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Reef – Shoot Me Your Ace -Recensione

22 Giugno 2022 6 Commenti Dave Zublena

genere: Hard Rock/Blues
anno: 2022
etichetta: Raging Sea Design

“Ma chi diamine sono i Reef? Boh!”. Dev’essere stato questo il primo pensiero passato per la testa al boss Denis Abello quando gli ho proposto la recensione del nuovo album della band di Glastonbury. Come dargli torto? In Italia i Reef li conosciamo io, la mia vicina di casa e il suo gatto (giusto perché sono obbligati ad ascoltarli da oltre 15 anni). Per fortuna dei Reef l’Italia è solo uno sfortunato caso isolato e, nonostante non siano un nome di primo piano, in alcune nazioni hanno assunto lo status di band di “culto” del classic rock.

Quindi chi sono e che cosa fanno i Reef?

La band inglese nasce nel 1994 e la loro demo attira subito l’attenzione della Sony che li prende sotto la propria ala protettrice. Il loro primo singolo “Naked” viene addirittura scelto per la pubblicità del lancio mondiale del Sony MiniDisc (qualcuno se lo ricorda?). Il successo è immediato e l’album di debutto “Replenish” ottiene il disco d’oro nel Regno Unito. Il successo viene replicato anche dal successivo “Glow” e dallo smash hit single “Place Your Hands”, prodotto dal leggendario George Drakoulias (mentore dei The Black Crowes). Purtroppo, la Sony, ingolosita dalla possibilità di avere tra le mani una gallina dalle uova d’oro, comincia a fare pressioni sulla band per abbandonare il proprio hard rock a tinte blues a favore di un sound più commerciale. La casa discografica tenta di inserirli nella scena alternative rock/brit pop, tanto in voga in quegli anni, e di farli diventare i nuovi Oasis anziché i nuovi Bad Company. Queste continue pressioni minano fortemente l’equilibrio della band che nel 2003 registra quello che avrebbe dovuto essere il quinto album, ma l’etichetta si rifiuta di pubblicarlo perché considerato troppo “heavy”. Il chitarrista Kenwyn House getta la spugna e se ne va e la band, ormai demoralizzata, si scioglie nel 2004. Si riformano in sordina nel 2014 con alla chitarra Jesse Wood (figlio del celebre Ronnie dei Rolling Stones) e pubblicano nel 2018 l’ottimo album “Revelation”. E arriviamo finalmente ad oggi, dove i Reef tornano con questo infuocato “Shoot Me Your Ace”. continua

Chip Z’Nuff – Perfectly Imperfect – Recensione

22 Giugno 2022 0 Commenti Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers

Grandi aspettative per un super gruppo qualitativamente ineccepibile: Chip Z’Nuff raccoglie attorno a sé vere eccellenze dell’ambiente hard rock è sforna un prodotto di grande impatto sonoro.

L’introduzione “The Church” spalanca le porte a “Welcome To the Party”, un vero e proprio invito a entrare in questo lavoro appetitoso e suadente: il brano risulta stuzzicante e coinvolgente, dalle note oscure e leggermente malinconiche, globalmente interessante. “Doctor” presenta un tappeto musicale particolare e non banale, mettendo in mostra le doti musicali della band e un gusto non scontato nella composizione del brano. Sempre giocando su abbinamenti musicali non consueti, troviamo “Ordinary Man”, che come la precedente traccia ha qualcosa di beatlesiano mischiato a sonorità contemporanee, tutto questo reso dalla voce emotivamente penetrante di Chip Z’Nuff. Arriviamo al singolo “Heaven In A Bottle”, non particolarmente innovativo, ma comunque carico di emotività e convinzione. continua

Iconic – Second Skin – Recensione

17 Giugno 2022 19 Commenti Samuele Mannini

genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers

Togliamoci subito la bega del voto e il perché l’abbia dato. Quando andavo a scuola e c’erano le materie che mi restavano facili, mi limitavo spesso a studiare il giusto e quando alle interrogazioni,  prendevo lo stesso voto di qualcun’altro, che invece si era smazzato parecchio per studiare, anche se poi alla fine ne sapeva meno di me, mi giravano spesso i cosiddetti. La spiegazione del prof di turno era però sempre la stessa…. beh da te ci aspettavamo molto di più! Ecco, adesso, visto che i voti li devo dare io, comincia a tornarmi il ragionamento. In poche parole mi aspettavo molto di più dagli Iconic, ovviamente il disco non è brutto e dati i partecipanti vorrei ben vedere, dopotutto ci troviamo davanti a veri e propri pezzi di storia dell’hard rock, ma la sensazione del compitino e nulla più non riesce ad uscirmi dalla testa. continua

Vypera – Eat Your Heart Out – Recensione

10 Giugno 2022 7 Commenti Yuri Picasso

genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers

Brava Frontiers ! Quando ci vuole, ci vuole. Dalla label italiana arriva una proposta solida e coerente nelle intenzioni, nel risultato finale.

I Vypera sono svedesi e descrivono il proprio sound, correttamente, come un mix tra W.A.S.P., Triumph, Rainbow. Una band scandinava che suona come Una americana, mantenendo una produzione cristallina ed ottantiana che aggiunge valore e rende il disco coeso.
A voler essere fiscale, durante l’ascolto di ‘Eat Your Heart Out’ ho percepito maggiori influenze di band quali Vinnie Vincent Invasion, Icon (seconda metà anni ‘80) e certi Dokken, ma non solo, a volte si vanno a toccare anche territori più vicini al metal con sonorità richiamanti i Fifth Angel o i Parish, tanto per fare due esempi.
Una proposta diretta che non rende difficoltoso il salto temporale di 30/35 anni; si parte con “Slow Me Down”, up tempo memore del meraviglioso disco autotitolato dei Le Mans. “Standing on The Edge” possiede un micidiale refrain impreziosito da una lavoro dietro le pelli di ottima fattura. Con “Spellbound” possiamo apprezzare le doti chitarristiche del solista Christoffer Thelin, memori della lezione di George Lynch, tra i mattatori ai fini della buona riuscita del disco . In effetti i Dokken dei tempi d’oro devono essere stati un importante tassello nella formazione musicale di questo riuscito puzzle artistico. Basti sentire il riff d’apertura e lo sviluppo di “Sierra” per tornare ai fasti di ‘Tooth and Nail’. Dopo l’Heavy di “Rock and Roll”, la ballad elettroacustica “Fantasy” non risulta essenziale conseguendo la palma di brano più debole del lotto; Si riprende il sentiero melodico infarcito Glam con il mid tempo “Straight For The Kill” (primi Motley Crue). Sognanti ed estrose le intro di “Danger” e “Cold As Ice”: entrambe tramite abili cambi di dinamica si trasformano in rocciosi e fortunati esempi di Hard Rock periodo d’oro della Sunset Strip.

Songwriting ispirato accompagnato da virtù soliste di prima fascia risultano immediate ed evidenti, in grado di oltrepassare con successo la barriera del retrò e del già sentito. I Vypera coniugano sapientemente estro e dedizione e il risultato finale piacerà a quasi tutti i lettori del nostro portale.

Quickstrike – None Of A Kind – Recensione

09 Giugno 2022 0 Commenti Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Rockshots Records

Uscita assolutamente insolita per il mondo hard rock: arrivano su Rockshots Records i Quickstrike dalla Lettonia, con un hard rock tendente al glam/slaze, pronti a stupire con il loro album di debutto.
La prima traccia, ovvero “Real Rock Disaster”, risulta essere abbastanza significativa e definisce in modo chiaro gli intenti della band, oltre a delineare in modo chiaro le peculiarità stilistiche. “Saint” presenta tutti i crismi per essere considerato un buon brano hard rock, ovvero un certo piglio e un certo tiro, peccando un po’ sull’originalità. La successiva “Cheats N’ Liars” non si discosta dal filone musicale della band, risultando quadrata e senza troppe pretese e mettendo in risalto le caratteristiche vocali di Freddy Martin. “Shut Them Down” classicheggia e convince, con un’ottima potenza e grinta, che si riversano anche nella successiva “Pergament”, che presenta però toni decisamente più cupi e oscuri. Giro di boa: “Son Of A Gun” richiama tantissimo tutta una serie di band e momenti della storia dell’hard rock, presentandosi come un brano discreto e poco fresco. “Thorn” ritorna su sentieri già battuti, sempre al limite del già sentito e con armonie poco convincenti. Sensazioni punkeggianti e riff taglienti per “Nice Hair, Bad Habits”, veramente travolgente e sincero, che tiene alta la bandiera dei Quickstrike, come la successiva e velocissima “Rebel Radio”, dalle medesime caratteristiche. La title track “None Of A Kind”, misteriosa, oscura e di buon livello, mette la parola fine a un album di discreta ispirazione e complessivamente di buona fattura, che però presenta ancora qualche incertezza, soprattutto a livello di originalità. A voi il giudizio.

Thunder – Dopamine – Recensione

03 Giugno 2022 10 Commenti Samuele Mannini

genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: bmg

Ad un anno esatto da “All The Right Noises” ( qui la Recensione), tornano i Thunder e addirittura con un disco doppio! Ora, è vero che con la pandemia hanno avuto più tempo per scrivere e suonare canzoni, ma la mia paura era che il risultato fosse inflazionato e dozzinale. Invece i Thunder , al contrario di altri grandi nomi, sparano fuori l’ennesimo disco di qualità della loro lunga carriera.

In effetti dischi brutti i Thunder non ne hanno mai rilasciati. La loro ricetta semplice, fatta di: atmosfere blues e hard rock di matrice british, non stanca mai. La loro abilità nel fondere il ricco  background musicale con atmosfere a volte jazzate, a volte southern, riesce a rendere il disco vario senza che il messaggio del loro rock ne risulti stravolto, dando così continuità artistica ad una storia più che trentennale. Certo, come dicevo, sparare 16 nuove canzoni ad un anno da quel gran bel disco che è stato All The Right Noises non è impresa facile,  magari nel mucchio qualche canzone un po’ più debole c’è, infatti, secondo me, la prima parte è leggermente superiore alla seconda ed il voto finale è effettivamente una media matematica dei due cd, ma insomma ad averne di dischi così….. continua

Drive At Night – Echoes Of An Era – Recensione

03 Giugno 2022 2 Commenti Yuri Picasso

genere: Melodic Rock
anno: 2022
etichetta: Pride & Joy

Nuovo progetto svedese nato nel 2021 grazie al rapporto personale e artistico esistente tra Joachim Nordlund e Johan Lindstedt, compagni di band nei Sunstrike e negli Astral Doors; come numerosi colleghi, vede il duo riunirsi per omaggiare il proprio amore e stima nei confronti di chi ha reso grande la decade tra il 1980 e il 1990.
Troverete reminiscenze ricollegabili a band quali Dokken, Journey, Europe, e a band “minori”, almeno per riscontro commerciale, appartenenti alla scuola scandinava quali Dalton e Da Vinci, fortunatamente sprovviste di eccessi di modernismo in sede di produzione. Parti vocali a cura di Joachim Nordlund, dal timbro similare a Pekka Heino, conosciuto per il lavoro svolto dietro il microfono dei Brother Firetribe.

Si parte con le tastiere di “The 80’s Calling”, definito da un riff alla 6 corde ala George Lynch e da un chorus facilmente memorizzabile. “The Youth of Today” è un mid tempo roccioso ben riuscito, coniuganti keys nordiche e linee vocali made in USA, ornata da cambi di tempo e fills batteristici. Similare per struttura e altrettanto meritevole di attenzione è “Weekend Fun”. Con la ballad acustica “Endless Kind of Love” si entra nel territorio caro agli Extreme. Nella seconda parte del disco fanno capolino in un paio di brani le armonie e l’uso delle tastiere cari ai Brother Firetribe, vedi la solare “One”, la hardeggiante “Wild In The Streets” o ancora la linea vocale di “High Enough”. Nel mezzo, “Wake Up” è un tributo in spartito ai Journey. continua

Jani Liimatainen – My Father’s Son – Recensione

31 Maggio 2022 0 Commenti Giorgio Barbieri

genere: Melodic Metal
anno: 2022
etichetta: Frontiers

Ci risiamo! Appena finito di recensire l’album dei Black Eye, ecco che arriva un altro progetto in stile ammucchiata di musicisti più o meno conosciuti, al servizio del “capoccia” di turno che, in questo caso, è Jani Liimatainen, chitarrista e tastierista con una lunga esperienza, membro fondatore dei Sonata Artica, che ha lasciato nel 2007 e degli Altaria, abbandonati un anno prima, per formare i Cain’s Offering assieme a Timo Kotipelto degli Stratovarius e i The Dark Element con l’ex cantante dei Nightwish, Anette Olzon, inoltre dal 2019, il buon Jani fa parte anche dei melodic deathsters Insomnium. E così, dato che gli rimaneva ancora libero un posticino, ha pensato bene di mettere in piedi pure questo progetto, con ospitate da un po’ tutto il panorama melodic metal scandinavo e non, per la gioia del sottoscritto che, per l’ennesima volta, si ritrova a commentare un album di un non gruppo, slegato e dispersivo, pur con buone idee e naturalmente con una tecnica esecutiva altissima, ma fredda come i paesi dai quali provengono la maggior parte degli artisti coinvolti.

I pezzi vivono di luce propria, non sembrano neanche composti per lo stesso album, se non per una certa componente “futuristica” creata dalle tastiere e poi si parte, con questo saliscendi di umori, introdotto da “Breathing divinity”, uno dei brani più azzeccati, cantato da Bjorn “Speed” Strid, frontman dei Soilwork, nei quali ha capito che oltre a tirare sferzate growl, poteva anche cantare, cosa che peraltro fa con discreti risultati anche con i The Night Flight Orchestra e certe atmosfere simil prog, sembrano costruite su di lui, ma subito dopo arriva “All dreams are born to die” e si ritorna sulla terra con un pezzo di power melodico zuccheroso con Tony Kakko dei Sonata Artica alla voce a chiudere un quadro davvero povero di idee e di grinta, meglio va con l’energico brasiliano Renan Zonta degli Electric Mob in “What do you want”, dal flavour hard e interpretata anche dallo stesso Jani senza strafare, poi è la volta di “Who are we” con Timo Kotipelto degli Stratovarius, brano d’atmosfera condotto dalla recitazione di Timo e dal piano in crescendo di Jani, la cosa più interessante di “Side by side” interpretata dall’ex Leverage e attualmente con gli aorsters Brother Firetribe Pekka Heino, è l’assolo di sax che risolleva parzialmente le sorti di un brano di una pochezza disarmante. continua

The Cruel Intentions – Venomous Anonymous – recensione

28 Maggio 2022 2 Commenti Stefano Gottardi

genere: Sleaze Metal
anno: 2022
etichetta: Indie Recordings

Quattro anni e una pandemia dopo l’esordio sulla lunga distanza No Sign Of Relief, torna all’attacco col suo secondo lavoro in studio il gruppo portabandiera dello sleaze metal made in Norvegia, The Cruel Intentions. La band, fondata nel 2015 dal cantante Lizzy DeVine, dal bassista Mats Wernerson, dal chitarrista Kristian Solhaug e dal batterista Eiliv Sagrusten (in seguito sostituito da Robin Nilsson), ha da subito attirato su di sé una certa curiosità da parte di fan e addetti ai lavori per via della presenza del frontman svedese, noto per i suoi trascorsi nei Vains Of Jenna. Della bontà del debut album di questo gruppo vi avevamo già parlato all’epoca della sua pubblicazione (qui), ma sarà riuscito questo nuovo capitolo del combo scandinavo a bissare quel piccolo e moderno gioiellino rock and roll? Vi sveliamo subito il finale e vi diciamo che secondo noi sì, c’è riuscito appieno. Lo ha fatto mettendo in tavola gli stessi ingredienti, rigiocandosi una formula vincente fatta di chitarre aggressive, ritornelli ossessivi e cori possenti, su cui le vocals taglienti come rasoi di DeVine vanno a nozze! Impreziosito dal contributo di Erik Mårtensson (Eclipse, Nordic Union, W.E.T.), che oltre a fornire chitarre aggiuntive e backing vocals ha mixato, masterizzato e prodotto l’album, Venomous Anonymous si attesta su livelli altissimi fin dall’opener “Reapercussion”, singolo e video che assieme a “Sunrise Over Sunset” e “Kerosene” ha aperto le danze qualche mese fa. Livelli da cui, di fatto, non scende mai, nemmeno quando si avventura in un pezzo in lingua svedese (“Salt I Ditt Sår”) o quando preme un po’ il piede sul freno (“Bad Vibes”). Veloce, roccioso, melodico e a tratti persin zuccheroso, questo disco fa della qualità del songwriting il suo punto di forza assoluto. Pescando qua e là da Ratt, Poison, Guns N’ Roses e Hardcore Superstar, ma con un marchio di fabbrica ben evidente, i The Cruel Intentions confezionano un sequel che supera in gradimento il suo predecessore, seppur di pochi punti. Un album, il primo, il cui valore è stato riconosciuto anche dal regista e produttore cinematografico James Gunn (The Suicide Squad, Guardiani della Galassia) che ha voluto ben tre canzoni nella colonna sonora di Peacemaker, serie sequel di The Suicide Squad focalizzata sull’omonimo personaggio interpretato nel film dal famosissimo wrestler della WWE John Cena.

IN CONCLUSIONE

Solitamente è uso di chi scrive concludere la recensione con una nota sul packaging, assente questa volta in quanto la curiosità di ascoltare questo lavoro in anteprima ha prevalso sull’attesa di ricevere il prodotto fisico!

Def Leppard – Diamond Star Halos – Recensione

27 Maggio 2022 36 Commenti Giulio Burato

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2022
etichetta:

Recensire i Def Leppard per me è un azzardo; ho adorato e adoro alla follia le loro uscite ottantiane, “Hysteria” e “Pyromania” su tutte, e trovarmi 35 anni dopo a scrivere di loro, della loro ultima fatica discografica è come la sensazione che ha un calciatore pronto a tirare il rigore decisivo di una finale di Champions League. Adrenalina o, meglio, “Adrenalize” a mille!

Sette anni dopo all’omonimo album che non diede la sensazione del cosiddetto “sobbalzo dalla sedia”, cosa ci possiamo aspettare dai Joe Elliott & co.? Ci si aspetta qualcosa con una marcia in più o che abbia almeno una marcia diversa. Ebbene, quest’ultima frase, riassume quel che è stato per me l’ascolto del presente album. L’innesto di una marcia diversa, un cambio di suoni che in parte vira verso la fine degli anni ’70, verso sonorità ben diverse dalle bombe atomiche presenti in “Hysteria” e dintorni, ma identificabili ed etichettabili in un nuovo stile “Def Leppard”. Può piacere come essere non gradito.

Il dodicesimo album di studio, “Diamonds star halos”, esce il 27 maggio e include ben quindici canzoni, frutto di un lungo lavoro e di importanti ospitate come Mike Garson, pianista di Davide Bowie, e di Alison Kraus con la sua angelica voce. continua