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15 Giugno 2023 1 Commento Francesco Donato
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers
Esce per Frontiers Records il terzo e atteso lavoro della premiata ditta Sweet & Linch, un album robusto e di mestiere che conferma la buona alchimia tra i due storici musicisti.
Per chi non fosse a conoscenza delle origini di questo progetto, dobbiamo risalire al 2015 quando Michael Sweet (noto per la sua carriera negli Stryper) e George Lynch (vero e proprio guitar hero famoso per la sua lunga militanza nei Dokken e nei Lynch Mob) debuttarono in coppia con l’album “Only to Rise”, un disco uscito sempre sotto Frontiers che raccolse felici consensi. Nel 2017 arriva a conferma la bontà della proposta il secondo “Unified”. La line up dei primi due album contava sulla sezione ritmica formata da James Lomenzo (conosciuto ai vecchi hard rockers per la sua lunga militanza nei White Lion) e Brian Tichy (già Whitesnake e Dead Daisies). La prima importante novità in questo Heart & Sacrifice è proprio l’avvicendamento alla sezione ritmica che vede entrare in gioco Jelly Cardarelli alla batteria e il nostro Alessandro Del Vecchio nel ruolo di bassista.
Dal punto di vista stilistico questa terza uscita del progetto non sposta nulla da quanto proposto nei due predecessori: Un succulento e appetitoso calderone dove tutte le più importanti eredità musicali di Sweet e Lynch si miscelano senza sosta. Un susseguirsi continuo di retaggi di Dokken, Stryper, Lynch Mob che non annoia mai, proprio in virtù della maestria e della strepitosa forma dei due nel sapersi integrare senza sovrapporsi in un songwriting che alla lunga risulta tutt’altro che derivativo. L’avvio del disco è concesso alla titletrack, uno degli episodi che risulterà più convincenti, sostenuta da riffs potenti e da un ritmo indiavolato. E’ proprio qui che la voce di Sweet mette subito in chiaro le cose in merito allo stato di forma del vocalist: Insomma, gli anni non sembrano passare per il vecchio Michael. Lavoro di fino per la successiva “Where I Have to Go”, un altro pezzo che alla lunga si farà ricordare piacevolmente. Stavolta è il lavoro elegante di Lynch a colpire. Si susseguono dunque i due piacevolissimi singoli “Miracle” e “Leaving It All Behind”, dove nel secondo la voce di Sweet ci regala un’altra robusta interpretazione di forza. Aperta da un riff granitico e da un possente urlo di Sweet piomba sulle nostre orecchie “You’ll Never Be Alone” quello che reputo il miglior pezzo dell’intero album. I ritmi si abbassano con la successiva “After All I Said and Done”, dai toni quasi blues. Si torna a spingere con la ottantiana “Give Up The Night”, ulteriore conferma della dimestichezza del duo nel sapersi rigenerare a vicenda senza allontanarsi troppo dal passato. “Will It Ever Change” parte dura e pesante per poi cadere a foglia morta sul melodico intercedere delle strofe di Sweet. Altro gran bel pezzo, altro grande assolo di Lynch. La classe non molla la presa per tutti i dodici episodi, e forse solo nella conclusiva “Word Full Of Lies” si assiste ad un leggero calo d’intensità.
In chiusura: Un album che farà la gioia dei fans di Dokken e Stryper su tutti, ma che non deluderà chi si aspetta una convincente prova da due dei più grandi protagonisti del passato di questo genere musicale.
14 Giugno 2023 10 Commenti Denis Abello
genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers Music Srl
Ricordo quando anni fa mi capitò di ascoltare, in una solitaria notte d’estate, il brano Shine degli sconosciuti Stardust… che colpo diretto al cuore. Tutto quello che amavo del melodic rock si trovava in quel brano. Voce, calore del suono, melodia e quel piacevole senso di ebrezza che solo il miglior melodic rock sa regalare.
Da allora è stato un crescendo di conferme da parte degli Stardust, e un Amore sempre più forte da parte mia verso questa bella realtà Ungherese! Così, dopo un EP autoprodotto (2016) e soprattutto l’ottimo lavoro a titolo Highway to Heartbreak (2020, qui la recensione), gli Stardust ci riprovano con questo Kingdom of Illusion, sempre edito per la nostrana Frontiers!
A capo della brigata troviamo sempre la bella ugola di Adam Stewart (al secolo Akos Horvath) e si parte così come a voler siglare un taglio con il precedente lavoro con la roboante War. Pezzo dallo stile a la “Last Look at Eden” degli Europe che mostra muscoli e forza con un coro “cattivo” ed una chitarra pesante e tagliente, ma sotto sotto è ben presente lo stile Stardust! Un inizio spiazzante che però ci riporta subito su territori cari alla band con la successiva The Fire. Riuscitissimo brano tutto cori e bruciante passione. Magistrale lavoro sugli arrangiamenti per la successiva Losing Me, pezzo cromato e intriso di ricercata sensualità.
Sacrifice è puro AOR radiofonico anni ’80 mentre Love Sells è un up tempo diretto e vibrante! Fari puntati a questo punto su Heroes e sul suo incipit “epico”. Adam Stewart nettamente in botta e chitarre di primo livello, melodic hard rock cesellato con finezza ed eleganza!
Se la prima parte di questo lavoro ha mostrato un lato nettamente ricercato ed in parte sconosciuto nei precedenti lavori degli Stardust con la seconda parte si entra in un territorio più melodic rock nella sua concezione più classica.
Bellissima così si innesta a questo punto la radiofonica ricercatezza di One First Kiss con quel suo ritornello memorizzabile al primo giro. Nettamente riuscita e di valore anche la classica ballata Make Me Feel Your Love e ancora una volta si torna in puro territorio da airplay e, in un mare di ballate spesso troppo stucchevoli, questa Make Me Feel Your Love brilla di una splendida luce romantica!
Diretta, liscia e vibrante Ain’t No Woman si insinua nelle nostre orecchie per portarci a chiudere idealmente sulle note weastcoast, care ai Toto più ricercati, di Sarah!
Ultima chicca sulle note della cover di Don’t Know What You Got… Till It’s Gone. Ci vuole coraggio, e forse un po’ di sana follia, per pensare di coverizzare un brano dei Cinderella, e soprattutto “questo” brano. Eppure gli Stardust lo fanno, a modo loro, trasformando l’amarezza e lo stuggimento della versione originale in una dolce accettazione in questa loro reinterpretazione… e vi sfido ascoltandola a non pensare ad una versione cantata e suonata dai Foreigner!
Continua la crescita degli Stardust, così se l’EP del 2016 ne è stata l’infanzia, Highway to Heartbreak l’arrapante adolescenza, con questo Kingdom of Illusion entrano nella prima fase della loro maturità! Se restano intatti alcuni tratti legati alla loro giovinezza musicale è innegabile che questo nuovo lavoro faccia un netto passo in avanti con una maggiore consapevolezza della band verso quello che può essere un futuro musicale più complesso, ricercato e ricco di influenze! Bel Colpo Stardust, servono più album come questo nel nostro genere!
09 Giugno 2023 9 Commenti Giulio Burato
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers
“Chi ben inizia è a metà dell’opera”
Con questa citazione apro la mia cento1sima recensione su Melodicrock.it (avevo dimenticato la candelina con l’album “Get it right” degli Heavens Edge); devo infatti candidare la copertina di “Drive”, il biglietto da visita dell’album, come una delle più belle viste nel recente passato e merita indiscutibilmente di essere vista e acquistata nella versione vinile.
Torna, a quattro anni di distanza dall’ottimo “Zokusho”, la versione 2.0 dei D2; questo giro alfa-numerico mi serve per chiarire e dare solo una volta, un riferimento, senza essere ripetitivo: l’album è (in)direttamente marchiato a fuoco col nome Danger Danger.
I primi singoli segnano subito il sentiero che ci “guiderà” verso questo terza uscita discografica. La simil Chevrolet Bel Air raffigurata in copertina, dopo aver sbandato al primo singolo “Hey Life”, dall’incipit che svia verso territori hard rock oriented e dove si apprezza il lavoro di Rob Marcello, va a schiantarsi letteralmente col botto intitolato “19 Summertime”, una vera hit che ci fa strappare capelli e anche patente automobilistica. Tutto infatti funziona alla meraviglia, versi, bridge e ritornello, come avrebbe funzionato in un album tipo “Screw it”; una chicca hair-metal degli anni’80 trasportata nei giorni nostri. “Go Big Or Go Home” è il terzo singolo, sempre carico e vivo come lo slogan che lancia; stesso discorso per “Nothing’s Gonna Stop Me Now”, posta a fine scaletta, con chitarra pompose e tastiere che si intersecano alla perfezione.
Due canzoni che ci rimandano ai Bon Jovi degli anni’80 sono “What Are We Waiting For” e “So good” mentre “Miracle” è una ballata onesta, senza accelerare mai fino in fondo, come le Ferrari viste negli ultimi anni, ma che ci regala un Paul Laine profondo, intenso ed in grande spolvero. L’altra ballata è “Another Time, Another Place” che parla di una storia d’amore finita come non doveva finire. “Love Doesn’t Live Here Anymore” ha chiare sfumature AOR con quel ritornello intenso e profuso di melodia, un mix tra una semi ballata e un mid tempo. La parte più modernista dell’album risiede in “Against the grain” con quella uscita, parlata dall’assolo che merita di essere ascolta e riascoltata. A chiusura di questo gran premio musicale, metto in pista una canzone da rush finale. “The night to remember” ossia il perfetto connubio tra una canzone AOR e una canzone rock condita da un ritornello che sfreccia a tutta velocità verso la bandiera a scacchi.
09 Giugno 2023 8 Commenti Samuele Mannini
genere: Pop Rock
anno: 2023
etichetta: TARGET RECORDS
Uno spettro si aggira per l’Europa (in particolar modo in Scandinavia) e oramai da diverso tempo… Ebbene si, è la nostalgia degli anni 80. Effettivamente per me, che gli anni 80 li ho vissuti nel pieno del loro ‘splendore’ musicale, tutta questa serie di imitazioni e reinterpretazioni, fatte con lo stampino ed in buona parte da chi negli anni ottanta forse nemmeno era nato, francamente non entusiasma granché. Anche perché in certi casi sembra di assistere a delle cinesate comprate su Wish. A forza di voler ricercare atmosfere non vissute, ma magari solo conosciute per sentito dire, ci vengono propinate delle versioni estremizzate e quasi caricaturali di una scena musicale che, a 40 anni di distanza, trovo francamente di difficile riproposizione.
Detto questo bisogna ammettere con onestà intellettuale che esistono eccezioni. Ecco, i Boys From Heaven, sono una di quelle più limpide che mi sia capitato di ascoltare. Il sound è perfettamente quello degli anni 80, non ci sono ne artefatti ne forzature, è esattamente come se il disco fosse stato concepito in quegli anni e mai pubblicato prima. Semmai il problema è che di rock c’è veramente poco o nulla. Il disco si snoda infatti in otto canzoni che vanno a pescare nella più piena tradizione del pop a stelle e strisce, in alcuni tratti si va persino vicino alla disco music di quegli anni e tanto per estremizzare un po’, Lionel Ritchie non avrebbe affatto sfigurato in un paio di queste canzoni.
Chiarito il contesto, il disco nel suo ambito è praticamente impeccabile e basta premere play perché l’opener Sailing On, dopo un’intro a la From The Fire, ci catapulti subito indietro nel tempo. Make It Right deve qualcosa ai Toto più pop anche se la sua struttura più nervosa contribuisce a renderlo variegato e gradevole. Il terzo brano Sarah, è un up tempo power pop vicino ad ambientazioni hi tech/aor che potrebbe essere tranquillamente estratto da Full Contact di Tim Feehan e non ho dubbi che, ai tempi, avrebbe potuto essere una potenziale hit. Da qui in avanti i riferimenti rock si fanno sempre più rarefatti, tanto che Endless Love è un pop elettronico e raffinato animato dalla voce nasale e quasi Afro di Chris Catton. Last Time è l’esempio di cui vi parlavo prima, un pop quasi dance pieno di ritmiche funkeggianti che servono da sfondo ad una melodia che non potrà fare a meno di farvi sculettare mentre schioccate le dita e rimpiangete i pantaloni a zampa di elefante… Circle si esalta sui vari inserti di sax mentre il pianoforte domina e detta la ritmica, mentre The Dream Is Gone recupera un po’ di assonanze Aoreggianti ed un ritornello veramente gradevole e cantabile. Chiude il soft rock di Too Far Gone, con una impressionante somiglianza con Steve Emm, altro alfiere delle atmosfere ottantiane di qualità ai nostri giorni.
Spero quindi di avervi chiarito l’ambito ed il contesto in cui si muovono i Boys From Heaven, che in questo ambito sono dei mostri assoluti. Se cercate hard rock girate al largo, ma se siete in cerca di nostalgiche emozioni made in Eighties ad ampio spettro intese, questo disco è un must have. Una nota per la produzione di Erik Martensson, che in questa veste, si dimostra raffinato ed attento a ricreare suoni ormai dispersi nel tempo.
08 Giugno 2023 7 Commenti Paolo Paganini
genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers
Tornano a tre anni di distanza dal precedente Transition gli svedesi Art Nation, band da annoverare ormai tra le migliori rappresentanti della scena hard rock nord europea insieme a H.E.A.T., Degreed, Creye e One Desire. Per l’occasione ricompare in formazione anche il chitarrista Christoffer Borg uno dei membri fondatori insieme al vocalist Alexander Strandell. Si parte subito in quarta con Brutal_Beautiful, un pezzo dai tratti heavy metal dotato di un ritornello esplosivo e che rappresenta in pieno lo stile dei quattro ragazzi di Göteborg.
Questa è l’impronta del gruppo e tutto il resto del disco si snoda attorno a tali sonorità senza avere mai alcun tipo di calo. Se pensate che questo genere non faccia per voi meglio non andare oltre; se invece deciderete di proseguire verrete ripagati da un lotto di brani adrenalinici ma al tempo stesso estremamente melodici. La trascinante Echo fa da prologo al pezzo più pop e ruffiano del lotto che vi farà letteralmente saltare già dal primissimo ascolto. Break Up è una vera e propria hit d’altri tempi con una batteria a doppia cassa ed un coro da cantare a squarciagola. The Legend Reborn più rallentata e dai toni epici ci mostra come gli Art Nation siano in grado di variare (anche se di poco) la propria proposta musicale. Somewhere I Know I Belong è un altro picco di questo album insieme alla seguente Superman di facilissima assimilazione. Powerless chiude alla grande un lavoro compatto e di grande qualità che sicuramente rimarrà tra le migliori uscite dell’anno.
Se siete fanatici dei gruppi sopra menzionati non potete assolutamente farvi scappare questa nuova proposta targata Frontiers Records.
05 Giugno 2023 0 Commenti Denis Abello
genere: Melodic Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Nadir Music
Un Ep di sei pezzi! Una voce, quella di Davide Merletto, in grado di caratterizzare ogni brano! Una moltitudine di ospiti di livello, Stefano Lionetti (Lionville), John Macaluso (Malmsteen, Symphony X), Roland Grapow (Helloween, Masterplan), Alberto Bof (®Academy Award ®Grammy ®Bafta ®Golden Globe winning “A Star Is Born”), Francesco La Rosa (Extrema) ed Andrea Torretta (Daedalus, Meganoidi)!
Mettiamo nel calderone anche sei brani curati e arrangiati che senza aggiungere nulla al genere lo impreziosiscono e supportano con classe ed eleganze. Ecco quindi che mescolati questi ingredienti ci troviamo tra le mani esattamente questo On Your Way, primo lavoro “esplorativo” a titolo Lace dietro il cui monicker si nasconde Davide Merletto, già conosciuto ai più per la sua militanza in Planethard e Daedalus.
Partiamo quindi con la titletrack On Your Way, un bel pezzo che si lancia su note di batteria e chitarra taglienti e sostenute per sfociare in un ritornello ultra catchy e melodico! Cavoli se la cosa funziona! Ancora una bella grinta messa in campo per la successiva My Lost Goodbye che mostra un tratto però più radiofonico rispetto al precedente brano anche se in parte ne ripercorre la formula… molto Lionville nello stile del ritornello!
Arriviamo quindi alla prima ballad (ne troveremo due, non poche per un EP di 6 pezzi… ah… ed è una cosa che apprezzo! 🙂 ). Suggestiva, arrangiata benissimo e con Merletto che giostra con maestria sulle note. Chitarra Funky / Rock sulle note della successiva I Give You My Word dall’emozionate ritornello. Ancora una volta si apprezzano gli arrangiamenti di livello.
Si chiude così il giro con la rilassata e suggestiva ballata Dancing Star per sigillare definitivamente questo EP sulle note della radiofonica Lost in Your Hands!
Un antipasto di quello che speriamo possa essere presto un disco completo. Merita attenzione per la qualità generale del tutto. Bravo Davide!
05 Giugno 2023 4 Commenti Paolo Paganini
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Universal
Operazione intrattenimento in attesa di un nuovo album per il leggendario Leopardo Sordo che invece di far uscire l’ennesima inutile raccolta o live tenta la strada ormai già intrapresa da una miriade di altre band rock/metal di proporre in versione orchestrale alcune delle proprie canzoni che meglio si adattano a questo tipo di arrangiamento. Non troverete quindi tutti i pezzi migliori ma soltanto quelli che a loro insindacabile giudizio più si prestavano a questo tipo di versione. Complici di questa nuova avventura la Royal Philarmonic Orchestra di Londra e i mitici Abbey Road Studio’s. Che dire.. impresa riuscita a metà.
Il sound dei Leppard non può suonare che in versione elettrica, tuttalpiù acustica ma sentire brani come Animal senza la batteria di Allen sotto… beh sembra davvero strano. Diverso il discorso per pezzi “alternativi” della loro produzione come Turn Tu Dust o Paper Sun che invece ben si sposano in questa nuova veste. Hysteria si discosta poco dall’originale (e meno male) e anzi gli inserti di archi si addicono al suond etereo ed immortale del brano. Stesso discorso per la monumentale Gods Of War per niente snaturata. When Love & Hate Collide aveva già questo tipo di impostazione quindi risulta il pezzo meno stravolto del lotto. Non male la nuova Have You Even Needed Someone So Bad, peccato che sia riservata alla sola Japanese Edition.
In sintesi possiamo parlare di un album non certo fondamentale per i Def ma che non potrà mancare per chi come il sottoscritto possiede ogni uscita ufficiale, bootleg e rarità della band. Only for fan.
25 Maggio 2023 0 Commenti Francesco Donato
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers
Arrivano alla seconda prova per Frontiers Records i Circus Of Rock, progetto portato avanti dal batterista Mirka Rantanen (King Company).
La formula non cambia rispetto al debutto di due anni fa, il buon Mirka si circonda di artisti di un certo calibro che si avvicendano per tutto lo svolgersi del disco. Rispetto al primo lavoro da segnalare fin da subito la costanza nel presentare brani ben suonati e ben arrangiati, forti della collaborazione di un cast di tutto rispetto dove tra i tanti spiccano certamente le prestazioni di Jeff Scott Soto, Mr. Lordi e Girish Pradan.
E’ proprio il vocalist dei Girish and the Chronicles ad aprire le danze con la tirata Alive And Kickin’, seguita a ruota dalla preziosa presenza di Soto che con Keep On Shining ci regala uno dei momenti più convincenti dell’album.
Come ribadito in precedenza, pur non avendo delle vere e proprie hits trainanti, i brani si fanno ascoltare e rendono in termini di piacevolezza, ma laddove è la maestria dei protagonisti ad alzare il livello, è la produzione eccessivamente “plasticosa” a far storcere un po’ il naso.
Tra le canzoni si segnalano anche la delicata All I Need con Pinja alla voce e il singolo apripista Is It Any Wonder interpretata da David Readman.
25 Maggio 2023 1 Commento Lorenzo Pietra
genere: AoR / Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Metalapolis Record / SPV
I DeVicious si confermano una macchina da dischi, quinto album in cinque anni per il gruppo tedesco che con questo Code Red propone un Aor mischiato al melodic rock più classico.
La band ha sostituito lo storico cantante Antonio Calanna, che ha lasciato il microfono all’ex TNT Baol Bardot Bulsara. I restanti membri rimangono Lars Nippa alla batteria, Denis Kunz alle tastiere, Radivoj Petrovic alla chitarra e il produttore e nonché bassista Alex Frey.
La proposta dei Devicious è un classico Aor contaminato da fiati e dotato di tastiere onnipresenti che forse lasciano poco spazio alla chitarra. Rispetto al precedente Black Heart troviamo un suono più classico e più radio friendly, togliendo qualcosa al lavoro finale almeno sotto l’aspetto della “novità” .
L’album parte forte con la doppietta Are You Ready For Love e Highway to the Stars, la prima con i cori accattivanti, il basso in primo piano e le tastiere che sovrastano, la seconda con i fiati le trombe guidati sempre dalle tastiere di Denis Kunz e l’ottimo ritornello che si stampa subito in testa. Da citare l’ottima prova vocale di Bulsara che sui registri alti da il meglio di se. Si continua conMadhouse col suo basso iniziale lento, per poi cambiare di tempo e sfociare in un ritornello trascinante, finalmente sentiamo un po’ di chitarra con l’assolo rock che da una spinta in più. Con Stuck In Paradise ci immergiamo nel rock melodico, intro super di chitarra riff perfetto e un’ondata di note ci portano al pezzo più riuscito e anche più rock dell’album. Le note del pianoforte aprono le danze a No More Tears, che dopo pochi secondi sfocia nell’AoR più classico, refrain da manuale, ritornello direi non proprio riuscito, anonimo e canzone che non “rimane”…. proprio da questo punto l’album tende ad appiattirsi, con buoni riff e bei giri di tastiere ma dove proprio le canzoni sembrano non funzionare. I cori di Raise Your Life, il bel riff di Not Anymore non riescono a salvare le canzoni dallo “skip” , ritroviamo qualche discreta idea su House Of Cards, dove il ritornello stavolta funziona, ma già da All My Life ritorniamo sul pezzo classico ma senza lasciare il segno. Walk From The Shadows inizia con un synth molto ottantiano ed esplode con un acuto di Bulsara ad una tonalità altissima. La canzone ha un bel refrain accattivante e un bel ritornello, Aor mischiato empre al rock melodico con le tastiere al massimo volume…. si chiude con una reinterpretazione del loro pezzo Penthouse Floor (dall’album Never Say Never del 2018) che a mio avviso perde totalmente la sua bellezza, ma devo ammettere che sui pezzi riarrangiati ho sempre avuto poco feeling….
IN CONCLUSIONE:
I DeVicious propongono un AoR classico, non inventano nulla ma regalano un’ora di buona musica, peccato per la seconda parte dell’album dove il songwriting zoppica un po’.
23 Maggio 2023 1 Commento Alberto Rozza
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers
In uscita il nuovo album degli svedesi House Of Shakira dal titolo “Xit”, per gli amanti del melodic rock canonico e delle sue atmosfere sognanti.
Si parte forte con “Something In The Water”, trascinante e corale, dal sound molto retrò, dalla trama perfettamente cesellata, dove ogni componente strumentale si incasella in modo congeniale. Passiamo alla successiva “No Silver Lining”, particolarmente solare e coinvolgente, dal suono cristallino, che sfocia nella ben più oscura e tonante “Toxic Train”, tagliente e acida, un salto decisamente più heavy. “Your Exit” mantiene queste sensazioni misteriose nella sua atmosfera generali, dando ottimi spunti musicali all’ascoltatore e attestandosi come un ottimo brano melodico. Pomposa e titanica, “Too Much Love” non stupisce per originalità e brillantezza, passando velocemente e senza grandi rimpianti, così come la seguente “The Messenger”, di scarso impatto sotto tutti i punti di vista. Si cambia totalmente attitudine con “Twisted Attitude”: ritmica serrata, sonorità letali, un piccolo gioiello imprevisto e gradito. “Nowhere Bound” impiega in modo interessante l’effettistica e i sintetizzatori, dimostrandosi almeno originale nell’intenzione e nella sonorità. Arriviamo a “Chimera”: sufficientemente aggressiva, non esce però dalla miriade di brani di genere e risulta nel complesso non molto soddisfacente. “Hell Or Heaven” ha il sapore del già sentito, malgrado l’encomiabile resa strumentale e vocale. Chiusura riservata alla title track “Xit”: questa intensa ballata, veramente gradevole e sentita, ci congeda dagli House Of Shakira e dal loro lavoro di studio, complessivamente ben registrato ed eseguito, leggermente monotematico a livello di intenzione e globalmente non molto originale.