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Tony Martin – Thorns – Recensione

16 Marzo 2022 1 Commento Giorgio Barbieri

genere: Heavy Metal
anno: 2022
etichetta: Battlegod productions

Quando si parla di Anthony Philip Harford, meglio conosciuto come Tony Martin, bisogna fare un doveroso preambolo, questo signore è quello che ha risollevato le sorti della band che ha definito l’heavy metal. Sì, perchè nel 1987, quando entrò nei Black Sabbath allo sfacelo dopo la cacciata di Glenn Hughes, tutti i cambi di formazione e la scelta infelice di far uscire “Seventh star” a nome Black Sabbath, seppur “featuring Tony Iommi”, Tony arrivò e riportò il nome dei Black Sabbath dove gli spettava, grazie al suo approccio molto simile a quello del piccolo grande uomo Ronnie James Dio, del quale vocalmente sembrava un parente più giovane e poco importa se l’album del suo debutto “The eternal idol” fosse già stato registrato e addirittura cantato dal povero Ray Gillen, bravo, ma poco adatto, come Glenn Huhges, al sound dei Sabbath, lui sicuramente diede una spinta maggiore alla band e se ancora adesso, dopo 25 anni dalla sua uscita definitiva, risulta essere, chiaramente dopo Ozzy Osbourne, il cantante più longevo del gruppo di Birmingham, un motivo ci sarà! Ma non limitiamoci ai Black Sabbath, il buon Tony ha iniziato una carriera solista , che lo portò a pubblicare “Back where I belong” subito nel 1992, album dalle sonorità molto più consone all’audience di questo sito, pieno zeppo di ospiti eccellenti tra i quali Brian May, Neil Murray, Nigel Glockler e Zak Starkey, carriera che continua tuttora dopo il secondo album “Scream” uscito nel 2005, con il qui presente “Thorns”, che, dopo aver ricordato anche le altre notevoli esperienze di Tony, come The Cage, Empire, Giuntini Project e addirittura Candlemass, andiamo a sviscerare…. continua

Wolvespirit – Change The World – Recensione

15 Marzo 2022 2 Commenti Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Iron Will Records

Ambientazione alla Mad Max e rock sfrenato per i teutonici Wolvespirit, usciti ad inizio anno con un nuovo lavoro di studio carico e succulento.

Una combinata tastiere – chitarra evoca la prima traccia: “Don’t You Know”, dalla ritmica trascinante, si fa largo tra una trama corale e uno strumentale molto interessante. “Hell’s Bells Are Ringing” continua sulla stessa lunghezza d’onda, ovvero riff e voce taglienti e grande di unità di suono, con ogni strumenti cesellato al posto giusto. Arriviamo alla title track “Change The World” (della quale è rintracciabile anche un video su YouTube): mediamente lunga, dalle atmosfere oscure ed emotive, dal testo particolarmente evocativo, complessivamente un brano di grande impatto e decisamente piacevole. La successiva “Thunder And Lightning” è un pezzone tosto, dalla grande carica energetica, nella sua semplicità piacevolissimo dal primo all’ultimo secondo. Con “Strong Against The Wind” proseguiamo a spron battuto, con una verve epica e trionfante, sino alla successiva “Drown To Down”, anch’essa tambureggiante e arrembante, in pieno stile Wolvespirit. Finalmente arriviamo al lento del disco: “Fallen” si attesta, nella struttura e nelle sonorità, nella miriade di esempi canonici di questo tipo di canzone. Torniamo ai suoni distorti con “Time Is Running”, oscura e tenebrosa al punto giusto, dal tappeto strumentale pieno e corposo. Sempre sul filo dell’emotività incontriamo “Over The Rainbow”, dalla grande passionalità e intensità, una chicca piacevole e gustosa per tutti i palati, come la successiva “I Belong To You”, calda, suadente, commuovente, a suggellare un’accoppiata di grande impatto. Chiusura folle con “Crazy”, originale e fuori genere, che ci consegna un lavoro incredibilmente fresco, non banale nonostante tutto e che potrebbe essere interessante approfondire sia dal vivo che in prospettiva futura.

Ghost – Impera – Recensione

15 Marzo 2022 19 Commenti Dave Zublena

genere: AOR / Dark Rock
anno: 2022
etichetta: Loma Vista Recordings

Nota della redazione:

MelodicRock.it ringrazia Dave Zublena, storico mastermind e chitarrista dei Melodic Rocker Soul Seller nonché estimatore dei Ghost, per essersi prestato a questa grande recensione! Godetevela con noi!

Dopo quattro lunghi anni di attesa finalmente vede la luce l’attesissimo quinto album dei Ghost. La parabola ascendente della band svedese pare inarrestabile, passando dall’essere una band di culto osannata da pochi eletti fino al diventare una delle band più popolari del pianeta in grado di riempire le arene ovunque. E sono pronto a scommettere che l’apice della loro popolarità non sia ancora stato raggiunto perché le cartucce da sparare potrebbero essere ancora molte.
La crescita di popolarità pare essere direttamente proporzionale alla loro evoluzione musicale. Partiti nel 2010 con un’accattivante miscela di doom/stoner/goth rock di matrice Black Sabbath/Candlemass/Atomic Rooster, psychedelic-occult rock alla Blue Oyster Cult/Black Widow e una spruzzata di progressive “cinematografico” di chiara influenza Goblin, hanno man mano incorporato sempre più elementi nuovi nel loro sound che comprendevano un hard rock più levigato, sprazzi di riff heavy presi in prestito dal “black album” dei Metallica e una dose abbondante di melodia. Si sono spinti talmente avanti che con il loro ultimo EP del 2019, Seven Inches of Satanic Panic, si sono anche addentrati nel territorio del glam rock anni ’70 e dell’AOR primordiale.
Nonostante l’evoluzione costante, era però difficilmente pronosticabile un ulteriore balzo in avanti di queste proporzioni per la band di Tobias Forge. Infatti, nel nuovo album IMPERA, il doom rock degli esordi è solo un lontano ricordo (che fa ormai capolino in rari intermezzi strumentali) e la componente psichedelica è ridotta all’osso.
Quindi che genere suonano oggi i Ghost? continua

FIND ME – Lightning In A Bottle – Recensione

12 Marzo 2022 6 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers Music

Lightning In A Bottle è il titolo del quarto disco in studio dei Find Me, progetto melodic rock della label partenopea Frontiers Music che unisce il talento del compositore e pluristrumentista svedese Daniel Flores con la voce del cantante statunitense Robbie LaBlanc (Blanc Faces, ex-Fury).

Forte del contributo strumentale del bassista Jonny Trobro, del chitarrista Michael Palace, e del tastierista Rolf Staffan Pilotti, questo album non sfigura affatto all’interno della già corposa discografia di questo progetto, e risulta soddisfare tutti gli standard delle recenti produzioni AOR presenti sul mercato grazie a i suoi suoni di registrazione e produzione, decisamente molto curati. Come gran parte dei progetti studio di questi anni però, il disco pecca di una sostanziale mancanza di originalità. Infatti, dieci delle undici tracce qui proposte portano il tocco dello stesso compositore (il pur sempre bravo Alessandro Del Vecchio), ma questo tende a far assomigliare fin troppo le sonorità di questa registrazione con altre proposte della stessa label italiana, creando un continuo senso di déjà vu nell’ascoltatore, che va vanificare gli sforzi degli stessi autori di proporre tracce tutte varie tra di loro. Un peccato, quest’ultimo, che rosicchia diversi punti percentuali di un platter comunque giudicabile di alto valore, e forte di alcune tracce davvero ben riuscite ed egregiamente interpretate da un Robbie La Blanc in formissima vocale, e ancora capace di risultare come una delle migliori ugole del più recente ventennio di musica rock melodica.
continua

Rust N’ Rage – One For The Road – Recensione

11 Marzo 2022 2 Commenti Giulio Burato

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers

Frontiers lancia sul mercato i giovani talenti finlandesi Rust n’ Rage che curiosamente, spulciando nella formazione, si fanno chiamare semplicemente per nome (Vince, Johnny, Jezzie, and Eddy). Prodotti dal chitarrista Jimmy Westerlund dei One Desire, l’album “One For The Road” esce in data 11/03/2022.

La band attinge a piene mani dalla golden era dell’hard rock prendendo spunto da gruppi come Dokken, Motley Crue e Guns n’ Roses.

Se la copertina non è un gran biglietto da visita (un deja-vu non riuscito al meglio), le prime quattro canzoni raddrizzano decisamente il tiro. I due gustosi singoli “The future is for the strong”, con richiami a Eclipse e H.e.a.t., e l’iniziale “Prisoner”, sono il contorno alle anthemiche “One for the road” e la pulsante “Ghost town”.

L’altro singolo, primo in ordine di uscita, è l’up-tempo “Heartreaker”; ad una bella parte introduttiva con effetti blues della chitarra che esplode poi in una bella scarica di energia si contrappone un coro tendente al forzato.

La seconda metà dell’album non viaggia sugli stessi binari melodici della prima parte; ad emergere però ci sono “I’ve had enough”, la dinamitarda “The throne” e la conclusiva “Movin on”, canzoni di chiaro stampo “classic heavy rock”.

Da segnalare infine la struggente e acustica “Unbreakable”, in cui Vince ci fornisce una convincente prova vocale. Gran bella canzone.

 

FM – Thirteen – Recensione

05 Marzo 2022 35 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Hard Rock / AOR
anno: 2022
etichetta: Frontiers Music

Sinonimo di qualità con ognuna delle loro tredici pubblicazioni in studio, gli FM ritornano nei negozi nel marzo 2022 con il loro nuovo album Thirteen, interamente arrangiato e prodotto dall’orecchio attento della band londinese.

Forse meno di impatto al primo ascolto dei suoi diretti predecessori, il disco entrerà nel cuore dei fans appena carburato il suo motore. La benzina che lo alimenta? I 100 e più ottani dell’immancabile lavoro ritmico e di groove dell’inseparabile duo Merv Goldsworthy al basso e Pete Jupp alla batteria, ma anche un Jem Davis in grande spolvero con il suo tappeto di tastiere e synth, e un Jim Kirkpatrick veramente indemoniato alle chitarre, tra riff classici ed energici e assoli di pregievole fattura, che decretano un’ulteriore passo avanti nello stile di un musicista che ha davvero fatto passi avanti da gigante dal suo ingresso in gruppo ad oggi.
continua

D’Or – Veni, Vidi, Ignis – Recensione

04 Marzo 2022 0 Commenti Alberto Rozza

genere: Melodic Rock
anno: 2022
etichetta: Metalapolis Records

Disco di debutto per gli elvetici D’Or con “Veni, Vidi, Ignis”, caloroso e sfrenato, dalle visibilissime e ben poco celate influenze anni ’80.

Partenza affidata alla title track “Veni, Vidi, Ignis”, piena di carica e di vitalità, dal riff canonico e dai riferimenti ben in mostra, atti a richiamare dalla memoria dell’ascoltatore band e brani noti e iconici nella scena hard rock. Si passa alla successiva “Scream”, che attinge a piene mani dalla tradizione di Alice Cooper, sia nella graffiata parte vocale, sia nella parte strumentale, senza dimenticare le tematiche proposte nel testo. “Jack-In-The-Box” presenta sonorità più heavy e vicine a un certo periodo degli Skid Row, mettendo in mostra un altro lato della band e soprattutto il lato corale dei D’Or. Con “Future, Baby!” si percepiscono forti e chiare le influenze melodiche, all’interno di un brano ampio e arioso, dalle ritmiche taglienti e coinvolgenti. Arriviamo alla prorompente “Dancing”, molto classica nel riff e nella dinamica, un pezzone tosto e verace che strizza l’occhio a tutti gli amanti e i nostalgici degli anni ’80. Atmosfere più crudeli e sprezzanti con “Flashback”, che rimane coerente con l’ispirazione e lo stile della band svizzera. “Electric Shock” ci fa muovere e ci intriga con i suoi fraseggi strumentali, dimostrandosi una delle tracce più azzeccate dell’album. La citazione nel titolo e in alcuni passaggi strumentali ci svelano il mistero di “Mr. Madman”, buonissimo e tambureggiante pezzo che si getta nella successiva “Rage Unbound”, forte e metallara, sempre sull’onda lunga dei richiami ai classici.

Concludiamo l’album con “The Ticket”, dura e genuina, che congeda l’ascoltatore nel modo migliore, mettendo in risalto un lavoro ben riuscito e ben pensato, fatto di rimandi continui ed insistenti al panorama storico dell’hard e dell’ heavy, che però pecca oggettivamente e nel suo complesso di originalità.

Tears for Fears – The Tipping Point – Recensione

03 Marzo 2022 3 Commenti Samuele Mannini

genere: Pop
anno: 2022
etichetta: Concord Records

Sono passati decenni da quando il me dodicenne veniva rapito da Shout e Everybody Wants To Rule The World, cantandole a squarciagola in inglese maccheronico, dato che ancora ero ai primi anni delle scuole medie. Si notava immediatamente che non ci trovavamo davanti all’ennesimo gruppo pop da hit single e via, cosa per altro abbondantemente confermata negli anni successivi dalla profondità artistica dei loro lavori. Così, per tanti della mia generazione i Tears For Fears , hanno continuato a fare compagnia negli anni , indipendentemente dalla direzione musicale seguita da ognuno, un gruppo trasversale che ha avuto il  pregio di piacere anche a chi in seguito si sia diretto verso sonorità più hard. Il perché di questo consenso è, senza dubbio, da attribuire alla genialità ed alla sensibilità delle tematiche che i Tears hanno sempre saputo toccare, oltre alla raffinatezza delle composizioni che, in taluni casi, vanno ad avvicinarsi al rock ed al progressive, trovando dunque molte affinità anche con i lettori di questa pagina. continua

Kris Barras Band – Death Valley Paradise – Recensione

25 Febbraio 2022 2 Commenti Samuele Mannini

genere: MelodicRock/Blues
anno: 2022
etichetta: Mascot

Non avevo la minima idea di chi fosse Kris Barras prima che mi capitasse per le mani il promo di questo disco, ma data la mia indole curiosa, non ho resistito a dargli una ascoltata e scriverci su due righe. Kris Barras, inglese e figlio d’arte, ha già dato alla luce altri tre full lenght ed un ep, ma è anche noto per essere stato un combattente professionista di Muay Thai. Le sue influenze musicali sono permeate dal blues e nei suoi precedenti lavori, questo salta all’orecchio in maniera piuttosto evidente.

Prima di andare a parlare della musica contenuta in questo Death Valley Paradise, mi tolgo subito un ‘sassolone’ dalla scarpa: la produzione è, a mio orecchio, abbastanza scadente, anche per i pur bassi standard odierni. I suoni sono oggettivamente molto compressi e tendenti al clipping e non penso proprio dipenda dal formato mp3 (320K) del promo, anche se sarebbe gradevole poter ascoltare i files in formato lossless per avere una idea più corretta del suono. Comunque, in parole povere, l’ascolto su un impianto hi-fi di medio livello risulta abbastanza faticoso anche a volumi medi e questo inevitabilmente influisce nel giudizio finale.

Passiamo ora al lato prettamente musicale, qui le cose migliorano sensibilmente. La miscela musicale proposta da Barras è composta sempre da una buona base blues (anche se in maniera minore ai precedenti lavori), innestata però su melodie semplici e suoni di chitarra saturi e moderni (forse anche troppo per i miei gusti ). Una bella struttura blues caratterizza Dead Horses, mitigato dal ritornello estremamente catchy e più o meno la cosa si ripete anche nella successiva Long Gone, anche se qui il lato blueseggiante è preminente. My Parade è un anthem ed infatti è stato scelto come primo singolo, canzone efficace anche se con un cantato più moderno ed occhieggiante alle giovani generazioni sia come stile, sia come contenuti. These Voices è invece uno splendido esempio di canzone melodic rock, catchy ed efficace un po’ sull’impronta della tradizione scandinava. Stesso registro e stessa efficacia in Who Needs Enemies, una canzone perfettamente funzionante che cattura subito l’attenzione. Devil You Know ci ripropone un hard blues più rovente ed oscuro e la cosa mi piace parecchio. Wake Me When It’s Over è più lenta ed anche qui si punta su una struttura molto vicina al pop, seppur elettrico, per dare una maggiore fruibilità. Hostage si muove tra l’equilibrio di un cantato easy ed una ritmica serrata. Cigarettes and Gasoline riprende il taglio blues per poi chiudere con le più commerciali Bury Me e Chaos, continuando così l’alternanza tra sonorità che permeano tutto il disco.

In sostanza il disco funziona e potrebbe risultare gradevole per un pubblico abbastanza eterogeneo. Non fatevi quindi frenare dal voto, visto che è influenzato dalla resa sonora, perché le canzoni funzionano molto bene e con una produzione adeguata il risultato sarebbe stato sicuramente superiore.

Simple Lies – Millenial Zombies – Recensione

24 Febbraio 2022 0 Commenti Giulio Burato

genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Sneakout Records / Burning Minds Music Group

Premetto. Non sono “semplici bugie”, ma è realtà: questa è la mia prima recensione relativa alla etichetta “Sneakout Records e Burning Minds Music Group.

Ho giocato dunque su una semplice traduzione, per aprire le danze di “Millenail Zombies” dei nostri connazionali Simple Lies, al loro terzo album dopo “No Time To Waste” e “Let It Kill”.
Siamo di fronte ad una proposta con sonorità moderne, ma dal dal taglio americaneggiante di fine 80 inizio 90, con riff taglienti che ricordano band come: Kix, Hardcore Superstar, Skid Row, Kik Tracee e via dicendo.
Se “chi ben comincia, è a metà dell’opera”, il titolo della iniziale “The end” va in fuorigioco senza passare dalla sala VAR. Metafore e scherzi a parte, la canzone scorre nel suo mood moderno con un ritornello che non fa gol con la melodia, ma che si fa apprezzare per l’importante lavoro alla sezione ritmica. Il singolo “5 6 7 hate!” risulta più diretto, potente e armonico nel suo incedere, con le chitarre che lavorano sapientemente, mentre il successivo “Flat brain society” è un concentrato di energia ed adrenalina tipica degli hit single degli anni d’oro di questo genere. Su questi binari intrisi di un hard rock diretto e di ritornelli che prediligono l’energia alla melodia zuccherina, ecco la potente “Ravencock”, le pulsanti note di basso in stile Skid Row di “Mr leg day”, il simpatico intro (Justin Bieber) della roboante “Prince of darkness”. Fuori dal trend generale di “Millenial Zombies”, l’acustica “On a stage together” e la conclusiva “Here lies her ghost” con cambi di ritmo e variazioni dei volumi vocali, sono più compassate e melodiche.

Conclusioni:
I nostri Simple Lies pestano sull’acceleratore della potenza e le chitarre sfrecciano per tutta la durata di “Millenial Zombies”, nella migliore tradizione dello street sleaze made in usa, anche la voce segue questo filone, inserendosi perfettamente nei canoni del genere. Per i romanticoni, passare ad una diversa frequenza discografica, qui il rock duro e tirato la fa da padrone.