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Tony Lewis – Out of the Darkness – Recensione

19 Agosto 2018 8 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Rock
anno: 2018
etichetta: Madison Records

Mentre tutto il mondo si concentra sulle notizie riguardanti il nuovo attesissimo album del cantante Steve Perry (ex Journey), un altro clamoroso ritorno nel panorama rock melodico globale rischia di finire in secondo piano. Qui mi riferisco al comeback sulle scene di Tony Lewis, l’indimenticata voce dei The Outfield, con il suo primo album solista Out of the Darkness, uscito a fine giugno 2018 per Madison Records.

Dopo la prematura scomparsa nel 2014 dell’amico John Spinks, con cui aveva condiviso tutta la carriera nei The Outfield componendo al suo fianco tutte le maggiori hit del gruppo, il ritiro dalle scene di Lewis sembrava ormai cosa definitva. Il musicista non aveva però mai smesso di lavorare a nuove canzoni e, con l’aiuto, il sostegno e l’amore della moglie Carol, ecco allora l’uscita di questo bellissimo primo disco solista, che si rifà fortemente alle sonorità dei The Outfield, questa volta però sfruttando una vena più intimista e totalmente incentrata sulla propria figura musicale. Interamente suonato e registrato dallo stesso cantante, il platter presenta così al pubblico dodici tracce varie e frizzanti, in perfetto bilico tra rock melodico e power pop, permeate di melodie anni ’80s e rese indimenticabili dal solito notevole apporto vocale e carismatico di Lewis, la cui voce appare sempre in perfetta forma e in grande spolvero negli acuti.

Al via con il divertente singolo e video Into the Light, che pesca a due mani nelle sonorità anni ottanta del gruppo di appartenenza, facendo da perfetta unione tra il passato e il presente dell’artista, l’album trova un’altra canzone clamorosa e dal mood positivo nelle note di Here And Now, sensazionale traccia-nostalgia degli anni d’oro della nostra musica, e un altro successo potenziale nel terzo brano Only You, che apre con una parte voce-chitarra intima ed emotivamente toccante, per poi sprigionare le solite energie positive nell’ariosità elettrica del suo refrain.

Compeltamente differente dalle precedenti è invece la romantica ballad The Dance of Love, che ci immerge in una atmosfera crepuscolare anni ’80 davvero unica, con All Alone che ritorna a presentare il sound dell’era d’oro dei The Outfield, e I’ll Still Be Here che si differenzia ancora con il suo perfetto stile garage rock. Sono tre ottimi brani che aprono a una nuova ballad a titolo Loving You, questa molto più intimista e solitaria della precedente, con la chitarra delicata di Lewis ad echeggiare nel silenzio assieme alla sua splendida voce.

Il power pop antemico ed energico di Melt The Ice separa l’ascoltatore da un altro momento romantico e solitario, con la chitarra acustica di Dreams and Wishes e la voce di Tony a disegnare vivide immagini emozionali in uno stellato cielo notturno. You Think That You Know Me accenna poi una piacevole orchestralità di sfondo su un pezzo dalle grandi energie, mentre la triste ballad Thank You (For Breaking My Heart) potrebbe facilmente essere paragonata ai fasti di una Love Is on the Way dei Saigon Kick o a una Fly to the Angels degli Slaughter per come sa arrivare diretta al cuore di chi ascolta. Da brividi! Infine, chiude il platter la divertente e dolce traccia acustica I Know, altro brillante tassello di un album solista da cinque stelle di un artista che proprio non poteva (e non doveva!) stare troppo lontano dai grandi palchi che gli competono.

IN CONCLUSIONE

L’entusiasmo per il grande e gradito ritorno di Tony Lewis porta con se non solo la gioia di rivedere attivo un così grande interprete della nostra musica, ma anche un album davvero riuscito, tra i migliori prodotti ascoltati in questo 2018.

Un disco che suona (finalmente) differente dagli altri, fedele al sound dei The Outfield, e capace di stupire brano dopo brano, nota dopo nota. Bentornato Tony!!

Hogs – Fingerprints – Recensione

19 Agosto 2018 2 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Hard Rock / Rock
anno: 2018
etichetta: Red Cat Records

Gli Hogs sono una band hard rock italiana – composta da musicisti del calibro di Francesco Bottai (turnista per Irene Grandi, Articolo 31), Pino Gulli (Dharma, Anhima e C.S.I), Luca Cantasano (dal 2010 nei Diaframma) e Simone Cei – che nel 2018 pubblica su Red Cat Records il suo secondo album Fingerprints.

Caratterizzato da un sound rock rilassante e mai troppo rumoroso, tra gli anni settanta e gli anni novanta della nostra musica (Led Zeppelin, Glenn Hughes e Primus su tutti), il platter è permeato da suoni funky, blues e rock’n’roll su di una produzione moderna ed avvolgente. Capace di mettere immediatamente in risalto la bravura vocale  del cantante Simone Cei, il disco diverte ed impressiona nella tecnica strumentale delle chitarre di Francesco Bottai, con Luca Cantasano al basso e Pino Gulli ad accompagnarlo con ampie dosi di groove e ritmo. La traccia d’apertura Man Size dimostra immediatamente le doti dei nostri su un brano vecchio stile e di forte impatto, mentre Stinking Like A Dog ha nella chitarra e nella vocalità melodica del suo refrain la sua pura marcia in più. Il divertente motivo di Mr.Hide apre alla quarta canzone Australia Summerland, componimento arioso, estivo e da viaggio, e a una Down To The River funky e bluesy in perfetto stile americano.

Another Dawn affianca ancora il funky al rock, e diverte nelle sue belle atmosfere antiche, con Man Of The Scores che apre con un groove alla Thin Lizzy, e scorre poi via frizzante e ritmata secondo lo stile retrò del gruppo. Il rock puro e melodico di Can’t Find My Home fa da pura hit al tratto finale del platter, seguito dal suono rilassante e soffuso di Jewish Vagabond e da una Don’t Stop Moving davvero elettrizzante con la sua vivace energia. Chiudono l’opera i variopinti sei minuti di Just For One Day, ottima ballad rock forte di piacevoli cori femminili di sfondo.

IN CONCLUSIONE

Fingerprints è un disco suonato benissimo ed interpretato con grande perizia tecnica ed energia. La grande voce di Cei e le belle parti strumentali guidano l’ascoltatore tra rock, hard rock, blues e funk, producendo un incontro e scontro tra anni settanta e anni novanta della nostra musica.

Bello!

3.2 – The Rules Have Changed – Recensione

10 Agosto 2018 13 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Progressive Rock / Pomp Rock
anno: 2018
etichetta: Frontiers Music

Correva l’anno 1987 quando il leggendario testierista Keith Emerson, il cantante e polistrumentista Robert Berry, e il batterista Carl Palmer, si incontrarono per la prima volta assieme, spinti dal celebre manager Brian Lane a fondare un supergruppo che fosse la perfetta risposta al grande successo che formazioni come gli Asia e i GTR stavano avendo in quegli anni sul mercato.

Nacquero così i 3, autori dell’iconico album … To The Power of Three uscito per Geffen Records nel 1988 e capace di piazzare il primo singolo “Talkin’ ‘Bout” alla #9 della importante classifica Billboard. Poi, proprio mentre la Geffen spingeva per la pubblicazione di un seguito discografico, l’insoddisfazione di Emerson nei confronti del marketing della stessa etichetta portò il progetto all’inevitabile scioglimento, nonostante fosse stata già ultimata la pre-registrazione di diverse tracce inedite (poi distribuite nel disco solista di Robert Berry, “Pilgrimage to a Point”).

Arriviamo così all’ottobre del 2015 quando Serafino Perugino, direttore della Frontiers Music, contatta Berry per proporgli la pubblicazione di un nuovo album dei 3. Riparte da qui la macchina del tempo, che porta Robert a ricontattare Keith Emerson con l’idea di sviluppare proprio quelle tracce mai ultimate tanti anni prima, questa volta sotto il moniker 3.2. La collaborazione tra i due si fa stretta e, tra vecchie musicassette, parti di tastiere registrate al telefono, e nuove lunghe conversazioni, i primi vagiti del nuovo album paiono sulla giusta via per essere professionalmente registrati.

Ahimè, la storia però riserva sempre un inatteso colpo di scena. Il 10 marzo 2016 Keith Emerson decide di togliersi la vita nella sua casa di Santa Monica, in California, terrorizzato dall’idea che la grave malattia debilitante di cui soffriva da tempo potesse renderlo incapace di suonare. Questo ennesimo racconto triste della nostra musica spinge però Berry a mettersi sulle spalle l’intero progetto musicale, nel tentativo di terminare da solo questo nuovo disco riservando così all’amico Emerson un giusto ultimo tributo musicale.

Esce così il 10 ottobre 2018 il disco The Rules Have Changed, interamente suonato, registrato, prodotto e mixato da Robert Berry ai Soundtek Studios di Campbell, CA, con il mastering a cura della George Horn Mastering di Berkeley, CA, e il songwriting a metà tra Berry e l’amico Emerson. Un platter dallo spiccato gusto prog rock, a tratti difficile e decisamente adulto, con quel suo stile complesso, raffinato e di nicchia che lo rende forse nell’immediatezza poco accessibile ai meno avvezzi alle sonorità prog settantiane, ma allo stesso tempo decisamente appetibile per i supporter di band come Emerson Lake & Palmer, Asia, John Wetton, GTR, etc. e del rock melodico tutto, grazie alla sua spiccata vena melodica e alla sua ottima produzione morbida ed avvolgente.

Al via con la difficile, malinconica e a tratti quasi jazzistica One By One, che ha nelle sue tastiere classiche e solenni alla Keith Emerson il suo massimo punto di forza, il disco trova il suo primo motivo decisamente orecchiabile con la sensazionale Powerful Man, una traccia singolo assolutamente coinvolgente, vecchio stile, ricercata e bella pomp nel suo sound, che avvolge l’orecchio dell’ascoltatore con le sue note calde e la preziosa vocalità di un Berry davvero in grande spolvero. La title track The Rules Have Changed appare come tra le più variegate e tipicamente progressive del lotto, antica come se fosse appena uscita da una macchina del tempo targata fine anni’70 / inizio ’80s, e suona come una delle hit massime dell’album assieme alla successiva Our Bond, gioiellino compositivo, delicato e denso di nostalgie, come di richiami al magistrale passato artistico di questo progetto.

Avanti poi con l’ottima What You’re Dreaming Now, carica nuovamente di tastiere e di un ritmo questa volta più frizzante, con la #6 in tracklist, a titolo Somebody’s Watching, che si evolve pomp ed epica ai massimi livelli, richiamando qui più gli Asia e John Wetton che gli altri sovracitati artisti d’influenza. Infine, la intima, per ampi tratti acustica e cantautorale This Letter lascia spazio al commiato affidato a Your Mark On The World, che come la traccia di apertura si fa forte di influenze progressive e classiche più marcate, puntando a una continua evoluzione artistica a uno sfoggio tecnico che lascia letteralmente a bocca aperta gli amanti del sound alla Emerson Lake & Palmer.

IN CONCLUSIONE

Il coraggio di Robert Berry di completare da solo quanto iniziato al fianco del compianto amico Keith Emerson premia il musicista e tutti noi con la realizzazione e distribuzione di un piccolo gioiellino prog/pomp rock vecchio stile, che esalta tanto il genio compositivo indiscusso di Emerson, quanto la perizia strumentale del suo unico musicista ed interprete.

The Rules Have Changed suona così come il perfetto coronamento del progetto 3. E’ un platter adatto a risvegliare le più forti nostaglie degli appassionati: maneggiare con cura! 😉

Grand Design – Viva La Paradise – recensione

02 Agosto 2018 13 Commenti Leonardo "Lovechaser" Mezzetti

genere: Melodic Rock
anno: 2018
etichetta: GMR Music

Maragli sì, e dannatamente fuori dal tempo… oh sì, i Grand Design lo sono di brutto! E sono anche vergognosamente derivativi, o possiamo anche dire una spudorata copia dei Def Leppard… oh sì, anche questo è assolutamente vero!
Tutto questo però non conta proprio niente! Perchè appena parte Face It la sensazione di divertimento puro mi pervade casa! Il ritornello mi esplode in testa, e non posso fare a meno di cantarlo ancora e ancora… sotto la doccia, mentre guido, mentre mangio, ovunque!

continua

Lipz – Scaryman – recensione

18 Luglio 2018 11 Commenti Denis Abello

genere: Glam / Sleaze Rock
anno: 2018
etichetta: Street Symphonies

Parliamoci chiaro, sappiamo tutti che in alcuni sottogeneri del Rock il “look” non è poi così importante (…come insegna un “campagnolo” Larry King della MTB al Frontiers Rock Festival 😀 )… ma in altri sottogeneri… gente, in altri sottogeneri o hai il look giusto o sei out (come diceva mia nonna che era un sacco avanti)!
Il glam sleazy hard rock stradaiolo selvaggio porta il concetto “…o Look …o morte” a livelli estremi e se ti getti in questo calderone musicale sai già che se non ti presenti bene (o male, a seconda di come la si guardi) ti sei già bruciato buona parte della tua credibilità… ebbene, i pittati, retizzati e e spandexati Lipz partono già con il piede (o il look?) giusto e buona parte del lavoro l’hanno già portato a casa.
Fortemente cercati e voluti da Stefano Gottardi, una delle menti dietro alla Burning Minds Music Group, e messi sotto contratto per la Street Symphonies i Lipz arrivano dalla sempre prolifica Svezia e lo fanno portando una ventata di aria fresca, frizzante e glammeggiante in un genere che sicuramente ne aveva bisogno!

continua

Signal Red – Under The Radar – recensione

16 Luglio 2018 1 Commento Max Giorgi

genere: Hard Rock
anno: 2018
etichetta: Escape Music

Dall’Inghilterra ci giunge questa nuova produzione a nome SIGNAL RED, creatura nata dalla collaborazione del chitarrista Steve Grocott (Ten) e del cantante Lee Small (Phenomena, Shy, Lionheart). L’idea di creare un progetto comune nasce già nel 2013 in cui I due costruiscono le prime fondamenta dlla band, iniziando anche a scrivere del materiale. La chiamata di Steve nei Ten però porta ad un interruzione del progetto che rimane così bloccato per diversi anni. Ma alla fine Steve e Lee riescono finalmente a trovare il tempo necessario per terminare di scrivere I brani e registrare tutto il materiale che troviamo in questa prima uscita ufficiale dei SIGNAL RED che si intitola “Under The Radar”. Nella presentazione ufficiale di questo lavoro la ESCAPE Music, dichiara che questo è “un rock album che chiede solo di essere ascoltato”:
ed allora procediamo con l’ascolto!!!!!!

continua

Gioeli-Castronovo – Set the World on Fire – Recensione

14 Luglio 2018 65 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Rock
anno: 2018
etichetta: Frontiers Music

Venticinque anni dopo il disco di debutto degli Hardline (Double Eclipse, 1992), il cantante Johnny Gioeli e il batterista/cantante Deen Castronovo tornano a lavorare assieme a un nuovo album, uscito a metà luglio 2018 sotto il moniker Gioeli-Castronovo, e con il titolo di Set The World On Fire, per la label Frontiers Music.

Il talento vocale di Gioeli, conosciuto nell’ambito del rock melodico per i suoi vocalizzi con gli Hardline, ma anche per i suoi lavori con gli Axel Rudi Pell e i Crush 40, incontra nuovamente quindi le abilità ritmiche di un Deen Castronovo sempre sugli scudi (ora è attivo con i Revolution Saints e The Dead Daisies), e per la prima volta in assoluto la sua perizia vocale, che per lungo tempo gli aveva permesso in passato di fare da corista e anche qualcosa di più mentre suonava le pelli coi Journey. L’incontro delle due vocalità, decisamente differenti tra loro, crea un tutt’uno che è il vero punto magico e irresistibile di un album davvero ricco di motivi rock/hard rock melodici capaci di impressionare ed appassionare gli ascoltatori. Merito questo anche dell’eccellente lavoro della truppa italiana di supporto, che vede un bravissimo Alessandro Del Vecchio alle tastiere (e produttore e aiuto-compositore del disco) affiancato da quel mito di Mario Percudani alle chitarre e dal super Nik Mazzucconi al basso.

Fedeli al loro reciproco passato storico, i due musicisti si presentano allora uniti di fronte alle platee al suono dei due singoli Set The World On Fire e Through, che potete ascoltare nei video a lato articolo. Sono due tracce straripanti, molto coinvolgenti, la prima con il suo divertente hard rock energico, la seconda con il suo sound più delicato e raffinato, rock melodico fino al midollo, che si lasciano accompagnare con stile da una Who I Am dagli echi journeyani, eccezionalmente interpretata sia da Castronovo che da Gioeli negli acuti, e caratterizzata da un bell’arpeggio acustico spagnoleggiante che fa qua e la capolino tra le melodie. Facciamo poi un tuffo negli anni’80 del genere con la classica Fall Like An Angel, forte di un lavoro ritmico e chitarristico davvero di primissimo livello (e che refrain!), mentre ecco il sapore delle ballad di Axel Rudi Pell con la soffice It’s All About You, interpretata a meraviglia da un Gioeli ancora in formissima.

Al giro di boa con la cover riuscita di un brano dei Lady Antebellum a titolo Need You Now, spazio allora alla orecchiabile e ritmata Ride Of Your Life (magico qui Castronovo, sia alla voce che alla batteria), e all’atmosfera pop anni’80 di Mother, tra i pezzi più particolari, belli e ricercati del lotto. La delicatissima ballad Walk With Me è un altro acuto emozionale e compositivo di questo ottimo disco, al pari di una Run For Your Life tutta tastiere e frizzantezza, per una canzone danzante che risente forte dello zampino di Del Vecchio. Infine la esaltante e gloriosa Remember Me chiude, assieme alla ballad gotthardiana e acustica Let Me Out, un platter vario, ben strutturato e composto, che festeggia al meglio questo ritrovato sodalizio tra due dei più celebri interpreti della musica tanto che amiamo.

IN CONCLUSIONE

Capace di crescere esponenzialmente con gli ascolti, Set The World On Fire si candida tranquillamente a un posto nelle classifiche degli appassionati di rock melodico in stile Hardline, Journey, Revolution Saints, Survivor, e così via.

La coesione sincera tra i talenti vocali dei due leader, e la bravura generale dei musicisti, unita alla varietà compositiva dei brani, sono i punti forti di un album destinato a riempire con le sue melodie queste nostre calde notti estive. Un must buy.

Guild Of Ages – Rise – Recensione

09 Luglio 2018 10 Commenti Luca Driol

genere: Melodic Rock
anno: 2018
etichetta: Escape Music

Diversi anni fa ho sofferto di attacchi di panico che si palesavano con un’improvvisa e insensata agitazione, seguita da tachicardia e dispnea; una sera uno di questi attacchi mi sorprese mentre mi stavo coricando. Mi ricordo che si presentò in maniera piuttosto forte, quindi decisi di utilizzare il potere terapeutico della musica: presi un cd, lo infilai velocemente nel lettore posizionato proprio nel mobile dietro la testata del letto, mi misi le cuffie, selezionai un brano, schiacciai il tasto “play” e dopo pochi secondi di musica quella sensazione di profondo malessere, come per magia, si dissolse. Il brano in questione era “Livin 4 Somebody Else” e l’album “Heat Of Emotion” dei C.I.T.A. (pessimo acronimo per Caught In The Act), che poco dopo, causa un’azione legale intentata da una boy band anglo-olandese, muteranno il moniker nell’attuale Guild Of Ages.
Potere della musica, di un coacervo di note che, in abili menti e mani, possono dar luogo a melodie e armonie in grado di emozionare e, talvolta, lenire i mali umani.
Da quel giorno ho sempre avuto un debole per questa band, autrice di almeno due eccellenti album, quello appena citato e l’esordio “Act 1 – Relapse Of Reason” e non nascondo una certa felicità nell’ascoltarne un nuovo parto discografico.
continua

THE SENIOR MANAGEMENT – Heart & Soul – recensione

09 Luglio 2018 0 Commenti Giulio Burato

genere: Rock / AOR / Country
anno: 2018
etichetta: MelodicRock Records

“L’alta direzione” aveva le idee chiare già al suo atto costitutivo: nell’estate del 2015 Il chitarrista Dennis Heltorp e il batterista Henrik Zetterlund crearono un sodalizio alla ricerca di nuove sonorità rock con influenze country e Aor. Cercarono subito di reclutare un top vocalist, pensando in primis a Tony Martin (Black Sabbath) e poi a Jeff Scott Soto (W.e.t.) ma solo in seguito trovarono il pezzo mancate del puzzle…. music-manageriale; la voce di Goran Edman (Y.J Malmsteen) sposava alla perfezione ciò che “Heart And Soul” oggi ci propone. Una proposta leggera e inconfondibile, con radici sì scandinave, ma con un “flavour“ country tinto di stelle e strisce.
continua

Graham Bonnet Band – Meanwhile, Back In The Garage – recensione

05 Luglio 2018 3 Commenti Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2018
etichetta: Frontiers Music

Graham Bonnet è di sicuro una delle voci più celebri e riconoscibili nell’ambito hard rock, dai trascorsi gloriosissimi, tra cui Rainbow, Alcatrazz e Michael Schenker Group. Bonnet torna con la propria band e un album solista di grandissimo impatto musicale ed emotivo.
continua