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Nickelback – Get Rollin’ – Recensione

22 Novembre 2022 5 Commenti Giulio Burato

genere: Modern rock
anno: 2022
etichetta: bmg

“We’d be turnin’ up the stereo
And play it everywhere we’d go
And so did everyone we’d know in those days”

Leggendo tra le righe e guardando il video della bella “Those days” mi è sembrato di tornare ai tempi in cui anch’io prendevo in mano la scopa per immedesimarmi in un chitarrista rock, dove pure io alzavo lo stereo a palla o adoravo (e adoro) ascoltare la bellissima “Purple rain” del grande Prince. Questo secondo singolo del decimo album in studio dei Nickelback è un bel frullato di ricordi. Chad Kroeger e soci, amati e odiati dal mondo musicale, ritornano a ben cinque anni di distanza da “Feed the machine” e ritornano con il primo singolo “San Quentin” che ci fa ricordare che le potenti chitarre sono spesso state un loro trade-mark, soprattutto agli inizi di carriera. A seguire “High time”, terzo estratto che fa molto Kid Rock, con venature country/southern rock e solare come la colorata copertina.

Vado oltre ai singoli rilasciati sino ad oggi ma potrei azzardare che il prossimo sarà un lento; in tal senso il mio candidato è “Does Heaven Even Know You are Missing” che ha in dote un bel testo; non avrà l’atmosfera di “Savin’me” o “How you remind me” ma ha quel lavoro basso/chitarra acustica che piace. Promossa.
Alzi poi la mano chi, dopo avere sentito il ritornello della potente “Skinny Little Missy”, non ha pogato con la testa e contatterò Flavio Briatore per farvi dire il suo famoso: “Sei fuori”. (Cit.)
La canzone ha il pregio innato di farmi muovere; tale caratteristica è percepibile nella conclusiva “Just one more” anche se qui le derivazioni sono maggiormente pop/rock. “Tidal Wave” ha un approccio soffuso, basso pulsante, effetti pomp che cozzano col passato della band, ma non è una novità, e fa da contraltare a “Vegas bomb” dalla struttura potente e consolidata con un ritornello stoppato che si nota per quel perpetuo “bomb bomb”. L’acustica “Steel still rusts” scorre piacevole mentre “Horizon” è la canzone facile da assimilare al primo ascolto, con un coro azzeccato per le grandi platee. Sembra di essere catapultati in una canzone dei Bon Jovi nell’ascolto di “Standing in the dark” dove Daniel Adair svolge un lavoro che mi ricorda tanto Tico Torres e che il buon Jon credo “ruberebbe” anche volentieri. continua

Captain Black Beard – Neon Sunrise – Recensione

18 Novembre 2022 2 Commenti Denis Abello

genere: AOR
anno: 2022
etichetta: Mighty Music

Tornano i Captain Black Beard che rendono stabile (finalmente) formazione e genere proposto nel precedente Sonic Forces (Qui la recensione).

12 pezzi quindi di puro AOR fresco e frizzante fanno da trama di questo nuovo lavoro del quintetto Svedese.
Tutto limato e tutto ben confezionato, con chitarre “giù” per lasciare il primo piano a voce, cori e tastiere cosa che rende molto fruibile il tutto.
Martin Holsner, al secondo giro con i Captain Black Beard, si dimostra un ottimo esecutore con una voce adattissima al genere proposto, che pur senza risultare di primissimo valore è in grado di donare colore ed il giusto peso ai brani. Il resto della band gira in piena sintonia ed il risultato finale è un suono coeso e ben bilanciato.

Lo stile dei brani è assolutamente “easy listening” andando a piene mani a pescare dall’AOR più commerciale, ruffiano e “disco oriented” degli anni ’80. Ritornelli ballabili si ritrovano qua e là in più brani partendo proprio dall’introduttiva Flamenco, in generale è un bell’ascoltare per chi ama le melodie alla Brother Firetribe con un lato più vintage. Manca forse il colpo di grazie che potrebbe portare l’album a veleggiare più in alto, ma brani come Wasted Heart, Burning Daylight e la stessa Flamenco regalano sicuramente un piacevole ascolto. Manca stranamente una ballata nel vero senso del termine, in quanto il brano che più le si avvicina, State of Denial, in realtà è una mid tempo abbastanza robusta… strana scelta questa, così come personalmente non avrei scelto Physical come primo singolo… l’album offre brani molto più adatti come la già citata Wasted Heart! Bene invece la Band, affiatata, coinvolgente e con Martin Holsner perfetto frontman per il genere proposto.

In generale siamo ad un più che buon livello, ma i ragazzi possono puntare ancora più in alto! 😉

Arc Of Life – Don’t Look Down – Recensione

18 Novembre 2022 0 Commenti Samuele Mannini

genere: Prog Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers

Dopo un’anno dal primo disco tornano gli Arc Of Life ovvero il side project degli Yes e se recensendo il precedente mi ero chiesto se ce ne fosse bisogno, adesso sono sicuro che no… non ce n’era bisogno, soprattutto di questo Don’t Look Down.

Stessa formazione, e stesso feeling del precedente album, anche se qui si è optato per un numero di canzoni minore in favore di una suite (Arc Of Life) di 18 minuti, ma ahimè la sensazione di noia è addirittura superiore. Sembra quasi che la band sia prigioniera di sé stessa e non riesca ad uscire da questa spirale compositiva monocorde, considerando che anche l’ultimo a nome Yes non è che mi abbia fatto proprio impazzire. Quel continuo insistere su atmosfere ‘depresse ‘ e quei continui richiami Andersoniani declinati sempre nel solito identico modo alla lunga risulta stancante, prendiamo per esempio il singolo All Things Considered pur con una partenza interessante finisce per abbarbicarsi intorno al solito ritornello monotono. L’altro singolo rilasciato, Let Live, invece è assai più convincente e variegato e ricorda più le atmosfere dei World Trade, ma il mood del disco non decolla ed anche la suite Arc Of Life presenta tutti i limiti del resto del disco con qualche spunto interessante seppellito però dalla noia generale. Degli altri tre pezzi in scaletta salvo l’opener Real Time World, che pur con i suoi limiti risulta gradevole e scorrevole, mentre in Don’t Look Down e Colors Come Alive torna la noia e l’opprimente sensazione di già sentito.

In sostanza a meno che non siate completisti e fanatici dello Yes sound e derivati non mi sento di consigliarne l’acquisto, se vi piace il prog quest’anno è uscito sicuramente di meglio.

Autograph – Beyond – Recensione

17 Novembre 2022 9 Commenti Vittorio Mortara

genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers

Ve li ricordate gli Autograph di Steve Plunkett e Steve Lynch? Si, quelli del mega hit “Turn up the radio”! Quelli di “Send her to me”, “Blondes in black cars” e della tamarrissima “Lound and clear”. Quelli che facevano un hard rock orecchiabile ai confini con l’AOR. Si? Bene, dimenticateveli pure. La formazione attuale, la stessa del precedente “Get off your ass”, messa su dai membri originali Steve Lynch e Randy Rand, non comprende più né Plunkett né il tastierista Steven Isham. E si sente. Le tastiere sono sparite del tutto e la voce… non è quella. Per di più i pezzi sono assolutamente scialbi e monotoni, tanto da far sembrare il bistrattato “Buzz” un capolavoro compositivo. Il piattume assoluto in fase di produzione completa il quadretto di un disco che, forse, molti fans attendevano da tempo con grandi aspettative.

Francamente trovo abbastanza inutile fare una disamina dei singoli pezzi, anche perché poco o nulla rimane impresso nella memoria dell’ascoltatore. Salverei l’opener “This ain’t the place I wanna be”, introdotta da una solista incalzante, la leppardiana “Take me higher” e la brillante “Beautiful disaster”. Per il resto poco da dire. Spezzo ancora una lancia per il nuovo singer, Simon Daniels. Non che abbia una brutta voce, ma lo trovo più adatto ad un hard moderno che ad una band dal passato losangelino. Rende tutto un po’ troppo Soul Asylum… Peccato.

Violet – Illusions – Recensione

17 Novembre 2022 5 Commenti Vittorio Mortara

genere: Aor
anno: 2022
etichetta: Yellow Muffin Records/Metalpolis

Era il lontanissimo dicembre del 2019. Il sottoscritto si trovava in quel di Ludvigsburg, Germania, per godersi l’H.E.A.T. festival con headliner il miglior gruppo AOR di tutti i tempi: gli Stage Dolls. Sparsi fra il pubblico, insieme a me, si aggiravano quattro giovanissimi ragazzi tedeschi appassionati di questa nostra meravigliosa musica che, conosciutisi in quell’occasione, hanno pensato di provare a suonare qualche pezzo insieme. Scoprendo di avere un’ottima intesa, hanno poi deciso di mettere su una band e cominciare a scrivere qualche pezzo. Da cosa nasce cosa, ed i nostri sono riusciti ad agganciare la Yellow Muffin con alcuni buoni demo ed a strappare un contratto per il disco di debutto. Quei quattro ragazzi sono i Violet, e il disco di debutto è questo “Illusions”. Registrato nei Peak Studios sotto l’egida di Chris Jones e ben prodotto da Andy Konstandaras, il disco vede le parti di batteria suonate dal drummer del gruppo pop tedesco PUR, Frank Dapper, mentre oggi dietro i tamburi siede il nuovo batterista Maurice Probst a dare manforte alla cantante Jamie Beckham, al chitarrista Manuel Heller, al tastierista Filip Kuzanski ed al bassista Eric Hart.

Quando le prime note di “The look of a winner” escono dagli altoparlanti dello stereo una cosa è subito chiara: anche se le dichiarazioni di intenti parlano di influenze Styx, Heart, Journey, AOR anni 80 insomma, qui c’è una enorme componente pop proveniente dallo stesso periodo: Samantha Fox, Kim Wilde, Kim Carnes… Il brano si rifà anche a certe cose di Pat Benatar, impreziosendole con magniloquenti keys e duetti fra Jamie ed il chitarrista Manuel. Ottimo biglietto da visita. Il piedino comincia a battere ascoltando la ritmata “Blame it on the night”, pop rock di facile presa. La voce della diciannovenne cantante danza sulle tonalità care a Nena e Bonnie Tyler cavandosela egregiamente. La questione non cambia passando al singolo “Sophie”, da cantare e ballare come se non ci fosse un domani, assaporandone le curate parti corali. continua

17 Crash – Stamina – Recensione

16 Novembre 2022 0 Commenti Vittorio Mortara

genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Rockshot Records

I livornesi 17 Crash sono giunti qui al quarto album in studio. Esperienza live ne hanno fatta un bel po’ aprendo concerti per nomi importanti del metal e dell’hard rock. Insomma, sono arrivati ad un punto per cui sarebbe lecito aspettarsi il salto definitivo di qualità per affrancarsi dal folto underground delle band nostrane. Prima di procedere con l’analisi dell’ascolto, ricordo che è stata inserita in formazione l’agguerritissima bassista The Mess Mistress e che “Stamina” è edito dai miei concittadini della Rockshot Records. Al mixaggio ed alla produzione, infine, hanno provveduto i soliti Lucatti e Mularoni, già autori di un lavoro più che degno già con il precedente LP. Andiamo subito con i pezzi.

Un breve omaggio al maestro Ennio Morricone fa da intro all’opener “Higher”, più metal che hard rock, dove Ros non fa mistero della sua stima nei confronti di sir Rob Halford. “My world”, ingentilita dalle keys e catchy nel coro, fa il verso ai migliori Eclipse. Vagamente vintage, e per questo vincente, batte il terzo colpo “Soul”, ben giocata sulle armonie corali. Scorie Skid Row appaiono evidenti sull’anthemica “Keep yourself alive”. Ascoltando, poi, il lento “In my dreams”, lo spirito degli Axxis aleggia fra le casse dello stereo provocando una gradevole sensazione. La scintillante livrea metallizzata del riff introduttivo di “Reach for the sky” non dà adito ad equivoci: il brano è un ottimo speed di matrice teutonica, tutto chitarre e cori epici. Leggero calo di tensione con la canonica “Flashing lights” ed il secondo lento “Brand new way”, sottotono rispetto al resto del disco, ma compensato dall’ottantianissima “Danger zone” e dalla bellicosa “Strike first” che chiude il lavoro in bellezza tra atmosfere soffuse e pieni corali potenti. continua

Marco Mendoza – New Direction – Recensione

14 Novembre 2022 2 Commenti Lorenzo Pietra

genere: Rock
anno: 2022
etichetta: Mighty Music

L’eterno giovane Marco Mendoza; dovremmo definire così questo super artista che col suo basso ha dettato note e melodie per tantissimi gruppi (Thin Lizzy, Dead Daises,Journey, Black Star Rider, Blue Murder, Lynch Mob…bastano?). Nonostante queste tantissime collaborazioni a Mendoza non è mancato il tempo di registrare il suo quarto lavoro solista “New Direction“, con la collaborazione di Soren Andersen alle chitarre e tastiere, Morten Hellborn(Stargazer)alla batteria e Tommy Gentry(GUN) alla seconda chitarra.

Il nuovo lavoro arriva quattro anni dopo Viva La Rock (2018) e personalmente lo considero un passo avanti sia come scrittura che come tipologie di brani. Infatti troviamo canzoni che vanno dal rock a stelle e strisce di All That I’m Living For, al rock più diretto di Take To The Limit (chi ha detto Ac/Dc?). Un sentore di Southern nella bella Can’t Explain It, non può poi mancare l’hard rock più diretto con le scatenate Scream And Shout e Free Ride mentre arriviamo alla ballad di turno con gli echi di Whitesnake e David Coverdale nella bellissima Walk Next To You. Il momento più AOR lo troviamo con Shoot For The Stars, ma è la chiusura di New Direction che esprime tutto il potenziale dell’album, per chiudere un lavoro di alto livello: infatti la title track è un brano dove bisogna chiudere gli occhi e partire per un viaggio lunghissimo dove ogni nota e ogni accordo è al suo posto, un brano immenso.
Senza tanti giri di parole, ascoltatelo!

IN CONCLUSIONE :
Un lavoro diretto, sincero, ispirato con diversi momenti che passano dall’AOR all’Hard Rock che soddisferanno i tanti appassionati di musica genuina e vera.

Ellefson-Soto – Vacation In The Underworld – Recensione

11 Novembre 2022 3 Commenti Giorgio Barbieri

genere: Heavy Metal
anno: 2022
etichetta: Roar! Rock Of Angels Records

Quando leggo questi due nomi, non posso che avere un sussulto di gioia, primo, perchè finalmente David Ellefson, storico bassista e fondatore dei Megadeth, dopo essere stato trattato a pesci in faccia per l’ennesima volta dal dispotico Dave Mustaine, si ritrova a comporre e suonare su un album con un cantante degno di questa definizione, dopo le due brevissime apparizioni nei KK’s Priest con Ripper Owens e nei Killing Machine con Michael Vescera e secondo perchè, con mia immensa gioia ritrovo il mostruoso Jeff Scott Soto, uno che ha suonato e partecipato su migliaia di album, tra i quali segnalo quelli con Yngwie Malmsteen, Axel Rudi Pell, Talisman, Sons of Apollo e Trans-Siberian Orchestra, cantate talmente versatile da trovarsi a proprio agio tanto in contesti hard anche melodici, che in situazioni nettamente più metalliche e qui siamo in questo ultimo campo; voi direte, l’ennesimo supergruppo pieno di ospiti che fa musica fine a sé stessa, come mai tutto questo entusiasmo? Semplice, perchè questo sembra, il condizionale è d’obbligo, davvero una band a tutti gli effetti, o perlomeno una solida collaborazione tra due grandi artisti che sono amici da una vita e il tutto si sente nell’album.

Dicevo che siamo in territori prettamente metal e l’apertura, seppur leggermente fuorviante, lo dimostra ampiamente, la title track “Vacation in the underworld” è un simil thrash, ma di quello legato al metal più classico, non fosse altro che per la presenza di Steve Conley, chitarrista e Ken Mary, batterista dei Flotsam and Jetsam, band a mio parere inclusa molte volte erroneamente nel calderone thrash, avendo rivolto nella maggior parte dei casi la sua musica ad un us metal magari spigoloso, ma certamente non ortodosso, una opening track di questa portata lascia davvero sorpresi per forza e carica, quindi, la domanda sorge spontanea, perchè l’album viene trattato su questa pagina? Beh, la risposta comincia già a sentirsi nella successiva “Like a bullet”, dal piglio nettamente più hard e con un bridge e un ritornello degno del miglior class anni 80 e qui entrano in gioco Andrea “Andy” Martongelli, chitarrista degli Arthemis e Paolo Caridi, batterista degli Hollow Haze ed ex Arthemis, tutti e due collaboratori di Ellefson sul suo disco di cover “No cover”, due musicisti molto affiatati e che sembra, ripeto, il condizionale è d’obbligo, si siano integrati benissimo con i due mostri sacri. Con “Sharpen the sword” sembra di essere in una versione quasi metallica dei Queen, ascoltatevi il ritornello e i cori che lo sorreggono e ditemi se non avete avuto la stessa sensazione, l’epico mid tempo di “The reason”ci consegna ancora un hard rock ammaliante con i ricami di Andy a dare quel tocco ancora più intenso, mentre l’apertura melodica centrale sorretta da un ispiratissimo Jeff, ci consegna uno degli highlight dell’album. Eh sì, perché non ce n’è uno solo in questo debutto degli Ellefson-Soto, abbastanza poliedrico, da toccare le corde di molti rockers, difatti la successiva “STN”, viaggia su territori street con un riff portante praticamente punk e un’interpretazione di Jeff quasi irriconoscibile, ma ditemi se questo pezzo trascinante non vi fa smuovere il piedino, e poi arriva “The revolution” a mischiare ancora le carte in tavola, difatti ci ritroviamo immersi in un metal classico pieno di intrecci chitarristici e incalzante in pieno Iron Maiden style, si ritorna in territori hard rock con la successiva “Celebrity trash”, il pezzo magari meno trascinante, ma con un testo attualissimo, che già dal titolo dice tutto, ed è con la terremotante “Live to die another day”, il ritorno al metal vicino alle cose della band originale di Ellefson, metal ‘thrashoso’ e pieno di assoli al fulmicotone, ma con la differenza che qui c’è Jeff a sciorinare l’ennesima prestazione maiuscola.  continua

About Us – About Us – Recensione

10 Novembre 2022 5 Commenti Vittorio Mortara

genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers

Messi sotto contratto dalla nostrana Frontiers, gli About Us sono un sestetto a doppia chitarra proveniente dalla remota regione indiana del Nagaland, incastonata in territorio cinese (come si evince dai tratti orientali dei ragazzi). Stando alla bio, i membri della band, formatasi nel 2019, hanno portato diverse influenze musicali, dal hard all’AOR al metal al blues, che, francamente, trovo difficile riuscire a cogliere nell’ascolto di questo debutto. Il singolo “Right now” mi è piaciuto tanto da farmi impossessare di questa recensione sperando di trovarmi fra le mani la rivelazione dell’anno. Devo dire, ahimè, che non è andata prorio così… Di bello nel disco c’è il lavoro dei due axemen, veramente bravi e dotati di gusto. Il cantante Sochan Kikon a tratti stupisce con una buona estensione e discrete doti interpretative. Dall’altra insiste spesso e volentieri con acuti urlati a squarciagola che, alla lunga, stufano. Sezione ritmica nella norma e produzione un po’ piatta, non valorizzano di certo un songwriting parecchio acerbo e inconcludente. Tutto da buttare dunque? No, non tutto.

“Right now”, come detto, è una bella canzone: struttura classica, linea vocale azzeccata e chitarre scintillanti danno vita ad un class metal moderno ed orecchiabile. Anche il nuovo estratto “Gimme gimme” si infila nella stessa categoria, un po’ più rock’n’rolloso. La struttura di “Lead my heart” è, invece, inutilmente arzigogolata. Nonostante la ritmica un po’ troppo monotona e pestata, “Our fairyland” non è malaccio. Purtroppo, i toni alti di Sochan cominciano a dare in testa. Chitarre indistorte fanno capolino nella rilassata “Loaded love”, buon brano di classico AOR dove tutti paiono esprimersi al meglio. Forse il pezzo più forte dell’album. La scialba “Rock on top” si fa ricordare soltanto per il buon lavoro dei chitarristi. continua

Stryper – The Final Battle – Recensione

08 Novembre 2022 1 Commento Alberto Rozza

genere: Heavy Metal
anno: 2022
etichetta: Frontiers

In uscita il nuovo album degli statunitensi Stryper, band storica del panorama anni ’80, capostipite del sottogenere Christian metal: forti di una compattezza insolita dopo momenti di grande difficoltà, i “giallo neri” sono ancora pronti a sfornare nuovi pezzi e a portare avanti il loro credo.

Si parte fortissimo con “Trasgressor”, una cavalcata martellante e devastante, che stilisticamente e vocalmente ci rimanda immediatamente alle peculiarità della band, compresa una parte centrale solistica molto interessante. Si passa a “See No Evil, Hear No Evil”, a richiamare forse un celebre verso dei Twisted Sister, con le sue note cupe e ombrose, a coronare un pezzone truce e potente, complessivamente molto convincente. Le sonorità non mutano con “Same Old Story”, un inno corale e coinvolgente, ottimo nella sua semplicità strutturale e nei passaggi strumentali. In pieno stile anni ’80 troviamo “Heart & Soul”, cadenzata, tagliente nel riff chitarristico, acuta nella linea vocale, un vero tributo alla golden age californiana. Giunge inevitabilmente il momento del lentone: “Near” non si smentisce e ricalca perfettamente tutti cliché dei lenti hard rock/hair metal, attestandosi a un buon livello qualitativo. “Out, Up & In” non sbalordisce più di tanto, risultando l’anello debole di questo primo blocco di brani. Dopo questo leggero calo di intensità, torniamo su ritmi più elevati: “Rise To The Call” fa la sua porca figura, sempre giocando sui punti forti dei diversi componenti della band, ovvero voce riconoscibile e corale (soprattutto in studio), struttura musicale compattissima e parti solistiche scellerate. Giungiamo a “The Way, The Truth, The Life”, molto stile rétro, che, nonostante suoni “moderni”, ci fa gustare qualcosa di nostalgico e interessante. “No Rest For Wicked”, dalla tematica struggente, ritorna su orizzonti musicalmente cupi, suoni scuri, che rendono ottimamente l’atmosfera che la band vuole creare. Con “Till Death To Us Part” ci apriamo su sensazioni più emotive, slanciate, a discapito di un suono più scarico e vuoto. Concludiamo sulle note di “Ashes To Ashes” (non una cover di Bowie), sfrenate e tambureggianti, che ci consegnano un lavoro magistrale, ispirato, magari a tratti non originalissimo, ma di qualità assolutamente sopra la media rispetto al panorama circostante, un lavoro ottimamente suonato e interpretato da ognuno dei membri degli Stryper.