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Transworld Identity – Seven Worlds – Recensione

17 Marzo 2023 0 Commenti Vittorio Mortara

genere: AOR
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Oh! Finalmente un gruppo di emeriti sconosciuti! E’ molto più facile per chi vi scrive giudicare dei signori nessuno: si evitano pregiudizi ed aspettative e si valuta solo la musica. E questi cinque Lapponi, checché ne dica la bio, secondo me ben pochi li conoscono, sia in patria che fuori. Detto questo, cominciamo con l’osservare che, dal punto di vista tecnico, la band è composta da onesti musicisti. La chitarra di Mika Lamminsivu è sempre puntuale negli interventi, le parti di tastiera sono sul tamarro andante e la sezione ritmica non si allontana mai dal classico 4/4. Il risultato è un hard rock canonico, a tratti piacevole e, spesso, generatore di adrenalina. La front girl Mila Bosa se la cava piuttosto bene e caratterizza il sound con il suo timbro che, più che le eroine del genere, ricorda parecchio le ragazzacce del pop degli ’80, Samatha Fox e Nena in primis.

La prima traccia, “Everything must burn”, piace per il suo riff ignorante, il testo per nulla scontato ed il crescendo melodico adrenalinico. I synth che aprono “Play & pretend” sembrano presi pari pari da un qualsiasi brano di disco music dei ’90. Poi il pezzo si sviluppa in un orecchiabile e rozzo hard/AOR. Bella diretta “I’m such a liar”, brano preferito da chi vi scrive, trascinata alla grande dalla voce di Mila fino al killer refrain. Il pop rock di Nena traspare appieno dalle note di “Part maroon, part indigo”. Non fa gridare al miracolo “Time”, troppo legata ai canoni di mille altre band coinquiline in Frontiers. continua

Cross Country Driver – The New Truth – Recensione

16 Marzo 2023 0 Commenti Samuele Mannini

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Ero già in subbuglio quando sentii che il cantante di questo gruppo era Rob Lamothe, frontman della cult band Riverdogs, dei quali ho anche incluso un disco nelle nostre gemme sepolte (QUI il link). Si, perché Rob ha quel tocco di feeling nella voce che raramente capita di sentire in giro (specie ai giorni nostri) e le sue canzoni hanno il potere di accendere la mia vena nostalgica e malinconica, mentre le note tratteggiano quei tipici paesaggi polverosi e semi desertici del sud degli Stati Uniti, dove il rock, intriso di venature blues, assume la sua forma più viscerale.

Basterà ascoltare l’opener Wild Child per compiere un viaggio nello spazio tempo alla metà degli anni 80. in un tipico e rovente paesaggio della California del sud, inoltre, sapendo che gli ospiti di questa canzone sono Mike Mangini e Greg Chaisson, potrete immaginare la caratura tecnica del brano, perfettamente rifinito dall’immenso feeling del buon Rob. Ogni canzone ha una serie di ospiti che arricchiscono e caratterizzano la composizione e Greg Chaisson, per esempio, appare in cinque canzoni su tredici, non stupitevi dunque se udirete qualche assonanza dei Badlands, così come Doug Pinnick presente su tre brani caratterizza il sound in maniera tipica con il suo mood, e qui prendiamo ad esempio A Man With No Direction. Insomma, varie influenze vengono via via innestate sulla tipica struttura hard/southern/blues di scuola Riverdogs con risultati spesso molto apprezzabili, vedasi l’intima Traces of the Truth ed il rovente ed ipnotico singolo Rio Tulerosa. Altri pezzi di rilievo sono la martellante Shine e la rilassata Risen, dove come ospite troviamo Vivian Campbell, membro originale proprio dei Riverdogs. Bella infine la chiusura con My Goodness, un lento semi acustico stracolmo di pathos.

Disco perfetto quindi? Beh non proprio. Intanto, per apprezzarlo a pieno, bisogna essere un amante di queste sonorità, perché questo ed è bene dirlo, non è assolutamente un disco piacione fatto per strizzare l’occhio al pubblico, ma bensì un lavoro pieno di passione e permeato delle sonorità di una volta che non  siamo più molto abituati ad ascoltare al giorno d’oggi. Dategli dunque qualche ascolto per farlo penetrare bene ed a fondo nella vostra, probabilmente arrugginita, anima blues e sentirete che piano piano farà presa e forse, gli perdonerete anche quelle tre o quattro canzoni un po’ più piatte che magari non lo faranno entrare nella categoria dei capolavori, ma che comunque completano il quadro emozionale.

Per concludere, un ben tornato a Rob Lamothe, che ottimamente accompagnato da James Harper alla chitarra e dal figlio Zander Lamothe alla batteria ( oltre naturalmente agli ospiti elencati nei titoli brano per brano), ci regala un disco di hard rock old school degno di essere vissuto completamente.

John Diva & The Rockets Of Love – The Big Easy – Recensione

14 Marzo 2023 5 Commenti Lorenzo Pietra

genere: Rock
anno: 2023
etichetta: Steamhammer / SPV

John Diva & The Rockets of Love arrivano dritti al terzo album con la loro carica Glam Rock in pieno 80s style e trasmettono (un po’ come i loro “colleghi” Steel Panther) la voglia di party, di ballare, ubriacarsi, le feste con le ragazze e tutto ciò che può significare la parola divertimento.
The Big Easy” è il terzo album su Steamhammer / SPV e saranno disponibili le versioni CD, LP o un divertente cofanetto che include addirittura occhiali da sole, crema solare e alcuni gadget.
La line up non cambia con Lee Stingray Jr. alla Batteria, Remmie Martin al Basso, Snake Rocket e J.J. Love alle Chitarre e John Diva alla Voce .

La festa inizia con i 50 secondi dell’intro California Rhapsody, con i coretti stile anni ’60 che aprono le danze al primo singolo e title track The Big Easy, il riff sprigiona rock ottantiano come il ritornello di facile presa che ti entra subito in testa con la sua melodia e l’assolo breve, diciamolo, alla Van Halen. Buon inizio!
God Made Radio con l’intro a la Motley Crue, si spinge verso un rock sempre molto melodico e un riff contagioso, il ritornello arioso e sempre azzeccato . Runaway Train è la mid tempo che non può mancare per spezzare il disco. Il pezzo è molto easy , radiofonico e senza troppe pretese ma sempre con un bell’assolo come forza.
Thunder è IL pezzo da stadio, il suo anthem iniziale, la chitarra tagliente, il riff che ti fa muovere testa e piede, il suo ritornello Leppardiano, bel pezzo! Si continua con Believe, un brano dotato di buoni cori ma direi il meno diretto del lotto, ha sicuramente bisogno di più ascolti. Back In The Days è solare, quasi AoR, le chitarre sono meno cattive, ma ancora una volta il refrain è irresistibile!! Hit And Run è la ballad di turno, chitarra e voce iniziale per l’esplosione del bellissimo ritornello, da segnalare sempre il solo elettrico, forse troppo breve per la portata del pezzo. Boys Don’t Play With Dolls parla Aerosmith, i fiati che accompagnano le tastiere che sorreggono l’ottima melodia, ma diciamolo …. il titolo da solo riassume la recensione!
The Limit Is The Sky parte ancora forte con un riff veloce e rabbioso con le due chitarre sugli scudi mentre Capri Style (a voi la disamina sul titolo) ha un riff ancora devoto ai Motley Crue , secco, diretto, “stradaiolo” e il cambio di tempo prima del ritornello la distingue dalle altre canzoni, altro centro! Si chiude con Wild At Heart dove la batteria apre le danze alle chitarre ed ai cori lenti. Canzone nostalgica, con inserti di chitarra e cori un po’ ultimi Bon Jovi. Sicuramente il pezzo più “moderno” del lotto ma sempre di alto livello.

IN CONCLUSIONE:
Come illustrato in copertina dell’album, se avete voglia di feste sfrenate e musica anni ’80 avete trovato il disco perfetto. Nulla di innovativo, ma vi farà passare un’ora di puro godimento!

The Banishment – Machine And Bone – Recensione

14 Marzo 2023 0 Commenti Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Nuova avventura per l’ex Dokken George Lynch, leggenda della chitarra anni ‘80, che, insieme a Devix Szell e Joe Haze, crea un sound particolare e ricco di commistioni, a tratti spiazzante e piacevole.

Partenza riservata a “Reaction”, inusuale, elettronica, tagliente, di grandissimo impatto e ottimo biglietto da visita per la band, che subito mette in chiaro gli intenti del lavoro. “Max Pain” è un pezzone molto tosto, non particolarmente originale, interessante dal punto di vista dell’uso dell’effettistica e dal ritornello orecchiabile. Passiamo alla successiva “Right”, decisamente rétro per alcune atmosfere, sempre utilizzando in modo massiccio una tipologia di suono sporca e rovinata. Cambio di prospettiva con “Lost Horizon”, ottimo mix di industrial metal quasi di mansoniana memoria e qualcosa dal sapore hard rock, soprattutto nell’intro, sempre con l’intento di creare qualcosa di stranamente straniante e disorientante. “The Dread”, a dispetto dell’album, presente una trama e un’esecuzione molto canonica, risultando paradossalmente un brano ben riuscito e godibilissimo. “Reunion” non convince pienamente, asciutta e leggermente scialba, così come la successiva e confusissima “Terra Nullius”, al limite della comprensione nella parte iniziale, che riesce a salvarsi solo nella seconda metà. “Got What You Wanted” è in linea con il prodotto, piacevole e decisa, molto orecchiabile e di cui è possibile vedere un interessante videoclip su YouTube. Arrivati a “Terror”, ci troviamo di fronte a una traccia che convince e si dimostra azzeccatissima, soprattutto nei cambi di dinamica. Title track in chiusura: The Banishment si congeda con il pubblico con l’istrionica “Machine And Bone”, gagliardissima e malinconica, degna chiusura per un lavoro che osa molto ed esplora territori magari inconsueti, piacevole all’ascolto, ma che non lascia molto nel cuore dell’ascoltatore.

Demon’s Down – I Stand – Recensione

10 Marzo 2023 2 Commenti Denis Abello

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers Music Srl

Hard Rock massiccio dal tratto melodico per i Demons Down. Uno dei nuovi progetti a firma Frontiers Music che  questa volta mette insieme   la voce di James Robledo (Sinner’s Blood, Solista) con i chitarristi Francesco Savino (False Memories) ed il più noto Jimi Bell (House of Lords, Autograph), oltre al batterista Ken Mary (ex-House of Lords, Alice Cooper, Fifth Angel, etc.) e al bassista Chuck Wright (Quiet Riot, bass, ex-House of Lords, etc.).

Nomi importanti, una gran bella voce a tenere le fila e dei pezzi che viaggiano in coppia sulle montagne russe. La tracklist infatti alterna pezzi buoni e di livello ad altri più anonimi.

Si parte con una prima marcia da passeggio. Così, anche se I Stand richiama gli ultimi House of Lords e Disappear ha un piglio spinto e roccioso, è solo con Down in a Hole che si comincia veramente a viaggiare a ritmi sostenuti. Un bel tappeto di tastiere lancia una chitarra affettata e una voce “Jorn style”. Centro anche per la successiva On My Way To You con un intro che ricorda Mother Love dei Queen.
Si cala un po’ con Where Will Our Tears Fall e Book of Love, lontani dall’essere brutti pezzi ma che ricordano brani già sentiti in questo genere.
Hard Rock bello roccioso per la successiva Stranded in The Middle Of Nowhere e si incasella anche un altro bel brano con Follow Me, impreziosito da tastiere di livello e un’ottima prova vocale di Robledo. Bel brano hard rock melodico è anche la successiva To The Edge Of The World. Search Over The Horizon e Only The Brave chiudono degnamente, ma senza scossoni, un lavoro che piazza alcuni buoni colpi, dimostrando che la band sa il fatto suo e può funzionare, ma che si alterna a brani nettamente più anonimi e che scivolano senza riuscire ad incidere il loro segno nell’orecchio dell’ascoltatore.

Una buona prima uscita a cui manca però il balzo verso la vetta!

7th Crystal – Wonderland – Recensione

09 Marzo 2023 0 Commenti Yuri Picasso

genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers

A distanza di due anni dall’eccellente ‘Delirium’ tornano gli svedesi 7th Crystal.

Rispetto al debutto la direzione artistica conferma la bontà del sestetto (dopo l’uscita dell’opera prima si è aggiunto il chitarrista Gustav Linde), esplorando ulteriormente il DNA melodico e moderno del gruppo, commerciale, con un potenziale da classifica notevole. Sin dalla title track possiamo apprezzare una produzione pulita, vocals accattivanti e interessanti cambi di tempo lasciando presagire che i maggiori virtuosismi arriveranno dalla sezione ritmica e non esclusivamente da assoli chitarristici. Il vecchio lato A trasuda solidità e può essere descritto come un blocco ispirato dove le singole canzoni si equivalgono.

I 7TH Crystal hanno trovato la loro personale via e la vogliono ispezionare palmo a palmo, nota dopo nota, canzone per canzone.
Tra queste citiamo le linee vagamente funky di “Hollow” e la prettamente scandinava “My Own Way”. “Imperfection” è frustrazione e voglia di rivalsa in note, mentre il lento “In The Mirror” rappresenta introspezione sottolineata da un’interpretazione sofferta. Due bellissimi pezzi che da un lato mostrano lo stato di grazia e le capacità interpretative di Kristian Fyhr, percorrendo vie melodiche per nulla banali ma al contempo seducenti, dall’altro trascinano il disco a un livello successivo, superiore. Chiude il platter la ritmata “Rodeo”, figlia degli insegnamenti di Martensson e soci.

Ispirato, solido, curato, efficace e fruibile anche da chi non è abituato a vivere musicalmente alle nostre latitudini.
‘Wonderland’ risulterà essere un valevole candidato alla top ten del 2023.

Roxanne – Stereo Typical – Recensione

01 Marzo 2023 3 Commenti Giulio Burato

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: RAT PAK RECORDS

Nella settimana in cui ho terminato la serie Tv che parla della vera storia di una piattaforma musicale che ha segnato i tempi dall’era “fisica” all’era “digitale”, mi appare, come contraltare davanti agli occhi, la copertina di “Stereo Typical”; una copertina su un candido sfondo bianco che raffigura il massimo per i cultori del rock, ossia una bella donna e un signor impianto stereo pronto a regalarci i suoni autentici che scaturiscono dai vinili.

Ritornano dopo cinque anni dallo splendido “Radio silence” i Roxanne con la sola terza uscita discografica in carriera; scrivo “la sola terza” in quanto i quattro americani avrebbero meritato e meriterebbero una carriera più altisonante vista la classe innata che trapela in ogni singola canzone di questo nuovo lavoro, ben 35 anni dopo il primo.

Anticipato dai singoli “Keep on keepin on” e “Only a call away”, “Stereo Typical” è uscito sul mercato il 24 febbraio tramite Rat Pak records. Le due canzoni sono accumunate dalla presenza di due ospiti; nella prima canzone, in cui è chiara la matrice dei Tesla, presenzia il potente Jeff Scott Soto (Talisman, W.e.t.) mentre il sempre verde Dug Pinnick (King’s X) appare, come anche nel precedente album, nel lento “Only a call away”, entrambi corredati di piacevoli video. Non mancano ulteriori ospiti; nella semi ballad “Looks like rain”, che per coralità ha spunti cari ai Queen, ecco Mr.(Big) Paul Gilbert alle sei corde mentre una suadente voce femminile impreziosisce la splendida ballata “Without a rope” posta a fine scaletta. Con “un parterre de rois” simile, l’album si incanala immediatamente sui giusti binari di una uscita di livello.

Se dovessi pensare ad un riff che rappresenta al meglio i Roxanne, non avrei dubbi di dire quello presente in “Nothing to lose”, canzone del primo album, qui rivisitata e rinvigorita a livello strumentale. Se dovessi poi trovare un riff che su “Stereo Typical” rappresenta la band nel 2023 ecco la title-track, la perfetta alter-ego della bonus-track. Se infine c’è una caratteristica che contraddistingue Jamie Brown & Co. sono sicuramente la qualità e particolarità dei cori, qui esemplificati anche in “The cost of living” e nella bellezza straripante di “Waiting for Laura”.

Completano l’album, la funky “Gotta live”, l’acustica “Open Book” e la stravagante “Until they do”.

Stargazer – Life Will Never Be The Same – Recensione

28 Febbraio 2023 2 Commenti Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Mighty Music

Grandissima uscita per i norvegesi Stargazer, band giunta al terzo album in studio, che propone un hard rock venato di heavy metal, ottimo e potente richiamo al ventennio ‘70 – ‘80.

Le intenzioni sembrano subito chiare e precise: “Can You Conceive It” è ritmicamente una bomba atomica, di grande impatto, dalla trama vocale ben inserita in quella musicale e con un solo centrale interessante. Passiamo alla successiva “Live My Dreams”, anch’essa dalla ritmica tagliente e coinvolgente, ottima nella sua globalità. Sempre sull’onda nostalgica degli anni d’oro dell’hard rock troviamo “Rock The Sky”, molto Whitesnake per struttura e intenzione, ma decisamente un prodotto di grandissima qualità, corale, complessa e sublime nei fraseggi strumentali. Immancabile arriva il lentone di turno: “Live Today”, canonico, suadente e accorato, niente di più e niente di meno della miriade di lenti del mondo del rock. Torniamo a martellare con la ben più movimentata “Don’t Kill”, bella corposa e tonante, sempre allineata con lo stile della band, ad attestare la grande capacità compositiva degli Stargazer. “Will I Come To Heaven” cambia leggermente le dinamiche e questa variazione rockettara piace e delizia, così come la successiva “Heartbroken”, più contemplativa e crudele, oscura e malinconica nelle atmosfere, ma sempre piacevolissima all’ascolto, fatto che la porta a essere una vera e propria chicca! “Turn Off The Light” si ripropone col solito tono granitico e tambureggiante, sempre proponendo uno stile compatto e deciso. Proseguiamo sulle note dolci e conturbanti della strumentale “Beyond The Moon”, grande prova di tecnica e gusto da parte degli Stargazer, che ci deliziano nuovamente con l’intensa “Take Me Home”, che si apre all’orizzonte come un languido tramonto. Concludiamo con “Push Me”, cristallino, ritmato, eccellente pezzone di puro rock, che consacra una band matura, in forma smagliante, prontissima per proporre queste ottime canzoni anche live.

Spesso spendiamo soldi per dischi di band costruite a tavolino, non è forse meglio supportare artisti che ci mettono anima e passione nel vero spirito del rock ‘n’ roll?

Creye – III Weightless – Recensione

17 Febbraio 2023 8 Commenti Giulio Burato

genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Non sono uno “stalker musicale” ma mi accingo a perseguitare per la terza volta consecutiva i Creye. Ebbene sì, terzo album dal titolo “III -Weightless” e terza mia recensione per la giovane band svedese.

Prima nota da sottolineare; la band non ha avuto ulteriori scossoni. Dopo “II” di inizio 2021 e l’EP “Alive and well” a fine dello stesso anno, August Rauer è ancora saldamente dietro al microfono. Il resto della band rimane compatta. In data 17/02/2023 esce dunque il loro terzo capitolo discografico. Se il primo album ha avuto grandi influenze di stampo A.o.r., nel successivo e nel presente album il sound della band si è assestato verso un’impronta che ricorda molto gruppi come Art Nation, Brother Firetribe, e H.e.a.t. A proposito di quest’ultimi, andiamo ad ascoltare “Spreading fire”, primo singolo rilasciato, “In the shadows” e “Dangerous”, canzoni che sembrano fuoriuscire come una penisola dal continente “Adress the nation”.

L’apice della release è “Stay”; August sfoggia una magistrale prestazione vocale su una base al pianoforte, drammatica ed intensa, che verrà poi plasmata con l’entusiasmante innesto finale di un coro di voci femminili. Altri singoli sono la bella “Air” e la ficcante “One step away” dove il ritornello straborda di tastiere. Ricordi dello stile Tyketto in “How far”, mentre i brani con più assoli di chitarra sono agli antipodi; l’inziale “Glorious” e la conclusiva “Pieces”. Altri pezzi degni di nota sono la pop-rock “The game” dalla coralità contagiosa e la straripante (di tastiere) title-track che suggellano un altro lavoro di livello.

Nel rooster di Frontiers i Creye sono sicuramente una delle giovani band più interessanti e da un certo punto di vista consolidate nel panorama europeo in ambito melodic rock.

All My Shadows – Eerie Monsters – Recensione

17 Febbraio 2023 0 Commenti Giorgio Barbieri

genere: Melodic Hard Rock/ Melodic Metal
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Mi sono avvicinato a questo album di debutto degli All my Shadows con una certa cautela, a causa del fatto che la band non è proprio un insieme di debuttanti, difatti la spina dorsale è composta dal cantante Andy Kuntz, dal chitarrista Stephan Lill e da suo fratello Andreas alla batteria, tutti anche nei prog metallers Vanden Plas da oltre trent’anni, per cui l’approccio deve essere più selettivo e mi spiego. Se da una band di debuttanti mi aspetto comunque qualche imprecisione oppure qualche caduta di tono, soprattutto a livello di songwriting, da gente che sguazza nell’hard’n’heavy fin dal 1986, mi aspetto la barra dritta, la tensione al massimo e soprattutto, idee poco scontate e, ve lo dico subito, tutto questo latita un po’ quando si resta nel campo del classico hard’n’heavy melodico e per trovare idee valide, che per intenderci ci sono, bisogna ramazzare un po’ nel campo della band madre, ma andiamo per gradi.

L’intenzione dei nostri, dichiarata apertamente nella presentazione, è quella di riscoprire le sonorità cromate degli anni 80, quelle di Dokken e Whitesnake, con la loro produzione potente, ma con elementi moderni inseriti ad hoc e questo si sente, il punto però è che queste idee non sono solo datate, ma anche prevedibili e laddove si sente qualcosa di diverso, ad esempio in “Syrens”, il tiro si sposta , forse involontariamente, verso il prog metal, più melodico di quello proposto dai Vanden Plas, ma inevitabilmente accostabile e le cose migliorano decisamente. Il fatto che gli All my Shadows non siano la oramai tristemente nota ammucchiata di ospitate, come era nelle idee originali di Stephan, depone sicuramente a loro favore, anche se inevitabilmente l’identità è influenzata dal background dei musicisti, ma quando si arriva ad un pezzo quasi commovente come “Lifeforms”, nel suo andamento da ballad “aperta”, si capisce che le cose migliori arriveranno da quei momenti, dalla già citata “Syrens”, anche dall’intensa “Farewell”, ballad pianistica dal pathos che solo chi maneggia la materia prog riesce a concepire e dalla conclusiva “All my eerie monsters”, continua