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Johnny Gioeli – One Voice – Recensione

15 Dicembre 2018 11 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Rock
anno: 2018
etichetta: Frontiers Music

Nato come tributo ai fans, ma soprattutto come stimolo per una raccolta fondi per il giovane Joe Barber, un ragazzo che lotta contro la paralisi dopo un brutto incidente, One Voice è il primo album solista della carriera del cantante Johnny Gioeli, conosciuto ai più per la sua militanza in gruppi come Hardline, Axel Rudi Pell e Crush 40.

Prodotto da Alessandro Del Vecchio per Frontiers Music, questo è un disco che vive di emozioni, e che alterna tracce riflessive e colme di sentimento, ad altri motivi più spensierati, energici, come inni di puro rock melodico. Molto personale sul piano compositivo (è scritto interamente da Gioeli) e lirico, e per questo ben lontano dal sound dei progetti madre (gli si avvicina in parte il solo Leaving the End Open degli Hardline), il platter mette ovviamente in primo piano la sempreverde e potentissima ugola di Gioeli, qui affiancata da un nutrito team di ottimi musicisti capitanato da Eric Gadrix alle chitarre (davvero in palla in molte di queste tracce), con gli italianissimi Nik Mazzucconi al basso, Marco Di Salvia alle pelli  e Alessandro Del Vecchio alle tastiere. Esaltato dai suoi bei suoni, l’album ci trascina lungo la sua tracklist con buona varietà e senza cali di ispirazione, risultando un ascolto leggero, di compagnia, sicuramente sempre piacevole.

A fare gli onori, ecco l’opener Drive, canzone tanto morbida nelle strofe quanto di impatto nel suo ottimo refrain corale. E’ uno di quei pezzi che resta subito impresso nella mente, al pari di It, componimento dal sound sognante e dal gusto moderno, che lascia spazio all’inno rock solidale della title track e traccia simbolo One Voice, tutta da cantare. La ritmata e compatta Mind Melt sembra fatta apposta per fare da colonna sonora di un viaggio, esattamente come Running, dal gusto pop rock moderno e un po’ bonjoviano. La chitarra crea poi splendide atmosfere nella mid-tempo intima Deeper, delicata e soffusa, a cui segue il rock deciso di una Let Me Know tutta grinta ed energia.

Ancora rock puro con Hit Me Once, Hit Ya Twice, che strizza un po’ l’occhio (con gusto!) ai primi Hardline, e poi delicatezza ed emozioni a non finire con la power ballad Price We Pay, che ci ricorda (se ancora ce ne fosse bisogno) della grandezza artistica di Gioeli. Sul finale, ecco ancora potenza sdonora con le belle chitarre di Out Of Here, prima che Oh Fathers faccia da commiato con lo stile soffice di un’altra magica power ballad, toccante e da accendino in mano.

IN CONCLUSIONE

Un uomo generoso, un compositore sempre pronto a sorprendere, certamente un incredibile cantante. E’ tutto questo Johnny Gioeli, permettetemi di dirlo, il più umano tra i grandi frontman della nostra musica.

Il suo primo disco solista non lo mette a nudo, come spesso accade quando un vocalist si getta in questo tipo di pubblicazioni. No, lo rende invece uno di noi, e lo fa esattamente nello stesso momento in cui lo riveste di un drappo d’oro e lo consacra come il gigante di cantante che realmente è.

In One Voice non esiste artifizio, ma solo passione vera. E’ un abbraccio in musica: grazie Johnny!

Kenny Leckremo – Spectra – Recensione

15 Dicembre 2018 77 Commenti Paolo Paganini

genere: AOR
anno: 2018
etichetta: IDIC Music

Vede finalmente la luce il fantomatico disco solista dell’ex cantante degli H.E.A.T. Kenny Leckremo.

Era il giugno 2015 quando la notizia cominciò a circolare ma abbiamo dovuto aspettare fino ad oggi per ascoltare il materiale inedito scritto insieme al fido compagno Dave Dalone. Nel promo fornitomi non vi sono schede che riportino cosa abbia combinato in questi anni Kenny e quale sia stata la genesi dell’album, quindi la mia recensione si baserà esclusivamente su quello che è il risultato finale di tanta fatica.

Premetto che attendevo con molta curiosità questa uscita in quanto la voce di questo paffuto (all’inizio) ragazzotto svedese mi è sempre piaciuta moltissimo e i primi due dischi degli H.E.A.T. rappresentano delle vere e proprie pietre miliari per gli estimatori della nuova scena melodic rock scandinava. Ma passiamo ad analizzare il cd. Se mi fossi fermato al primo ascolto avrei sicuramente stroncato il tutto perché non rappresenta per niente ciò che mi aspettavo. La varietà di stili proposti uniti alla poca incisività sonora potrebbero risultare davvero spiazzanti. Ogni traccia sembra essere un esperimento in cui Leckremo si mette alla prova con un genere diverso. Se da un certo punto di vista questo gioca sicuramente a suo favore, dall’altro finisce per confondere in maniera netta chi lo ascolta. Si parte subito piuttosto bene grazie allo spumeggiante AOR a tinte westcoastiane di 10 Yaers che potrebbe benissimo essere la sigla di una nuova serie di Baywatch. La seguente Nothing To Die For, il cui giro di chitarra sembra scritto e suonato da Mark Knopfler, si trasforma nell’inciso in un robusto melodic rock. Ok fin qui niente di troppo sorprendente ma già dalla successiva Where Do We Go si avverte che qualcosa sta per cambiare. Il brano è una bella ballata celtica che ricorda molto lo stile dei Ten più pacati. Lullaby parte piano per poi esplodere in un coro spettacolare che ne fa uno dei brani migliori del disco. I ritmi tornano a calare e We Were Young si presenta come uoa stiloso lentone in stile Foreigner mentre con Give Her Some Time il Nostro si cimenta in un sensuale blues. Con Vagabond si torna a rockare su un brano che insieme alla seguente White Lie sembrerebbero estratti da un musical. La ballata pop Losin mette in evidenza le doti vocali di Kenny mentre Walking On Madness somiglia ad una versione moderna degli ABBA. A confermare il carattere sperimentale dell’intero album è posta la conclusiva suite Spectra che racchiude in se molti degli aspetti proposti nelle tracce precedenti.

IN CONCLUSIONE:

Se avete la pazienza di non fermarvi al primo ascolto Spectra potrebbe riservarvi qualche gradita sorpresa. Se invece cercate un seguito di Freedom Rock… bhe evitate l’acquisto.

Ten – Illuminati – Recensione

10 Dicembre 2018 28 Commenti Lorenzo Pietra

genere: Hard Rock
anno: 2018
etichetta: Frontiers Records

A solo un anno dall’uscita di Gothica tornano i Ten con il nuovo lavoro Illuminati. Si tratta del quattordicesimo album in 22 anni di carriera, il che non è poco, ma nonostante questo ci troviamo davanti ad un ottimo lavoro, un ritorno al passato con un mix di melodie, epicità e ottimi suoni grazie anche al mixaggio e la masterizzazione del veterano Dennis Ward. Come sempre Gary Hughes si occupa di tutta la parte strumentale, anche se devo ammettere che la batteria in certi punti si sentre troppo che è finta e questo non va a suo favore, anche perchè avendo un gruppo di ottimi musicisti formato da ben 7 elementi, lascia perplessità su questa scelta. Anche la parte visiva vuole la sua parte ed infatti la copertina è decisamente una delle più belle dei Ten.

Si parte forte con gli oltre 8 minuti di Be As You Forever; una suite tra cambi di tempo, e melodie accattivanti. L’intro di oltre 2 minuti, la voce di Gary Hughes che ormai è marchio di fabbrica, gli intrecci di chitarre e tappeti di tastiere. Che inizio! Shield Wall è più “oscura” ancora le chitarre che duellano e un bellissimo refrain. Il secondo singolo The Esoteric Ocean, aggiunge alla formula Ten dei cori femminili ed è più easy, non perdendo minimanente la sua epicità. Jericho, primo singolo, è l’esempio di come i Ten riescano ad essere coinvolgenti, melodici e strumentalmente perfetti. Altro centro. Rosetta Stone è un lento con ancora Gary Hughes che interpreta perfettamente la parte fino ad arrivare alla title-track Illuminati; si parte con il pianoforte per poi esplodere in un bellissimo refrain ed un riff di alto livello. Heaven And The Holier-Than-Thou è un altro gran pezzo, più hard rock forse, ma con le solite melodie infallibili. Si cambia il registro con Exile, infatti ci troviamo davanti ad un AoR cristallino, un perfetto “stacco” da quanto fin’ora sentito, una song di grande classe. Mephistopheles torna su binari hard rock con un bel riff e un ritornello accattivante di facile presa. Si conclude con la ballad Of Battles Lost And Won. Pianoforte e voce che si accompagnano con i violini e gli archi in sottofondo. Le chitarre che aprono al ritornello e il grande assolo di classe. Stupenda chiusura.

IN CONCLUSIONE

A così poco tempo di distanza devo ammettere che non mi sarei aspettato un lavoro di alto livello da parte dei TEN; Illuminati è invece un disco di grande sostanza e qualità. Sfido chiunque a dire che non sia tra la Top Ten delle uscite di questo 2018. Da avere per i fan storici dei Ten, ed anche chi non li ha mai apprezzati potrà trovare delle ottime canzoni.

Red Dragon Cartel – Patina – Recensione

04 Dicembre 2018 10 Commenti Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2018
etichetta: Frontiers Music

Per gli amanti del classic hard rock, imperdibile appuntamento con il secondo album dei Red Dragon Cartel, super gruppo partorito dalla mente geniale del virtuoso ex – chitarrista di Ozzy Osbourne Jake E. Lee, autentica leggenda del rock targato anni ’80.

Sinuosa come un serpente, l’opening “Speedbag” si presenta subito all’ascoltatore come un brano di altissima qualità, inconfondibile e gradevole. “Havana” ha una cadenza coinvolgente, una ritmica aggressiva e da strada, perfettamente abbinata alla voce di Darren James Smith, suggestivo in ogni sua parte. Si passa rapidamente di virtuosismo in virtuosismo, arrivando alla superba “Crocked Man”, tosta e blueseggiante, pezzone nostalgico e dalla struttura musicale di altissimo livello. Con “The Luxury Of Breathing” si raggiungono nuovi orizzonti: psichedelica, folle, distorta, semplicemente rock, dotata di ogni optional e confort, un vero piccolo capolavoro. Gli animi si scatenano con “Bitter”, animalesca e tormentata, quadrata nella ritmica ma sfrenata del gusto e nello stile chitarristico, assolutamente godibile e crudele allo stesso tempo: una bomba. Introdotta da un crescendo strumentale, “Chasing Ghost” fa dell’intensità e della prepotenza le sue caratteristiche principali: complessivamente degna di nota la prova tecnica della band.

continua

Mass – When 2 Worlds Collide – Recensione

04 Dicembre 2018 0 Commenti Max Giorgi

genere: Hard Rock
anno: 2018
etichetta: Escape Music

Gentili lettori e lettrici di MelodicRock.it, oggi si vola negli States e precisamente a Boston, per raccontarvi dell’ultimo lavoro di una band che posso definire, senza paura di essere smentito, un’icona dell’hard & heavy a stelle e striscie: i MASS. Con più di mezzo milione di copie vendute, sono considerati una leggenda in USA ed hanno un numeroso stuolo di fans anche in europa. Basti pensare che nella loro carriera (che inizia nel lontano 1984), sono stat prodotti da Tom Allom (Judas Priest), Jon Mathias (Joe Cocker), Tony Platt (Cheap Trick / Led Zep) e Michael Sweet (Stryper) e sono stati in tour con Scorpions, Cinderella, Molly Hatchet, Tesla, The Ramones, Kix, Vince Neil (solo per fare qualche nome). When 2 Worlds Collide è l’ottavo album della band che viene presentato come un lavoro dal classico suono “melodic hard rock” che ogni fan del genere vorrebbe ascoltare. Ed allora passiamo all’ascolto!!!!!

Il disco apre le danze con “Just Can’t Deny” e nostri non più giovanissimi rockers bostoniani ci fanno capire che non hanno la minima voglia di scherzare!!! Potenza e melodia inchiodano subito l’ascoltatore e lo circondano di sonorità forse un po’ retrò (depp purple – rainbow) ma che sono un immenso piacere da sentire!!! Ok…..inizio ad avere ottime sensazioni. I 4 Bostoniani sembra non abbiamo la minima intenzione di scherzare! Quì si fa sul serio!!!!!!
Ed il secondo brano conferma le sensazioni. La velocità si riduce per far posto ad un brano (“Only a dream”) di intensa atmosfera ma comunque potente, con basso e chitarre sugli scudi (gran bel solo di Gene D’Itria)
Arrivati al terzo brano, sembra di essere su una macchina del tempo musicale. Le sonorità diventano più moderne e ne esce fuori Falling in love, bellissimo brano melodic rock. Mi permetto di fare una considerazione: ma quanto è bella la voce di Louis St August. Prova superlativa la sua!!
Si continua con la piacevole mid-tempo “Alive” per giungere alla prima (ed unica) ballad del disco: “Second hand Rose” ci da un po’ di respiro e ci fa godere di un brano dolce e melodico che ti permette di chiudere gli occhi e volare, con la fantasia, verso lande sconfinate. Ops, il viaggio dura poco. Con I suoni cupi e decisi di Turn it Over I Mass ci riportano sulla terra ferma fatta di sudore e Rock!!
Ed ora? Beh, alzate il volume al massimo e scatenatevi sulle note di “Revenge for the Maiden”, che possiamo definire un brano……alla Maiden!!!! Questo disco prosegue senza tregua e senza battute d’arresto con la potenza di Some Time Ago e la più melodica Stand Alone, brano che vede la partecipazione di un grande amico dei Mass (ne fu anche produttore): il grande Michael Sweet, che ci allieta con un ottimo guitar solo.
L’hard Rock melodico di “Time Marches On” ci traghetta verso l’ultimo brano del disco. La title track ci invita a partecipare alla sfida finale………i due mondi sono pronti allo scontro…..chi vincerà? Ci sarà un vincitore? Sta a voi scoprirlo ascoltando questo bellissimo lavoro.

IN CONCLUSIONE

When 2 worlds collide mi ha convinto fin dal primo ascolto. Ok! Magari i suoni sono un po’ datati, ed I brani non sono caratterizzati da incredibile originalità……..PAZIENZA!!! Questo è un disco suonato e cantato con il CUORE!

Buona produzione, testi curati! Ottimi musicisti! Belle canzoni!!!Non penso che ci sia altro da aggiungere. Anzi si. Questo lavoro è da comprare anche per lo splendido Artwork fatto dal nostro italianissimo Nello Dell’Olmo (una delle copertine migliori del 2018). Quindi? Che apettate?????? Let’s Rock

Blind River – Blind River – recensione

03 Dicembre 2018 1 Commento Stefano Gottardi

genere: Heavy Rock/Classic Rock
anno: 2018
etichetta: Autoproduzione

Nati nel 2017, i Blind River prendono a prestito il loro monicker da una tragica leggenda legata alla contea inglese di Kent, risalente al quindicesimo secolo. Sono formati da musicisti che hanno associato il proprio nome a quello di band dedite a sonorità metal estreme come Decomposed, The Earls Of Mars, Alzir, Godsized, Pig Iron e Hangnail. Qui, però, propongono del buon rock blues riletto in una veste più dura, fresca e attuale: se artisti come Great White, Cry Of Love, Badlands e Bad Company rientrano nel vostro canovaccio musicale, allora il quintetto britannico potrebbe inserirsi a pieno titolo nella lista di band a cui dedicare almeno un ascolto. Freschi di formazione, ma già ampiamente rodati su palchi di manifestazioni prestigiose come Hard Rock Hell, Desertfest e Bloodstock, e come support act di Grand Magus, Anvil e Warrior Soul, i Blind River giungono in fretta al traguardo del primo full-length. La copertina, nera e con il logo a ricoprirne quasi per intero lo spazio, ha un’impostazione ed un retrogusto vintage, così come tutto il progetto grafico (jewel case con tray trasparente e booklet a 8 pagine completo di foto e testi), che ben si sposa con il materiale contenuto nel CD. In una recente intervista per un noto magazine specializzato, il chitarrista Chris Charles ha dichiarato di aver scelto la via dell’autoproduzione dopo che alcune etichette avevano rifiutato il disco accusandoli di non avere un’immagine. Cosa vera forse solo a metà, perché se da un lato non c’è niente di teatrale o che possa essere immediatamente associato al gruppo nel loro look, dall’altro questi cinque capelloni barbuti non sembrano proprio fuori posto nelle foto dal vivo e nei video che si trovano in rete.

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Trench Dogs – Year Of The Dog – Recensione

03 Dicembre 2018 3 Commenti Stefano Gottardi

genere: Glam Rock/ Sleaze Rock 'n' Roll
anno: 2018
etichetta: Autoproduzione

I Trench Dogs si formano nel 2013, dopo un’impegnativa sessione di “heavy drinking” in un pub nel sud di Stoccolma, Svezia. Condividono la passione per il rock and roll e per band come The Heartbreakers, Hanoi Rocks, The New York Dolls e The Dammed. La line-up cambia alcune volte prima di stabilizzarsi e oggi è composta da tre svedesi (Mattias Johansson, chitarra solista, Daniel Ekholm, basso e Martin “Martini” Andersson, batteria), un inglese (Howard “Spides” Chapman, chitarra ritmica) e un australiano (Andy Hekkandi, voce). Dopo un EP, Fashionably Late del 2015, ed un singolo, Wine Stained Eyes dell’anno successivo, arriva il debut album Year Of The Dog, tributo all’astrologia cinese secondo la quale quello in corso è proprio “l’anno del cane”. Il CD è un classico jewel case con anacronistico tray nero, forse a voler sottolineare la natura volutamente old school del progetto. Analizzando il booklet è apprezzabile notare che i testi non siano infarciti di cavolate e luoghi comuni tipici del genere, ma piuttosto sembrino raccontare esperienze di vita vissuta, spesso in modo romantico e a volte persin poetico. Probabilmente avere un cantante madrelingua aiuta non poco in questo senso. Stilisticamente, come evidente dalla foto di copertina, il quintetto scandinavo omaggia certo rock di stampo sleaze Ottantiano. La loro musica è infatti riconducibile a quella di artisti come Faster Pussycat, Hanoi Rocks, Vain, Dogs D’Amour, Jetboy, Quireboys, con qualche richiamo al glam rock della precedente decade di T. Rex e Sweet.

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Nordic Union – Second Coming – recensione

19 Novembre 2018 9 Commenti Giulio Burato

genere: Meloric Hard Rock
anno: 2018
etichetta: Frontiers Music

Quando si parla di Erik Martensson possiamo pensare nell’immediato agli Eclipse ma anche alle sue molteplici collaborazioni col compianto Jimi Jamison, i vari Sinner, Issa, Toby Hitchcock ed altri ancora o alle varie presenze in progetti come W.E.T., Ammunition e, non ultimo, al presente Nordic Union in collaborazione al sempre verde Ronnie Atkins.
Partiamo proprio da Ronnie fulcro e cardine assieme ad Erik di questo progetto, ma contestualmente anche croce e delizia dello stesso. Delizia in quanto voce carismatica ed emblematica dei Pretty Maids e croce in quanto la sua stessa presenza vocale ci riporta innegabilmente al gruppo di origine. Questo però non significa che il connubio non funzioni, anzi, l’ibrido che nasce tra la moderna potenza degli Eclipse e la carica trentennale dei Pretty Maids funziona egregiamente. Fatto vuole che dopo il ben recensito debut-album, uscito nel 2016, siamo oggi a parlare del secondo capitolo, il “Second Coming”.
continua

Stephen Pearcy – View To A Thrill – recensione

19 Novembre 2018 1 Commento Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2018
etichetta: Frontiers Music

Torna con il suo progetto solista il roboante front man dei Ratt Stephen Pearcy, autentica icona del rock anni ’80, leggenda indiscutibile sempre pronto a stupire.
Si aprono i giochi con “U Only Live Twice”, brano che dalla prima nota ci riconduce immediatamente all’atmosfera hair metal/hard rock anni ’80.

continua

Hearts on Fire – Call of Destiny – recensione

19 Novembre 2018 18 Commenti Paolo Paganini

genere: AOR / Melodic Rock
anno: 2018
etichetta: Melodic Rock Records

L’etichetta Melodic Rock Records mette a segno un gran bel colpo grazie al debutto di questa ispiratissima band. Gli Hearts On Fire nascono nel 2017 per volontà del chitarrista Jean Funes (Sound Of Eternity) che recluta il suo vecchio amico Joel Mejia alla batteria ed il promettente Richard Andermyr alla voce. Le 10 tracce di cui si compone il cd sono un distillato di energia e melodia ispirata a mostri sacri quali Whitesnake, Survivor, Journey ma soprattutto Def Leppard. Questi ultimi emergono in maniera netta soprattutto nelle prime due tracce.

continua