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04 Agosto 2023 2 Commenti Giorgio Barbieri
genere: Hard n' Heavy
anno: 2023
etichetta: andromeda relix
Terzo album per i nostri Damn Freaks con annessi due scossoni, uno nella line up, dove se ne vanno il cantante Jacopo “Jack” Meille e il chitarrista Marco Torri, sostituiti da Giulio Garghentini, voce dei Dark Horizon e da Alex De Rosso, chitarrista dall’esperienza ultradecennale, essendo stato il sostituto di Alex Masi nei seminal Dark Lord, avendo avviato una buona carriera solista e avendo poi anche preso il posto che fu di George Lynch nei Dokken, seppur per un breve periodo e solo dal vivo, l’altra “spallata” arriva nel sound, sicuramente più vicino al metal che non all’hard rock tout court del precedente “Love in stereo”.
Detto questo, è facile capire che i due nuovi arrivati hanno dato un’impronta ben precisa alla musica della band fiorentina, anche se l’album è decisamente diviso in due parti, la prima che arriva fino a “My resurrection”, addirittura è un esempio di metal old style, con rimandi a certi gruppi della Ebony Records tipo Chateaux, ma soprattutto Grim Reaper, dove l’energia della tarda nwobhm veniva sapientemente fusa con parti molto più orecchiabili ed anche la produzione spavaldamente scarna e senza ritocchi, ricorda quelle ambientazioni, che magari facevano un po’ storcere il naso ai puristi del metallo, ma che ebbe il suo momento di gloria; con “You ain’t around”, ballad dal sapore agrodolce si assiste ad una netta sterzata, sia nella musica che nel modo di cantare di Giulio e da qui in poi, il class metal dei Dokken, dei Ratt o quello più sbarazzino dei Cinderella, fanno decisamente la parte del leone, ma andiamo per gradi. continua
04 Agosto 2023 5 Commenti Samuele Mannini
genere: Prog. Rock/ Prog. Metal
anno: 2023
etichetta: Mascot Label Group
Edward Reekers, cantante e polistrumentista noto in campo progressive anche per la sua partecipazione a vari album degli Ayreon, propone quest’anno la sua rock opera. La traccia che si snoda attraverso il concept è quella di un universo parallelo scaturito da un secondo Big Bang, ma non è che le cose vadano poi in modo così diverso dal mondo che noi conosciamo, in una sorta di ripetizione senza redenzione della razza umana…
Musicalmente parlando siamo di fronte a tutto ciò che lo scibile del prog ha sciorinato negli anni e come mi è capitato già in passato di dire, recensendo concept album di simile estrazione, l’approccio consigliato è sicuramente quello di sedersi comodi, stile cinema, prepararsi a seguire la storia passo dopo passo ed immergersi nell’atmosfera musicale. Non è ovviamente un approccio facile, ma gli amanti del progressive saranno deliziati dal navigare attraverso atmosfere talvolta sognanti, talvolta serrate con sonorità più metal alternate, ad esempio, ad altre più vicine al pop, sul genere proposto dal Meat Loaf più teatrale.
Le parti che più ritengo coinvolgenti sono: il singolo ‘Good Citizens’, impreziosito dalla performance di Damian Wilson, l’epica cavalcata a tinte folk di ‘The Present Days’, oltre agli splendidi duetti e gli intermezzi di sax di ‘The Break Up’. Pur non essendo un fan accanito degli strumentali vorrei citare anche ‘Remember The Fallen, Celebrate Life’ che rappresenta un bignami di tutte le sonorità presenti nel disco.
In sostanza più di 80 minuti di viaggio nel progressive e nella sperimentazione che certamente renderanno il disco difficile da digerire ai più, ma che i progsters più sofisticati non mancheranno di gustare con soddisfazione.
04 Agosto 2023 12 Commenti Yuri Picasso
genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers
Torna (avete ragione, non si è allontanato di molto dai nostri condotti uditivi) uno dei Singer più medialmente chiaccherati e in parte apprezzati dell’ultimo lustro in campo Melodic Rock: Kent Hilli. Dall’esordio della band madre, i Perfect Plan, datato 2017, lo svedese ha avuto modo di mettersi in mostra con risultati che variano dall’apprezzabile all’ottimo; tre volte con la sua band di origine, con un bellissimo esordio solista, con i Giant (o quel che ne rimane), con il progetto T3enors, con i Restless Spirits. Da pochi anni nel mondo del music business che conta, ma già richiesto e di conseguenza inflazionato.
Ad opinabile parere del sottoscritto Kent è tecnicamente un buon cantante, carente di quella policromia vocale in grado di renderlo un ottimo cantante. Il rischio di “sapore” di una qualsivoglia eccessiva uniformità è dietro l’angolo, uscita discografica dopo uscita discografica, quindi…
quindi l’ago della bilancia è dettato dalla qualità delle canzoni a disposizione, scritte ad hoc per valorizzare la sua capacità espressiva, un mix di testosterone e romanticismo, su tonalità ed ottave alte, con un maggiore peso specifico attribuibile alla scelta degli arrangiamenti, eseguiti qui da uno stormo di ottimi musicisti in qualità di backing band.
L’esordio, ‘The Rumble’, mi aveva stupito: i richiami ai Survivor e ai Giant erano intensi, ricercati e ben confezionati, ancora oggi lo ascolto volentieri. Le coordinate artistiche non subiranno nel qui presente ‘Nothing Left To Lose’ una sensibile variazione, inserendo intermittenti tracce di cambiamento come puro processo evolutivo.
Passiamo quindi all’analisi del disco. Si parte molto bene con la sontuosa “Too Young”, colma di rivalsa, degna del Jim Peterik più aggressivo. La Title Track fa il verso a Joe Lynn Turner e alla sua versione dei Sunstorm . Con la seguente “Could This Be Love” iniziamo a percepire che il chiaro intento di replicare il successo del precedente sulle coordinate più congeniali, non riesce a soddisfare appieno le aspettative. Le soluzioni intraprese sono vincenti, ma, almeno fino ad ora, prevedibili. “A Fool To Believe” shakera l’ultimo compianto Jimi Jamison e lo stile di scrittura proprio del Melodic Rock scandinavo. La monotonia di “Stronger”, sentita e risentita, è spezzata da un ottimo lavoro di chitarra firmato Jimmy Westerlund. Veniamo alle vere perle. Le dinamiche estive e malinconiche di “Everytime We Say Goodbye” memore dei migliori The Storm. Song dalla melodia vincente. Il sax di “Does He Love Like Me” rende il brano notturno plasmando un’atmosfera romantica e dinamica, lontana dallo stucchevole: ottimo pezzo che eleva il proprio valore quando Chitarra e Sax dialogano in un’efficace parte strumentale. Il lento “Only Dreaming” è notevole, graziato da un’intensa e lunga tensione soffusa da armonie sofferte.
Globalmente l’impatto è meno intenso dell’esordio; ‘Nothing Left To Lose’ è un disco prevedibile ma non scontato. Le soluzioni pronosticabili ma funzionali levano un paio di punti a un lavoro complessivo in grado di regalare emozioni intervallate da qualche sbadiglio tipico di noi consumati naviganti mercenari del AOR/Melodic Rock.
31 Luglio 2023 4 Commenti Lorenzo Pietra
genere: AoR / Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers Records
Presentare una band come i Pride Of Lions penso sia superfluo, e ogni uscita di questa grandiosa band AoR ha sempre aspettative molto alte, che non sempre lasciano il segno. Sarà il caso di questo nuovo e settimo sigillo Dream Higher?
Passiamo alle canzoni, infatti in occasione dei vent’anni del gruppo, Jim Peterik si affida nuovamente all’ugola calda e potente di Toby Hitchcock, una garanzia nel genere e una voce carismatica e coinvolgente. Ed il nuovo Dream Higher possiamo dire che non appaga al massimo le aspettative e soffre forse di troppo “mestiere” e meno “cuore” rispetto ai precedenti lavori.
La proposta musicale è quella che l’ascoltatore si aspetta da un disco dei Pride Of Lions e questo non lascia dubbi su cosa ci aspetteremo e sia chiaro che questo non è un brutto lavoro, emerge purtroppo un calo di creatività e novità ma che ad uno come Peterik può essere perdonato. In tutti i pezzi manca la scintilla, “IL” refrain vincente, nonostante non manchi mai la classe e la melodia che contraddistingue Peterik e soci.
I bei pezzi comunque non mancano con la bella Blind To Reason, un’opener di tutto rispetto, la title track Dream Higher e Another Life parlano l’Aor più classico e anche se un po’ scontate riescono a lasciare il segno. Ma è con le tracce più eightes che Jim e Toby riescono a divertire di più rieccheggiando il sound dei mitici Survivor, se vogliamo fare un “grande” paragone. Find Somebody To Love ne è un esempio lampante, mentre i momenti più westcoast e più soft li troviamo con Driving and Dreaming, fresca, solare, la ballad Everything To Live For e la conclusiva Generational.
Lato musicale non si può dire assolutamente nulla, Peterik e la sua chitarra sembrano parlare ad ogni nota, il disco è comunque registrato discretamente e Toby Hitchcock non sbaglia un colpo.
IN CONCLUSIONE :
I Pride Of Lions sono questi, prendere o lasciare, personalmente penso che cambiare o snaturarli non avrebbe senso ed anche se il sound e le canzoni hanno dei momenti di stanca, riescono comunque ad emozionare.
21 Luglio 2023 0 Commenti Alberto Rozza
genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Pride & Joy
Ritorno gradevole in questo inizio estate per il grande Tony Mitchell, artista celebre e poliedrico, noto per la sua militanza nei Kiss Of The Gipsy e per aver preso parte in alcuni progetti di Alice Cooper e Alan Parsons Project.
Partiamo con la bonjoviana “Blue Lightning”, intensa e decisa, che apre in modo magistrale le danze. “Keep The Love Alive” cerca di staccarsi un po’ dal canone, soprattutto nella ritmica forsennata, risultando globalmente piacevole e frizzante. La title track “Radio Heartbeat” non splende per originalità, entrando senza troppa difficoltà nella miriade di esempi di genere, ma comunque egregiamente eseguita e col giusto grado di convinzione. Sound più oscuro con “Rockin In A Hard Place”, vocalmente rude e ritmicamente trascinante, che si getta nella successiva “Top Of The World”, classica ballatona con inizio al pianoforte che tanto scioglie il cuore di noi metallari. “Another Beat Of My Heart” non si scosta di una virgola dal genere: ampio, arioso, ritmicamente colossale, piace nella sua interezza, malgrado non lasci un grandissimo ricordo di sé. “Darkness Remains” si butta ancora sulle atmosfere oscure e tenebrose, che rendono il brano piacevole e intrigante, cosa che lo accomuna al successivo “This Side Of Midnight”, sempre dal sapore misterioso e drammatico. “Borderline” non presenta grandi variazioni sul tema, risultando gradevole ma banale. Leggera e solare, “Sunflower Girl” centra perfettamente il clima e i crismi del genere, passando senza fronzoli e gettandosi nella successiva “Find A Way”, un lento arioso e dolce, che spezza in modo azzeccato l’andazzo del disco. Per il finale, ci imbattiamo in “Phoenix Rising”, molto contemporanea, graffiante e tonante, leggermente più originale ed un po’ fuori genere rispetto al resto del lavoro, che, come il precedente, pecca forse di originalità, nonostante una esecuzione e una resa oggettivamente positiva.
10 Luglio 2023 8 Commenti Samuele Mannini
genere: Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Godsend Records/ Cargo
Dopo 7 anni dall’ ultimo Making Noise ed a ben 31 dal folgorante debutto omonimo (Recensione QUI), vede la luce questo The Last Song che mostra il biondissimo e sempre in formissima Mitch, cimentarsi con tutti gli strumenti, nel songwriting, nel missaggio e nella produzione, come un vero tuttofare poliedrico.
Dopo aver sciolto il sodalizio con i Great White, si ripropone in quella che, secondo me, è la sua veste più consona, ovvero il solista; è infatti evidente come nella veste cantautoriale si trovi perfettamente a suo agio ed inoltre, la sua ottima vena di songwriter non può che trarre vantaggio dal poter tenere tutti gli aspetti della canzone sotto completo controllo. Eccoci dunque a questo The Last Song dove sono contenute dieci canzoni che parlano di tutto ciò che coinvolge la sua storia personale, della quale l’autore ci rende partecipi.
Le canzoni che più ho gradito sono le ballad, che a mio avviso sono sempre stati i pezzi pregiati dell’autore ed anche in questo caso devo ammettere che I See You, ma ancor di più la delicata ed intima Using This Song, danno un vero tocco di classe al menu. Ma non di sole ballad vive il rock ed infatti anche i pezzi più tirati sono sempre di qualità sopraffina e ad esempio, come non citare l’elettrica e vibrante One Of A Kind e la crepuscolare e sofferta Building A Bridge. Notevoli e di intrattenimento anche la opener I’m Living In Paradise, My Pleasure e You’re The Brightest Star, che però rimanda un po’ la memoria alla Cowboy And The Ballerina dell’esordio.
In sostanza un disco vario ed interessante che ci propone un Mitch Malloy in splendida forma ed ispirato, sono sicurissimo che questo The Last Song farà la felicità di chi ama le sonorità melodic rock made in Usa. Grazie Mitch and see you to the… next song!
10 Luglio 2023 2 Commenti Lorenzo Pietra
genere: Rock
anno: 2023
etichetta: Pavement / Frontiers
Direttamente dalla voce delle Vixen, ecco tornare in veste solista Janet Gardner, che grazie alla Pavement e Frontiers Music, prosegue la sua collaborazione con il chitarrista Justin James ed insieme propongono il nuovo “No String”, naturale proseguimento dell’album del 2020 Synergy.
L’album presenta diversi temi stilistici, proponendo sempre un rock energetico con tanta melodia.
Il fruscio del vinile apre alla bellissima I’m Living Free, potente, con un riff energico e ben suonato, con un refrain che rimane in testa già dal primo ascolto. Janet in grande forma si conferma un’ottima cantante. Inizio veramente di buon auspicio!
Turn The Page conferma quanto detto, con James che detta ritmo, potenza ed energia alla chitarra e mantiene il pezzo ad alto livello.
85 da una sterzata a livello sonoro, rivelandosi un rock moderno ma senza mordente, dove stavolta la melodia non prende, pezzo decisamente anonimo, a mio avviso strano averlo scelto come singolo. Si continua con la title track No String, siamo di fronte alla prima power ballad, pezzo dove la chitarra ritmica si fa sentire, buon riff, ritornello nella norma con Janet in risalto con una bella prova vocale e buon assolo di James. Il risultato non è niente di esaltante ma si lascia ascoltare. Don’t Turn Me Away parte con una chitarra acustica, il pezzo esplode in un rock energico in pieno american style ma ancora una volta il ritornello lascia l’amaro in bocca, anonimo e poco trascinante.
Con Set Me Free ritorniamo a parlare hard rock, con James in primo piano ma ancora una volta il pezzo soffre di un refrain poco ispirato, senza mordente e molto anonimo. Peccato. Hold On To You parla il rock piu’ ottantiano, un mid tempo con inserti di tastiere, tappeti di chitarre e un assolo finalmente coinvolgente. Un buon pezzo che rialza un po’ il morale!
Into The Night parte forte con la batteria e la chitarra in primo piano a dettare il tempo, si torna finalmente ad un rock potente, hard al punto giusto dove Janet graffia con la sua voce e i cori sorreggono il buon refrain, pezzo ancora ottantiano fino al midollo! I’m Not Sorry ha un sound più moderno, rock melodico veloce e senza fronzoli dove il duo funziona alla perfezione, con un ritornello avvolgente e potente.
Si arriva al decimo pezzo You’ll See, ancora un hard rock deciso e grezzo, con Janet sugli scudi che porta direttamente al country/blues di She Floats Away, acustico ma energetico al punto giusto bello il riff di James!! Promosso!! Si chiude con Drink, dove si incrociano chitarra/pianoforte/voce e dove il rock n’ roll si fonde al country e sfocia in un ritornello catchy con un assolo al top! Pezzo veramente esplosivo!!
IN CONCLUSIONE:
Un album con alti e bassi, a volte troppo disomogeneo dove troviamo troppi stili diversi. Si alternano bei pezzi a momenti troppo anonimi. Album sicuramente sopra la sufficienza ma che non può arrivare ad alti livelli.
05 Luglio 2023 10 Commenti Paolo Paganini
genere: Melodic Rock
anno: 2023
etichetta: Frontiers
Confesso che fin dagli esordi di Life Love Loss del 2010 rimasi fortemente colpito dalla loro musica, allora forse ancora un po’ acerba ma che nel corso degli anni non ha fatto che migliorare progressivamente e possiamo dire che con questo Public Address abbiano raggiunto il top della loro performance. La caratteristica che rende pressoché unica la loro proposta è la straordinaria capacità di unire potenti riffoni e massicce dosi di chitarre elettriche quasi metal a sontuosi tappeti di tastiere e melodie ammalianti tutto coro che lasciano senza fiato grazie anche alla graffiante e riconoscibilissima voce di Robin Ericsson. Proprio il brano scelto come singolo di lancio Big Plans riassume in pieno quanto appena detto. Chitarre granitiche e voce quasi growlin lasciano spazio ad un ritornello alla Toto (periodo Seventh One) mischiato ai migliori Def Leppard. La band continua a spingere ad alti regimi con le seguenti Who Are You (To Say) e The Way Of The World da ascoltare rigorosamente a volume elevato in macchina con finestrino abbassato e vento in faccia. Un attimo di tregua con la splendida power ballad This Is Love che con le sue sonorità classiche vi catapulterà indietro nel tempo mantenendo una freschezza e un’attualità impressionanti. Da menzionare il grande lavoro di tutti i musicisti coinvolti, nessuno escluso. Grandi assoli di Daniel Jhoansson e sezione ritmica di un altro livello il tutto prodotto in maniera pressoché perfetta. La band riprende come nulla a sfornare canzoni che ti entrano in testa al primo ascolto e così la folle corsa riprende con la magnifica Ride Along. Potremmo già ritenerci ampiamente soddisfatti di quanto sentito finora ma i Degreed non hanno alcuna intenzione di fermarsi e sia Free Again che Resist The Urge continuano imperterrite la propria ricerca della melodia perfetta da ripetere all’infinito. Piccolo grande gioiello la sognante pianistica ballad Don’t Be A Stranger sulla quale non possiamo non inchinarci e toglierci il cappello con Robin che dimostra di essere uno dei cantanti migliori in circolazione almeno per questo genere musicale. I quattro brani in chiusura non fanno altro che confermare quanto di buono detto fino a qui quindi non mi dilungherò oltremodo ad incensare la band che come avrete ormai capito è tra le mie preferite degli ultimi anni.
IN CONCLUSIONE:
Un lavoro impeccabile sotto tutti i punti di vista a cui sinceramente non riesco a trovare un punto debole. Perché non dare 95 allora direte? Beh perché sono sicuro che la prossima uscita sarà ancora migliore e la successiva ancora di più e una volta arrivato a 100 rischio di andare fuori scala! Buon ascolto e buona estate!
05 Luglio 2023 1 Commento Alberto Rozza
genere: AOR/Hard Rock
anno: 2023
etichetta: Sound Pollution
Chicca estiva per il chitarrista svedese Mats Karlsson, figura storica dell’hard rock europeo con una lunga militanza nei 220 Volt, che propone un nuovo lavoro ricco di collaborazioni e un sano rock d’altri tempi.
Dopo l’intro “Asteroids”, parte senza troppi complimenti “Beautiful Life”, tagliente e ritmata, dal sound gagliardo e canonico, che apre positivamente e in modo gioioso questo disco. Passiamo alla title track “Mood Elevator”, scanzonata e ritmicamente coinvolgente, dal ritornello che resta in mente, globalmente un brano ben strutturato e ben riuscito. “War Child” risulta maggiormente contemplativo e caldo, un simil lento molto sentito e introspettivo, piacevole nella sua interezza. Torniamo a ballare sulle note di “Keeping Time”, veramente rockeggiante e travolgente, semplice e diretta, chitarristicamente interessante. Arriviamo alla cover di “Big Yellow Taxi” di Joni Mitchell, inconsueta e ben riuscita in questa versione elettrica. “Kiss Of Life” è un classico pezzone hard rock, rétro, ben eseguito, dalla trama intrigante e dal solo melodico e piacevole, così come la successiva “Letters Without Signatures”, corposa e cadenzata, dal sapore molto anni ‘80. “Higher Than High” presenta una trama strumentale molto ben cesellata, a partire dai suoni ottimamente scelti, sino alla ritmica piacevole e coinvolgente. Sonorità spaziali aprono “Magic Wand”, travolgente e potente, canonico nella tessitura e gradevole all’ascolto. “Try My Love” rilassa l’atmosfera e ci porta su nuovi orizzonti, facendoci immaginare i classici paesaggi da “road trip”. Chiudiamo questo viaggio in compagnia di Mats Karlsson con “Tripping Point”, oscura e misteriosa, che ci consegna infine un lavoro decisamente interessante, a tratti con spunti originali, eseguito con la giusta convinzione e la giusta maturità tecnica: ascolto dell’estate assicurato!
03 Luglio 2023 13 Commenti Samuele Mannini
genere: Prog. Rock
anno: 2023
etichetta: Pedragon Toff Records
Per me nuovo materiale dei Pendragon è sempre un evento da celebrare, anche se qui, con soli 24 minuti di musica resta l’appetito. Comunque, taglio subito la testa al toro, le canzoni sono bellissime.
Dopo Love Over Fear del 2020 (Recensione Qui), dove si notava un recupero delle vecchie sonorità, in questo North Star si continua su quel solco, anche se naturalmente, come ormai tradizione della band, si nota una certa evoluzione ed ampliamento degli orizzonti sonori. In questi due brani (di cui uno è una suite in tre capitoli) si notano infatti forti riferimenti folk ed il tutto è pervaso da atmosfere bucoliche ed oniriche. Innegabilmente, quando ci sono da pennellare scenari eterei e pastorali (già a partire dalla copertina), i Pendragon sono dei maestri assoluti e riescono sempre a coinvolgere la più intima dimensione dell’anima fatta di sogni e poesie. Ecco appunto quello che accade nei tre capitoli che compongono la Suite North Star, 18 minuti di puro viaggio in musica, a cui segue la terapeutica ballata quasi totalmente acustica Fall Away, arricchita nel finale da un tappeto di synth che disegna scenari intangibili dove la mente vola cullata dalle note. Non so se questa direzione artistica, meno propensa al rock magari, proseguirà in futuro oppure resterà confinata a questo Ep, ma l’ascolto mi lascia totalmente appagato ed anzi, con una irrefrenabile sensazione di volerne di più, che è sicuramente segno di qualità assoluta.
Insomma, magari non consiglierei di scoprire la band proprio con questo disco, perché seppur pieno di pregi, mostra soltanto una piccola parte delle innumerevoli sfaccettature artistiche del gruppo, ma per un fan della band metterci le mani sopra è un obbligo morale e mentre i miei neuroni viaggiano lieti nell’ etereo mondo dei Pendragon, ho già l’acquolina in bocca pensando ad un nuovo full lenght…