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12 Agosto 2022 17 Commenti Denis Abello
genere: AOR / Melodic Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers Music Srl
Altro SuperGruppo??? Domanda lecita leggendo i nomi coinvolti, ma la risposta è meno scontata del previsto… Il termine “Supergruppo” risulta alquanto inflazionato ultimamente e forse un po’ snaturato nello Spirito, il che ha portato spesso ad unioni forzate di nomi di spicco che con qualche buon pezzo alle spalle riescono a piazzare un buon album a cui forse manca spesso un po’ di Anima…
… ecco, pescando i nomi in gioco in questi Generation Radio che vedono Jay DeMarcus, polistrumentista in forze alla band country-rock Rascal Flatts, Jason Scheff che è stato bassista e cantante nei Chicago, Dean Castronovo (a cui subentra dal 2021 in sede live spesso Steve Ferrone, n.d.r.) che porta in dote la batteria dei Journey / Revolution Saints nonchè una voce non da poco, a cui inoltre si aggiungono i meno conosciuti chitarristi Chris Rodriguez (Garth Brooks, Kelly Clarkson, Amy Grant, Michael W. Smith, Kenny Loggins, Reba McEntire, Tim McGraw, Faith Hill) e Tom Yankton (turnista con i Rascall Flat oltre che aver registrato con gli stessi Chicago)… ecco, il nome Supergruppo va da se che calza a pennello.
In questo caso però la sostanza della band poggia su radici solide e qui “SI” che il concetto di Supergruppo si riprende la sua vera “Anima”. Band nata nel 2020, in pieno periodo di Pandemia, dall’amicizia ed il rispetto reciproco che a filo continuo lega l’uno e l’altro componente della band generando una perfetta Alchimia. Intento del tutto… portare su disco e dal vivo l’esperienza radiofonica del sano e classico soft AOR di matrice americana che band come Journey e Chicago hanno saputo cesellare negli anni di massimo splendore del genere.
Obiettivo raggiunto? Direi proprio di si, e basta un solo ascolto completo dell’album per rendersi conto di questo. Si viaggia su note AOR soft e radiofoniche praticamente dal primo all’ultimo pezzo. Così la splendida (forse uno dei migliori pezzi sentiti quest’anno) Why Are You Calling Me Now (presentata come singolo) con la sua intro di batteria, che solo se hai un Dean Castronovo per le mani puoi pensare di inziare un pezzo (ed un disco) in questa maniera, un Jason Scheff che se la gioca da navigato paroliere e quelle tastiere tanto radio friendly anni’80 decreta da sola il valore dell’intero disco.
“Peccato” che il disco è composto da altre 10 tracce, ed Angels, piazza un altro centro miscelando in questa semiballad tutti gli elementi chiave della band a partire dalla commistione Chicago / Journey e con quel tocco di fondo che fa tanto Rascal Flatts.
Snoccioliamo velocemente, e per dovere di cronaca, il resto del disco passando al radiofonico (si, lo so, sto usando tanto questo termine… ma il disco è molto, tanto, spudoratamente… radiofonico) AOR/Country di All Night To Get There, la splendida (e radiofonica) ballad I Hope You Find It dall’anima Chicago, l’incalzante Time to Let It Go, la fresca e Journeyana Lights Go Out In Paradise per ricadere nella seconda pura ballad del lotto, Don’t Go, che ancora una volta affonda le radici nel fertile terreno dei Chicago, ma anche in alcune ballad a firma Rascal Flatts… spiazza Smoking, da gustare forse con qualche ascolto in più, ma pezzo perfetto per spezzare l’incedere del disco e segnare una sorta di giro di boa… si torna a parlare la lingua del soft rock con qualche richiamo ai Rascal Flatts sporcati di Journey nella semi ballad Anything but Us e si va a chiudere con lo stile dei Chicago più frizzanti su Waiting on your Sunshine e di quelli più intimisti in Finally Got It Right.
Con questo album ci sono solo due possibilità…
se Amate Chicago / Journey / Rascal Flatts… Amerete questo disco!
se non conoscete Chicago / Journey / Rascal Flatts… Amerete comunque questo disco!
Punto!
10 Agosto 2022 2 Commenti Yuri Picasso
genere: Melodic Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers
Tutto sommato piacevole sorpresa il secondo disco a nome Restless Spirits. Tony Hernando, chitarra e mente dei Lords of Black, si ripresenta in veste più leggera approfondendo la sua capacità di scrivere melodie maggiormente soft e commerciali, chiamando a se gli interpreti del momento appartenenti al roster Frontiers. Azzeccata l’idea di accorpare in successione quasi tutti i brani in base ai 4 cantanti, come un concept diviso in “capitoli” distinti al fine di rendere maggiormente coeso e scorrevole ‘Second To None’.
Nell’epoca in cui la musica di consumo prevale su quella di valore, dove gli oramai bassissimi costi di produzione permettono alla quantità di avere la meglio sulla qualità, ‘Second to None’ può dire la sua, mancando di picchi clamorosi ma senza mai scendere al di sotto della sufficienza in ogni brano presentato.
A Kent Hilli il compito di aprire e chiudere il disco: “Need A Lil’ White Lie” e “Dirty Money” ripercorrono i sentieri cari ai Perfect Plan e agli ultimi Giant, evidenziando il pregio (e al medesimo tempo il difetto) del singer svedese. Timbro grandioso e grintoso ma carente nel dipingere colori policromatici in determinate canzoni.
Il capitolo che mi ha entusiasmato maggiormente è quello rappresentato da Johnny Gioeli, nelle dinamiche di “Too Many”, nella hardeggiante “Nothin’ Dirty Here”, coniata da un ritornello aoreggiante. E nella semiballad “Always a Pretender”. L’italo americano fa valere la sua esperienza e la sua assoluta capacità interpretativa. continua
09 Agosto 2022 6 Commenti Giulio Burato
genere: Melodic Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers
Con un titolo ed una copertina simili mi appoggio subito ad un detto (faunistico) popolare:
“Qui gatta ci cova”.
Mi spiego meglio. Il progetto Nordic Union, formato da due assi del melodic rock, Ronnie Atkins e Erik Martensson, è alla terza uscita discografica (il primo full-lenght è di qualità superiore) e qualche crepa si inizia a vedere. Un po’ di ripetitività di fondo, un album che in alcuni tratti porta direttamente ai recenti Pretty Maids (sentire “On This Day I Fight”) e, immancabilmente, agli Eclipse. La centrifuga delle due cose porta ad un ascolto fuorviante e magari non perfettamente razionale.
Per questo motivo scelgo la strada della recensione senza fare una disamina “track by track”. Mi concentro dunque sulle canzoni che hanno destato più interesse al mio ascolto. “In Every Waking Hour” è un singolo sicuramente ben strutturato, dalla potenza granitica e con gli assoli di chitarra che la fanno da padrona. Passiamo, poi, all’urlata “Scream”, probabilmente staccata da una costola di un qualsiasi, recente album degli Eclipse. La title-track ha un pregio; il ritornello ti ridonda in testa all’ossesso. Esistono ancora delle belle power-ballads? La risposta risiede in “Riot”, un concentrato e un’ascesa di emozioni, e anche in “Last man alive”.
Conclusioni:
Terzo capitolo per l’unione nordica formata da Ronnie Atkins e Erik Martensson. Un duo che ci regala sempre delle canzoni potenti e melodiche ma che, a volte, cozzano inevitabilmente con le loro band di origine.
08 Agosto 2022 2 Commenti Samuele Mannini
genere: Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers
Parlare di chi sia Alan Parsons e della sua carriera di produttore o di autore mi pare alquanto superfluo perché chiunque leggerà avrà in suo possesso qualcosa a sua firma. Dopo tre anni dal precedente The Secret, torna quindi con uno studio album che come sempre comprende grandi nomi del panorama rock.
From The New World non stravolge certo la filosofia del buon vecchio Alan ( e nemmeno sarebbe giusto pretenderlo ) che va a pescare nel suo classico ambito compositivo, un soft rock con accenni prog ed una superba capacità di creare atmosfera. La sensazione che mi ha più colpito è infatti la rilassatezza che questa musica può donare, un album quasi ambient dalle capacità terapeutiche che probabilmente non conterrà hits in grado di rivaleggiare col passato, ma propone appunto tre quarti d’ora di buona musica che crea atmosfere eteree ed appunto rilassanti.
Tra le canzoni che ho più gradito c’è senza dubbio Fare Thee Well che apre l’album ed è un esempio molto calzante di ciò che racchiude il disco, una atmosfera celestiale con echi Floydiani che si snoda compassata e tranquilla. Altra canzone di livello è Uroboros che pesca nel classico sound del Project, ma dove Tommy Shaw impreziosisce il tutto con il suo tocco Styx, tutto sommato una fusione ben riuscita. Niente male anche la beatlesiana Obstacles, morbida e sussurrante. continua
02 Agosto 2022 1 Commento Paolo Paganini
genere: Melodic/Gothic rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers
Gli Ardours nascono dalla collaborazione tra la talentuosa cantante Mariangela Demurtas (Tristania) ed il polistrumentista Kris Laurent. Il duo da seguito al buon lavoro uscito nel 2019 ed intitolato Last Place On Earth che aveva raccolto buone critiche. In questo nuovo disco si nota una decisa variazione a livello stilistico e il risultato finale non è del tutto convincente. Stiamo parlando di un ghothic rock elettronico che in molti frangenti mortifica composizioni dal buon potenziale. Le sonorità si potrebbero avvicinare agli Evanescence ma depurati della cattiveria delle chitarre e da una sezione ritmica non all’altezza. L’unico valore aggiunto che risolleva un po’ le sorti del cd è la voce di Mariangela sempre a proprio agio sia sui pezzi più tirati che nelle ballate. Segnaliamo tra i brani più incisivi e riusciti l’opener Epitaph For A Spark la piacevole Insomniac la AOReggiante Secret Worlds (forse il pezzo più riuscito) e la ballata Unannunced. Tra qualche sperimentazione elettronica mal riuscita e alcune modernizzazioni evidentemente fuori luogo rimane veramente poco.
IN CONCLUSIONE:
Un disco che c’entra veramente poco con il nostro genere e che anche per Frontiers rappresenta un azzardo. Per il momento gli Ardours sono rimandati.
29 Luglio 2022 5 Commenti Samuele Mannini
genere: AOR/Melodic Hard Rock
anno: 2022
etichetta: RN Records
Terzo capitolo della saga GoK e terza copertina fighissima che dopo il viola del primo capitolo e il verde del secondo sfoggia un arancione evocativo, alieno ed intrigante. Naturalmente Gathering Of Kings resta un progetto alla stregua dei Phenomena anche se sembra proprio che sia stata data continuità agli artisti che compongono il progetto nell’intento di proporsi quasi come una band vera e propria. Il songwriting è sempre saldamente in mano a Victor Olsson ed infatti il trademark sonoro non si discosta poi molto dai predecessori e questo forse potrebbe essere il primo segno di debolezza di questo disco, ovvero il forte sapore di già sentito. Già il precedente Discovery segnava il passo con qualche filler di troppo rispetto al micidiale esordio First Mission ed a mio avviso anche questo Enigmatic sconta una seconda metà di disco più moscia e meno pimpante.
Le canzoni che infatti gradisco di più sono quelle dove il mood è più epico ed ‘heavy’ che a mio avviso rendono molto di più di quelle dove il ritmo si fa più tranquillo e dopo svariati ascolti mi sento di citare: Vagabond Rise, Firefly, How The Mighty Have Fallen e The Profecy. Niente da dire sulle performance degli strumentisti né dei vari vocalist ed in particolare il buon Rick Altzi, che quest’anno ci ha già deliziato anche di un album solista di tutto rispetto. La produzione mi sembra assolutamente degna e spero per chi vorrà entrare in possesso della copia fisica, la distribuzione sia più capillare rispetto ai precedenti perché per entrare in possesso del compact disc di First Mission ci ho messo un anno e mezzo…
In sostanza un disco gradevole da ascoltare che in alcuni tratti potrà esaltare i cultori dell’hard melodico di matrice scandinava e con alcune canzoni da cantare a squarciagola. Per chi li volesse scoprire io consiglierei di partire dal primo che resta superiore di una spanna, chi invece già li apprezza non avrà dubbi nel mettersi in caccia del cd.
25 Luglio 2022 0 Commenti Giorgio Barbieri
genere: Prog metal
anno: 2022
etichetta: Frontiers
Ammetto di aver solo sentito parlare degli Zero Hour ai tempi e di non averli mai ascoltati, così mi rifaccio adesso che la band è ritornata in pista e ha pubblicato il settimo album, “Agenda 21” che è il frutto della riunione del chitarrista originale Jasun Tipton (con un cognome così, non poteva fare altro!) con il cantante originale Erik Rosvold e ai quali si sono affiancato Andreas Blomqvist, bassista di lunga data dei Seventh Wonder, che è andato a sostituire il fratello gemello di Jasun, ossia Troy, vittima di un incidente ad un braccio che gli ha impedito di continuare a suonare, almeno temporaneamente dato che i due fratelli hanno poi formato i Cynthesis e gli Abnormal Thought Patterns, resta il fatto che Troy non fa parte di questa reunion, così come il batterista Mike Guy, qui sostituito da Roel Van Helden dei Powerwolf.
Cosa si può dire di “Agenda 21” che non sia già stato detto, dato che l’album è uscito a Marzo 2022, ma io ne riesco a parlare solo adesso per via di un infortunio capitatomi? Beh, semplice, qui non si fa la solita recensione track by track, non si dice per l’ennesima volta che i componenti degli Zero Hour sono tecnicamente fenomenali, non si tessono le lodi per la complessità delle composizioni, perché sono cose, appunto, già dette, cose che quando si tratta un genere come il progressive metal, sono praticamente lapalissiane, qui si può parlare invece di quanto “Agenda 21” possa aggiungere di nuovo in un genere oramai ampiamente sviscerato e molto inflazionato, e la risposta è né molto, né poco, ma paradossalmente è molto buono e mi spiego; i momenti più ‘accessibili’ come la gemma “Memento Mori” e la title track portano una ventata di aria fresca proprio dove la linearità è la caratteristica più importante, privilegiando la forma canzone e nel caso di “Memento Mori”, che canzone! continua
21 Luglio 2022 4 Commenti Yuri Picasso
genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Pride & Joy
Tornano col quarto disco, a distanza di 14 anni da ‘Dream and Deliver’, i tedeschi Dreamtide di Helge Engelke, chitarrista dei Fair Warning. La motivazione principale della genesi di questa band poteva, e può nuovamente, essere trovata nella pausa presa dalla band madre, e nella volontà del mastermind di non voler rimanere troppo a lungo distante dal music business. Cambia la sezione ritmica, osservando il dimissionario CC Behrens (primo drummer dei FW) rimpiazzato da Host Guntram Schlag e l’ex bassista Francis Buchholz sostituito da Lars Lehmann.
La formula collaudata è la medesima che si era sviluppata coi dischi precedenti, un hard teutonico dal sapore melodico che, con l’avanzare degli anni, ha dissolto le prime sfumature AOR a favore di un approccio più heavy, continuando a curare sapientemente arrangiamenti e cori.
Un percorso simile e parallelo a quello intrapreso negli anni dagli stessi Fair Warning. “Stop Being Deep” e “Spin” sono come un’iniezioni di adrenalina teutonica simboleggiata dal chitarrismo unico e tipico di Engelke, affilato e diretto, duro ma modulato, armonioso. Con “Around” le ottave alte raggiunte da Olaf Senkbeil si sposano perfettamente con un tappeto di sottofondo variegato e ricercato, mai banale, defluendo in uno slow informale. Dopo l’ecclettica e strumentale “Ni Dos Ni Agua” si passa alla più canonica “All Of Us”. Non possiamo fare a meno della professionalità con la quale la band teutonica cura gli arrangiamenti, atta a contribuire in uno stile personale e riconoscibile ogni singola canzone del progetto, da quella più ordinaria a quella maggiormente sofisticata. continua
21 Luglio 2022 1 Commento Giorgio Barbieri
genere: Melodic Metal/Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Pride & Joy
A volte è veramente difficile stare dietro a tutte le uscite quindi, anche se un po’ in ritardo sulla data di uscita, eccoci qua…
Ammetto che il genere proposto dai Sign X non è nelle mie grazie, questo metal moooolto melodico con sconfinamenti nell’aor più pomposo, oramai lascia il tempo che trova e anche se qualche gruppo lo ha fatto (Royal Hunt ad esempio), non mi da più emozioni forti tali da alzarmi di scatto dalla sedia e precipitarmi a comperare il disco, ma io cerco sempre di trovare qualcosa di buono e provo a dare una chance a tutti, perché comunque si tratta di artisti che hanno investito tempo, soldi ed energie per far uscire l’album, allora resetto tutto e vado a parlare del secondo album di questi tedeschi, formati da tre ex Chalice, band onesta che per vent’anni, tra la metà degli anni 90 e la metà dello scorso decennio hanno prodotto sette album e condiviso il palco con Deep Purple e Alice Cooper tra gli altri.
Con l’arrivo del più giovane cantante e chitarrista Sebastian Zierof, la band si rifà il trucco e prova ad addentrarsi nel ginepraio hard’n’heavy, pur sapendo che altri, come i due gruppi citati sopra, hanno già detto tanto, ma iniziando ad ascoltare “Back to Eden” sembra che i nostri possano alzare la voce e farsi sentire, difatti la title track è un’ottimo esempio di metal magniloquente, epico e arioso, con il buon Sebastian sugli scudi a dare un’interpretazione vigorosa e ben lontana da tutti quegli urlatori “castrati” che fanno danni nel power metal, addirittura le orchestrazioni delle tastiere ricordano e non poco, quelle dei Dimmu Borgir; ora io capisco benissimo che tra i lettori del sito ben pochi conosceranno e apprezzeranno la band norvegese, ma provate a fare un giro sul tubo ad ascoltare “Fear and wonder” (non vi preoccupate è un’intro strumentale) o “Progenies of the great apocalypse” nella versione orchestrale e ditemi se non ci ho preso, ma tant’è, purtroppo le idee veramente valide si fermano qui, per il resto dell’album si viaggia su coordinate più melodiche, ma permettetemi anche troppo ordinarie, soprattutto alla luce delle potenzialità espresse dai nostri nella title track. continua
20 Luglio 2022 3 Commenti Vittorio Mortara
genere: Aor
anno: 2022
etichetta: Pride & Joy
Le bio di presentazione della Pride & Joy sembrano spesso veri e propri romanzi. Per esempio, di questi canadesi Fatal Vision si narra siano nati nell’epoca d’oro, quando l’AOR spadroneggiava nei palinsesti di MTV. Poi, causa avvento del medioevo, ed il progetto è rimasto parcheggiato fino al 2019. Quando, grazie ad un regalo ricevuto, il leader Simon Marwood ha rimesso in piedi la band ed ha colto l’occasione per scrivere e registrare una manciata di pezzi che, oggi, da origine a “Once”. Svolazzi a parte, i ragazzi in questione si dedicano con sufficiente bravura ad un genere che sa di vecchio, nel senso buono del termine, e di innovativo allo stesso tempo. Caratterizzato dalla particolare voce di Simon che fa suonare l’insieme come se i Ramones o i loro eredi, Blink 182, Green Day, Simple Plan, si fossero convertiti all’AOR.
Dopo la bella intro di sax (ad opera di Mark Holden dei Boulevard)“In the beginning”, parte subito uno dei pezzi forti: “Heartbreaker” è un uptempo orecchiabile dal riff di chitarre e tastiere fino al classico refrain. Un dolce arpeggio apre “Burning for you”, brano un po’ deludente a livello di melodie vocali. Non eccelsa neppure la qualità compositiva della seguente “Open your eyes”che definirei noiosetta. Piace, al contrario, la ballad “Into the twilight” che, forse perché poggiante su melodie sentite e risentite, ti si pianta subito nel cervello. Così come risulta gradevole l’allegra e poppeggiante “Little rebel”. Toni più hardeggianti su “Against the wall” mentre “Do you remember me” fa il verso ai maestri REO Speedwagon. Spensieratezza a piene mani arriva da “Wings of the night”, tappezzata di toni pop punk dalla voce del solito Marwood. Insolite melodie che pervadono anche “Haven’t we been here before?”. Chiusura del disco affidata ad altre due ballate: “Time keeps slipping away”, dai toni tristi culminanti nel contagioso ritornello, e la title track che scomoda il boss Springsteen piazzando un azzeccato solo di armonica. continua