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31 Gennaio 2023 2 Commenti Alberto Rozza
genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers
In uscita il secondo album degli svedesi Arctic Rain, supergruppo nato dalle menti di Pete Alpenborg (ormai ex membro), Magnus Berglund e Tobias Jonsson, che propongono un elegante rock melodico.
Subito il lavoro sembra essere ispirato, sulle note della distensiva e potente “One World”, tradizionale nelle sonorità, ma di grandissimo impatto emotivo, al giusto livello di intensità per una opening. A seguire troviamo la title track “Unity”, brillante e martellante, complessivamente un brano ben riuscito. “Fire In My Eyes” è un classico pezzo dalla ritmica hard rock tagliente e super articolata, godibilissimo, dalle vette vocali importanti. Continuiamo su grandi livelli con “Peace Of Mind”, oscura e poderosa, ennesimo esempio di grandissima tecnica al servizio delle chitarre, come d’altronde tutti i soli presenti nel lavoro. Si prosegue sulla stessa onda dei precedenti brani con la suadente “Laughing In The Rain”, compatta e ispirata, mentre “Believe”, pur mantenendo le stesse inclinazioni, si presenta come un ottimo lento, immancabile per un album di rock melodico. “Out Of Time” riparte alla grande, piacevole e convinta, seppur con qualcosa di poco originale nel complesso. Sempre grande tecnica e convinzione per “Kings Of The Radio”, molto articolata e fuori dal coro, una ventata di originalità. Passiamo a “When We Were Young”, nostalgico e maestoso, in pieno stile AOR. “Time For A Miracle” è un pezzo blando e dal grande apporto emotivo, strumentalmente complesso soprattutto nella parte solista. Ultima traccia riservata a “The Road Goes On”, ottima chiusura per un buonissimo lavoro, arrangiato in maniera sopraffina: nel complesso, possiamo sicuramente affermare che la missione è compiuta.
27 Gennaio 2023 2 Commenti Dave Zublena
genere: Hard rock/Prog/Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Silver Lining Music
Uriah Heep. Cinquantatré anni di carriera. Venticinque studio album pubblicati. Migliaia di show in giro per il mondo. Basterebbero questi numeri per capire la portata di questa storica band britannica.
Nell’immaginario comune i Led Zeppelin, i Deep Purple e i Black Sabbath formano da sempre la sacra triade dell’hard rock inglese. Intoccabili e un gradino sopra a tutti gli altri. Negli ultimi anni, però, si sta assistendo ad un vero e proprio movimento “popolare” dei rockers di mezzo mondo pronti a riscrivere l’antico testamento del rock ‘n roll trasformando la triade in un quartetto, inserendo proprio gli Uriah Heep come quarta colonna portante.
E come dargli torto. Se si esclude il distratto pubblico mainstream, il popolo rock li ama all’unanimità. Perché alla band di Mick Box è mancato solamente il singolo spacca classifiche. Benché brani come Easy Livin’, Lady In Black o July Morning abbiano avuto un discreto successo, non hanno raggiunto l’airplay mastodontico di Smoke On The Water, Paranoid o Stairway To Heaven. Ma gli Uriah Heep non sono dei velocisti, bensì dei maratoneti. E nonostante mille difficoltà e una stampa mai benevola nei loro confronti, hanno vinto la gara solo sulla lunga distanza. Hanno tenuto duro, hanno superato decine di cambi di formazione, decessi, fallimenti economici e sono sopravvissuti a tutte le mode. In 53 anni hanno mantenuto uno standard qualitativo elevatissimo ed escludendo un paio di album meno ispirati, la band è come il buon vino: invecchiando migliora.
E arriviamo appunto ad oggi. Al famigerato venticinquesimo full length intitolato “Chaos & Colour”. Come un fulmine a ciel sereno ecco apparire solo qualche settimana fa il nuovo singolo “Save Me Tonight”. Un vero concentrato di energia, forgiato su tutti i trademarks “Heep-iani” tanto cari ai die-hard fans. Impressionante per compattezza e naturalezza. E posto sapientemente in apertura del disco. Praticamente perfetto. Per assurdo, con un biglietto da visita così, il dubbio ci assale immediatamente. La band sarà in grado di mantenere questo livello per tutta la durata dell’album? La risposta è SI’. continua
27 Gennaio 2023 8 Commenti Giulio Burato
genere: Melodic Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers
La prima recensione del 2023 è per la seconda uscita discografica dei Crowne, super band creata da Serafino Perugino ed il suo staff di Frontiers Record; alla voce rimane ben salda la bella ugola di Alexander Strandell (Art Nation), al basso l’iconico John Leven degli Europe, alla batteria Christian Lundqvist (The Poodles) e infine alle tastiere e alla produzione Jona Tee (H.E.A.T.). Nuovo ingresso in formazione, il chitarrista Rob “Love” Magnusson (Dynazty) la cui presenza si noterà con grandi assoli in tutto “Operation Phoenix”. Rispetto al precedente “Kings of the north”, che ho apprezzato, qui abbiamo tanti ed evidenti riferimenti ai primi Art Nation e un’infarinatura cara, appunto, ai nordici Dynazty.
La copertina mi ricorda vagamente quella di “Firebirth” dei Gotthard.
Si parte subito in pompa magna con i tre singoli rilasciati sino ad oggi. “Champions”, “In the name of fallen” e la recente title-track. Le prime due hanno una struttura pressoché simile per carica compositiva ma differiscono per i ritornelli ben riconoscibili, mentre la più articolata e duratura “Operation Phoenix” si fa notare per la venatura epica nel chorus. Se vogliamo trovare un filo conduttore con la prima uscita discografica, ecco le catchy “Super trooper” e la splendida “Just believe”, un vero mix di melodia ed energia; non da meno la semi-ballad “Nothern lights” da gustare di fronte ad una aurora boreale. Carica bombastica anche nel titolo per “Victorious” che insieme a “Roar” e la adrenalinica “Ready to run” assumono il titolo di canzoni più potenti. Particolare l’intro e il grande assolo presenti in “Juliette” che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, la grande estensione vocale di Alexander Strandell, qui in grande spolvero. A completare il quadro un’altra canzone che si apprezza ascolto dopo ascolto; “The last of us”, l’ultimo pezzo da pollice in su. All’appello manca probabilmente una power ballad che avrebbe suggellato al meglio il lavoro.
Dopo l’esordio del 2021 ritornano i Crowne che dimostrano maggior amalgama, esemplificata dal bel lavoro di songwriting e da una produzione di livello. “Operation Phoenix” è un album che si farà ricordare in questo 2023.
25 Gennaio 2023 3 Commenti Yuri Picasso
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers
A distanza di 3 anni dall’ottimo debutto tornano i brasiliani Electric Mob.
Capitanati dalle vocals ruvide e melodiche di Renan Zonta (The Voice Brasil 2016), il quartetto conferma quanto di buono espresso con ‘Discharge’; gli arrangiamenti evidenziano nuovamente il lavoro di chitarra tecnico e versatile di Ben Hur Auwarter e le dinamiche imprevedibili ed originali della sezione ritmica Elero-Leister senza compromettere il risultato di ogni singolo pezzo, in qualità di addendi.
Partiamo con “Sun is Falling Down” e, anche per chi non ha avuto famigliarità col debutto, l’istrionismo di Zonta può essere apprezzato nella sua totalità: funzionale, aggressivo e poliedrico.
Si prosegue con la moderna “Will Shine”, sullo stile dell’ultimo George Lynch. La cadenzata “It’s Gonna Hurt” coniuga gli spunti degli Electric Boys con linee vocali duttili.
Echi Skid Row nell’abrasiva “Suddest Funk Ever”; Nelle strofe di “Thy Kingdom Come” la lezione di Sebastian Bach domina pur non esplodendo in una canzone memorabile. Di qualità superiore le Sleazy “Locked N Loaded” e il mid tempo “Soul Stealer”, entrambe riconoscenti alle partiture degli L.A Guns.
Il pinnacolo dei propri intenti commerciali viene raggiunto nella circostanziale “4 letters” (immaginate gli Audioslave più melodici).
A conti fatti la formula del debutto non varia di molto; piuttosto si compatta non dando spazio a slow che talvolta tolgono punti a un disco di sì fatta natura. Nel DNA del gruppo brasiliano l’attitudine a mischiare con estrema naturalezza Sleazy, Glam, Hard moderno con toni di chitarra aggressivi, talvolta cupi, echeggia e rafforza il cammino artistico desiderato.
Pur mancando di un singolo da 90, ‘2 Make You Cry & Dance’ si dimostra fedele al proprio credibile e consistente imprinting, destinato a crescere con gli ascolti.
VERSIONE INGLESE
Three years after his excellent debut, Brazilian Band Electric Mob is back.
Led by the rough and melodic vocals of Renan Zonta (The Voice Brasil 2016), the quartet confirms the good things expressed with ‘Discharge’; arrangements highlight once again the technical and manifold guitar work of Ben Hur Auwarter and the unpredictable and original dynamics of the rhythm section Elero-Leister without compromising the result of each single song.
The Album starts with “Sun is Falling Down” and, even for those are unfamiliar with the debut, Zonta’s histrionics can be appreciated in its entirety: functional, aggressive and polyhedric.
Let’s continue with the modern “Will Shine”, in the style of the late George Lynch. The measured “It’s Gonna Hurt” marries Electric Boys vibes with ductile vocal lines.
Skid Row’s echoes are solid on the abrasive “Saddest Funk Ever”; “Thy Kingdom Come” is not a memorable song but Sebastian Bach’s lesson dominates. The Sleazy “Locked N Loaded” and the mid tempo “Soul Stealer”, both acknowledging the L.A Guns lesson, are absolutely high quality songs.
The pinnacle tip in his commercial aim is reached in “4 letters” (try to imagine the more melodic Audioslave sound).
Then, the debut formula doesn’t change very much; Instead it sounds more compacted also because there is no space for any slow song that sometimes can take points away from a work of this nature. It’s pure attitude the skill to mix Sleazy, Glam, modern Hard waves with extreme naturalness, sometimes through gloomy guitar tones. This way reinforces the desired musical journey.
While lacking a single 90/100 points, ‘2 Make You Cry & Dance’ sounds absolutely credible and shows his consistent imprinting, destined to grow rating by rating.
24 Gennaio 2023 1 Commento Stefano Gottardi
genere: Hard Rock/Blues Rock
anno: 2023
etichetta: Black Hill Records
Una cascata di riccioli biondi che ricadono su quasi due metri d’uomo e un amore viscerale per il blues: Jared James Nichols nasce a fine anni Ottanta nel Wisconsin e cresce ascoltando Stevie Ray Vaughan, Albert King, Muddy Waters e Howlin’ Wolf. Nel 2010, dopo essersi trasferito a Los Angeles in seguito alla vittoria del “Gibson Les Paul Tribute Contest”, comincia a strizzare l’occhiolino al rock. Abbandonati gli studi di chitarra al Berklee College of Music, decide di smettere di usare il plettro, prediligendo le dita e sviluppando uno stile personale.
Forma un power trio con il bassista Erik Sandin e col batterista Dennis Holm e pubblica due dischi, Old Glory & The Wild Revival (2014) e Black Magic (2017) che gli permettono di andare in tour con artisti del calibro di Blue Öyster Cult, UFO, Saxon, Fozzy e Living Colour, e di dividere il palco con alcuni dei suoi idoli come Joe Bonamassa, Slash, Steve Vai, Leslie West, Peter Frampton, Billy Gibbons e Zakk Wylde.
Nel frattempo collabora con Epiphone alla realizzazione di due chitarre signature.
Dopo la pandemia del 2020, che lo costringe a interrompere il tour europeo, Nichols riprende l’attività live non appena possibile, ma durante una serata si infortuna sollevando una “road case” (i classici contenitori protettivi di strumentazione musicale). L’inevitabile operazione gli lascia in eredità una placca e 16 viti nel braccio destro, oltre alla necessità di riguadagnare l’uso dello stesso e la sua manualità con la chitarra. Cosa che fortunatamente gli riesce e che poi sfocia nella terza ed autointitolata fatica discografica, la prima per Black Hill Records.
Prodotto da Eddie Spear (Zach Bryan, Slash, Rival Sons), e con l’apporto del nuovo bassista Clark Singleton, il platter segue le orme dei suoi predecessori ed offre un hard rock a tinte blues d’impatto, semplice nell’approccio ma tecnicamente pregevole. Registrando in studio in presa diretta (ad eccezione delle voci), con poche sovraincisioni, Nichols ha cercato di dare all’album un sound che ricordasse il più possibile le atmosfere di un concerto, macinando riff su riff ed aggiungendo le sue caratteristiche vocals energiche e taglienti. Sin dalla quadrata opener “My Delusion”, che puzza tanto di vecchi Aerosmith quanto di Mountain e Led Zeppelin, si capisce che fra questi solchi ci sarà da divertirsi. L’hard rock boogie di “Easy Come, Easy Go” spiana la strada a “Down The Drain”, pezzaccio à la Soundgarden per cui è stato girato anche un (bel) video. “Hard Wired”, altro singolo, mostra i muscoli e ancora una volta non nasconde una chiara ispirazione 90s. Le successive “Bad Roots” e “Skin ‘n Bone”, anch’esse già singoli, spingono un po’ il piede sull’acceleratore mentre la voce di Nichols graffia su melodie accattivanti e convincenti. Giunti al giro di boa più che soddisfatti, le aspettative diventano alte per la seconda metà del disco. Qui non vengono disattese grazie ad altri sei brani di buonissima fattura, fra cui spiccano in modo particolare “Shadow Dancer”, canzone che potrebbe esser stata scippata dal songbook degli Audioslave, e la sabbathiana “Hallelujah”, condita da uno degli assoli più infuocati delll’intero album.
IN CONCLUSIONE
Senza stravolgere la sua proposta, ma infilando nel suo classico rock blues qualche elemento più vicino al grunge (movimento che non ha mai negato di apprezzare), Jared James Nichols confeziona un platter esaltante, che passaggio dopo passaggio lascia viva nell’ascoltatore la convinzione di trovarsi di fronte al suo miglior lavoro fin qui realizzato.
Il CD in nostro possesso è un digipack a 2 ante, purtroppo privo di booklet coi testi.
20 Gennaio 2023 4 Commenti Francesco Donato
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers
Per Frontiers Records arrivano gli Heroes & Monsters, superband che annovera tra le sue fila nomi abbastanza noti nel panorama rock internazionale, nomi attorno ai quali si è generata inevitabilmente una certa aspettativa nei confronti di questo lavoro. Se in passato non tutti i progetti nati sotto spinta della casa discografica italiana avevano convinto in pieno, in questo caso possiamo a viva voce affermare che l’album in questione è una vera bomba di classe e maestria.
Veniamo ora alla band. Gli Heroes & Monsters sono un super trio formato da Todd Kerns (voce e basso), noto soprattutto per la sua esperienza all’interno del progetto di Slash con Myles Kennedy And The Conspirators e vocalist nella band di Bruce Kulick (KISS), Will Hunt batterista degli Evanescence conosciuto inoltre per varie esperienze live con Vince Neil, Vasco Rossi, Slaughter e tanti altri, oltre per aver prestato il suo operato in album dei Black Label Society, Michael Sweet (Stryper) e Dirty Shirley (George Lynch), ecc. Chiude il tridente Stef Burns, chitarrista noto dalle nostre parti soprattutto per la sua lunga esperienza con Vasco Rossi, ma che in passato si è fatto valere all’interno di lavori di Y&T (quattro album) e Alice Cooper (Hey Stoopid e The Last Temptation).
Anticipato dagli ottimi e vigorosi singoli “Locked And Loaded” e “Raw Power”, pezzi che aprono in successione le danze sul full lenght, il lavoro degli Heroes & Monsters si conferma una bomba in termini di sound, arrangiamenti e qualità dei singoli pezzi. E’ proprio il sound, duro, massiccio, avvolgente a colpire in primis l’orecchio dell’ascoltatore, soprattutto quando si va a coniugare in modo assolutamente elegante con melodie ariose come nella terza traccia, la quasi beatlesiana “Let’s Ride It”. Si giunge dunque al primo dei due piccoli gioielli di questo lavoro.
“Angels Never Sleep”, pezzo che parte con il piglio della più delicata power ballad, sostenuto magistralmente dalla voce di Kerns, per poi aprirsi in atmosfere più dure dove la ritmica di Hunt prende in mano il volante, fino a straripare in un ritornello da cemento a presa rapida. Si resta su altissimi livelli con “I Knew You Were The Devil” dove anche qui il lavoro di Hunt dietro i tamburi dona un tiro trascinante al brano e sul quale la voce di Kerns sale in cattedra. Su un mood “acdciano” si distende “Break Me (I’m Yours)”, pezzo sul quale non potrete sottrarvi dal muovere un arto, battere un piedino, scuotere una chiappa. Il miglior solo di Burns su questo album? Per quanto mi riguarda sta proprio qui! Dopo “Blame” è il momento del secondo momento di picco dell’album. Parte “Don’t Tell Me I’m Wrong” e capiamo subito dall’intercedere quasi carico di malinconica dolcezza di voce e chitarra che ci troviamo di fronte ad un’emozione non da poco. Il pezzo segue le dinamiche di “Angels Never Sleep”, aprendosi in ritmiche più massicce dove comunque la melodia non perde mai il suo fascinoso procedere. Segue “Set Me Free”, cover super inflazionata del classicone degli Sweet, ma che è sempre un piacere riascoltare in varie interpretazioni. In questo caso la durezza del sound la rende bella cazzuta ed essenziale. Chiude il disco un piacevole tiro di fiato, la ballad “And You’ll Remain”.
20 Gennaio 2023 10 Commenti Lorenzo Pietra
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers Records
Esattamente un anno dopo Here Be Monster, ecco ritornare sulla scena i Ten.
L’album è nato durante il periodo del Covid, quando Gary Hughes preannunciò l’uscita di due album nell’arco di un anno, ed ecco puntuale Something Wicked This Way Comes.
Tra i due album non c’è nessuna relazione, a parte il classico sound riconoscibile dalla voce roca di Gary Hughes e dalle melodie hard rock sempre coinvolgenti. I Ten tornano, come precedentemente detto, dopo un anno dal precedente lavoro e confermano la formazione con alle pelli l’ospite Marcus Kullman, Dann Rosingana e Steve Grocott alle chitarre, Darrel Treece-Birch alle tastiere e naturalmente la mente e voce Gary Hughes, instancabile songwriter negli ultimi anni.
Per quanto riguarda Something Wicked This Way Comes è il classico album che ci si aspetta dai Ten, melodie, grandi riff di chitarre e bisogna aggiungere degli ottimi assoli in questo lavoro, ancora più in evidenza.
Tutti i lavori dagli inizi degli anni ’90 ad oggi hanno un’impronta ben precisa, un suono definito e riconoscibile, dove la voce di Gary Hughes o si ama o si odia, non ci sono vie di mezzo.
Già la opener Look For The Rose fa capire che i Ten sono ancora in ottima forma, basta sentire il bellissimo assolo e la melodia, certo qualcuno potrà storcere il naso per la mancanza di innovazione, ma questo è il loro marchio di fabbrica.
Non sono da meno le successive tracce Brave New Lie, The Tidal Wave dove le tastiere si fondono perfettamente con i riff di chitarra, il basso che detta il tempo e le melodie la fanno da padrone.
La title track Something Wicked This Way Comes conferma quanto detto fin’ora con i suoi 7 minuti, The Fire and The Rain è invece la classica canzone mid tempo che abbiamo sentito su ogni album dei Ten, mentre la ballad New Found Hope scorre senza sussulti. Tutti i pezzi funzionano e il lavoro alle chitarre personalmente lo trovo migliore dei precedenti album sia come qualità sia come melodie.
Il mio voto finale equivale al precedente Here Be Monster, ottimo lavoro.
IN CONCLUSIONE :
Chi conosce i Ten sa cosa trovare e non rimarrà deluso, melodie che entrano subito in testa e chitarre taglienti. Un lavoro che non deluderà i fan.
19 Gennaio 2023 4 Commenti Vittorio Mortara
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers
Nuovo album per i norvegesi Big City, secondo con dietro al microfono Jørgen Bergersen e con una formazione stabile. I ragazzi ci propongono un hard rock molto robusto, che lascia molto meno spazio a linee melodiche orecchiabili e a lazzi ed orpelli. Cosa che pare assai di moda nella scuderia Frontiers.
Cominciando da ciò che di positivo troviamo nel disco, cito l’ottimo lavoro dei due chitarristi, capaci di creare wall of sound ed intrecci realmente metal. Da citare l’ugola di Jørgen che è sempre sul pezzo. Purtroppo le lodi, almeno per il vostro redattore, finiscono qui. Perché questo è l’ennesimo lavoro che non lascia nulla di impresso nella mente e nel cuore dell’ascoltatore. Sarà per la relativa pochezza delle composizioni, sarà per la piattezza (purtroppo un problema assai diffuso) della produzione, sarà per un genere fin troppo inflazionato. Metteteci anche un drummer che picchia sui quattro quarti come un maniscalco senza mai concedersi un vezzo ed avrete completato il quadretto. Cito qua e là qualche brano al di sopra della media compositiva proposta sul disco: le belle parti di chitarra di “Human mind”, lo spirito nordico anni 90 e le svisate del bassista Miguel Pereira in “Diamond in the rough”, la linea vocale assai gradevole di “Now” e l’articolata “Sparks of eternity” posta in chiusura.
Di tutto il resto, francamente, resta poco da ricordare. Peccato, sarà per la prossima volta magari…
19 Gennaio 2023 6 Commenti Paolo Paganini
genere: Melodic Rock/Aor
anno: 2023
etichetta: Frontiers
Sembra ieri quando nel 2010 la talentuosa cantante norvegese Issa Oversveen faceva il proprio debutto nel panorama del rock melodico internazionale con l’album Sing Of Angels apparendo anche nella line-up della prima edizione del Frontiers Rock Festival in quel di Trezzo sull’Adda riscuotendo tra l’altro parecchi consensi. Nell’arco di tredici anni la bionda singer venuta dal nord ha pubblicato ben sette dischi ritagliandosi un ruolo di spicco tra gli estimatori dell’AOR al femminile. Sempre sotto l’ala protettiva della partenopea Frontiers Records esce oggi il nuovo disco Light Of Japan ultima fatica composta da undici tracce di puro rock melodico. Come dimostrato sempre nell’arco della propria carriera la ragazza ha saputo conquistare i fan grazie ad una voce davvero notevole e riconoscibilissima facendo da apripista a quel “rock rosa” che recentemente ha portato alla ribalta artiste come Chez Kane e Nevena. Per l’occasione Issa si circonda inoltre di una nuova band e di un nuovo produttore Michele Guaitoli, (Visions Of Atlantis, Kalidia, SheWolf). continua
18 Gennaio 2023 4 Commenti Alberto Rozza
genere: Melodic Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Pride & Joy
Progetto ampio e dalle grandi collaborazioni per il cantautore e chitarrista tedesco Markus Pfeffer, che ci presenta l’album “What Comes To Light” con i Barnabas Sky, inconfondibilmente melodic hard rock e dalle atmosfere dal grande impatto.
Si parte con la title track “What Comes To Light”, dalla grande dinamica, armonicamente piacevolissima, dove la tecnica e il gusto si fondono in modo assolutamente perfetto: ottimo modo per iniziare un album. Si passa alla successiva “We Are Electric”, suadente e cadenzata, inusuale in alcuni passaggi, a renderla ancora più intrigante e corale, altro tassello inaspettato in un lavoro pieno di sorprese. “Till My Dying Days”, dalle sonorità decisamente più heavy, ci catapulta in un’altra dimensione musicale: accordoni belli tosti e compatti, fraseggi di grande presenza, tutto condito da una struttura solida ed efficace, per confezionare una canzone di grande effetto. Da una gradevole commistione tra sonorità vecchia scuola e più contemporanee nasce “Circus Of Delight”, misteriosa, quadrata, corposa, sempre azzeccata sia nella parte musicale che nelle scelte vocali. “Take A Ride” ci porta su orizzonti più sfumati e contemplativi, ci entra dentro senza difficoltà con la sua soave trama, un brano sempre cesellato nei minimi particolari. Si torna all’heavy metal con “A Dying Song”, complessivamente molto soddisfacente, dalla lunga durata, dal grande trasporto emotivo e soprattutto dalla resa strumentale eccellente, che si riversa nella successiva “Isolation”, gagliarda e decisa, struggente in alcuni passaggi, globalmente convincente nella sua semplicità. “Grant Me A Wish From Heaven” esplora nuovamente la parte più emotiva della band, attestandosi positivamente nell’annovero dei brani melodic hard rock ben riusciti. Interessanti venature strumentali con “One Or The Other”, vocalmente folle, dalla trama musicale non consueta e ben articolata, che subito resta impressa nella mente dell’ascoltatore. continua