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W.E.T. – Earthrage – Recensione

19 Marzo 2018 87 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Rock
anno: 2018
etichetta: Frontiers Music

L’attesa è ormai finita. Tra pochi giorni, e più precisamente il 23 marzo 2018, la Frontiers Music distribuirà nei negozi di tutto il mondo il nuovo album degli W.E.T., uno dei più famosi super-progetti melodic rock del nuovo millennio capitanato da Robert Sall (la “W” che viene dai Work of Art), Erik Martensson (la “E” dagli Eclipse) e Jeff Scott Soto (la “T” dai Talisman), con l’aggiunta del chitarrista Magnus Henriksson e del batterista Robban Back.

Earthrage, questo il titolo del disco, è un compendio perfetto di tutti quei suoni e di quelle melodie che gli amanti del rock melodico desiderano ascoltare. Decisamente superiore al suo diretto predecessore Rise Up, e praticamente in linea con i fasti del capolavoro d’esordio omonimo, il platter si avvale ancora una volta del sound in studio diamantino di Erik Martensson per presentare ai fans un rock corposo ed avvolgente, ricco di energie positive e di ritornelli e passaggi melodici di una orecchiabilità unica, capaci di stamparsi subito in testa, spingendo il fan a sessioni di ascolto anche ripetute. Totalmente privo di filler o di momenti di stanca grazie a un songwriting vario e di eccellenza, Earthrage ci spinge all’headbanging nei suoi momenti più hard rock, in puro stile Eclipse (e per questo guidati dalle corde potenti di un Martensson indiavolato nei suoi riff e nei suoi assoli, e ben supportato da Henriksson alla ritmica), e deliziandoci con lo stile raffinato delle tastiere di Robert Säll e con i vocalizzi magici di un Soto in grande – grandissimo – spolvero. Il tutto, con l’aggiunta fondamentale del groove sonoro dato dalle pelli dinamitarde di un sensazionale Robban Bäck, bombastico quando serve, e di contro raffinato e preciso quando il tutto si fa più lieve e soffuso.
continua

Dukes of The Orient – recensione

16 Marzo 2018 9 Commenti Max Giorgi

genere: AOR / Prog
anno: 2018
etichetta: Frontiers Music

La prima volta… la prima recensione. Come tutte le “prime volte” vengo accompagnato da un senso di eccitazione, ma anche ti timore. Con queste emozioni mi accingo a recensire questo lavoro. Emozioni che si amplificano, in quanto mi tocca parlare di una coppia di artisti di primissimo valore – JOHN PAYNE (ASIA, GPS) e ERIC NORLANDER (Last in line, Lana lane).
Un English gentlemen che ama l’AOR americano ed un Californiano cresciuto con il Prog Inglese. Quando si parla di Payne non si può fare a meno di menzionare il suo periodo (1992-2005) negli ASIA dopo l’abbandono di John Wetton. Con il ritorno di Wetton nel supergruppo, Payne forma gli Asia featuring John Payne a cui presto si aggiungerà il contributo di Eric Norlander alle tastiere. Dopo la morte di Wetton i due artisti decidono di cambiare il nome al progetto ed ecco che nascono i Dukes of the Orient. Diciamo che una chiara idea di ciò che ci si aspetta da questa band è più che lampante… un AOR/Prog di classe che sicuramente prende spunto e rende tributo agli ASIA.
Ok, gli ingredienti ci son tutti per aspettarci grandi cose… passiamo all’ascolto quindi!

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Sebastian Bach – La Mia Vita e gli Skid Row – Recensione

11 Marzo 2018 0 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Biografia
anno: 2018
etichetta: Tsunami Edizioni

Questa volta ci occupiamo di libri, e non di dischi, avendo avuto la possibilità di leggere in anteprima La Mia Vita e gli Skid Row, la biografia ufficiale di Sebastian Bach tradotta oggi in italiano dalla Tsunami Edizioni per la sua collana I Cicloni.

A soli due anni di distanza dalla sua prima pubblicazione USA, il titolo (che è da qualche settimana già disponibile nei negozi) è scritto direttamente dal palmo dell’ex cantante degli Skid Row e si sforza – per stessa ammissione dell’autore – di non censurare neppure una singola vicenda della sua vita personale, neppure le più scabrose, oscene, imbarazzanti o violente. L’esistenza perfetta – o imperfetta a seconda dei punti di vista – di una delle maggiori rockstar degli anni d’oro della nostra musica è qui narrata da un io molto riflessivo, spesso capace di mea culpa e sempre aperto al chiarimento, alla parla di scuse tanto quanto a quella di definitiva chiusura. Un aspetto, quest’ultimo, che aiuta a dare al lettore la viva impressione di essere egli stesso lì, assieme a Sebastian, a vivere una vita davvero al limite, tra usi spropositati di alcool e droghe, party estremi, risse e litigi, glorie e successi, concerti da mille mila spettatori, donne, sesso, lusso e tanta, tantissima, musica scritta, suonata, vissuta.

Un libro davvero sincero, questo La Mia Vita e gli Skid Row, che ci apre le porte al privato di Bach facendoci conoscere tanto la storia più intima della sua famiglia, quanto la verità dietro alle tante vicende che hanno visto il cantante protagonista delle cronache americane nel cuore degli anni’80. L’amicizia con Axl Rose, gli alti e bassi del suo rapporto con Jon Bon Jovi, la baldoria con i componenti dei Pantera, dei Motley Crue, dei Metallica, etc, etc, i perchè dietro la nascita – ma soprattutto la fine – degli Skid Row originali, sono solo alcuni dei punti cardine di una storia biografica che non ha davvero un attimo di respiro, e che è capace di tenere il lettore incollato alle bianche pagine per ore ed ore intere, bramoso di sapere come ogni vicenda andrà a finire.

Tutto questo, con l’importante obiettivo – rivelato dallo stesso autore sul finale del testo – di aver redatto sì un racconto capace di mostrare quella che era la vita di una rockstar negli anni più ricchi e felici della musica rock, ma anche una analissi di come questa esistenza debba per forza di cose adattarsi ai tempi di oggi (sicuramente meno ricchi e sfarzosi) e soprattutto a un’età adulta che porta a una differente consapevolezza di se stessi e, per forza di cose, a mutamenti fisici e mentali tanto evidenti quanto importanti. Con una importantissima rivelazione finale riguardo l’importanza dell’amore e degli affetti, di cui non vi svelo di più per non rovinarvi la lettura!

IN CONCLUSIONE

Sono sincero: prima della lettura di questo libro credevo che Sebastian Bach fosse un’altra di quelle rockstar altezzose e presuntuose, e lo immaginavo un antipatico, per dirla breve. Invece no, alla fine di La Mia Vita e gli Skid Row mi sono dovuto ricredere, riscoprendo non solo un grande artista, ma anche i contorni di una brava persona, coerente e fedele a se stesso quanto alla sua immagine pubblica.

Quindi, anche solo per quest’ultimo aspetto, consiglio caldamente la lettura di questa bellissima biografia. Una delle migliori che abbia mai letto nell’ambito musicale.

ReVertigo – ReVertigo – recensione

06 Marzo 2018 10 Commenti Giulio Burato

genere: Hard Rock
anno: 2018
etichetta: Frontiers Music

La lunga e consolidata amicizia tra Mats Leven e Anders WikStrom è la base su cui nasce questo nuovo project targato Frontiers: il primo, ugola graffiante, ex membro di band come At Vance, Treat, Candlemass e Y.J.Malmsteen; il secondo, chitarrista dei Treat.
Comune denominatore, un’unica parola: (appunto) Treat. Ebbene sì, i presenti ReVertigo pescano a piene mani dal loro stile degli anni ’80, aggiungendo dei tagli modernisti di hard rock scandinavo (Pretty Maids) e tratti velati di post grunge. A completare la band, il batterista Thomas Broman che, in passato, ha lavorato con Great King Rat, Electric Boys e Michael Schenker.
“ReVertigo” è un album che si discosta dagli schemi: suona diverso con un mood ricercato e dove la voce di Mats troneggia e scandisce le canzoni con maestria e una certa vena “metal”.

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Dante Fox – Six String Revolver – recensione

06 Marzo 2018 5 Commenti Denis Abello

genere: AOR / Melodic Rock
anno: 2017
etichetta: AOR Heaven

Cercate un buon album di AOR con una gran bella voce femminile. Ok, fermatevi qui perchè lo avete appena trovato! Parliamo della voce bella e potente di Sue Willetts, frontwoman degli storici Dante Fox!
Band nata nel 1989 dall’incontro tra Sue ed il chitarrista Tim Manford (che diventerà poi suo marito). Una serie di validi pezzi pubblicati nei primi anni, ma la “storia scritta” dei Dante Fox si può dire che parta nel 1996 quando la band pubblica Under Suspicion per la Now & Then Records.
Altri quattro album sulle spalle (The Fire Within – 1999, Under The Seven Skies – 2007, Lost Man’s Ground – 2012 e Breathless – 2016) ed arriviamo a questo Six String Revolver, seconda uscita della band pubblicata per la AOR Heaven.

10 brani nel più puro stile AOR / Melodic Rock sorretti da cori catchy, ritmi brillanti ed un duo Sue Willetts / Tim Manford che se funziona nella vita come su questo disco non avrà problemi ad arrivare alle nozze di diamante.
Si parte allegri sulle note di Firing My Heart, bella voce, immancabile solo di chitarra, basso ritmato e via verso la successiva rilassata Lonely. Su brani più lenti come questo la band riesce nettamente a dare il meglio di se.
Da qui in avanti lo stile dell’album è già ben definito e non aspettatevi stravolgimenti, si corre quindi sul filo di briose mid tempo (vere colonne portanti di questo lavoro) come Under The City Lights, Still Remember Love, Lost and Lonely Heart, All That I Need (notevole!), I Can’t Sleep, How Do We Learn About Love. Si affondano gli artigli solo sulla più rocciosa Remember My Name, ma sinceramente non è il territorio della band e personalmente il brano che meno mi ha colpito. Al contrario della emozionante ballad strappalacrime A Matter of Time in cui la Sue si lascia andare a vocalizzi in grado di frantumare vetri e bicchieri… e questo si che è territorio in cui la band sguazza felice! Ottima!

IN CONCLUSIONE

Una bellissima voce femminile, un album che non sa cosa sia la parola “originalità” ma che se la gioca alla grande su classici stilemi del miglior AOR / Melodic Rock. Se amate le voci femminili, se amate gli album suonati bene, se amate il più classico dei classici “AOR sound“… qui c’è tutto quello che vi serve per 45/50 minuti di vero godimento!

Reach – The Great Divine – recensione

03 Marzo 2018 4 Commenti Giulio Burato

genere: Melodic Modern Rock
anno: 2018
etichetta: Sun Hill Production

Ritornano i Reach con un nuovo album; esce sotto Sun Hill Production a tre anni di distanza dall’esordio discografico “Reach out to rock” (qui la recensione) e da alcuni singoli di buon appeal come “black lady” e la cover di “wake me up” degli Avicii.
il nuovo full-lenght scaturisce da un riasetto della band in cui non sono piu’ presenti David Jones al basso ed il vocalist Alex Waghorn.
il new trio si compone ora da Ludvig Tuner alla voce/chitarra, da Marcus Johanssson dietro le pelli, entrambi presenti nella prima line-up, da Soufian Ma’aoui al basso (houston) e si avvale della collaborazione di Tobias Lindell (europe, avatar) al mixer e di Jona Tee (h.e.a.t.) come produttore.
il materiale è composto da dieci canzoni scritte e cantate da Ludvig Turner; le registrazioni sono state effettuate al rocksta sound studio di stoccolma.

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Panorama – Around The World – recensione

03 Marzo 2018 3 Commenti Luka Shakeme

genere: Hard Rock
anno: 2018
etichetta: ROAR ! Rock Of Angles Records

Il progetto di cui mi appresto a parlarvi non nasce con la presunzione di voler scalzare nomi importanti della scena Hard Rock/aor ma come spesso accade fa parlare di se attraverso una qualità che talvolta latita in act più quotati. Il pluriaffaccendato Dennis Ward crede nel progetto Panorama e oltre a presenziare come Bassista confeziona “Around The World” in maniera impeccabile. Quando hai un uomo del genere in squadra la partita la porti a casa.

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Michael Kratz – Live Your Life – recensione

24 Febbraio 2018 0 Commenti Denis Abello

genere: Westcoast / AOR
anno: 2018
etichetta: Art of Melody Music / Burning Minds

Nome nuovo, almeno alle nostre latitudini, quello di Michael Kratz. Danese di origini, con un passato di spessore nel music business e che in patria ha anche assaporato il successo come batterista per la pop band Kandis!
Dopo un lungo lavoro e aver trovato casa tra le braccia della sempre più lungimirante e italianissima Art of Melody Music Michael si prepara a presentare sul palco internazionale il suo primo lavoro solista a titolo Live Your Life che se la gioca a piene mani tra AOR e Weastcoat in un misto di TOTO e Boulevard con un tocco qua e la di Pop Rock. Produzione di alto livello, un cast di ospiti di primo piano tra cui Steve Lukather, Michael Landau, David Garfield, Dom Brown ed il nostro Alessandro Del Vecchio il tutto unito ad un gusto unico per la stesura e l’arrangiamento dei pezzi… i presupposti per un disco che sappia far parlare di se ci sono tutti.

Presupposti subito mantenuti sulle note di We All Live In This Nation. La voce assolutamente particolare di Kratz unita alle chitarre di Michael Landau giostrano tra eleganza e raffinatezza sul primo centro di questo lavoro che vede anche le mani di David Garfield posarsi sulle sue note.
Live Your Life è un potente catalizzatore. Il ritmo di fondo è ammaliante, la voce di Michael rapisce mente i cori ci avvolgono su di un testo che fa riflettere. Altra tacca sul ruolino di marcia.
This Town Is Lost Without You, che può vantare un monumentale solo di chitarra a cura di Steve Lukather, è il pezzo capolavoro di questo particolare album. Travolgente ma delicato come la brezza del primo mattino, se amate queste sonorità tra westcoast e AOR non potrete non rimanerne affascinati.
La chitarra di Dom Brown è il punto focale della delicata e malinconica What Did I.. ?. Del groove irresistibile di Never Take Us Alive ne abbiamo già ampiamente parlato (qui se vi interessa ;)) e quindi voliamo diretti verso la successiva Game Of Love (Over And Over) ed il suo ritornello ultra radiofonico!
Lying è uno dei pezzi più introspettici, una delicata confessione che colpisce diretta come una coltellata… e a questo punto non resta che abbandonarsi sui raffinati tocchi di chitarra di Paradise Lost impreziosito dai cori delle sette giovanissime coriste del MidtVest Juniorkor.
Ultimi quattro pezzi che entrano in scena giocando tra il Pop Rock di Shade ed il radiofonico incedere di Bye Bye. Dying Young riesce a far stringere il cuore. Struggente lento che ancora una volta mette in mostra tutte le qualità di questo spendido lavoro firmato dall’Artista Danese.
In chiusura trova spazio anche un po’ della nostra Italia. Infatti le tastiere del brano In Between sono ad opera del nostro sempre più bravo Alessandro Del Vecchio!

IN CONLUSIONE

Un album che è uno spaccato di Vita e dell’Anima dell’Artista e Persona che è Michael Kratz. A tratti solare, a tratti malinconico ma sempre sorretto su pezzi in grado di emozionare e di arrivare a segno. Produzione Stellare così come gli Ospiti che si alternano tra un brano e l’altro. La voce di Michael si odia o si ama… ma credo sia più facile Amarla. Un album non convenzionale ma di grande eleganza e raffinatezza!

CoreLeoni – The Greatest Hits Part 1 – recensione

23 Febbraio 2018 15 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2018
etichetta: Frontiers Music

Se parlando dei CoreLeoni la prima ed unica domanda a cui cercate risposta è… perchè questo progetto? Bene, allora abbandonate pure la lettura, perchè dopo averci tanto riflettuto ho deciso che cercare un perchè era inutile (anche se qualche “sospetto“…) e quindi da qui in avanti non proverò neanche a rispondere a quella domanda.
Certo è che questi CoreLeoni, nati dall’incontro della mente dei Gotthard Leo Leoni e il piccolo (di statura) ma grande (di talento) vocalist dei Lord of Black e Rainbow Ronnie Romero, l’è ben strano…

… cioè pensare di omaggiare la propria band (ancora in attività) andando a pescare vecchi brani cuciti per la splendida voce del mai troppo compianto Steve Lee utilizzando un cantante diverso (Ronnie Romero) rispetto all’attuale cantante della band (Nic Maeder) è qualcosa che quanto meno sa veramente di strano.

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Shiraz Lane – Carnival Days – recensione

23 Febbraio 2018 23 Commenti Denis Abello

genere: Hard Rock
anno: 2018
etichetta: Frontiers Music

Ricordo gli Shiraz Lane, usciti nel 2016 con l’album For Crying out Loud (qui la recensione) come una band giovane e acerba, con un cantante (Hannes Kett) giovane e acerbo e con una serie di pezzi dalle buone potenzialità (molto Skid Rowiani della prima ora) ma… acerbi!
Non mi aspettavo quindi di ritrovare la band di Vantaa (Finlandia) a distanza di soli due anni completamente “desacerbata” ed in grado di piazzare un signor album sgrezzato dal lato ruvido che faceva da filo conduttore di For Crying out Loud a tutto vantaggio di un impatto sempre potente ma dal taglio nettamente più elegante e ricercato!

continua