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11 Aprile 2023 5 Commenti Denis Abello
genere: Pop Rock / Retro Sinthwave
anno: 2022
etichetta: FIXT Music
Un nuovo EP per gli inglesi LeBrock. Dopo l’uscita del full lenght Fuse (2021), che seguiva i due bellissimi EP Action & Romance (2016) e Real Thing (2018), ma che mancava forse di centrare completamente il colpo, quella che è la Band che fa da miglior unione tra il nuovo filone del Retro Sinthwave e l’AOR più radiofonico ci riprova con un EP che raccoglie gli ultimi singoli usciti… ed il centro questa volta è totale!
Cosa è mancato a Fuse? L’Urgenza!
Quell’urgenza nel sound firmato dal chitarrista e produttore Michael Meadows e quell’urgenza data dalla voce (splendida) di Shaun Phillips. Il resto era tutto li, il sinth, il suono pulito e brillante al neon che tanto fa anni’80, quel revival non anacronistico… eppure a Fuse mancava l’urgenza!
Urgenza che ritroviamo in questo Gone e che riporta i LeBrock ai fasti di Action & Romance con pezzi che sono vere cavalcate radiofoniche. Si vola subito sulle note di Running Wild e quel brivido di adrenalina che la musica a firma LeBrock regala scorre lungo ogni singolo nervo del corpo e risulta da subito impossibile non intonare a piena voce il suo ritornello.
Chemistry è sognante desiderio che vibra sulle note della chitarra mentre See Me è manifesto di quell’urgenza di cui parlavamo in intro di recensione! Can’t Breathe è il pezzo più easy e radiofonico e Gone è l’ennesima medaglia al petto di una delle band più interessanti degli ultimi anni.
Un EP, 5 soli pezzi, eppure il valore totale del lotto proposto è talmente alto che non serve neanche spendere ulteriori parole in proposito! Fatelo vostro!
11 Aprile 2023 0 Commenti Alberto Rozza
genere: Hard Rock/Heavy Metal
anno: 2023
etichetta: Music Theories Recordings/Mascot Label Group
Orecchie aperte per i nostalgici di Ronnie James Dio: il virtuoso della chitarra Paul Gilbert (ex – Racer X; Mr. Big) esce con un colossale tributo strumentale alla carriera dell’artista statunitense, viaggiando attraverso la sua musica, rispettivamente con quattro brani per band, nei Rainbow, nei Black Sabbath e nei Dio.
Apertura affidata a “Neon Knight”, che, al di là del conosciuto, presenta già la peculiarità del lavoro, ovvero ricreare chitarristicamente la voce di Ronnie James. La tecnica non si discute assolutamente e presto passiamo alla successiva “Kill The King”, suggestiva e corale, dove Gilbert si presta a svariati fraseggi e strumenti. “Stand Up And Shout” riesce a coinvolgere come nell’originale, ricalcandone la verve vocale in maniera degna (seppur inimitabile, siamo onesti). Con “Country Girl” proseguiamo il nostro viaggio decennale nella carriera di Dio, senza troppo scostarci dall’originale, così come la successiva e titanica “Man On The Silver Mountain”, colossale e nostalgica. “L’assolo non termina mai”: questa potrebbe essere la definizione di questo lavoro, che ci catapulta inevitabilmente alla famosissima “Holy Diver”, della quale poco c’è da aggiungere a quanto sopra detto. Lo ammetto: “Heaven And Hell” è forse la traccia che più aspettavo di ascoltare e mi ci butto a capofitto: esame pienamente superato, per godibilità ed esecuzione strumentale. “Long Live Rock ‘n’ Roll” riesce a trasportare l’ascoltatore anche in questa versione, facendo subito tornare alla mente la splendida originale. Passa veloce e un po’ anonimamente “Lady Evil”, nella media, che ci porta alla successiva “Don’t Talk To Strangers”, che in maniera incredibilmente suadente ci porta su inediti orizzonti, dove la linea solista/vocale di chitarra penetra profondamente nel cuore di chi ascolta, sortendo un risultato ottimale. “Starstruck” non lascia un gran ricordo, facendoci piombare nella conclusiva “The Last In Line”: quale migliore traccia per chiudere quest’album.
Cosa ci lascia “The Dio Album”? Sicuramente un ottimo tributo a un artista indimenticabile e fondamentale per il genere; un’esecuzione magistrale da parte un mostro sacro della chitarra contemporanea; una visione alternativa di una carriera e di alcuni brani iconici che può solo impreziosire il bagaglio musicale sia per un amante del genere che per un neofita.
07 Aprile 2023 17 Commenti Samuele Mannini
genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Self Released
Martin Miller è un chitarrista, cantante ed autore di Lipsia. Diplomato e poi insegnante al college musicale Carl Maria Von Weber di Dresda, è molto seguito su YouTube sia per le attività con la sua band, con la quale suona cover e reinterpreta brani storici collaborando con artisti del calibro di Andy Timmons e Paul Gilbert, sia per la realizzazione di corsi on line e tabs per chitarra, fa inoltre parte del rooster della ibanez insieme a numerosi altri artisti.
Sinceramente non essendo un assiduo seguace del web io mi sono accorto di lui solo per un post di Mark Ashton (si esatto il guru della Now & Then) e siccome, secondo me, lui è uno che ha sempre avuto naso per il talento mi sono fiondato di corsa ad ascoltare il singolo appena rilasciato su YouTube ovvero Something New ed è stata subito gioia e tripudio.
In una appassionata discussione con Denis Abello avevo paventato la speranza che il genere potesse rinnovarsi uscendo dalla sterile ripetitività che oramai lo pervade da almeno due decadi. Secondo me questo album segue una direzione apprezzabile che qualche gruppo timidamente comincia percorrere con la mescolanza di generi e l’incorporazione di tratti di diversa derivazione fusi in una solida struttura melodica. Alcuni esempi che mi vengono in mente sono: i Cap Outrun, i Taboo, i Clouds of Clarity e perché no anche i Levara che in modi diversi e senza inventare nulla di sconvolgente danno al genere melodic rock una interessante e nuova prospettiva che finalmente esce dallo schema trito e ritrito della band senza cuore costruita a tavolino.
In questo Maze Of My Mind Martin Miller fa esattamente questo, mescola atmosfere Aor e Pop Rock alla Toto (inutile sottolineare quanto l’influenza di Lukather sia evidente anche nel tocco chitarristico), con ritmiche eclettiche e serrate tipiche dei Dream Theater più melodici, andando a toccare corde che in passato sono state solleticate anche da gruppi come i The Quest per esempio, anche se qui la barra del sound accessibile è sempre tenuta ben dritta ed anche in composizioni che arrivano a superare gli 8 minuti, è la canzone che regna sovrana e non il tecnicismo fine a se stesso.
Gustatevi dunque queste cinque canzoni che hanno il solo difetto di essere poche, ma che anche ascoltate a nastro non stancano mai ed anzi mostrano sempre nuovi dettagli ispirati ed ottimamente eseguiti. Sono molto curioso di sapere l’effetto che vi farà.
01 Aprile 2023 6 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Hard 'N' Heavy / Hard Rock
anno: 2023
etichetta: earMusic
Vivian Campbell alla chitarra, Vinny Appice e Phil Soussan a formare la sezione ritmica, e Andrew Freeman alla voce: di certo una delle migliori formazioni disponibili sulle scene odierne per gli amanti dell’hard ‘n’ heavy vecchia maniera.
Sotto l’immutato moniker Last in Line (che rimanda al passato di due dei quattro musicisti nella formazione dei Dio), ma forti di una nuova label (la major earMusic), questi quattro sempreverdi ragazzacci escono sul mercato con il loro terzo album, intitolato Jericho. E la linea compositiva rimane la stessa: una serie di riff granitici, possenti, vetusti ed ispirati come non mai, heavy fino al midollo si accompagnano a un drumming potentissimo ed essenziale, riconoscibilissimo, pulsante, tutto groove e qualità, che si completa di un basso di primissimo ordine, profondo e portante, e di una vocalità decisa, cattiva, estesa, urlata dritta in faccia a chi sente. Con il contorno di una produzione in studio dinamica, ben tarata in modo da far sentire ogni strumento avanti, come se dovesse fisicamente entrarci nel petto, dritto nella nostra anima più oscura e metallica.
Un songwriting così vario e ispirato può permettersi anche degli azzardi, come quello di far suonare come opener del disco Not Today Satan, una traccia decisamente atipica per il gruppo, in quanto upbeat, dall’atmosfera in chiaro-scuro, e dal tratto hard questa volta frutto di sfumature moderne, quasi vicine all’alternative. Nel complesso però è una scelta azzeccata e che dimostra come, anche variando in parte il proprio sound, questa formazione risulti essere così coesa e sicura di se da mostrarsi assolutamente coerente anche con un brano dallo stile così diverso, che tutti gli altri avrebbero inserito al massimo dalle seconda metà del disco, in poi. Spiazzante, chapeau!
Con Ghost Town torniamo invece su binari più consoni, che rimandano all’hard rock e al metal più primitivo, che ha i suoi highlights nel possente giro di basso di Soussan, nell’assolo strepitoso di Campbell, e nello scream selvaggio di Freeman a fine canzone. Il riff d’apertura di Bastard Son, subito seguito dal drumming tutto prestanza di Appice, basta da solo a rendere questa track un classico della band, al pari di una Dark Days subito accattivante grazie non solo al suo refrain, ma anche e soprattutto al suo stoppato, che è maschio, cattivissimo, tutto energia.
Si spostano invece i riflettori sull’eccellente cantato di Freeman nella più melodica e slowtempo Burning Bridges, seguita dal singolo dinamitardo Do The Work, dominato dal suo ottimo refrain (che in qualche modo sa anche di Def Leppard, per come è corale e d’impatto), ricco da vendere di groove e di feeling ottantiano. Via poi con l’hard ‘n’ heavy decisamente speed di Hurricane Orlagh, un altro pezzo da novanta del disco, nonchè la classica traccia in grado di farci immediatamente alzare dalle sedie per scapocciare come dei forsennati, e con Walls Of Jericho, canzone ancora una volta molto tirata, vicina al sound antico dei Dio, epica e metallica, ma ricca di melodia nell’ennesimo grande assolo di un Campbell ancora in grande spolvero.
Groove e potenza, questa volta in chiave decisamente hard rock, sono le caratteristiche primarie anche di Story Of My Life, una canzone deciamente radio-friendly anche grazie alla sua compattezza, che porta il brano ad essere racchiuso in poco meno di quatto minuti di musica completa ed elettrizzante. We Don’t Run, dopo una breve intro strumentale in puro stile Last in Line, si evolve poi come una mid-tempo di spessore, rilassata sulle strofe ma arrichita da un altro ritornello di impatto, semplice ed orecchiabile, corale e piacevole fin dal primo ascolto. Hard rock anni’90, con qualche rimando non troppo celato ai Dokken e ai Lynch Mob di quegli anni, il brano Something Wicked disegna ancora una serie di trovate interessanti, in un sound differente che non stona in alcun modo all’interno del platter.
Ma è con il sigillo di House Party At The End Of The World che questa registrazone tocca una nuova e finale vetta. Lo stile si fa nuovamente hard ‘n’ heavy, ancora ’80s e ancora una volta alla Dio, e il tutto raggiunge finalmente tonalità epiche magnifiche, monumentali e inarrivabili ai più, esattamente come il cantanto di un indomabile Freeman, pura star di una traccia di commiato da lode e bacio accademico, che cala il sipario sull’ennesima ottima registrazione di una band viva, vera, e solida come una lastra di pesante granito. Lodi, lodi, lodi!
29 Marzo 2023 3 Commenti Vittorio Mortara
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Escape
Innanzi tutto chiedo scusa a voi lettori per il ritardo nella recensione di questo platter. Purtroppo la Escape da qualche tempo non manda più i promo in redazione, quindi a noi tocca fare recensioni postume all’uscita degli album, ma cerchiamo comunque di fare il nostro meglio per dare la nostra opinione al pubblico, visto che anche i costi de cd/vinili che stanno diventando sempre più impegnativi. Dal recensire questi The Flood non potevo proprio esimermi: vi militano il mio bassista preferito, Billy Sheehan, ed uno dei miei vocalist del cuore, mr. Chris Ousey. Buttateci dentro anche il chitarrista degli FM, Jim Kirkpatrick, ed un batterista dei Saxon e vedete voi se non ottenete un supergruppo. Ahhh! Cos’ho detto? Una parola che negli ultimi anni provoca più brividi di terrore che curiosità ed entusiasmo. Dunque, ci risiamo? Questa è l’ennesima operazione commerciale per spillare qualche soldino in più dai nostri salvadanai? Beh, non saprei. Di sicuro quello che salta all’orecchio è che questo album suona piuttosto duro. Canzoni poco orecchiabili che lasciano scarso spazio sia all’ugola d’oro di Ousey sia all’immenso talento di Sheehan. I due paiono quasi sepolti da un monolite hard/metal condito di tastiere old style. Peccato, perché anche la produzione è pulita e professionale, merce rara al giorno d’oggi.
Fatto sta che, dopo ripetuti ascolti, non riesco a individuare un brano veramente esaltante. Ci sono svariati up-tempo, come “Fight or fight”, la “The flood” o “Stand up” in cui potrete apprezzare il rotolare del basso di Billy e sentire Kirkpatrick sfogarsi in riffs e ficcanti solos che mai potrà sognarsi di esibire con gli FM. Ma bridges e chorus non sono mai all’altezza di quanto Ousey ci ha abituati ad ascoltare con la band madre. Il mid tempo dell’opener “Dangerous dawn” regala qualche finezza strumentale in più. Ma gli spunti più interessanti li ho trovati nello slow “Can I call it home”, maschio e convincente, nella Mr.Bighiana “My kind of heaven”, nelle linee melodiche affascinanti della blusly “I can’t stop” e la conclusiva orientaleggiante “A taste of what’s to come”, dove Chris ci delizia con una prestazione degna dell’ultimo Heartland. Quello che resta è hard assai canonico, privo di veri e propri spunti sui quali sprecare inchiostro.
Insomma a me Ousey piace quando canta negli Heartland e Sheehan quando suona nei Mr.Big. Punto. Questo disco non è brutto. Però, accidenti, da una formazione del genere ci si aspetta molto ma molto di più, sia a livello di espressione tecnica che per quanto concerne le composizioni. Così come dalle tante, troppe superband messe in piedi per motivi, nella maggior parte dei casi, discutibili. Consigliato solo a chi vuole avere tutto dei propri eroi.
24 Marzo 2023 10 Commenti Francesco Donato
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Pride & Joy
Nono album in studio per la band svedese di Helsingborg capitanata dal founder Diddi Kastenholt.
Andando al sodo per chi non conoscesse la band, siamo di fronte ad un gruppo che nel corso degli anni si è saputo destreggiare senza grossi clamori nella fiorente scena scandinava, proponendo un party sound sempre arzillo che anche in questo lavoro non manca di verve. Nel 2021 la band è passata sotto contratto discografico con la label tedesca Pride & Joy Music e questo “Sha Na Na Na” è il primo frutto di questa nuova avventura.
E’ proprio la title track ad aprire le danze con un intercedere scanzonato e un coretto semplice ma efficace. Il pezzo pur ricordandomi molto il Bon Jovi di “Born To Be My Baby” si lascia ascoltare e anticipa il mood che ci accompagnerà lungo tutto l’ascolto: pezzi semplici, melodie probabilmente non originalissime ma incisive, riffs piacevoli e nonostante qualche pezzo che si farà ricordare più degli altri un ascolto omogeneo e certamente non pretenzioso. La successiva “My Favorite Enemy” alla lunga si rivela uno dei pezzi più riusciti del lotto, con il ritornello che non ci svela nulla di nuovo ma sa colpire il giusto. Melodia che fa da padrona sulla successiva “I Don’t Really Know” e nella bongioviana “I Know All The Hits”. Le reminiscenze glam rock vengono fuori con carica e prepotenza melodica su “I Wanna Rock n Roll” pezzo che non avrebbe sfigurato negli ultimi album dei Pretty Boy Floyd. “Motivated” , “All Alone” e “It’s Enough” e la finale “That’s All I Need” hanno tutte radici su terreni defleppardiani e confermano una buona dimestichezza nei nostri nel saper creare pezzi ruffiani senza strafare. Buono anche il rifacimento di “Rock Me” dei connazionali ABBA.
Un buon party album che in appena trentacinque minuti vi concederà una piacevole pausa.
22 Marzo 2023 16 Commenti Giulio Burato
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers
Santiago Ramonda, è uno dei nomi nuovi nel roster di Frontiers records per il 2023. Il giovane cantante argentino, dall’interessante ugola, è il protagonista di questo nuovo progetto chiamato Stormwarning affiancato dai brasiliani, Felipe Souzza alla batteria e Marcelo Gelbcke alle chitarre, già membri dei Landfall. Alla produzione e composizione c’è la particolare presenza di Sergio Mazul dei Semblant, band che naviga nei territori del metal pesante.
Rappresentato da una copertina multicolor che evidenzia una roboante auto in stile arcade, già vista e rivista in mille salse (la più recente probabilmente è “One 4 the road” di Michael Palace), l’album ha una matrice hard rock che prende ampiamente spunto dai Whitesnake, per poi accarezzare gruppi come Deep Purple, Raimbow e Dokken.
I primi singoli rilasciati sono “Eye of the storm” e “Satellite falling”; il primo ha chiare radici nel “serpente bianco” mentre nel secondo il ritornello si stampa facilmente nei padiglioni auricolari, risultando il migliore dell’album. Altre melodie interessanti le troviamo in “Lovers in the dark”, dove salgono in superficie un po’ di tastiere presenti anche in “Soldiers of love”, e nella ballad “Questions of time” dove si fanno ben apprezzare le sfumature della voce di Ramonda. “Sweet true lies” inizia su tonalità care a Coverdale per poi crescere in una bella coralità nei quattro minuti esatti della sua durata, mentre la cavalcata “Way of the warrior” lambisce i terreni del melodic power metal. Nel trittico finale segnalo inoltre “Horizon Chase” dalla classica struttura class metal.
Un nuovo progetto, ma soprattutto una nuova voce con grandi potenzialità. Gli Stormwarning sono il trampolino di lancio per Santiago Ramonda con un album che di certo non sposta gli equilibri, ma si fa ascoltare piacevolmente, senza picchi, né grossolani riempitivi. Il mio augurio è che Santiago Ramonda non finisca per girovagare in molteplici side project, ma che possa trovare una sua giusta sistemazione e ambientazione nell’attuale, caotico mondo dell’hard rock.
21 Marzo 2023 6 Commenti Denis Abello
genere: Soft Rock / Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Indipendente
Ci sono coppie che funzionano. Nella vita, al cinema e anche nella musica. Se si parla di Melodic Rock il duo spagnolo Jesús Espín (voce) e Iván González (chitarra) sicuramente è una garanzia ed una di quelle coppie che insieme sembra non sbagliare un colpo.
Conosciuti principalmente per la militanza nella bella melodic rock band 91 Suite (qui la recensione del loro ultimo lavoro) i nostri portano anche avanti un progetto parallelo a nome Secret in cui si permettono qualche sperimentazione in più. Senza quindi snaturare il loro “sound madre” con radici che affondano nel melodic rock, con i Secret, Jesús ed Iván innestano varie influenze che vanno dal pop al country confezionando un album vario che se proprio vogliamo delimitare in uno stile potremo definire “soft rock”.
Jon Bon Jovi nella sua veste solista, Richard Marx, qualcosa di Brian Adams e dello splendido progetto country rock Darkhorse di Paul Laine. Questo è tutto quello che possiamo trovare nei 10 brani che compongono questo bel lavoro a firma Secret!
La voce di Jesús Espín, che si avvicina per intonazione e stile al Jon Bon Jovi solista e di These Days, è un bel biglietto da vista che introduce l’album sulle note dal tratto country rock di Stop This World, impreziosita dalla collaborazione con Carolina Reymundo.
Classico melodic rock spaccacuori radiofonico per la successiva Until it’s over. Ritornello ultra catchy da cantare a squarciagola. Tre pezzi, tre centri, infatti anche il pop/rock della successiva Where do we go from here non sbaglia il colpo.
Nothing to say, impreziosito da un bel video, è un piccolo gioiellino confezionato con cura. Say a Prayer è la ballatona stile rock country del lotto, emozionante e con una prova dei due portabandiera del progetto veramente di alto livello.
Si gioca in casa per un pezzo alla 91 Suite con la successiva If only for one night mentre New life è forse il pezzo dal taglio più moderno del lotto. Carina la cover di Dressed for success, anche se l’originale resta irraggiungibile. Comunque un bell’omaggio alla memoria di Marie Fredriksson.
Classe da vendere sul lento Everything is gone mentre si chiude sulle note scanzonate di Take it Easy.
Viene da chiedersi come mai una voce come quella di Jesús Espín non sia poi così conosciuta! Splendida a dir poco. A questo aggiungiamo il “tocco” (che pochi chitarristi possono vantare) nelle mani di Iván González e soprattutto 10 pezzi curati, vari e di facile ascolto che meriterebbero di portare questo Stop This World a svettare nelle classifiche che contano.
Un titolo da tenere a mente nelle top 10 di fine anno e un sicuro acquisto per chi ama il rock più easy!
20 Marzo 2023 6 Commenti Samuele Mannini
genere: AOR
anno: 2023
etichetta: SteelHearts records
Madonna che dischetto che ha sparato Stefano Mainini, in arte Steve Emm ! Ecco, la recensione potrebbe finire anche qui, perché se siete degli amanti dell’Aor/Westcoast con il sound ben radicato nei primi anni 80 questo disco è da comprare et consumare punto e basta.
Se il primo disco First Strike (QUI la recensione) come riferimenti si focalizzava diciamo dall’ 85 all’ 89 andando a proporre brani che avevano nell’ hook del ritornello il loro punto di forza, in questo secondo Dangerous Goods le atmosfere sono più votate agli anni pre 85, con la maniacale attenzione nel ricreare le sonorità dell’ epoca con dettaglio, precisione ed uno sguardo a 360 gradi.
Si respira l’aria dei solisti americani alla Rick Springfield ed Eddie Money, ma anche Benny Mardones, in particolar modo nel cantato. Fin dalle prime tracce la musica scorre come un fiume nelle sonorità eighties e l’ impressione di un disco che arriva direttamente da quell’epoca è netta e costante, merito anche del timbro che Steve è riuscito a dare al sound, ascoltate l’opener In And Out Of Love per credere. Shock My Heart vira più sull’ anthem cantabile a squarciagola con la sua struttura da potenziale hit radiofonico di quegli anni. Power Switch è più rilassata e compassata, mentre Girl Like You è un pezzo alla Huey Lewis And The News ed anche grazie ad i suoi inserti di sax, ti catapulta subito alle atmosfere di Ritorno Al Futuro. Altri pezzi di caratura superiore sono: Breakin’ The Ice e Junk Love dall’incedere quasi Survivoriano, Lack Of Will dall’anima Blues e la ballad finale Every Little Piece Of My Heart, dove viene omaggiato Rick Springfield e veniamo oltretutto deliziati con un solo di sax da brivido.
Tutto il disco cresce con gli ascolti e dà proprio una impressione di maturità e coscienza di sé veramente rari a queste latitudini, qualche produttore americano dei tempi d’oro avrebbe fatto carte false per mettere le mani su un lotto di canzoni così e se i Mecca nel loro ultimo album si sono avvalsi delle qualità di compositore del buon Stefano vorrà pur dire qualcosa. Almeno fino ad ora la migliore uscita dell’anno, ma son quasi certo che non avrà nessuna difficoltà a piazzarsi nella top ten di molti di noi.
P.s. piccola chicca per i fetiscisti delle edizioni japan, se contattate Stefano vi fornirà il pdf dell’ obi da stampare per trasformare il cd in un pezzo da collezione.
19 Marzo 2023 0 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Modern Metal / Melodic Metal / Industrial Metal
anno: 2023
etichetta: Frontiers Music
E’ da poco uscito nei negozi Blue Blood, il terzo album dei Phantome Elite, band metal moderna internazionale fondata nel 2016 come formazione live del chitarrista Sander Gommans dopo lo scioglimento degli After Forever, ma poi in breve tempo divenuta realtà a se stante sotto la guida della vocalist Martina La Torraca (Avantasia).
Più propenso alla sperimentazione rispetto alle due precedenti produzioni, il terzetto propone ora una concezione di metal melodico decisamente moderno, talvolta industrial, con sprazzi sinfonici ancora presenti ma messi in secondo piano rispetto a suoni e intervalli sintetici, talvolta sci-fi, e ad evoluzioni semi-progressive moderne che nascono spontanee dal palmo del chitarrista, bassista e tastierista Max Van Esch, e dal tocco sulle pelli possente e vivace batterista Joeri Warmerdam. Inoltre non mancano momenti metal estremi con parti urlate in growl (alle quali però la band ci aveva già abituato nelle precedenti uscite), mentre stupiscono maggiormente tutti quei segmenti musicali che spingono verso una direzione rap metal. Essi appaiono infatti intriganti, o superflui, a seconda dei punti di vista, ma ad ogni modo contribuiscono a non dare una direzione precisa a un disco che appare molto vario non solo nel suo songwriting, ma anche nella sua produzione in studio, curata dal solito Gommans con il contributo sempre presente della band.
Guardando ai dieci brani, ecco che l’opener Skin Of My Teeth presenta subito arrangiamenti che mettono in risalto tanto i possenti riff di chitarra e i battiti bombastici della batteria, quanto il tappeto di synth e le parti elettroniche programmate, su cui domina la voce della abile frontwoman La Torraca, sempre intonata, espressiva e sul pezzo. Inner Beast ha dalla sua grandi melodie e un ottimo refrain, che rimane subito stampato nella mente, mentre lascia un po’ spiazzato il rap di This Sick World, forzato ma comunque ben affrontato dalla cantante in un pezzo che, nei suoi momenti più metal (e riusciti), ricorda qualcosa degli ultimi Lacuna Coil.
Se da un lato è poi eccellente la intima ed emozionante Birdcage, mid-tempo ricca di groove dall’anima quasi soul che ha nella voce il suo punto di forza, Apex spiazza nuovamente con il suo esperimento metal moderno certamente orecchiabile, ma di non immediata assimilazione perchè sovraccaricato di generi e stili troppo differenti da loro. Meglio allora la più scolastica Fragments, con il suo metal moderno ed elettronico di forte impatto, o il metal sinfonico alla Beyond the Black di Laid With Vines, a cui segue una Daydark decisamente pomp e ricca di suoni.
Chiudono il platter la eccellente title track Blue Blood, coinvolgente attimo di puro progressive moderno, ricco di cambi di tempo, stile ed atmosfera di alto livello, e il commiato di Black Sunrise, ennesima buona canzone, ispirata e variegata nella sua composizione e nella sua struttura, che sigilla con stile un album che, seppura talvolta osi un po’ troppo, sa colpire nel segno grazie alla sua ottima interpretazione e alla sua varietà, che lo rendono una piacevole e continua sorpresa, canzone dopo canzone, nota dopo nota.