne il peso.
È così che a 5 anni dall’uscita dell’ultimo Afterglow (per il sottoscritto picco compositivo di una trilogia discografica di spessore assoluto) il super gruppo guidato da Kevin Shirley ritorna con il miglior tributo ai Led Zeppelin che i fans del Classic Rock potessero desiderare.