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28 Aprile 2023 11 Commenti Samuele Mannini
genere: Melodic Rock/Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Lions Pride/ Rubicon Music
Permettete che mi bei un po’ prima di dirvi com’è questo disco dei Perfect View? Ebbene sì, mi beo, perché se il disco è così com’è forse uno 0,5 % del merito è anche mio, poiché a suo tempo mi venne da consigliare al buon Damiano Libianchi di partecipare alle selezioni per il nuovo vocalist della band ed ero così sicuro che le caratteristiche della voce e del sound fossero perfette l’una per l’altra, che non ho mai nutrito il minimo dubbio che la cosa andasse a buon fine… e così è stato, col risultato che questo disco è una vera e propria bomba!
Non pensate però che questa mia punta d’orgoglio mal celato e l’ottimo rapporto personale con i ragazzi della band abbia in qualche modo inficiato il voto e la recensione, questo è un grande disco e mi ci gioco la penna (beh la tastiera del pc in questo caso 🙂 ).
Parliamo quindi del disco: intanto trattasi di un concept dedicato al mondo dei samurai. Racconta la storia di un ragazzo giapponese che nasce con una disabilità ma che riesce a perseguire il suo sogno di diventare un grande samurai proprio come lo era stato suo nonno, e se volete qualche informazione in più sulla trama e sul suo concepimento, date pure una occhiata alla nostra intervista con la band. (Qui il link). Il mio consiglio è quello di sedervi in poltrona mettere il cd nel lettore e seguire la storia, verrete subito trascinati in una esperienza quasi cinematografica dove ogni canzone è un episodio di una serie che narra un aspetto del protagonista e che crea suspence ed attesa per l’episodio successivo. Musicalmente siamo in territori Hard rock melodico, ma estremamente ricercato, oserei dire ‘progressivo’ non foss’altro per le scelte di arrangiamento mai banali e che non temono di osare, ci sono alcuni passaggi di tastiera e delle ritmiche che raramente capita di ascoltare in un disco di hard rock canonico, mentre le armonie vocali si stagliano sempre in primo piano elargendo pathos e passione traccia dopo traccia.
Non voglio fare un track by track anche perché il disco è bello nella sua interezza e le canzoni, pur mantenendo una estrema accessibilità di ascolto, non si concedono poi così facilmente, con questo disco ci dovete un po’ flirtare, è come una seduzione continua, ascolto dopo ascolto dove ogni volta noterete un particolare in più che vi farà innamorare. Solo a titolo esemplificativo però citerò ‘Love’, dove il piglio vocale di Damiano si fonde con una serie di cori e contro cori da brivido; ‘Honor’, che col suo incedere survivoriano è un inno da cantare a squarciagola ed infine ‘Compassion’, dallo svolgimento epico, ma allo stesso tempo con reminiscenze e sentori a la Tim Feehan.
Quindi per concludere, fatevi un bel regalo e comprate questo cd, farete un sicuro investimento anche per il futuro, perché questo non è certo un disco da una stagione e via, ma vi accompagnerà negli anni come uno dei gloriosi classici del passato che tanto veneriamo. Qui non siamo di fronte al prototipo del gruppo italiano dotato e di buona volontà che però si arrangia con quello che c’è, ma bensì ad un prodotto di caratura e livello internazionale e per scalzarlo dal podio delle classifiche di fine anno penso proprio che il padreterno in persona dovrà darsi da fare e rilasciare un paio di album lui stesso.
26 Aprile 2023 3 Commenti Giulio Burato
genere: MODERN HARD ROCK
anno: 2023
etichetta: Frontiers
Dopo tre anni di distanza dal debut-album “20/20” tornano in pista i nordici Smackbound, capitanati dalla voce brillante e grintosa di Netta Laurenne (Lordi, Evelking, Amorphis), che propongono un modern metal con molte sfaccettature al suo interno.
“Hostage” è uscito tramite Frontiers il 21 aprile e ripercorre la stessa linea del predecessore, cercando di assestare e di migliorare, se possibile, il tiro. A mio avviso il tentativo è riuscito; l’album infatti è più centrato ed il lavoro di squadra è più coeso.
Si parte col primo singolo “Change” che, come struttura, ripercorre il primissimo singolo “Drive It Like You Stole It” uscito nel 2020; canzone di grande impatto con Netta padrona del palcoscenico con un vocalizzo che, a tratti, ricorda nel bridge la maestosa Ann Wilson, per arrivare alla distorsione roboante nel ritornello. Altre canzoni con la stessa carica intrisa di melodica sono la iniziale “Reap” e la corale “Break”. Nel bel mezzo due canzoni che escono dagli schemi convenzionali; la potente “Razor Sharp” che pigia sull’acceleratore del metal spinto e la strutturata “Rodrigo” che si fa apprezzare per il lavoro di grande sinergia strumentale che arricchisce la parte vocale; quest’ultima è da considerare come una piccola opera. A proposito di opere, è giusto soffermarsi sulla conclusiva “The edge” della durata di nove minuti, canzone ricca di atmosfera e di suggestioni sussurrate.
L’aria si fa più rarefatta col lento “Imperfect day” devoto, nella linea vocale, agli Evanescence d’annata mentre la carica dinamitarda torna a deflagrare con “Hold the fire” e la modernista “Graveyard”; altri pezzi di livello sono la title track e la carica catchy di “Traveling back” impreziosita da un gustoso inizio acustico.
“Hostage” è un album moderno con spunti interessanti e una grande Netta Laurenne al suo timone.
21 Aprile 2023 3 Commenti Yuri Picasso
genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: GMR Music
A distanza di 3 anni dal valido ‘V’, tornano gli svedesi Grand Design, degni eredi del sound del tempo che fu dei Def Leppard, sporcati dall’ondata glam scandinava dell’ultimo ventennio (primi Reckless Love su tutti), uniti da una voce acuta sullo stile di Rob Moratti. Non ci aspettiamo (ne desideriamo) profondi stravolgimenti da una band che ha dimostrato di saper (re)interpretare un tipo di sound retroattivo, di successo, mediante ritornelli e riff immediati a presa rapida, spostando in questo capitolo l’ago della bilancia verso il lato più party-rock.
“Tuff It Out” e “God Bless Rawk and Roll” divertono, intrattengono, aumentano il desiderio di alzare il volume evitando con intelligenza il clichè del già sentito.
Con “Love or a Fantasy” e “You Luv is Drivin’ Me Crazy” abbiamo la certezza che il quintetto rimarrà a distanza (lungo gran parte del disco) da temi cupi o tristi, vicini nelle lyrics alla leggerezza della Los Angeles che noi ricordiamo sovente. Si ricerca il coro arioso, allegro ed estivo, mediante l’uso di più voci spartite su diverse ottave, con mestiere e consapevolezza delle proprie capacità. “Desperate Heart” parte come ballad, un po’ anonima a dire il vero, salvo poi virare verso un mid tempo leggermente oscuro, notturno. Il meglio di ‘Rawk’ lo troveremo in pezzi come “Dangerous Attraction”, un mix riuscito tra Final Frontier e Def Leppard o ancora nel chorus di “Give It All Up For Luv”. A chiudere il disco una vera bomba come “In The H.E.A.T of the Nite”, coincisa ed esaustiva sintesi ad evidenziare la qualità della proposta artistica.
A voler marcare un vero difetto manca una ballad a la “Addiction For Love” (‘Idolizer’, 2011),ce ne faremo una ragione.
Il trademark dei GD può essere considerato un pregio e/o un difetto al medesimo tempo. Personalmente il livello medio dei brani e la capacità di riproporre un sound vecchio ma vincente, mi porta a consigliare la band scandinava, e di vedere il proprio imprinting come una qualità assoluta e quasi esclusiva.
21 Aprile 2023 8 Commenti Samuele Mannini
genere: Hard Rock/Aor
anno: 2023
etichetta: Frontiers
Chi tra voi ha la bontà di seguire i miei scritti su questa pagina, dovrebbe essersi fatto un’ idea di quale sia la mia opinione sui cosiddetti supergruppi odierni. Ribadirò comunque il concetto: il Supergruppo dovrebbe essere un evento eccezionale composto da musicisti eccezionali che uniscono le forze per produrre qualcosa che dovrebbe essere, almeno in teoria, diverso da ciò che abitualmente suonano con i gruppi di appartenenza. Ovviamente nel caso dei Revolution Jour… ehm Saints questa è addirittura la seconda versione della band che nei precedenti tre lavori vedeva in line up Jack Blades e Doug Aldrich, ma a dire il vero il mood cambia di poco e viene da pensare che la vera figura intorno alla quale ruota il progetto sia il buon Dean Castronovo.
Sì, ma il disco com’è? Il disco è buono, veramente buono, per me al livello del secondo (che considero il loro migliore) Lights Of The Dark, ovviamente senza che nessuno abbia ad aspettarsi cose per l’appunto rivoluzionarie… Il sound è fortemente Journey inspired ed a mio orecchio si colloca nel periodo di Trial By Fire come sonorità generali. Probabilmente l’attitudine di Pilson ed Hoekstra, rendono il suono un po’ più tagliente e roboante che in passato e gli arrangiamenti sono più votati al lato hard rock, ma la sostanza è quella e Dean Castronovo ci sguazza alla grande.
Ci sono infatti un paio di pezzi clamorosi, Eagle Flight e Need Each Other, che se fossero stati inseriti nell’ultimo disco dei Journey ne avrebbero alzato non di poco il livello qualitativo, senza contare che questo disco suona infinitamente meglio, ma questo è un altro discorso… Inoltre personalmente ho un debole (eh lo so qui i pareri potrebbero essere discordi) per l’interpretazione vocale di Dean, che per me va a ricalcare spesso il feeling e la postura di Steve Perry. Nel lotto di dieci canzoni non scorgo filler di sorta e tutto il disco scorre piacevole senza mai annoiare e tra le canzoni che più ho gradito ci sono: Talking Like Strangers, I’ll Cry For You Tonight e Once More, ma ripeto, il livello generale è sempre ottimo.
Mi sento dunque di consigliare l’acquisto a tutti gli amanti dell’ hard rock melodico e naturalmente a chi ha il Journey sound nel cuore… Ahhh se tutti i Supergruppi fossero così..
20 Aprile 2023 2 Commenti Paolo Paganini
genere: AOR
anno: 2023
etichetta: Frontiers
Tornano a distanza di sette anni dall’ultimo album III del 2016 i Mecca creatura i Joe Vana accompagnato per l’occasione del figlio Joey. Il progetto nacque nell’ormai lontano 2002 quando la band fece il proprio debutto suscitando unanimi consensi potendo puntare sulla collaborazione a vari livelli di mostri sacri come Jim Peterik, David Hungate e Fergie Frederiksen. Oggi la formazione è integrata tra gli altri dal nostro Alessandro Del Vecchio alle tastiere. Everlasting segna il ritorno del gruppo al più classico AOR con fortissimi richiami allo stile dei Toto. Il risultato è un disco estremamente piacevole sin dal primo ascolto. Un lavoro senza veri punti deboli che fa leva sulla classe e sul gusto raffinato dei musicisti coinvolti. L’opener And Now The Magic Is Gone ci introduce nel mondo dei Mecca composto da raffinate melodie intessute da chitarre e tastiere sempre perfettamente calibrate. The Rules Of The Heart attinge a piene mani dal repertorio di Lukater & Co. così come The Mistake We Make primo singolo estratto. Una strizzata d’occhio ai Whitesnake più commerciali si può sentire su Your Walls Are Crumbling Down ma è con la splendida ballata Everlasting che si tocca il vero vertice del disco. La successiva Falling è un brano di notevole caratura dal grandissimo ritornello a tutto coro, da cantare a squarciagola.
IN CONCLUSIONE:
Un disco che va ad impreziosire una carriera ormai ventennale che merita tutto il rispetto e l’ammirazione degli amanti dell’AOR più raffinato e sempre più raro da incontrare.
18 Aprile 2023 0 Commenti Denis Abello
genere: Hard Rock
anno: 2021
etichetta: Rockshots Records
Ritorno al passato per i Bad Bones che dopo la dipartita del cantante Max e del chitarrista Sergio “SerJoe” Aschieris (ora nella band di Enrico Ruggieri) recuperano il veccho cantante e chitarrista Mekk Borra!
Ritorno al passato anche nel sound, perchè se con gli ultimi due album si era presa una strada dal tratto più soft, levigato e radiofonico qui si torna su quello che è il cuore pulsante dell’anima della band di questi tre amici. Così i due fratelli fondatori Steve Balocco (basso) e Lele Balocco (batteria) riunendo le forze con Mekk riportano il sound della band a quel “rumore” stradaiolo e polveroso da power trio debitore a gente come i Motörhead!
Otto pezzi quindi che piazzano cazzotti a destra e sinistra e si parte subito in territorio caro al buon vecchio Lemmy (R.i.p. \m/) con Bandits. Cattivo, sporco e grezzo ci introduce alla successiva e politically scorrect Behind The Liar’s Eye. Bella l’anima blues di Rattlesnake… però a questo punto i nostri mostrano di non voler comunque rinnegare il loro recente passato e con un colpo da maetro piazzano una radiofonica Wanderers & Saints. Che gran pezzo gente, da brividi lungo la schiena per noi vecchi Rocker Romantici e Noltalgici ma con ancora l’Anima che brucia per la musica!
Gretto e cattivo arriva Sand on My Teeth a cui segue un vero manifesto alla libertà come appunto è Libertad! Ultima dose Hard Rock nelle vene con To Kill Somebody e Home!
Cazzo che disco diretto e sincero che piazzano i Bad Bones. Pochi pezzi, pochi cazzi e tanta voglia di fare una musica che amano, e se ci metti l’anima, anche noi non possiamo che innamorarci un po’ del sound di questi ragazzi cresciuti a pane e hard rock sporco e cattivo!
14 Aprile 2023 3 Commenti Denis Abello
genere: AOR
anno: 2023
etichetta: Art Of Melody Music / Burning Minds Music Group
Se siete amanti dell’AOR sicuramente il nome Thomas Lassar vi suonerà quantomeno familiare, in caso contrario non c’è problema, sono qui io per parlarvi di Mr. Lassar!
Un passato con gli svedesi Crystal Blue, quelli di quel gioiellino di Caught In A Game (1994), in cui nei primi album appare come tastierista e corista per diventarne anche voce con l’album Detour (2003). Oltre ai Crystal Blue lo troviamo anche come tastierista con i Last Autumn Dream di ‘II’ ed infine presterà la sua voce anche al progetto Charming Grace del nostro Pierpaolo “Zorro” Monti sul brano Still Dreamin’.
Non proprio un novellino che si presta qui però al suo primo grande salto nel vuoto da solista con questo album a titolo From Now On! Titolo che risuona anche come una dichiarazione d’intenti per il futuro. Accasato alla corte della Burning Minds di Stefano Gottardi e di, non per caso, Pierpalo “Zorro” Monti, cosa ci propone allora il nostro Lassar in questa sua prima corsa in solitaria?
Niente di nuovo in realtà per chi ha l’orecchio “abituato” all’AOR, e sinceramente neanche me lo sarei aspettato. Però quello che c’è in questo From Now On è sicuramente una cura “rassicurante” per gli AORSTER incalliti. Pezzi orecchiabilissimi, un bel sound brillante con il giusto grado di bombasticità dosato per non strafare e soprattutto un tappeto di buona musica disegnato dalla voce delicata e piacevole di Thomas!
Tre pezzi dal tiro classicissimo come When My Ship Comes In, Losing Faith, Whatever I Do mettono subito a proprio agio l’ascoltatore per poi buttarlo nella più ricercata In Control, che tra cori, controcori e tastiere raffinate mette a segno un sicuro punto sulla qualità di questo lavoro. Delicatissima Back Where I Started che sigla la prima metà di questo lavoro.
Messa in tasca in maniera positiva, sia nostra che per Lassar, la prima metà di questo From Now On non resta che fiondarsi nel garbo e nella grazia della seconda parte. Già, grazia, garbo e delicatezza, perchè è questo alla fine che ritroverete in questo From Now On, anche quando la chitarra accenna qualche riff più spinto come in The Beginning of the End.
Se vi state chiedendo che fine abbia fatto in un album come questo il pezzo ultra catchy ecco che vi arriva in risposta The Only One! Ora è tutta una rincorsa in discesa da godersi sulle note di Turn Back Time e Take Me Higher per arrivare a chiudere in assoluta delicatezza sulle note del piano di From Now On.
Un album che in alcuni passaggi mi ha riportato alla mente i REO Speedwagon, e già questo è nettamente un buon segno! AOR, nient’altro che AOR quello che troverete in questo From Now On… ma come diceva un amico, c’è AOR e AOR e questo è di quello buono, da tutti i punti di vista da cui lo si guardi!
14 Aprile 2023 6 Commenti Giorgio Barbieri
genere: Hard rock/Sleaze
anno: 2023
etichetta: Frontiers
Lo ammetto, ho sempre avuto un debole per le pistole di Los Angeles e ho sempre pensato che abbiano raccolto molto meno di quanto avrebbero meritato, soprattutto dei “cuginetti” con le rose, ma di questo ne avevo già parlato in sede di introduzione al precedente “Checkered past” uscito due anni fa, terzo album per Tracii Guns, Phil Lewis e compagni dopo la reunion del 2017, la cosa non deve far perdere il controllo riguardo alla simpatia che mi ha fatto preferire questo tipo di “Guns”, bisogna affrontare ogni uscita come a sè stante ed essere imparziali, è difficile, lo so, ma se non riuscissi a farlo, prenderei tastiera e mouse e li butterei nel cesso, invece affronto “Black Diamonds” e ve ne parlo con il massimo dell’obiettività possibile.
Detto che gli L.A.Guns non hanno mai più avuto grande inventiva nel scegliere e approvare le copertine dei loro album e che stavolta, a mio parere, si sono superati nel trovarne una davvero insulsa, passiamo a quello che, secondo me non ha mai deluso, ossia la musica e che invece, stavolta, mi sembra che, seppur con uno standard abbastanza alto, abbia fatto un piccolo passo indietro, soprattutto a livello di grinta; è vero che gli anni passano per tutti e che soprattutto Phil, che ricordiamolo, è in pista fin dalla fine degli anni settanta, quando era il frontman dei Girl, band nella quale militava il futuro chitarrista dei Def Leppard Phil Collen, sembra decisamente barcamenarsi in un limbo dal quale non eccelle, anche se bisogna tenere conto che le 67 primavere cominciano a pesare. Detto questo, intendiamoci, il disco non è brutto, è decisamente superiore a molte uscite contemporanee, ma essendo io uno di quelli che, contrariamente a quello che dicono ‘quelli bravi’, ha apprezzato l’ultimo “Checkered past”, che ritengo a livello di ispirazione e di rabbia esecutiva un gradino superiore a questo quattordicesimo album in studio per Tracii&C., trovo che sopra alle undici canzoni che lo compongono, ci sia un velo di grigia opacità, qualcosa che soffoca le canzoni e che non permetta a “Black Diamonds” di arrivare ai livelli di crudezza sleaze che caratterizzava parecchi altri episodi della carriera degli L.A.Guns e dall’opener “You betray” non sembrerebbe, è un pezzo strisciante, buon inizio, con un Phil sugli scudi, ma…rimane a sè stante, già da “Wrong about you” cominciano a sentirsi i segni della stanchezza nel comporre, questo hard/blues pur essendo trainato da un bell riff, non decolla, arriva quindi “Diamonds”, ballad di quelle che caratterizza da sempre le pistole di L.A., ma che risulta poco ispirata soprattutto in sede di ritornello, molto bello invece l’assolo di Tracii, seguita a ruota da “Babylon”, che da fuoco alle polveri, ma queste rimangono un po’ bagnate e proprio quando pensi che il pezzo esploda nel suo fragore glam/punk, arriva il ritornello poco ispirato, paradossalmente le strofe colpiscono più nel segno, trainate da un riff “cultiano” (chi ha detto “Wild Flower”?), finalmente arriva “Shame” ad alzare il tiro, col suo blues fumoso e un Phil finalmente appassionato, “Shattered glass”, scelta anche come singolo parte con un riffone vigoroso e con un bel tiro per restare però come un “vorrei, ma non posso”, senza quel guizzo vincente che ti aspetti possa arrivare da un momento all’altro, ma non si manifesta, anche in questo caso la cosa migliore la fa Tracii con un altro assolo di caratura superiore. continua
13 Aprile 2023 1 Commento Nico D'andrea
genere: Blues
anno: 2023
etichetta: Mascot
Impossibile sfuggire al potere delle suggestioni…e così al cospetto di un altro nuovo live di Joe Bonamassa (sì… avete letto bene… un altro live), invece di voltarmi dall’altra parte mi faccio rapire dal consueto splendido artwork della cover. Suggestiva infatti l’immagine che richiama alla memoria (nemmeno troppo velatamente) la copertina di Caravanserai, ultimo album della leggendaria prima formazione di Santana (Santana/Rolie/Schon/Shrieve). Ascoltando lo straripante solo di organo del redivivo Reese Wynans nell’opener Notches sui tasti d’avorio ci potrebbe benissimo essere Greg Rolie… e poi chi sarebbe in grado di suonare più note tra l’enfant prodige venuto da New York ed il veterano chitarrista nato in Messico ? Similitudini un po’ forzate che comunque finiscono qui. Finiscono dove verosimilmente inizieranno le prevedibili rimostranze sull’ennesima pubblicazione di un album dal vivo del Guitar God americano.
La formula però funziona alla grande e questa volta ad essere riproposto integralmente live è l’ultimo bellissimo album in studio Time Clocks. Come di rito i pezzi della versione in studio vengono eseguiti con delle vistose modifiche negli arrangiamenti, con tanto di coinvolgenti jam sessions e qualche effetto sorpresa come il duetto con la corista in The Heart That Never Waits e l’utilizzo di un Theramin nel bel mezzo di Curtain Call. Potrei spingermi in un pericoloso track by track per quante sono le chicche che ogni pezzo ci riserva durante l’intera gig ma per quanto mi riguarda può bastare così.
Una doverosa nota va scritta sul comparto audio, dove il lavoro di produzione e mixaggio del fido Kevin Shirley sono davvero al top. Che altro dire? Tales Of Time è dunque una pubblicazione decisamente più interessante del precedente Royal Tea Live… così come Time Clocks era decisamente superiore nella versione in studio.
Assolutamente indispensabile per i fan di Joe quanto perfettamente inutile per chi di Bonamassa ne ha già avuto abbastanza.
12 Aprile 2023 0 Commenti Alberto Rozza
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Provogue Records / Mascot Label Group
Nuova uscita per il chitarrista Chris Duarte, che propone un hard rock folle, influenzato da sonorità contemporanee mischiate all’influsso di Coltrane e Stevie Ray Vaughan.
Si parte con la festaiola “Nobody But You”, molto scanzonata e coinvolgente, a tratti confusa nell’esecuzione, ma globalmente piacevole. “Big Fight” dà sempre quell’effetto di improvvisato, molto groovy, suadente, perfettamente funkeggiante. Con “Bye, Bye, Bye” siamo sempre in atmosfera rock blues, dal tipico riff e dal ritornello che facilmente resta impresso nella mente dell’ascoltatore. Le vibrazioni non calano con “Can Opener”, in pieno stile Ray Vaughan, un notevole brano strumentale che mette in mostra tutto il tocco e il gusto di Chris Duarte. La tipologia e il genere non variano di molto su “Gimme Your Love”, cadenzata, risonante, chiara e precisa, adatta ad ogni tipologia di pubblico. “Come My Way” modernizza le sonorità, lasciando ricordi tiepidi e poco convincenti. Torniamo sul rockin blues canonico di Duarte: “Half As Good As Two”, dalla trama classica e dai fraseggi altrettanto sentiti, nonostante l’ottima intenzione del solo di chitarra, fa coppia con la successiva “Lies, Lies, Lies”, godibile e gioviale, ma complessivamente poco fresca. Arriviamo alla title track “Ain’t Giving Up For Us”, che segue il solco tracciato dai grandi bluesmen del passato, non scostandosi di un millimetro dall’intoccabile e immortale tradizione del genere. “Look What U Make Me Do” non convince pienamente, per poca originalità e una leggera vuotezza musicale, il che la fa sfociare velocemente verso “The Real Low Down”, di segno praticamente opposto, ovvero dalla ritmica convincente e coinvolgente, rock n’ roll al punto giusto, piacevole nel fraseggio chitarristico. Concludiamo sulle note di “Weak Days”, lungo brano rock blues, che suggella un album altalenante, che alterna pezzi convincenti ad altri un po’ fiacchini, ma che non può che attestare l’incedibile bravura, verve e gusto di Chris Duarte e la sua chitarra.