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Eden – Eden – recensione

23 Luglio 2015 11 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Rock / AOR
anno: 2015
etichetta: Autoprodotto

Italia sempre più attiva in ambito AOR e Melodic Rock, e se è vero che il cuore pulsante di questa nuova rinascita del genere in Italia spesso arriva da nordiche latitudini dello stivale, è anche vero che verso il Sud le cose si stanno muovendo… ad aggiungersi alla frangia “sudista” dell’AOR e Melodic Rock Italiano arrivano così anche gli EDEN, band fondata nel 2011 da Stefano Mastrangeli (chitarra), Patrizio Izzo (voce) e Giordano Latini (basso) a cui si aggiungeranno Paolo Castellani (tastiere) e Alessandro Iovannitti (batteria) per arrivare all’attuale line up.
Poche righe della loro biografia in cui risaltano le influenze ed ispirazioni che portano il nome di band quali Bon Jovi, Europe, Journey, Survivor, House of Lords per rendersi conto che i ragazzi Romani puntano in alto con questo loro primo lavoro omonimo.
Così non aspettiamo oltre e diamo fuoco alle polveri degli EDEN…

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Degreed – Dead But Not Forgotten – recensione

22 Luglio 2015 17 Commenti Nico D'andrea

genere: Alternative Rock
anno: 2015
etichetta: Sun Hill Productions

La facilità con cui oggi centinaia di bands riescono ad incidere, il più delle volte in autoproduzione, un disco sta pericolosamente spostando verso il basso l’asticella qualitativa delle uscite discografiche.
La questione non riguarda certamente questi Degreed, qui alla loro terza fatica, protagonisti indiscutibili della nuova scena “Alternative” europea.
L’impatto sonico e l’invidiabile cifra tecnica del quartetto svedese non sono infatti cosa da tutti i giorni. La loro proposta risulta inoltre piuttosto originale (considerati i limiti nei canoni compositivi del genere) grazie ad alcune scelte stilistiche decisamente azzeccate.

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The Rack Doll – Hot City – Recensione

17 Luglio 2015 2 Commenti Elena Aurë

genere: Classic Rock
anno: 2015
etichetta: O.R.A Music

 

Il nome di Minna Ora non è nuovo ai più attenti fans delle sonorità a metà tra vibrante rock ‘n’ roll e melodia scandinava, vuoi per il rilascio sul mercato del debut album sotto il monicker “The Electric Lady” nel 2012, vuoi per il suo successivo coinvolgimento (in qualità di special guest) all’interno di due lavori nostrani in grado di riscuotere diffusi consensi a livello internazionale, alias i debut album di due ben noti progetti melodici adulti di firma tricolore quali Charming Grace e Room Experience.
Scrollatasi momentaneamente di dosso i panni di ospite dal taglio AOR nordico, Minna e la sua nuova band si cimentano (come già accaduto in alcuni frangenti del lavoro a firma The Electric Lady dal titolo “Black Moon”) nell’esplorazione di territori di estrazione maggiormente classic rock, estrapolando dal cilindro una serie di composizioni dedicate questa volta agli estimatori del riffing maggiormente vintage rivisitato in chiave ovviamente più attuale.

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Dimino – Old Habits Die Hard – recensione

13 Luglio 2015 12 Commenti Nico D'andrea

genere: Hard Rock
anno: 2015
etichetta: Frontiers Music

Chi è Frank Dimino?
Chi o che cosa lo ha portato tra le pagine di questa rivista?
E’ proprio per scoprire di più sul nostro uomo che il “Bureau” di Melodicrock mi ha mandato ad investigare.
Gli indizi sono pochi. La fedina artistica di Dimino presenta infatti solo una nota di rilievo, ovverosia la prestigiosa militanza tra la metà e la fine degli anni 70 nella seminale band pomp-rock californiana Angel. Poi più nulla.
Conosciamo il mandante di questa nuova operazione : Frontiers Music, già artefice in questo suo anno di particolare grazia di alcune pubblicazioni “killer” come “Revolution Saints”, “Toto XIV” e “Beauvoir Free”.
Non sarà quindi facile tracciare l’identikit di questo “Old Habits Die Hard”, ma vediamo perchè.

continua

Kelly Keeling – Mind Radio – Recensione

04 Luglio 2015 9 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2015
etichetta: Frontiers Records

Il polistrumentista e cantante Kelly Keeling (celebre soprattutto per la sua carriera con i Baton Rouge e per le tante altre collaborazioni nel corso della sua carriera) ha pubblicato il suo nuovo atteso album solista, Mind Radio, il 3 Luglio tramite Frontiers Music Srl.

Prodotto da Alessandro Del Vecchio (Revolution Saints, Bonfire, Graham Bonnet, Hardline, ecc.), il disco  si avvale del contributo in fase di songwriting di Robert Sall (Work Of Art), di Michael Shotton (Von Groove), del chitarrista Mario Percudani e dello stesso Del Vecchio, con l’aggiunta esclusiva di tre canzoni inedite scritte dallo stesso Keeling insieme ai suoi compagni dei Baton Rouge, Jack Ponti e Lance Bulen. Stilisticamente definibile come un prodotto hard rock melodico ricco di refrain orecchiabili e di schitarrate massicce e cariche di groove, e per questo perfettamente in linea con il passato storico dell’artista, l’album riporta in studio un Keeling in grande spolvero vocale, aggressivo, graffiante, intonato, potente e sempre capace con il suo carisma e la sua calda timbrica di infiammare ogni brano di questa release.

continua

The Darkness – Last Of Our Kind – Recensione

30 Giugno 2015 24 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Hard Rock
anno: 2015
etichetta: Canary Dwarf

 

Ritornati sulle scene nel 2012 con il più ordinario Hot Cakes, le meteore amate-odiate dai fan di tutto il mondo, gli inglesi The Darkness, si giocano il tutto-per-tutto con il loro nuovo album Last Of Our Kind, da poco disponbile nei negozi e pronto a rilanciare definitivamente la seconda era artistica della band.

Abili anche oggi a ripresentare in grande stile il loro tipico sound retrò, che non è altro che una perfetta miscela tra i battiti di formazioni storiche come Kiss, Thin Lizzy, Aerosmith, ZZ Top, Thin Lizzy e soprattutto Queen, e come sempre puri cavalli di razza o animali da palco, i quattro inglesi si rendono ora ancora più classici, ma anche glam e alternativi, abbassando il loro tono melodico e rafforzando la carica e il grezzume (voluto) dei loro pezzi, risultando contemporaneamente commerciali e anti-commerciali. C’è chi dopo questo disco già li chiama eredi dei The Cult, non lo so, quel che è certo è che dopo l’ascolto di questo platter beh, o li amerete ancora di più o li odierete forever and ever amen (scimmiottando qui il titolo di un brano interpretato dal country man Randy Travis che oggi sta combattendo la malattia e a cui va il mio abbraccio in questa voluta divagazione). Justin Hawkins, beh, manco a dirlo è il solito matto-mattatore del disco, con la sua inconfondibile vocalità acuta in falsetto carica di carisma che permea ogni nota e che, lo sappiamo, ha costruito da sola l’80% del successo di questo gruppo. Al suo fianco, il fido fratello Dan Hawkins e un Frankie Poullain sempre in grande forma al basso, con la nuova (e già uscita dal combo) Emily Dolan Davies di grande effetto alla batteria che completano un quartetto oggettivamente a cinque stelle, almeno tecnicamente.

Diversamente da Hot Cakes, che viveva per lo più di rendita degli anni passati e presentava qua e là qualche buon pezzo abbinato però a filler abbastanza evidenti, il livello generale delle composizioni di questo disco appare sempre piuttosto alto, e soprattutto la sua prima metà continene almeno quattro hit assolute, pronte a diventare classici della carriera di questo gruppo britannico. Non parlo forse della comunque preziosa (e già singolo) Barbarian messa in apertura, che tolto il suo groove e il suo particolare refrain non lascia poi molto nel cuore del sottoscritto, ma bensì del quartetto atomico composto da Open Fire, Last of Our Kind, Roaring Waters e Wheels of the Machine. Da brividi. La prima di queste canzoni, anch’essa singolo per l’opera, ci spazza letteralmente via con la sua energia e il suo intenso riffing, che spinge verso un ritornello corale alla Y&T, da cantare a squarciagola in sede live. La title track invece, wow, è una traccia ritmata tra Thin Lizzy, Aerosmith, Queen e qualsivoglia band classica del genere hard rock, che ci lascia letteralmente a bocca aperta grazie a un songwriting riuscito in ogni suo minimo dettaglio. E’ la top track del disco, sono inutili i giri di parole. Infine salgono sugli altari Roaring Waters e Wheels of the Machine, la prima stupendamente interpetata da Justin Hawkins su riff e ritmiche di grande classe, la seconda tipica ballad da antologia del gruppo, colma di sentimento, grande melodia e vocalità. continua

Hungryheart – Dirty Italian Job – recensione

27 Giugno 2015 53 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Rock
anno: 2015
etichetta: Tanzan Music

E’ uno “sporco lavoro (all’italiana)” ma qualcuno lo deve pur fare… chissà se gli Hungryheart, ormai storica formazione tutta italiana dedita al miglior hard rock melodico, abbia pensato questo prima di mettere penne, calamai e strumenti (e classe e talento) al servizio ancora una volta della musica, quella buona che noi amiamo tanto!
Sia quel che sia il fatto è che un bel grazie a Josh Zighetti (voce), Mario Percudani (chitarra e voce), Stefano “Skool” Scola (basso e nuovo membro della band) e Paolo Botteschi (batteria) da parte nostra non glielo leva proprio nessuno.
La band di Lodi che come al solito poggia sul sodalizio nato parecchi anni fa tra Mario e Josh arriva così al terzo album in carriera (Hungryheart – 2008 e One Ticket To Paradise, qui la recensione – 2010) che segue a distanza di ben 5 anni la loro ultima release ufficiale.
Tempo speso bene dalla band che ha visto negli anni passati dalla pubblicazione dell’ultimo lavoro in studio un susseguirsi di collaborazioni importanti con artisti del calibro di House of Lords, Mitch Malloy, Bobby Kymball, Vinny Appice, Issa, Kelly Keeling e molti altri, un affiatamento sempre maggiore tra i tre pilastri rimasti a sorreggere la band dal tempo di One Ticket To Paradise (Mario, Josh e Paolo) a cui si è aggiunto il quarto perfetto elemento Stefano e lasciatemelo dire, la consacrazione, sempre più forte anche a livello internazionale, di uno dei migliori chitarristi che ci siano al momento per il genere, Mario Percudani, dotato di un tocco emozionante ed unico, di una perfetta sintonia con la chitarra, e di uno stile “italiano” che lo rende inimitabile!
Aggiungiamo in ultimo alcuni ospiti sull’album come Paolo Apollo Negri e Alessandro Del Vecchio che si alternano alle tastiere e un apporto della bella voce di Giulio Garghentini sui cori di Time For Letting Go ed ecco che gli elementi per un grande album sono tutti li pronti per essere ben miscelati…

continua

Trixter – Human Era – Recensione

26 Giugno 2015 27 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Rock
anno: 2015
etichetta: Frontiers

 

Chi segue questo genere lo sa bene, il periodo che va all’incirca dal ’92 ad inizio nuovo millennio è di sicuro quello considerato da noi fans come il periodo nero per il melodic rock e l’AOR.
Anni che hanno visto Band e Artisti sparire dalla circolazione spazzati via dal nuovo sound proveniente da Seattle.
Pensate quindi quanto possono essergli girate a quei gruppi che proprio negli anni ’90 nascevano e che nel giro di un paio di anni si sono visti precluse le porte per ogni possibile futuro successo.
Ebbene, proprio di uno di questi gruppi ci troviamo a parlare, i Trixter, band statunitense che raggiunse nel 1990 la tanto agognata firma con una major e che diede così vita all’album omonimo seguito a due anni di distanza da Hear! album che letteralmente morì sotto i colpi del grunge.
Ci vorranno vent’anni (anche se nel ’94 uscirà un loro album di cover per una piccola etichetta indipendente) per rivedere, sempre grazie alla nostrana Frontiers Music, etichetta anche di questo nuovo Human Era, il nome Trixter in bella mostra sulla copertina di un album (New Audio Machine – 2012, qui la recensione).
Già da New Audio Machine si intravedeva che la band aveva una certa voglia di “rivincita” o semplicemente di riprendere in mano un “discorso” lasciato in sospeso da troppo tempo (mannaggia a Seattle!)… non giriamoci intorno, come leggerete, con questo Human Era… rivincita arrivata!!!

Rockin’ to the Edge of the Night parte carica, corposa, prepotente e sfacciata. Batteria, chitarre, voce ululante ed il rock cromato e patinato dei Trixter è nuovamente in scena! Si continua sulla scia del Party Rock selvaggio con Crash that Party per confluire in quello più patinato e ruffianone di Not Like All the Rest… e se ne va il primo trittico di questo Human Era ed il responso è uno solo, Contagioso!!!
Si riparte pestando il piede ed infilandoci un riffone alla Van Halen da parte di Steve Brown sulla elettrica For You, anche se è con la successiva Every Second Counts che i Trixter fanno scendere in campo uno dei loro assi di questo Human Era. Easy, melodico, catchy, incalza nota dopo nota, vi entra dentro ed è come se in un attimo si fosse ancora in pieno periodo d’oro!
In un album così “ispirato” dai cliché che gli ’80s portavano con se non poteva certo mancare una ballata. Espressiva, riuscita ed emozionante Beats Me Up è tutto ciò che una classica ballata dovrebbe essere. Se di cliché però vogliamo parlare allora di cliché parleremo e cosa fa più cliché di un bel “uooooouoooo” piazzato ad arte su un pezzo nuovamente ruffiano come Good Times Now con tanto di riff di chitarra che più cliché non si può… beh… mi piacciono i cliché! 😀 continua

Dennis Churchill Dries – “I” – recensione

16 Giugno 2015 13 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Rock
anno: 2015
etichetta: AOR Heaven

Voce di quelle vere, autentiche, che il tempo ha formato, ferito, bruciato e rese uniche… questo è al momento Dennis Churchill Dries, ovvero una grande grandissima Voce! Corde vocali levigate sulla carriera dei White Sister, che possono vantare due ottimi album di AOR / Melodic Rock negli anni ’80, e dei successivi Tatto Rodeo.
2008 e i membri originali dei White Sister Dennis Churchill Dries, Rick Chadock, e Garri Brandon si riuniscono per uno show al Firefest e si reinizia a parlare di nuova musica insieme. Purtroppo la vita non sempre segue il passo con i sogni e le speranze (della band e dei fans) e con la morte nel 2012 di Rick Chadock il nuovo cammino dei White Sister si interrompe bruscamente.
Ci vorranno due anni perchè Dennis riesca a rimettere insieme i pezzi umani e professionali che la perdita di Chadock, amico e partner musicale per oltre 35 anni, gli ha lasciato tra le mani, ma complice anche l’incontro con Paul Sabu il 2014 porta nuovamente DCD a mettere mano a note e testi e quello che esce è semplicemente questo “I”.

continua

House of Lords – Indestructible – Recensione

14 Giugno 2015 40 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2015
etichetta: Frontiers Records

Dopo averli ascoltati dal vivo sul palco indimenticato del Frontiers Rock Festival II, gli House of Lords di James Christian sono ritornati sul mercato il 3 giugno 2015 via Frontiers Records con il decimo studio album della loro carriera, intitolato Indestructible, che celebra tra le altre cose anche i primi dieci anni insieme degli attuali componenti del gruppo.

Forte della solita amalgama tra grandi melodie, brani heavy e potenti, enormi ballad, atmosfere epiche e fantastiche, ed arrangiamenti di pura elité rock, questo nuovo platter degli HOL migliora quanto di ottimo fatto già con il precedente Precious Metal (2014) lavorando a un songwriting ancora più solido e ispirato di allora, più vario ma allo stesso tempo più coeso. Onestamente, qualitativamente metto questo disco immediatamente dietro i leggendari prodotti degli anni d’oro della band, come miglior disco partorito dal gruppo dopo la sua reunion. James Christian, quantomeno in studio, riesce ancora a mettere in mostra una ugola davvero niente male, espressiva e melodica, grintosa nelle parti più aggressive e avvolgente in quelle più soft, guidando i suoi compagni a una nuova prestazione tecnica di grande valore. Sentite che belle schitarrate tra heavy e hard rock che spara Jimi Bell, che bel groove ha il basso di Chris McCarvill, e ancora, che ritmo preciso e bombastico da al platter il buon BJ Zampa. Ragazzi, questa è davvero una formazione da urlo, e nei cinquanta minuti di questa release, suddivisi in undici tracce, ne sentiremo davvero delle belle!

Al via con il super singolo Go To Hell, che potete ascoltare in tutta la sua potenza e aggressività melodica nel video a piè di pagina, questo Indestructible trova la prima massima hit nella sua title track, una stupenda composizione hard rock melodica che mostra al top dello splendore la capacità che questo gruppo ha di comporre tracce orecchiabili nonostante la rocciosità della sua sezione strumentale. Il terzo brano Pillar Of Salt non è però da meno, e riesce ad emergere come secondo grande successo dell’album avvolgendo l’ascoltatore in melodie questa volta più soffici, che formano una mid-tempo comunque esplosiva e lontana dai soliti cliché, perfetta per lo stile House of Lords. E se 100MPH scappa via veloce come un fulmine, tra chitarre in primo piano e ritmiche super serrate, Call My Bluff rallenta di nuovo l’avanzare del disco definendosi come una nuova mid-tempo di grande impatto, stupendamente cantata da Chrstian e con un testo davvero ispirato.

Poi, dopo l’altrettanto grandiosa power ballad We Will Always Be One, da brividi per le emozioni pure che sa trasmettere tra i suoi arrangiamenti melodici a cinque stelle, si torna alla violenza sonora quasi metallica con la possente Die To Tell, che apre alla ritmata e ricca di belle basi Another Dawn, altro riconoscibile successo dell’album, e a Eye Of The Storm, particolare mid-tempo nuova e originalissima, ricca di effetti, del gruppo californiano. Infine, il disco ci saluta con altre due grandi canzoni: Ain’t Suicidal, solida e tirata traccia melodic hard rock, e Stand And Deliver, puro brano class metal anni’80 da lacrimuccia di nostalgia all’occhio, che coronano con puri brividi sulla pelle un platter di grande sostanza, e di infinita qualità.

IN CONCLUSIONE

Con una media realizzativa al momento altissima, che vede il gruppo statunitense autore di un album all’anno, gli House of Lords non sembrano sentire in alcun modo la fatica e, anzi, pubblicano quello che forse è il loro album più completo dalla reunion ad oggi. Che ci volete fare, quando James Christian è in forma e con i suoi compagni lavora a dischi come questo, beh, l’emozione è sicuramente tanta, e i fans del gruppo come me non possono fare altro che urlare al cielo la loro gioia.

Sì, Indestructible è davvero, come vuole lasciare intendere il titolo, indistruttibile e inataccabile. Wow!