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Diesel – Into the Fire – Recensione

10 Maggio 2014 4 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2014
etichetta: Escape Music

Il 2014 ha portato e continuerà a portare tante interessanti novità nel panorama rock melodico mondiale. Una di queste sono i Diesel della Escape Music, nientemeno che il nuovo progetto di Robert Hart (ex Bad Company, Manfred Man Earth Band e John Gangs) Jim Kirkpatrick (FM), Jimmy Copley (Paul Rogers e Manfred Man Earth Band) e Pat Davey (Seven), al debutto il 23 maggio con l’album Into the Fire.
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H.E.A.T – Tearing Down The Walls – Recensione

07 Maggio 2014 50 Commenti Andrea Vizzari

genere: Melodic Rock
anno: 2014
etichetta: earMusic

Il mondo della musica e del rock in particolar modo è e sarà sempre pieno di grandi e piccole band che devono affrontare dei cambiamenti importanti al loro interno. Cambiamenti che riguardano la direzione sonora che bisogna intraprendere in un determinato momento, cambiamenti/sostituzioni di musicisti o molto spesso entrambe le cose. Nel caso di dipartite importanti in seno alla formazione, l’incognita è sempre dietro l’angolo e i problemi sono i seguenti: trovare qualcuno che sia il più possibile simile (nello stile/modo di suonare/canto) a colui che si vuole sostituire sperando nella continuità della proposta musicale oppure scegliere elementi con uno stile personale e “inedito” in modo da reinventarsi come gruppo tentando di proporre qualcosa di nuovo?
Quando nel 2011 gli H.E.A.T pubblicarono “Address The Nation” il sottoscritto era abbastanza scettico su Erik Grönwall vista l’ugola decisamente diversa dal dimissionario Kenny Leckremo, ma quei giovani svedesi riuscirono a tirare fuori dal cilindro un album splendido e potente come pochi confermandosi ancora una volta come la punta di diamante di un genere che sembra rinato negli ultimi anni. Ma quando anche uno dei maggiori songwriters della band, il chitarrista Dave Dalone, abbandona la scialuppa verso altri lidi ecco che anche questo quarto album a titolo “Tearing Down The Walls” non parte certo col favore dei pronostici. Affidati i compiti chitarristici al solo Eric Rivers il gruppo si tuffa in questa nuova avventura continuando la direzione sonora già parzialmente assaporata e gustata col precedente disco.

Basando tutte le proprie forza sull’ugola potente e graffiante dell’istrionico Grönwall, gli H.E.A.T abbandonano quell’aor di chiara matrice scandinava dei primi due dischi per muoversi su un melodic hard rock sempre più yankee fatto di grandi riff, produzione imponente e la giusta dose di ritornelli tanto ruffiani quanto vincenti. Si parte a tutta forza con “Point Of No Return”: Gronwall sugli scudi, refrain spaccasassi e cattiveria “melodica” al punto giusto; non avrà magari lo stesso appeal di una “Breaking The Silence” ma la grinta e la carica sono pressoché uguali. “A Shot At Redemption” è il primo singolo estratto dal disco che non mancherà di sorprendere durante i primi ascolti: messo alle spalle l’aor, questa “cowboy song” semplice e diretta non mancherà di colpire in sede live stampandosi subito nella mente degli ascoltatori grazie all’irresistibile ritornello. Di tutt’altra pasta invece la terremotante “Inferno” (e come poteva essere altrimenti con quel nome), dall’impatto sonoro devastante e primo vero highlight del disco. La brevissima “The Wreckoning”, traccia strumentale di appena un minuto, serve come intro ad “Tearing Down The Walls”, titletrack in cui il gruppo ritorna alle melodie e ai canovacci tipicamente 80’s: Grönwall dirige e guida da autentico trascinatore un pezzo memorabile che trova la sua parte migliore nell’esplosione corale nel ritornello da stadio. Se bisogna apprezzare lo sforzo della band di provare qualcosa di diverso nel secondo singolo “Mannequin Show”, purtroppo il risultato non è certo dei migliori a causa di una melodia presa quasi a piene mani da “Woman In Love” di Barbra Streisand e “Baby One More Time” di Britney Spears. Dopo un leggero passo falso per fortuna gli svedesi si riprendono alla grande con “We Will Never Die” ed “Emergency”, due delle migliori tracce di tutto “Tearing Down The Walls”: se la classe e l’eleganza della prima con quel tappeto di tastiere e un ritornello cristallino possono già lasciare stupiti è con la seconda che veramente si tocca l’apice del genere. Presi ancora a modello i mitici Europe di “Out Of This World”, il gruppo crea la canzone perfetta che ogni gruppo in questo genere vorrebbe avere: sound e melodie devastanti, chorus irresistibile, una freschezza compositiva davvero senza eguali, un cantante che riesce a superare persino il maestro Tempest e Rivers libero di esprimersi al meglio con uno splendido assolo che avrebbe fatto ingelosire persino Kee Marcello. La parte finale del disco pur mantenendosi su livelli alti non riesce però a mantenere quella magnificenza della traccia appena descritta: “All The Nights”, unica ballad del disco, ci delizia per la sua delicatezza e dolcezza con protagonisti unici il piano e la voce di Erik mentre “Eye For An Eye” ed “Enemy In Me” mostrano ancora il lato aggressivo e anthemico del gruppo. La conclusiva “Laughing At Tomorrow” si sviluppa in maniera piuttosto strana e riprende un modo diverso di comporre che già il gruppo ci aveva mostrato con “Downtown”, anch’essa ultima traccia ma del precedente “Address The Nation”. Se la strofa scorre via in maniera ordinaria è il ritornello a spiazzare con la sua aria festosa e quei cori da “sagra della birra” che poco si incastra con l’aria respirata fino ad ora.

IN CONCLUSIONE

Riprendendo il discorso iniziale, per essere una band piuttosto giovane gli H.E.A.T hanno affrontato l’ennesimo cambio in formazione nel migliore dei modi. Il lavoro dietro la produzione (ancora una volta a cura di Tobias Lindell) è neanche a dirlo perfetto, la scelta di rimanere con una sola chitarra sembra abbia giovato al sound che adesso risulta ancor più pulito e potente di prima. Il songwriting è ancora una volta superiore al 90 per cento di altri artisti del genere nonostante qualche brano non proprio eccezionale per i loro standard elevatissimi e Grönwall è la solita macchina da guerra che domina l’intero disco e su cui ormai la band ha focalizzato il proprio modo di comporre musica. Il gruppo svedese sembra ormai avviato in un processo di maturazione che vede l’abbandono delle sonorità tipicamente “aor” di matrice scandinava per dar spazio ad un melodic hard rock tipicamente americano in cui sembra muoversi comunque con estrema scioltezza e bravura. Qualche momento leggermente sottotono non va ad intaccare la qualità generale del disco che si assesta in linea di massima con quella del precedente “Address The Nation”, di cui “Tearing Down The Walls” è il suo seguito perfetto e ulteriore passo in avanti di una band che ancora una volta ha pochi rivali e che continua il suo percorso creativo con una naturalezza e una bravura che solo i grandi musicisti possiedono.

Magnum – Escape From The Shadow Garden – Recensione

06 Maggio 2014 12 Commenti Alessio Minoia

genere: Melodic Rock / Pomp Rock
anno: 2014
etichetta: SPV Records

Perchè?  Mi sono spesso chiesto nel corso degli anni la ragione per la quale uno straordinario ensemble come i Magnum siano sempre stati relegati ai margini del music business, fuori non solo dal mainstream imperante al momento ma  colpevolmente declassati al rango di vecchie glorie dell’ hard europeo. Eppure si potrebbe stare almeno una mezza giornata a citare dischi, canzoni, melodie, lyrics, emozioni che l’ ineffabile duo Tony Clarkin/Bob Catley ha elargito regolarmente nelle ultime quattro decadi di onorato servizio.

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Stan Bush – The Ultimate – Recensione

20 Aprile 2014 6 Commenti Lorenzo Pietra

genere: AOR
anno: 2014
etichetta: MelodicRock Records

 

Dopo quattro anni dall’ultima fatica Dream The Dream ecco tornare il maestro dell’AoR Stan Bush. Il nuovo album The Ultimate porta, indelebile, il marchio di fabbrica di Stan; un rock di classe, con melodie ben confezionate e una raffinatezza che pochi in questo genere possono permettersi di dare. Anche in questo album Stan si è avvalso del polistrumentista Holger Fath e due amici di vecchia data come Lenny Macaluso e Curt Cuomo.

L’album si apre con Something To Believe; un pezzo di alta classe, con il pianoforte che apre le danze ad una melodia superba e un ritornello che si stampa subito in testa. The Ultimate parte con le tastiere in primo piano; il sound, che ci porta indietro nel tempo, sfocia ancora in un refrain d’autore con il marchio di fabbrica di Stan ben udibile. Fantastica. Heat Of The Battle parla il melodic rock più classico, una chitarra ritmica che accompagna in primo piano e un riff che scalda gli animi lo rendono uno dei migliori pezzi del disco. Eccoci alla prima ballad; Love Again, un AoR acustico, dove la voce calda e avvolgente di Stan Bush accompagna il pianoforte e gli archi che fanno da tappeto. L’assolo di chitarra è qualcosa di magico…. si continua con Stand In the Fire che pigia sull’acceleratore con un riff molto rock, il basso pulsante e le tastiere ci riportano negli anni ottanta mentre il refrain è ancora una volta esplosivo. Unstoppable, il primo singolo, è stato scritta dopo l’attentato alla maratona di Boston del 2013 ed è una lezione di AoR  americano; tastiere in primo piano, chitarre ritmiche a sostenere la grande voce di Stan Bush e un ritornello da cantare a squarciagola. continua

Winger – Better Days Comin’ – Recensione

19 Aprile 2014 54 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Hard Rock
anno: 2014
etichetta: Frontiers

 

Il sesto disco nella carriera della band, uscito a distanza di 5 anni dal precedente Karma (2009): stiamo parlando nientedimeno che di Better Days Comin’, la nuovissima produzione di casa Winger pubblicata nella sua veste più bianca dalla Frontiers Records in data 18 aprile 2014.

Un album che fortunatamente promette, e poi garantisce, molto più dei primi due brani presentati al pubblico sotto forma di singoli e video musicali (mi riferisco alla insipida Midnight Driver of a Love Machine e alla scontatissima Rat Race, rispettivamente opener e terza traccia di questo prodotto), che ci avevano fatto pensare al peggio, ma che rimarranno gli unici passi falsi e sanza mordente di questa opera. Sì, tranquillizatevi cari lettori, Better Days Comin’ è assolutamente un disco in puro stile Winger, e degno di tutte quelle caratteristiche e quelle qualità che hanno sempre tenuto alto e raggiante negli anni questo moniker. A dimostrarcelo, ci bastano la bella Queen Babylon, forte del riuscito e solido riffing del navigato duo Reb Beach-John Roth e di una super prova melodica e vocale di Kip Winger, ancora perfettamente a suo agio su un pezzo squisitamente hard rock, e la title track Better Days Comin’, convincente mid-tempo corale e in party style che anticipa il terzo singolo già promosso per l’album, Tin Soldier, e il suo prezioso giro chitarristico semi-progressivo. continua

Three Lions – 3 Lions -Recensione

19 Aprile 2014 20 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2014
etichetta: Frontiers

 

Tre Leoni inglesi e già la cosa profuma di campi verdi pronti alla battaglia, di epiche imprese e duelli memorabili. Aggiungiamo ancora un pò di pathos con la storia che segue due dei Leoni coinvolti, il leggendario Vinny Burns alle chitarre (Dare, Ten, Asia) e il suo compagno di ventura Greg Morgan (Dare, Ten) e per concludere ci vuole l’incognita, l’ultimo Leone a scendere in campo per la prima volta, Nigel Bailey che porta in battaglia la sua voce ed il suo basso.
Già, ma qui non ci troviamo di fronte ad un film che rievoca leggende e gloria di un passato di cavalieri e spade, ma i tre Leoni si trovano ad affrontare un terreno ben più ostico, quello dell’Hard Rock, che nel tempo ha consacrato eroi ma anche massacrato con estrema crudeltà chi si avvicinava troppo avventatamente sul suo terreno.
Se due dei tre personaggi coinvolti però portano un bagaglio che parla di Dare e Ten e se alle spalle vedono un reame glorioso come quello che ha saputo creare la Frontiers Records, direi che almeno sulla carta non mancano le buone intenzioni.

Togliamoci allora subito un pò di dubbi buttando li una domanda, ma Nigel Bailey dov’è stato nascosto finora? Non più proprio un giovanotto, il debuttante Bailey sfoggia una voce calda e profonda, un pò segnata dall’età che gli dona però quel non so che di poetico e vissuto che non può non ammaliare già dalle prime note di Trouble In A Red Dress anche se è su pezzi secondo me più tormentati e passionali come Two Hearts Beat As One che da il meglio di se.
Ammetto che dalle prime notizie su questa band che vede due Dare / Ten in formazione mi aspettavo un sound misto tra l’epico dei Ten e l’etereo degli ultimi Dare mentre invece qui il linguaggio è uno e uno soltanto, Hard Rock melodico a tutto tondo! Va detto però che la caratura, ed il passato di Vinny Burns e Greg Morgan regalano quel prezioso tocco di classe ed eleganza ai pezzi di questo lavoro che fa si che il suono risulti maturo e assolutamente ricercato, di classe insomma (ma di questo ne parleremo anche in conclusione! 😉 ).
Come dicevamo quindi si parla la lingua dell’hard rock melodico, anche se vedremo che non mancano comunque venature AOR qua e la, come in Magdalene. Quindi si parte con una serie di pezzi tirati come il trio di entrata Trouble In A Red Dress, Hold Me Down e Twisted Soul (che giro di chitarra in sottofondo che regala questo pezzo), Just a Man, la riuscitissima Holy Water dove chitarra, batteria e voce duellano per un posto di primo piano anche se lo ammetto sul ritornello la voce di Bailey spazza via tutto… ma che solo di chitarra che sa comunque regalare Burns! Sul piano “Hard Rock” merita ancora un accenno la bella Hellfire Highway, una vera e propria corazzata di batteria e chitarra. continua

Frontiers Rock Festival, official compilation – recensione

17 Aprile 2014 5 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Rock
anno: 2014
etichetta: Frontiers Music

Evento Imperdibile, Unico, Incredibile, Storico e chi più ne ha più ne metta! Direi che è chiaro che stiamo parlando del Frontiers Rock Festival, ovvero l’Evento dell’anno per quanto riguarda l’AOR, il Melodic e l’Hard Rock internazionale. Tre, i giorni da segnare sul calendario (1, 2, 3 maggio)! Ventuno, i gruppi che calcheranno quello che diventerà un pezzo di storia della nostra musica! Un milione, i battiti del cuore che perderemo in questa incredibile maratona musicale!
Per tre giorni il Live Club di Trezzo sull’Adda (MI) diventerà un santuario della musica, le preghiere di nomi quali Night Ranger, Stryper, Tesla, Hardline, Pretty Maids, Winger, John Waite e molti altri si uniranno a quelle dei fans accorsi da ogni dove e tutto questo grazie al Messia che ha reso possibile il miracolo, la Frontiers Records!
Una volta che però tutto questo sarà passato cosa ci resterà? Qualcuno potrebbe obiettare che ci resteranno una vagonata di emozioni, gioia e lacrime ed una serie di ricordi indelebili. Se tutto questo però non bastassere ai nosti cuori famelici di musica? Bene, non dovete preoccuparvi perchè per l’occasione la Frontiers ha pensato bene di regalarci il ricordo perfetto, una compilation che raccoglie alcune tra le perle che potremo ascoltare in quei tre giorni più tutta una serie di altre piccole chicche!
Nasce così questa “Frontiers Rock Festival – official compilation” che raccoglie in se 14 pezzi con ben 9 tra esclusive anteprime e pezzi mai rilasciati ufficialmente in Europa e che vede al suo interno alcuni degli artisti coinvolti nel Festival, ma anche altri che forse vedremo in prossime edizioni.
Se già non lo fosse, a rendere ancora più esclusiva questa compilation è la sua tiratura limitata ad appena 500 copie, di cui 150 già bruciate per i fortunati possessori di un biglietto VIP, ed il fatto che l’unico modo per acquistarla sarà proprio durante i tre giorni del festival!
Un pezzo quindi da collezione reso ancora più appetibile da un prezzo assolutamente competitivo di appena 8 euro!

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Alien – Eternity – Recensione

13 Aprile 2014 24 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Rock
anno: 2014
etichetta: AOR Heaven

In questi primi mesi del 2014 abbiamo ascoltato davvero tanti ottimi album di genere rock melodico. Ognuno con i suoi pregi, e forse con i suoi piccoli difetti, ma tutti parimenti emozionanti e convincenti per i fans di queste sonorità cromate del rock.

Nessuno di questi piccoli capolavori moderni è riuscito però a riportare veramente alla luce in modo puro ed assoluto l’antico sound AOR di tanti anni fa, risultando forse non totalmente compiuti nel far rivivere a pieno quel calore emozionale che era dato, sul finire degli ’80s, da produzioni che riuscivano ad essere incredibilmente vive, corpose, dense ed avvolgenti nei loro suoni. Nessuno. Tranne gli Alien..
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Cage The Gods – Badlands – Recensione

08 Aprile 2014 9 Commenti Lorenzo Pietra

genere: Hard Rock
anno: 2014
etichetta: The End Records

Che sorpresa questi Cage The Gods! Il gruppo è originario della Gran Bretagna, ma è guidato dal cantante irlandese Peter Comeford , distribuito dall’etichetta americana “The End Records” e riesce a pubblicare questo debut album intitolato Badlands a Marzo 2014 dopo un EP uscito a Novembre. Grazie al video del primo singolo il gruppo inizia ad avere un seguito tra i fan hard rock senza però trovare un importatore europeo, il che rende il cd di difficile reperibilità.  Il full lenght, invece, di ottima caratura, è stato registrato per intero casa del chitarrista James Moncur, e il pregio più grande è quello di saper rievocare il sound ottantiano rendendolo più moderno ma senza mai cadere nel banale o nel già sentito.

L’album parte forte con il primo singolo Favourite Sin, dove la voce di Peter rievoca il Jon Bon Jovi di fine anni ottanta, con la voce più roca e più sporca; la ritmica è indiavolata e il refrain rimane impresso già dal primo ascolto. The Ending rimane più moderna e ricorda qualcosa del rock anni 90 con le chitarre cupe e il riff sporco mentre Sacrifice è qualcosa di spettacolare; pensate di mischiare il classico hard rock americano con un pizzico di Southern e di Black Crowes. L’assolo tecnico e melodico non può che confermarla una delle più belle tracce del lotto. La titletrack Badlands ha la stessa formula della precedente song ma rimane con un tocco più moderno, meno hard ma sempre melodica, dove rieccheggia il Johnny Lima sound. Trouble Reigns è decisamente più cupa, heavy ma con il solito tocco ottantiano che la rende unica. Bruce Willis suona più hard ma con un tocco bluesy, sound granitico, dove le chitarre si intrecciano con riff ed assoli. Falling è una power ballad, con un intro dolce ma travolgenti ripartenze e sempre sull’hard rock più moderno. A Thousand Times e One More Taste sono le tracce che dimostrano come si possa “fondere” il vecchio e nuovo hard rock pur rimanendo canzoni di alta classe , con riff e assoli degni dei migliori rocker ottantiani …What’s Left on Me è la ballad di turno, molto Shinedown, elettrica e sempre con una grande melodia. Sulla stessa strada la conclusiva Promises, molto moderna con una ritmica ripetuta e con un’energia notevole. In base alla versione del disco possiamo trovare diverse bonus track; tra cui la versione acustica di Sacrifice, ottimamente interpretata da Peter e James e con una chitarra blueseggiante. Wake Up chiude con il solito tocco rock moderno senza però lasciare il segno.

IN CONCLUSIONE:

Una vera sorpresa questi Cage The Gods. Una miscela di hard rock ottantiano con tocchi di rock moderno e canzoni perfettamente interpretate e suonate. Da avere.

Putroppo il cd è di difficile reperimento, speriamo in qualche etichetta europea che importi presto questo gioiello rock!

Gotthard – Bang! – Recensione

06 Aprile 2014 242 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Hard Rock
anno: 2014
etichetta: PIAS

Se con Firebirth (2012) ero stato generoso nel giudizio, soprattutto per omaggiare il coraggio di una band che aveva deciso di andare avanti di fronte alla peggiore delle avversità, oggi con Bang! mi trovo costretto a una disamina forzatamente onesta e totalmente sincera nei confronti dei Gotthard e della piega, purtroppo sempre più negativa, che sta prendendo il loro nuovo corso.
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