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13 Dicembre 2022 4 Commenti Paolo Paganini
genere: Hard Rock/Melodic Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers
Per chi frequenta il nostro sito il nome di Rob Moratti non ha certo bisogno di presentazioni. Possiamo considerare il vecchio Rob come un veterano del genere avendo iniziato la sua carriera nei lontani anni 90 con la band che portava il proprio cognome per passare agli anni 2000 con i Final Frontier, in seguito un breve capitolo con i Saga ed una miriade di lavori solisti e collaborazioni. Con un passato del genere non sorprende quindi trovare tra gli ospiti di questo suo nuovo lavoro personaggi del calibro di Joel Hoekstra alle chitarre (Whitesnake, Night Ranger) e Tony Franklin al basso (qui meglio non elencare il suo curriculum altrimenti finiamo domani). Per quanto riguarda il contenuto di questa sua nuova fatica non troviamo nulla di sorprendente come era logico immaginarsi; si tratta “sempre” di quell’hard rock intriso di melodie sopraffine come solo i grandi come lui sanno fare. L’opener Can I Hold You For A While è anche il primo singolo estratto ed è il classico pezzone che ci fa capire perché amiamo tanto questo genere e persone come Rob. Una voce inconfondibile, celestiale che arriva dritta al cuore. Le tracce successive non fanno che confermare quanta stima nutriamo nei confronti di questo caparbio ed appassionato artista. Mai come in questi casi fare un track by track non ha alcun senso. Possiamo solo soffermarci ad ammirare l’immenso talento di questo eterno ragazzo che con umiltà e perseveranza continua a sfornare songs dalle melodie celestiali ed intramontabili. Voglio solo citare quelle che sono le mie preferite (ma ragazzi qui si tratto proprio solo ed esclusivamente di gusti personali!). Oltre alla prima traccia metterei Nothing Left To Say, For The Rest Of My Life e Love.
Per il resto non vi resta che fare la vostra scelta tanto qualunque essa sia sarà di qualità assoluta. God Save Rob!
12 Dicembre 2022 3 Commenti Paolo Paganini
genere: Melodic Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers
Cercando su Google informazioni riguardo Nevena Dordevic scoprirete che la pulzella non è una debuttante nel mondo dello spettacolo. Oltre ad essere un’insegnante musicale, cantante, cantautrice e pianista Nevena ha partecipato al talent The First Voice Of Serbia (il suo paese natale) facendosi notare ed incominciando ad esibirsi anche in giro per l’Europa. Sotto l’ala protettiva dal chitarrista Srdjan Brankovic (Algoia, The Big Deal, Ronnie Romero) che ne aveva intuito le grandi potenzialità è stata subito messa in contatto col producer Mike Palace grazie al quale ha preso corpo questo album di debutto nel genere AOR/Melodic Rock. Il risultato è decisamente convincente. Le undici tracce di cui è composto si collocano in perfetto equilibrio tra Pop e Melodic Rock e la voce di Nevena si sposa perfettamente con quanto proposto. A tratti sembra di ascoltare una versione rock delle Wilson Phillips (chi si ricorda Hold On del 1990?). Un esempio ne sono Straight Into Madness e Writers’s Block che vi entreranno in testa sin dal primo ascolto così come vi sarà impossibile tenere a bada il vostro piedino sulle note di You Two. A chi piacesse invece ascoltare qualcosa di un più rockeggiante consiglio il singolo di debutto Bad Sun Rising (nel video potete ammirare questa ragazza in tutto il suo splendore), Fire In Me, Bulletproof e Brand New Heart. Non manca ovviamente la ballata ben rappresentata da Miracles. A tutto questo aggiungete una produzione praticamente perfetta ed ecco confezionato un pacchetto estremamente accattivante.
Un lavoro per certi versi sorprendente in quanto le canzoni sono sempre di un livello molto alto e che va ad infoltire quel settore di rock al femminile che sta prendendo sempre più piede grazie a nomi quali Chez Kane e la ormai veterana Issa.
09 Dicembre 2022 3 Commenti Samuele Mannini
genere: Alternative Rock
anno: 2022
etichetta: Self Released
Ed anche quest’anno a dicembre Andrée Theander mi scombussola i piani e la classifica di fine anno come già successo nel 2021 con i Cap Outrun. quest’anno la creatura del poliedrico chitarrista svedese si chiama Clouds Of Clarity ed in compagnia di Elie Sandberg (Voce) e Mauritz Peterson (batteria), ci propone un disco di rock alternativo molto variegato e dalle molteplici influenze pop/rock e funk senza negarsi qualche passaggio articolato dalle reminiscenze neo prog. Anche sul versante dei testi il disco è particolarmente impegnato e mostra la visione della società moderna e la complessità della mente umana, viste con gli occhi del buon Andrée.
Il disco è spiazzante ad ogni brano, non annoia mai e stuzzica tutte le corde della curiosità possibili e sinceramente in un panorama musicale particolarmente omologato come quello attuale è una boccata d’aria fresca tanto gradevole quanto inaspettata. A partire dall’intro strumentale The Unconscious Mind con la sua vena prog romantica, seguito dalla title track Superficial Society che spiazza subito con la sua multiforme struttura rock/pop/e chi più ne ha più ne metta. Altro pezzo fighissimo è il primo singolo Dichotomy Thoughts, col suo incedere funkeggiante e catchy impreziosito dai fiati, confesso che dopo averlo ascoltato ho fatto il preorder del cd a scatola chiusa. Io non avrei alcuna difficoltà a fare un dettagliato track by track, anche perché le canzoni mi piacciono tutte, però non voglio togliere ai lettori il gusto della scoperta, segnalerò quindi di seguito i brani che mi hanno colpito di più, a partire dalla compassata ‘quasi ballad’ Beauty and the Trickster e la danzereccia Lock You Away. Back To Sanity è un brano dalla forte matrice neo pop, un po’ sulla scia di quanto fatto quest’anno dai Taboo, anche se in chiave meno potente. Unique Reality riprende la vena funky con un ritornello che non faticherete a cantare a squarciagola dopo un paio di ascolti. Chiude Speak Your Heart Out ed è un gioiello acustico sognante e delicato.
Insomma non state a leggere oltre né a perdere altro tempo perché se avete una mente aperta e vi piace essere sorpresi dalla Musica a tutto tondo cliccate sul link per l’acquisto che ho messo nelle note e non ve ne pentirete …è così bello andare furi dagli schemi ogni tanto…
07 Dicembre 2022 1 Commento Alberto Rozza
genere: Hard Rock
anno: 2022
etichetta: Frontiers
Nuova uscita per la storica band americana Enuff Z’nuff, tra i grandi dell’hair metal anni ’80, che ancora una volta ci propongono il loro hard rock scanzonato.
Dopo l’iniziale breve strumentale “Soundcheck”, emblematico e gradevole, il primo impatto ce lo dà “Catastrophe”, pezzone gagliardo e convincente, sia per quanto riguarda la compattezza strumentale che la suadente linea vocale espressa. “Steal The Light” segue l’onda del precedente pezzo, sempre espressione dello stile della band, con un ritornello piacevole e singolare. Aumenta la tamarraggine su “Lost And Out Of Control”, sfrenata e tagliente, arrangiata in modo impeccabile e globalmente molto interessante. “Intoxicated” è maggiormente contemplativa e intensa, sempre in linea, leggermente più lenta, dalla coralità vocale e strumentale ben strutturata. Arriviamo alla lunga “Hurricane”, titanica, mastodontica sin dalle prime note, grande brano dal grande trasporto emotivo, orchestrato in maniera veramente sbalorditiva. Passa velocemente “Trampoline”, non particolarmente originale ma comunque ottimamente resa, che si getta nella successiva “Temporarily Disconnected”, anch’essa leggera e senza troppe pretese. Arriviamo alla conclusione dell’album con l’accoppiata “God Save The Queen” (l’eterna cover – classicone) / “Reprise” (un minutino strumentale senza pretese che riparte dall’iniziale “Soundcheck”), che chiude un album ben riuscito, interessante sotto molti punti di vista, anche se visibilmente “spaccato in due”, ovvero con una prima parte decisamente più convincente rispetto alla seconda, che risulta essere leggermente più spompa e banale.
06 Dicembre 2022 0 Commenti Vittorio Mortara
genere: Aor
anno: 2022
etichetta: Frontiers
Il gruppo del cuore del newyorkese Tommy DeCarlo, fin da quando era adolescente, erano i Boston. Tanto che, qundo Brad Delp morì nel 2007, scrisse una canzone per onorarne la memoria. E fu così che Tom Scholz lo notò e gli propose di sostituire il defunto vocalist per una serie di tours e per la registrazione delle parti vocali di “Life, love & hope” del 2013. Un sogno realizzato, insomma. Ed un sogno che, in un certo senso, si è protratto nel 2020, quando, insieme al figlio Tommy (la fantasia non è la dote principale del nostro…) ha pubblicato per Frontiers l’album “Lighting strikes twice” a nome DeCarlo. Il lavoro in questione, infatti, propone una manciata di buone canzoni assolutamente in linea con il Boston sound. E, purtroppo, la cosa si ripete anche sul presente “Dancing in the moonlight”… Dico purtroppo perché il nuovo album non riesce proprio a lasciare il segno. E’ ben cantato e ben suonato, ma l’ascoltatore difficilmente prova l’impulso di risentirlo subito da capo.
Lascio la disamina track by track ai lettori e mi limito a segnalare la piacevole title track con Zadra alla chitarra, le semi lente “Beyond forever” e “No surrender”, ma anche il lento vero e proprio, “In the hands of fate”, anche se un po’ stucchevoli. Tutte le altre canzoni, dispiace dirlo, sono piuttosto noiose, troppo simili le une alle altre e troppo fedeli al sound del gruppo madre.
Credo che ques’album per Tommy sia stata una occasione persa di sviluppare gli spunti più originali del precedente anziché perdersi nell’ennesima celebrazione della band dell’astronave. For fans only.
30 Novembre 2022 1 Commento Giorgio Barbieri
genere: Hard’n’heavy
anno: 2022
etichetta: Self released
Come sempre a fine anno cerchiamo di recuperare qualche disco che ci era (per vari motivi) sfuggito nel periodo della release ed oggi tocca a Medusa di David Readman.
Devo dire che mi ero accostato alla recensione di questo album con le migliori intenzioni, cercando di mettere da parte tutte le mie idee sui dischi fatti solo con ospiti, senza una band vera e propria, forte del fatto che il buon David mi è sempre piaciuto nelle sue interpretazioni vocali, sia nei Pink Cream 69, sia nei Voodoo Circle e in effetti lui non tradisce, fa davvero la voce grossa, usando un proverbio a proprio favore, ma dopo due/tre pezzi, l’interesse ha cominciato a scemare man mano.
La partenza di “Madame Medusa” è col botto, up tempo hard’n’heavy con la partecipazione della brava Jessica Conte che aiuta e sostiene David soprattutto nel magniloquente ed epico ritornello, ma già dalla successiva “The Fallen”, fatta eccezione per l’energico inizio, si fa strada la sensazione di già sentito e se non fosse per la prova vocale di David, si potrebbe già sfiorare il tasto skip, divertente il testo old style di “Generation Dead” che sa di Skid Row e che fa da supporto ad un brano dal coro di facile presa, ma ingenuo, gli spunti davvero interessanti cominciano a farsi sempre più radi. continua
25 Novembre 2022 6 Commenti Samuele Mannini
genere: Aor / Melodic Rock
anno: 2022
etichetta: Art of Melody - Burning Minds
Debutto per gli StreetLore, progetto incentrato sul tastierista Lorenzo Nava che grazie alla collaborazione con l’amico di vecchia data Pierpaolo Monti ha visto la luce in questo fine 2022. Monti non è nuovo alla creazione di questi super progetti e prova ne è il disco degli Shining Line del 2010 (ristampato con bonus nel 2016), di cui Streetlore ripercorre a grandi tratti il concetto, ovvero attorno ad una line up di musicisti, ruotano cantanti diversi per ogni canzone e numerosi ospiti. Se questo da un lato potrebbe essere un limite soprattutto per riproporre live le canzoni e dare una sensazione di omogeneità al disco, d’altra parte consente di arricchire il menu con tocchi e sfumature uniche caratterizzando ogni canzone in modo differente.
Quello che invece si percepisce al volo è l’intensa partecipazione emotiva delle composizioni, tutte molto personali e vissute e tutto ciò traspare molto bene fin dai primi ascolti. Musicalmente ci muoviamo in territori melodic rock, dove l’influenza americana la fa da padrona e lo spirito Bonjoviano aleggia su numerose canzoni rendendo il disco orecchiabile ed assimilabile fin da subito, segno di una buona penna e di fini arrangiamenti. Prendiamo per esempio Brothers, il primo singolo rilasciato, già dal primo ascolto ti si infila nella testa il ritornello e la voce di Davide Barbieri titilla subito l’apparato uditivo. Friends In Time è rilassata, catchy ed ottimamente interpretata da Satin, ma i colpi di cannone non si fermano certo qui; infatti, in Crossoroad canta un certo Terry Brock e la canzone decolla grazie anche ai numerosi cori che impreziosiscono la struttura melodic rock del pezzo. Altre canzoni di livello sono il lento Aeglos interpretato con sentimento da Jesús Espín (91 Suite) e la seguente Only Wounds Remain ottimo mid tempo con Stefano Lionetti (Lionville) alla voce. Di Shelter From The Rain mi piace il tocco pop che contribuisce a dare la giusta varietà al disco con un’ottima caratterizzazione da parte di Eric Concas (Soul Seller). Ultime due bordate sono Shadows And Lies con Sue Willetts (Dante Fox) alla voce e la rockeggiante bonus track Gone di Dion Bayman.
Insomma, si vede che questo progetto non è una cosa improvvisata e c’è stata attenzione ai dettagli, dai testi agli arrangiamenti fino ai musicisti coinvolti. Tutto è stato fatto con cura e professionalità, il disco scorre benissimo, è piacevole da ascoltare e regala genuini momenti emotivi e sinceramente non saprei cosa chiedere di più ad un cd. Bravo Lorenzo, keep on rockin’!
24 Novembre 2022 0 Commenti Samuele Mannini
genere: Hard n' Heavy
anno: 2022
etichetta: Sneakout Records / Burning Minds
A cura di Giorgio Barbieri e Samuele Mannini
“Deserts” è il risultato della collaborazione musicale tra il cantante e cofondatore dei Crying Steel, Luca Bonzagni, e Francesco Di Nicola (Danger Zone, Crying Steel, Anims). Pur non avendo suonato nei Crying Steel contemporaneamente le loro composizioni, create e sviluppate tra il 2013 e il 2018, hanno dato vita sd un sodalizio artistico che poi si è concretizzato in “God Is A Witness”, l’album d’esordio del progetto Anims di cui ci siamo già occupati in passato (Qui la recensione). Nel progetto Krell è inoltre presente alla batteria Paolo Caridi, musicista con innumerevoli esperienze discografiche (Reb Beach, Geoff Tate, Michele Luppi) tra cui l’attuale coinvolgimento nel duo americano Ellefson-Soto, che completa la line up.
Risentire la voce di Luca Bonzagni rappresenta sempre un piacere e contemporaneamente un tuffo al cuore per chi ha vissuto l’epopea del metal italiano negli anni ottanta, quando con i Crying Steel ha scritto la storia assieme a molte altre band, ma a differenza di altri gruppi che hanno solo sfiorato la notorietà, la band bolognese ha dato sempre l’impressione di essere più consapevole e meno ingenua, e con uno zoccolo duro di fans dopo l’ottimo “On the prowl”. Come già detto, il chitarrista Francesco Di Nicola è entrato nei Crying Steel proprio dopo l’uscita di Luca e del talentuoso Alberto Simonini ed adesso i due si ritrovano in questo progetto dal taglio decisamente classico, in linea con l’hard’n’heavy già proposto dalla cosiddetta band madre. La voce di Luca magari non sarà più, fisiologicamente, quella potente e squillante degli esordi con gli Steel, ma rimane sempre su un registro abbastanza alto, tale da essere riconoscibilissima e distaccandosi da quel marchio di Halford-clone affibbiatogli ai tempi.
Il disco propone dieci tracce di Hard n Heavy onesto e sincero che non lasciano spazio a fronzoli e si rifanno ai classici del genere, a cominciare dall’opener “Desert” col suo intro orientaleggiante alla Ptolemy e la sua cadenza ipnotica, doppiata subito da “Crushing your life”. La differenza più evidente con i Crying Steel è nell’uso di una chitarra sola, che da più ‘agilità’ al sound dei Krell, con la conseguenza che i pezzi hanno un taglio più class, tipico di mostri sacri tipo Dokken, con una capacità melodica meno marcata che li fa rimanere un po’ nel limbo di chi vorrebbe prendere una direzione, ma non ci riesce e sintomatiche di questo sono la ritmata “In the cold”, la blueseggiante “Love’s a flame” o la rocciosa “Why I’m here”, dove il riffing di Francesco ricorda e non poco quello di George Lynch, pezzi formalmente belli ma non dei crack, che fanno rimanere “Deserts” su una livello degno, purnon raggiungendo picchi che stupiscono. Ma il piacere, come si usa dire, viene in fondo… ed è proprio con la conclusiva “Mantis”, che arriva l’highlight dell’album con quel boogie metal che fa forsennatamente smuovere il piedino come se non ci fosse un domani.
In sostanza dopo una lunga gestazione i Krell tornano a farci assaggiare i buoni ‘sapori’ di una volta che scaldano sempre l’anima e ti fanno sentire a casa, noi francamente ci sediamo a tavola volentieri.
23 Novembre 2022 1 Commento Francesco Donato
genere: Melodic Rock/Aor
anno: 2022
etichetta: Pride & Joy
Con questo lavoro dei britannici White Skies confesso di esser andato leggermente oltre il numero di ascolti che di norma mi concedo prima di procedere a recensire. Non che il lavoro mi sia dispiaciuto (avrete già buttato un occhio al voto) o come capita spesso, si cerchi di far restare qualcosa in testa a furia di ascolti continui. Il motivo in poche parole è che questo lavoro gode davvero di una “semplice complessità” (passatemi l’ossimoro!) che rende ogni brano un piccolo pezzo di un puzzle armonico e melodico, ma che nello stesso tempo sfugge alla standardizzazione di ciò che viene proposto. Ogni brano senza brillare più degli altri pare godere di una propria piccola e originale luce, e questo credo sia la grande forza di questo piacevole lavoro.
Ma veniamo alla band. I White Skies arrivano su etichetta Pride&Joy Music dal Regno Unito, proponendo un garbatissimo AOR più vicino forse per influenze alla storica scena americana piuttosto che alla terra di origine. Tra i loro membri spicca il nome di Mick White già voce nei Samson e nei First Strike, unitamente a Ray Callcut (ex chitarrista degli Ya Ya), Pete Lakin (ex tastierista dei Double Cross/Dante Fox), Rob Naylor (Blood Red Saints) al basso e Daz Lamberton (Red White) alla batteria.
Avvio del disco concessa al video singolo apripista “What Do You Know About Love?”, pezzo energico che su un solido riff di chitarra introduce la voce calda e a tratti roca di White. Ritornello arioso che si accomoda senza convenevoli in testa. Entrano in gioco da protagoniste le tastiere e si prosegue con “Midnight Rendezvous”, il mio pezzo preferito già dal primo timido ascolto. Qui la voce di Mike si addolcisce leggermente sfociando in un altro felice ritornello che in questo caso farà la gioia dei fans di un certo tipo di orecchiabilità. Ancora tastiere in evidenza nell’arpeggio che apre “Emily”, un mid-time pimpante e dall’intercedere spazioso. continua
22 Novembre 2022 0 Commenti Alberto Rozza
genere: Hard n' Heavy
anno: 2022
etichetta: Mind’s Eye Music
Quando si parla di Vinnie Moore, non serve aggiungere molte presentazioni: virtuoso e visionario, il chitarrista statunitense ex – Ufo torna con un succulento album solista ricco di tecnica e spunti chitarristici.
Inusualmente rispetto alla stragrande maggioranza degli album solisti di virtuosi della chitarra, questo lavoro presenta un alternarsi di diverse voci nelle tracce: ecco quindi “Vertical Horizon”, fresca, frizzante, molto hard rock nelle sonorità, perfetta come inizio. Passiamo alla successiva “Rise”, più gagliarda e cadenzata, anch’essa ricchissima di spunti tecnici e di fraseggi anche melodici. “Still Waters Run Deep” è un brano contemporaneo, ampio e solare, fruibile e godibile da una platea molto larga. Le voci e le linee chitarristiche si intersecano sulla deliziosa “Paid My Dues”, sino ad ora il pezzo più articolato e “strano”, che si lancia nella successiva “River Flow”, tranquilla e soave, dai richiami blueseggianti, magnificamente bilanciata da una traccia vocale calda e intensa. “Hummingbird” fa parte di quella schiera di pezzi piacevoli e aperti, dal grande trasporto emotivo, dal suono proprio “americano”. Passiamo a livelli più strani e virtuosi con “Astro – Man”, folle e scatenata, dimostrazione delle capacità tecniche indiscusse del grande Vinnie Moore, così come “Breacking Through”, ancora strumentale, ancora tecnicissima, ancora vivacissima. Proseguendo con questa seconda parte “senza voce”, “In Too Deep” presenta nuove sonorità e atmosfere, sempre per mettere in mostra le incredibili e poliedriche doti di Moore. “Rocket” aumenta i giri, sia a causa di una struttura ritmica serrata, sia grazie a uno sviluppo solistico veramente sfrenato: ottimo risultato. Torniamo alla tranquillità con “One Day”, sul quale poco c’è da aggiungere rispetto a quanto già precedentemente affermato sulla tecnica e sul gusto di questo straordinario interprete, che ci saluta con “Southern Highway”, ancora senza voce, ma deliziosa per tocco e capacità di cesellare le note, un’ultima traccia a chiusura di un grande lavoro solistico, di grande spessore tecnico, gradevole anche per quegli ascoltatori che non cercano il solito album composto da uno shredder.