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11 Settembre 2019 10 Commenti Paolo Paganini
genere: Melodic Rock / AOR
anno: 2019
etichetta: Frontiers Music Srl
Tra una pausa e l’altra con gli Harem Scarem Harry Hess riesuma il proprio side project First Signal che già in passato aveva ottenuto buoni consensi di critica e che arriva oggi al terzo capitolo. Avvalendosi della collaborazione di alcuni songwriter di grande spessore (Stan Meissner, Carl Dixon, Bruce Turgon, solo per citarne alcuni) Hess sforna un disco di AOR particolarmente piacevole che si rifà alle classiche sonorità di metà anni ottanta e ai primi album della band madre. Difficile trovare punti deboli nell’arco delle undici tracce proposte.
continua
03 Settembre 2019 0 Commenti Giulio Burato
genere: Melodic Rock / Hard Rock
anno: 2019
etichetta: AOR Heaven
“Non aspettatevi una produzione milionaria da Eighties”
Nelle conclusioni del precedente album ”Grab The Rocket”, giustamente, si sottolineava uno degli aspetti che possono incidere maggiormente sul giudizio di un album: la produzione.
Togliamoci subito il dubbio; nel presente “Greetings from Rocketland”, in uscita a fine Agosto tramite AOR HEAVEN , la produzione è migliorata, grazie anche all’intervento in cabina di regia dell’onnipresente Erik Martensson.
In questa seconda uscita discografica i svedesi Rockett Love si avvicinano maggiormente a sonorità di stampo teutonico, care a gruppi come Bonfire, MSG e Scorpions.
continua
03 Settembre 2019 0 Commenti Alberto Rozza
genere: Rock/Glam Metal
anno: 2019
etichetta:
Ispirati dal glam metal anni ’80, tornano alla ribalta gli scandinavi Mike Machine, capitanati dall’istrionico Michael “Mike” Lofqvist, ex leader della band power metal Cryonic.
Buona partenza con “Fight To Survive”, classico sia nei toni che nella struttura, dal refrain orecchiabile e corale. La title track “Alive” non decolla, nonostante nuovamente si riscontri un’eccellente collaborazione vocale della band e un discreto solo di chitarra in stile “Mission Impossible”.
continua
24 Agosto 2019 11 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Melodic Rock
anno: 2019
etichetta: Frontiers Music
Agosto 2019 è da ricordare come il mese delle grandi voci: esce infatti per Frontiers Music il nuovo album degli Unruly Child, formazione ormai più o meno stabilmente riunita dal 2010, che vede alla voce Marcie Michelle Free (conosciuta anche per i suoi lavori con i King Kobra e i Signal, e per alcune sue produzioni soliste), una delle ugole più apprezzate (in senso assoluto) dai cultori più appassionati del genere.
Al suo fianco sono ovviamente sempre presenti gli immensi musicisti Bruce Gowdy alla chitarra (Stone Fury, World Trade) e Guy Allison alle tastiere (Lodgic, World Trade, Doobie Brothers), di fatto i veri leader del progetto, che completano un terzetto tecnicamente sopra la media e tra gli storici del genere AOR, oggi ancora riunito per la realizzazione del pregevole disco Big Blue World.
Siamo di fronte a un platter – diciamolo subito – decisamente meglio prodotto rispetto al suo predecessore Can’t Go Home, che tanto soffriva invece con i suoi suoni piatti e poco dinamici. Qui invece – seppur senza raggiungere mai l’eccellenza – l’ascolto pare immediatamente più equilibrato ed amalgamato nel sound degli strumenti, con le chitarre che finalmente suonano davanti assieme alla voce e alle tastiere, sopra un buon groove di basso e batteria. Tutti i musicisti si riconfermano autori di prove ineccepibili: Bruce Gowdy colora il disco con le melodie della sua chitarra, e Guy Allison lo accompagna con altrettanta ariosità alle tastiere, permettendo alla Free di toccare le solite vette vocali senza mai sforzare la sua ugola, ma salendo gradualmente di tono con grande controllo e padronanza dei propri mezzi. Bene infine anche il songwriting, che porta a dieci tracce varie ed ispirate, nessuna di livello compositivo eccelso ma tutte piacevoli all’ascolto, e dotate di bei refrain melodici ed orecchiabili.
Apre il sipario Living In Someone Else’s Dream, una traccia costruita intorno a un ritornello di facile memorizzazione e a un bel gioco di chitarre e tastiere, che la rendono opener adatta a un disco come questo, con il suo essere frizzante e bella ritmata. All Over The World è invece un brano già meno diretto e più elaborato, ed è caratterizzato da una ottima chitarra, pura protagonista delle melodie. Dirty Little Girl pone invece maggiormente i riflettori sul cantato di Free, specie sulle strofe, e sui buoni arrangiamenti di tastiere, con Breaking The Chains a mettersi in luce nuovamente per gli arrangiamenti e per la sua bella atmosfera rilassata, al apri di una Are These Words Enough che è una carezza per le nostre orecchie, con il suo sound vellutato, classico, di grande raffinatezza.
Will We Give Up Today ha invece le caratteristiche tipiche della mid-tempo AOR, con qualche rimando chitarristico al sound dei Def Leppard ben riconoscibile sia nelle strofe che nel ritornello. Largo poi alla ballad piano-voce di Beneath A Steady Rain, intima e solitaria, egregiamente interpretata da Free, e che anticipa uno dei pezzi più esplosivi del lotto, The Harder They Will Fall, dal bel ritmo e groove, e con un cantato determinato, supportato da ottimi cori, e deciso al pari del resto degli strumenti. Chiudono infine il disco Down And Dirty, altro pezzo sostenuto da ottime prove strumentali, e da un sound più hard rock del predecessore, e la conclusiva The Hard Way, altra canzone ritmata che sigilla con la giusta energia questa nuova opera degli Unruly Child.
IN CONCLUSIONE
Senza particolari acuti, ma con un livello compositivo medio che si assesta su buone vette, Big Blue World suona come il secondo migliore disco degli Unruly Child dalla reunion ad oggi, secondo solo a Worlds Collide.
E’ sempre un piacere ascoltare la voce di Free, e sentire suonare i suoi compagni Gowdy e Allison. Tanto che, anche se i fasti del passato rimangono oggi giustamente un miraggio, ci sentiamo ampiamente soddisfatti di quanto ascoltato. Nonostante l’età, gli Unruly Child continuano a regalarci ottima musica.
17 Agosto 2019 30 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Melodic Rock
anno: 2019
etichetta: Frontiers Music
Adoro la voce di Larry King, è un dato di fatto. Sento il suo timbro vocale caldo ed esplosivo, il suo vibrato pazzesco, la sua estensione ed intonatura da manuale, e mi sento come sbalzato indietro nel tempo di almeno quindici anni, a quando ero ancora un adolescente alle prime armi nel mondo della musica che si sbatteva con tutte le sue forze per accaparrarsi le prime file dei concerti, così da poter urlare in faccia ai suoi idoli tutto il proprio amore ed affetto.
Ripensandoci, non sono stato del tutto onesto con voi. Sì, perché – cari miei – sarete sempre two steps behind al mio invecchiato fondoschiena se si tratta di un concerto di un artista che amo. Transenna is the way, dicono alcuni, e a trent’anni compiuti non cedo un centimetro, siete avvisati! E vi assicuro che per i Soleil Moon di Larry King mi metterei in fila alle dieci del mattino per avere la prima fila a centro palco, oggi ancor più dopo l’uscita del loro nuovo e stupendo album Warrior, da poco pubblicato dalla label Frontiers Music.
Warrior è un disco che ha al suo interno un tasso tecnico strumentale enorme, complici tizi quali John Blasucci (Dennis DeYoung) alle tastiere, Alan Berliant al basso, Khari Parker alla batteria, e un certo Michael Thompson come special guest in studio alla chitarra (in sede live abbiamo al suo posto Chris Siebold), che letteralmente hanno tirato giù lo studio discografico con il suono perfetto e dannatamente corposo e vivo dei loro strumenti. E poi c’è Larry King alla voce, di cui ho già ampiamente decantato le lodi, e che ci lascia anche qui letteralmente a bocca aperta con la sua capacità naturale e mai forzata di rendere ariosa, potente, vivace anche la canzone più canonica o strettamente legata ai dettami classici del rock melodico (con sfumature westcoast e talvolta sinfoniche) da cui questo disco dipende per sua stessa natura.
E allora via sulle note del primo singolo ’72 Camaro, un brano in stile westcoast AOR dominato dalla chitarra di Thompson e dal vocalizzo magistrale di King, che originariamente doveva apparire sul recente disco della Michael Thompson Band. E’ una ottima opener, che ci immerge perfettamente nel mood rilassato e rilassante di questo platter, e che ben anticipa il primo vero inedito Here For You, una traccia che esordisce silenziosa e quieta per acquisire via-via energia con l’intensificarsi del tocco sugli strumenti e con l’ampliarsi della gittata vocale di King. Lasciando spazio a una originalissima You And I, con il suo AOR che va a sfiorare il power pop degli anni’80 senza disdegnare alcune trovate moderne (gli effetti elettronici di tastiere sullo sfondo) che la rendono attuale e contemporaneamente classica.
Avanti poi con una nuova traccia soft, ma molto suonata e dotata di groove e bella gittata vocale, come Just So You Know, e con il tipico sound melodic rock dei Soleil Moon di Can’t Go On, una canzone che letteralmente esplode in un bellissimo refrain, tra i più musicali e orecchiabili tra quelli proposti. Halfway To Nowhere è invece una power ballad d’autore, e un brano intimo e delicato che mette sotto i riflettori la incredibile capacità di trasmettere emozioni della voce di Larry King, mentre la chitarra acustica di accompagnamento alla elettrica, e gli arrangiamenti preziosi, rendono How Long il pezzo più elaborato e ricercato a livello strumentale del disco.
Tutti in piedi, inizia qui la parte più intensa e ricamata del disco. Nothing Matters è una sensazionale ballad che gode di una delle migliori interpretazioni vocali di sempre di King, che esordisce cupo e roco lungo tutto la strofa principale per arrivare al ritornello improvvisamente a piena voce, intenso ed emozionale come non mai. Un brivido, che si riconferma di pari intensità anche in When I’m With You, altro brano soffice e di impronta quasi cantautorale, ma che gode di una produzione e di alcuni arrangiamenti che gli fanno dare un occhio alla modernità musicale pop odierna, senza ovviamente dimenticarsi del sound rock proprio dell’album. Ecco poi un’altra ballad a titolo Before The Rainbow, pezzo romantico ed incantato, davvero delicato e toccante, ricco di orchestrazioni di sfondo che ne ampliano la profondità e la potenza emozionale, e infine la title track Warrior, una canzone di commiato che sfrutta un tema caro al gruppo come quello dei soldati e della guerra (lo avevamo già visto in History Repeats Its Pages nel precedente album) per sviluppare un testo molto ispirato e riflessivo, ancora una volta interpretato con grande intensità dall’inimitabile frontman di questo progetto.
IN CONCLUSIONE
Tra le migliori uscite rock melodiche di questo 2019, Warrior dei Soleil Moon è un disco che mantiene costantemente alto il suo livello tecnico-compositivo, e che ci stupisce con un songwriting sempre vario, e maturo ed ispirato, nota dopo nota, traccia dopo traccia.
Lo so, sembra folle chiamare sottostimato un cantante che si è a lungo esibito con un gigante del calibro di Michael Thompson, ma uno che ha un timbro così esteso, così molti genere ed adattabile ad ogni sonorità, oltre che riconoscibile come Larry King non dovrebbe secondo voi esibirsi ovunque e con chiunque, invece che un paio di volte ogni 5 o 6 anni (se va bene)?! A voi la risposta finale.
08 Agosto 2019 8 Commenti Denis Abello
genere: AOR / Melodic Rock / Symphonic & Progressive Rock
anno: 2018
etichetta: Rockshot Records
Tanti ospiti, AOR & Melodic Rock con sfacettature Symphonic e Progressive, tre amici di vecchia data (Guido Ponzi – voce, Marco Bartoli – tastiere e basso, Emiliano Belletti – chitarre) e l’ambizioso progetto di portare su disco una Rock Opera.
Infatti Vision Quest si divide in due parti ben distinte in cui vengono raccontate la storia di Orion nella prima e di Avathar nella seconda e di cui non vi sveleremo di più per non togliervi il “piacere della scoperta” se non che, come si può intuire dalla splendida copertina (a cura dell’artista italiano Nello Dell’Omo), si parla di cavalieri, dame, battaglie, misteri e tradimenti.
24 Luglio 2019 19 Commenti Denis Abello
genere: Melodic Rock
anno: 2019
etichetta: Art of Melody Music / Burning Minds
Prendete le melodie ariose e spensierate di Hollywood Rocks (qui la recensione) ed unitele alla rocciosa tecnica messa in campo con Up For Anything (qui la recensione)! Buttateci dentro anche una miscelata di voce, quella di Dave “Rox” Barbieri, da far ricciolinare di goduria i peli sul petto ed ecco che avrete fra le mani il nuovo Begin Again dei Wheels Of Fire (e forse la recensione più breve della storia!).
Non scherzavo però, se conoscete i due lavori precedenti della band con le loro luci e ombre potete veramente fermarvi qua, perchè questo Begin Again è il sunto del meglio (solo luci, solo luci) di quanto la band abbia fatto fino ad oggi!
Se però nella vostra scoperta del Melodic Rock non vi siete ancora mai imbattuti nel nome Wheels Of Fire (Vergonnia!!!) questo è il momento giusto per sciorinare a piè pari un po’ di notizie su quella che al momento è una delle più stratosfericamente fighe interessanti band melodic rock a livello internazionale.
Gli italianissimi Wheels of Fire nascono dal combo Davide “Dave Rox” Barbieri (voce) e Stefano Zeni (chitarra) e nel 2010 danno alla luce l’album Hollywood Rocks, che porta alla ribalta il pezzo omonimo (tutt’oggi uno dei brani più belli scritti in Italia in ambito melodic rock), seguito nel 2012 dal più maturo e roccioso Up For Anything.
Arriviamo così ai giorni nostri e a questo Begin Again che riporta in auge lo stile più “Arena Rock” e puramente “Melodic Rock” (Lift Me Up, Tonight Belong To You, Done For The Day, Keep Me Close, You’ll Never Be Lonely Again) del primo lavoro ma mantenendo l’ottimo lavoro di chitarre (Zeni è ormai un chitarrista di sicuro spessore, Scratch That Bitch per credere) che era stato proposto con il secondo parto della band. Notevole poi la crescita vocale di Dave Rox Barbieri che, oltre a dimostrare di non essersi grattato i pollici le corde vocali in questi ultimi 7 anni, spara una prestazione al top e si posiziona come uno dei più validi ed interessanti vocalist melodic rock in circolazione.
Il resto sono cori nelle costole, riff sui denti che se la giocano tra il ruffianamento anni’80 e un più roccioso hard rock melodico (Heart Of Stone, Another Step In The Dark) e ballate nelle mutande (rigorosamente da strappare… For You, Call My Name).
IN CONLUSIONE
Begin Again è un mix di passioni, persone che sanno quello che fanno (e come farlo… oltre alla band come non citare un Roberto Priori sempre su alti livelli in fase di produzione), emozioni e cicartrici… serve altro per fare un Grande Album di Melodic Rock? Forse giusto una voce di livello “Bonjoviano” nel posto giusto (per noi) al momento sbagliato (per lui… se solo fossimo ancora negli ’80…).
24 Luglio 2019 4 Commenti Paolo Paganini
genere: AOR
anno: 2019
etichetta: Escape Music
Nello sport come nella musica quando certi fuoriclasse scendono in campo difficilmente sbagliano. Ok ora mi smentirete con una valanga di esempi ma posso assicurarvi che con i Lonerider andrete sul sicuro. A capitanare questa manciata di musicisti troviamo un ispiratissimo Steve Overland che sempre più spesso sembra trovarsi maggiormente a proprio agio con i propri side project piuttosto che con gli FM. Questo Attitude è un concentrato di classe ed energia a tinte rock blues che conquisterà un’ampia fetta di ascoltatori. Alle indiscusse doti canore di Steve (sembra che la sua voce migliori ed acquisti sempre più sfumature col passare del tempo!) si uniscono le chitarre di Steve Morris (Heartland, Shadowman) il basso di Chris Child (Thunder) e la batteria del mitico Simon Kirke (Free, Bad Company).
continua
09 Luglio 2019 27 Commenti Denis Abello
genere: Street rock / Melodic Hard Rock
anno: 2019
etichetta: Frontiers Music Srl
… e poi finirono gli anni ’80 e si portarono via uno dei più bei generi musicali che la storia ricordi… ma nessuno l’ha detto ai Crazy Lixx e noi ora ci troviamo sta figata di album per le mani!
No perchè diciamocelo subito… questi ragazzotti tracannano riff e melodie ganzose tamarre e sbragamutande manco fossero ubriaconi del paese alla locale festa della birra… e fidatevi che si parla di gente che butta giù litri e litri della bionda bevanda ad una velocità che a confronto Flash sembra una nonna con il deambulatore!
Penso abbiate capito che questo nuovo Forever Wild al sottoscritto sia piaciuto tanto quanto una bella tromb… il giusto!
Sarà che da quando sono entrati in formazioni Chrisse Olsson e Jens Lundgren alle chitarre la band sembra aver trovato un equilibrio perfetto tra stradaiolo, rock tamarro e melodic hard rock… sarà che i pezzi farebbero ricrescere i capelli cotonati a metà degli amanti (ormai calvi) delle sonorità hard rock da sunset boulevard… sarà che han spudoratamente copiato preso ispirazione da tutto il meglio che questo genere ha dato negli anni… ma questo nuovo parto dei Crazy Lixx ha il potere di infilarvisi nelle orecchie e non uscirne più.
Forever Wild è una cavalcata continua orchestrata su chitarre rombanti e batteria tonante su cui trova gioco facile la voce, tutt’altro che perfetta… ma perfetta per il genere, di Danny Rexon. Pezzi come Silent Thunder, l’aquila nell’intro di Eagle (il pezzo più figatamente melodic hard rock tamarro sentito negli ultimi 10 anni!!!), Terminal Velocity, la catchy It’s You finendo nell’epica e antemica Never Die (Forever Wild) sono il manifesto di un’epoca che ha ancora voglia di salire alla ribalta ma soprattutto di una band che si fa carico nel modo più giusto possibile di portare avanti quel genere che tanti invece vorrebbero morto e sepolto (e da incensare) al tramonto degli anni ’80
IN CONCLUSIONE
Never Die (Forever Wild)… e compratevi sto disco (possibilmente su RockTemple.it)!
05 Luglio 2019 8 Commenti Denis Abello
genere: AOR
anno: 2019
etichetta: Frontiers Music Srl
Se amate l’AOR e negli ultimi anni non avete vissuto da eremiti in un qualsiasi luogo sperduto di questo (o altro) pianeta probabilmente saprete benissimo chi sono i FIND ME… ma, per dovere di buon recensore, è giusto ricordare che parliamo di quella combo mortale che ha visto unire la voce idilliaca di Robbie LaBlanc (Blanc Faces) al talento sopraffino del produttore (e batterista) Daniel Flores (The Murder of My Sweet)… roba che le fatality di Mortal Kombat (giusto per rimanere in tema di combo mortali) sembrano “buffetti” da amanti coccolosi.
Bene, ma al terzo giro di boa la sola alchimia tra questi due pesi massimi può bastare a far volare in alto un lavoro dedido al più sano AOR? Se avete risposto Si siete dei cazz.ari esonerati dal continuare a leggere questa mia recensione, ma potete tranquillamente godervi quest’album, tanto qualsiasi parola io possa scrivere sarebbe superflua.