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Backyard Babies – Four By Four – Recensione

10 Settembre 2015 10 Commenti Matteo Trevisini

genere: Sleaze Rock / Hard Rock
anno: 2015
etichetta: Gain Music / Sony

Sono arrivati gli arcangeli con le trombe e i diavoli coi tromboni…
Tremate tremate… dopo sette lunghi anni, i quattro drughi ipertatuati di Nassjo sono tornati!!!! Nicke, Dregen, Johan e Peder pubblicano il loro settimo disco in studio, quello del comeback. Il 2009 gli aveva visti finire il tour del disco omonimo (quello con il singolo Fuck off and die tanto per capirci !) confusi ed infelici tanto da mettere la loro band madre in naftalina, dando poi libero sfogo a collaborazioni, dischi solisti e quant’altro.
I Backyard Babies, insieme da fine anni ’80 sono una delle band che hanno guidato la rinascita del rock’n roll sporco e cattivo (street ? sleaze ? fate un po’ voi…it’s only rock’n roll but we like it !) di marca scandinava a cavallo del millennio, insieme a Hardcore Superstar, Turbonegro, Hellacopters e tante altre bands underground che fecero rifiorire un genere, una filosofia di vita, portando anche a riscoprire i vecchi miti alle nuove generazioni. Mescolare il credo del “sex, drugs & rock’n roll” con massicce dosi di Hanoi Rocks, Kiss, Alice Cooper e Punk portarono la band di Dregen e soci a svettare su tutte, scaricando su centinaia di palchi in giro per il globo terracqueo le loro canzoni e facendoli diventare un faro guida per un intero movimento.
Chiariamo subito… l’ esame è stato passato! …disco promosso! …a pieni voti? beh, direi proprio di si! Molte recensioni si sono sperticate in voli pindarici ed in voti che rasentano la perfezione ed in questo caso devo proprio dire che i quattro rockers svedesi rendono vita facile a critici e giornalisti. Four by Four è un signor disco che – posizionato nell’anno del signore 2015 (…e quindi con tutti i pro e contro del caso) – ha la perfezione e l’urgenza che avevano capolavori come Total 13 o il sublime Making Enemies is Good…bastava solamente una produzione meno laccata (o leccaculo…fate un pò voi !) ed il gioco era fatto per poter portarsi a casa il voto massimo “cum laude”.
Non lamentiamoci… Dregen e soci, in poco più di mezz’ora e solo nove canzoni, spazzano via tutti i dischi del genere usciti negli ultimi cinque anni…

continua

The Dead Daisies – Revolucion – recensione

04 Settembre 2015 8 Commenti Matteo Trevisini

genere: Hard Rock
anno: 2015
etichetta: Ingrooves-Spitfire

Crab se la ride di gusto, sonoramente e con grande serenità. E’ tornato in serie A !
E’ tornato nel giro che conta davvero! E’ tornato ad avere la sua voce che ruggisce nelle radio di mezzo mondo (provare per credere! …il singolo Mexico in rotation anche su Virgin Radio! Un miracolo !!!).
E’ tornato a calcare i palchi degli stadi e delle arene… niente più bar infimi a raccontare ai pochi fedelissimi presenti la sua onorata carriera con una chitarra acustica a tracolla . Tante possibilità, tanto talento ma anche tante porte in faccia nella sua lunga carriera e molta fatica nelle retrovie a spalare sabbia alla ricerca dell’ennesima vena d’oro a cui attaccarsi. Crab ha avuto l’ennesima possibilità unendosi ai Dead Daisies, collettivo di lusso formato da una line up di musicisti famosi che ruotano e cambiano in funzione degli impegni delle bands principali.
Pompati nel 2013 dalla bibbia inglese Classic Rock (…che mise in regalo il loro debutto in CD all’interno del giornale) come la nuova super band del decennio in realtà la qualità dei musicisti al proprio interno non portarono effetti eccelsi nelle canzoni, alquanto banali, del debutto.
Cambio di rotta e di musicisti con l’entrata in campo di John Corabi alla voce e chitarre (ex The Scream, Union e naturalmente Motley Crue) e Tommy Clufetos (Rob Zombie e Ozzy Osbourne… ma attenzione! nel disco non suona lui bensì Brian Tichy e Jackie Barnes). I nuovi danno man forte a Marco Mendoza (Whitesnake, Thin Lizzy) al basso, Richard Fortus e Dizzy Reed (tutti e due ex Guns n’ Roses), rispettivamente alla chitarra e tastiere, e David Lowy (Mink) alla chitarra. Le parole d’ordine sono semplicità, divertimento e onestà…il tutto condito con tanto talento e gusto… questi sono gli ingredienti di una ricetta semplice ma efficace.

Mexico, il singolo apripista è una di quelle canzoni rock con un coro ed un testo micidiali che ti entrano in testa al primo colpo e ti ritrovi a tamburellare sul volante dell’auto, cantando già al secondo ascolto insieme a Crab un vero e proprio inno alla libertà: “….it’s a place that leaves no regrets cross the border down to Mexico yeeh !! Oh yeah !!” centro immediato !
Evil non è altro che una vecchia cover di uno standard blues di Willy Dixon con un arrangiamento bomba che fa letteralmente sbrodolare lava lungo i fianchi del vulcano in piena eruzione che è diventata la band di Corabi e soci. Un treno in corsa che non si ferma e non fa scendere nessuno. Looking for the one è hard rock americano di prima classe con Dizzy Reed che colora e scalda tutta la canzone con il suo organo infuocato… non c’è pausa non c’è respiro!
Empty heart è l’highlight più luminoso di tutto il lotto con Crab che letteralmente mette in mostra un interpretazione da maestro! Chapeu !
Make the best of it ha tiro e potenza da vendere facendo sudare il pezzo di sfumature anni settanta… Something I Said regala invece soul e feeling crescendo lentamente fino ad un finale al fulmicotone. Get Up Get Ready tiene l’asticella molto alta anche per inventiva e commistione di stili diversi amalgamati insieme in modo delizioso.
La cover di Midnight Moses della Sensational Alex Harvey Band è stato il primo singolo dell’album ed è un brano che la band si fa calzare a pennello grazie ad un arrangiamento personale e d’impatto. Grazie anche ad un’ottima produzione che risalta l’impasto e la dinamica dei vari musicisti presenti Revolucion non ha cali sensibili ma invece regala sorprese all’ascoltatore fino all’ultima traccia.

IN CONCLUSIONE

Già dai primi pezzi si respira nell’aria un vibe, che fa da colonna vertebrale all’intero disco, fatto di convinzione e potenza che da pregio ulteriore ad un disco che non inventa nulla ma che regala in quasi un’ora di durata uno dei dischi più riusciti di tutta l’annata 2015. Un disco che non morirà soffocato tra le pile di cd impolverati ma che vi stupirà anche tra qualche anno perché è ROCK’N ROLL maiuscolo.
C’è da scommetterci i calzini che la super band non si lascerà scappare – dopo questa prova “monstre” – John Corabi tanto facilmente per un eventuale terzo disco e – statene certi – anche Crab non perderà questa vena d’oro: questi Dead Daisies ci regaleranno ancora canzoni e concerti da brivido! Parola di lupetto !

Newman – The Elegance Machine – Recensione

01 Settembre 2015 8 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Rock
anno: 2015
etichetta: AOR Heaven

Attivo come musicista solista dal lontano 1998, il cantante, chitarrista e tastierista Steve Newman continua la sua carriera di successo pubblicando il suo nuovo album “The Elegance Machine“, culmine finale di un songwriting che ha richiesto all’artista due anni di incessanti lavori.

Diversamente dai diretti predecessori, questo nuovo platter dei Newman cerca di inserire all’interno del suo sound melodic hard rock nuove influenze più moderne, che si possono ascoltare in particolare in canzoni quali la title track “The Elegance Machine” e in “Halo”, e che rendono il sound del gruppo più contemporaneo grazie soprattutto all’aggiunta di basi pomp ed elettroniche di sintetizzatori, spesso esaltate dall’autoproduzione dell’inglese. Non sono andati persi però i tratti distintivi e rock della musica di questo combo, ed ecco allora rinnovata la presenza in primis delle liriche ragionate e provocatorie di Newman (si parla qui, tra l’altro, di violenza domestica, corporate business, temi spaziali, etc.) e poi il ruolo di primo piano delle chitarre, massicce e potenti, melodiche e arrembanti, sempre pronte ad esaltare l’ascoltatore. Per una riproduzione audio che è dunque ancora una volta adrenalinica ed avvincente, di difficile stanca, merito anche del sensazionale lavoro ritmico del fedele drummer Rob McEwen, a lungo sugli scudi nelle sue parti strumentali e fondamentale per il successo finale di questa produzione.
continua

Bon Jovi – Burning Bridges – Recensione

30 Agosto 2015 33 Commenti Lorenzo Pietra

genere: Pop Rock
anno: 2015
etichetta: Mercury Records

Recensire e soprattutto dare un voto ad un nuovo album dei Bon Jovi è sempre un’ardua impresa; fare paragoni con i “classici” della band sarebbe un inevitabile recensione negativa, quindi tutto quello che scriverò sarà solo in riferimento a questo disco.

Tralasciando la storia della band e la dipartita di Richie Sambora che ormai sono note a tutti, Jon Bon Jovi si separa dalla Mercury Records dopo 32 anni e quest’ultima uscita è solo per dovere contrattuale. Il disco è infatti composto da 10 B-Side degli ultimi 10 anni di carriera. Detto questo personalmente mi aspettavo un disco scialbo, soprattutto considerando che i dischi ufficiali da cui sono state scartate non erano proprio capolavori… In parte mi sono dovuto ricredere….

La lenta e sofferta A Teardrop To The Sea è stata un scelta opinabile da usare come prima canzone; il coro iniziale e la produzione richiamano l’album Destination Anywhere, sia come stile e come atmosfera con l’assolo e l’organo in sottofondo…buona canzone anche se in posizione errata in scaletta…We Don’t Run ha praticamente lo stesso coro iniziale di Teardrop To The Sea(!) per poi esplodere in chorus voce/basso e un bel ritornello trascinante. L’assolo di Shanks, pur non essendo Sambora, risulta buono anche se corto. Saturday Night Gave Me Sunday Morning, primo singolo è stato subito stroncato dai fan per avere lo stesso ritornello di “Gotta Be Somebody” dei Nickelback…effettivamente lo ricorda molto, ma Jon ha dichiarato che si tratta di una canzone scritta 8-10 anni fa….mistero… We All Fall Down è un canzone pop-country trascinante, con ancora un ritornello ben fatto, questa volta la song potrebbe provenire da Lost Highway dallo stile. Blind Love è una canzone tutta pianoforte-voce, sentita da Jon nell’interpretazione e molto delicata ma anche troppo lunga e monotona, alla lunga potrebbe stancare. Who Would You Die For con il suo bel giro di basso e i cori risulta interessante e fuori dai canoni Bonjoviani. Il refrain con Jon che tira fuori finalmente la grinta e graffia è ben fatto e anche l’assolo(Sambora?) è dei più ispirati. Fingerprints è la canzone più bella dell’album; una chitarra acustica settantiana e una canzone che non riesco a capire come possa essere stata scartata o definita B-Side; due assoli dei migliori sentiti negli ultimi anni per una grande song. Life Is Beatiful riprende per l’ennesima volta i cori delle prime due canzoni è ed un pop classico che sembra provenire da What About Now, canzone semplice senza pretese che non lascia il segno. I’m Your Name rialza il ritmo con un bel intro di chitarra per una canzone allegra e divertente. Si chiude con la titletrack Burning Bridges, che inizia con i saluti di Jon in tutte le lingue per proseguire in poco più di due minuti in un puro vecchio country americano.

IN CONCLUSIONE:

Come già detto all’inizio, il voto è riferito solo a questo disco e non paragonato a nulla di vecchio. Considerato che si tratta di B-Side siamo ben al di sopra del mediocre livello dell’ultimo What About Now, ma nessuno si aspetti del vero rock, Burning Bridge è un insieme di buone canzoni pop prodotte dal nuovo marchio “Bon Jovi”.  Come dichiarato da Jon “Si è chiusa un epoca“, cosa ci dovremmo aspettare dal nuovo album del 2016?

Mike Tramp – Nomad – recensione

29 Agosto 2015 12 Commenti Denis Abello

genere: Rock
anno: 2015
etichetta: Target Records

Terzo album solista in tre anni per il prolifico Mike Tramp ex vocalist dei White Lion. Nomad, questo il titolo della nuova fatica del dotato cantante Danese, chiude quindi idealmente un ciclo iniziato nel 2013 con Cobblestone Street (qui la recensione) e continuato nel 2014 con Museum (qui la recensione).
Ancora una volta ad attenderci troveremo quelle atmosfere rilassate ed intimiste che già avevamo apprezzato nei precedenti capitoli, anche se in questo caso si perde il tratto acustico distintivo di Cobblestone Street e Museum per un lavoro più elettrico supportato da una full band di classe che vede Søren Andersen alle chitarre (e anche in veste di mixing e mastering dell’album), Jesper Haugaard al basso, Morten Hellborn alla batteria ed infine l’apporto di Morten Buchholz e del suo Hammond.
Mike Tramp anche con questo Nomad ci mette di fronte con cuore, passione e la sua splendida voce al suo lato più vero.
Lontano da costrizioni di qualsiasi tipo Nomad si rivelerà per l’ascoltatore come uno sguardo nell’anima del cantante. Il suo essere “elettrico” dopo due album semi-acustici dona un lato più frizzante a questo lavoro pur rimanendo legato a quel tratto misto tra disincanto e pace interiore che già si notava in Cobblestone Street e Museum.

continua

Praying Mantis – Legacy – recensione

21 Agosto 2015 15 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2015
etichetta: Frontiers Music

NO FILLERS… ALL KILLERS!!!
I fratelli Troy, membri storici e fondatori dei Praying Mantis, siglano a metà 2015 un album a dir poco maestoso in territorio AOR odierno. Band nata nel lontano 1974 nella fucina del NWOBHM (New Wave of British Heavy Metal) con il primo album pubblicato nell’81 (Time Tells No Lies), riuscirono ad incarnare il lato più sofisticato e delicato del genere in contapposizione a quello aggressivo di gruppi quali gli Iron Maiden.
Con il tempo questo lato soft è diventato sempre più preponderante arrivando fino all’ultimo lavoro in studio del 2009, Sanctuary, sempre pubblicato per la Frontiers Music e sempre più incentrato su un forte elemento melodico.
Elemento che proprio in questo Legacy diventa filo conduttore di 11 splendidi pezzi che però non tradiscono assolutamente il classico riffing alla Praying Mantis donato dalle dita di Tino Troy e coadiuvato in questa opera dalla seconda ascia Andy Burgess.
Già al Frontiers Rock Festival (qui il report) di quest’anno avevamo potuto apprezzare il valore non indifferente raggiunto ormai da questa band ed il risultato di questo Legacy conferma ogni buona sensazione che avevano saputo trasmettere dal palco!

continua

Lynch Mob – Rebel – recensione

18 Agosto 2015 22 Commenti Matteo Trevisini

genere: Hard Rock
anno: 2015
etichetta: Frontiers Music

Non azzardatevi a pensare di urlare felici: “…è uscito il nuovo album dei Lynch Mob…è uscito il nuovo album dei Lynch Mob !!!!” o magari di portarvelo in spiaggia sotto l’ombrellone per mitigare le ore più calde della giornata sulla battigia tra bambini urlanti, secchielli e palette. Ben che vada vi si potrebbe aprire la sabbia sotto i piedi e piano piano la sedia sdraio potrebbe sprofondare verso i caldi inferi di Belzebù, il sudore sulla pelle trasformasi in colla ed il borsone con gli asciugamani ed il pranzo al sacco potrebbe prendere le sembianze di un cactus spinoso. Nel ritorno della band di George “La Lince” non c’è nulla di facile e refrigerante in questa canicola infernale chiamata estate 2015.

Non è una passeggiata digerirlo questo Rebel , entrare in sintonia con canzoni lunghe, desertiche, mid tempos hard rock blues vecchia maniera che ti prendono la gola come la polvere brunastra delle Grandi Pianure dopo un viaggio di ore in sella ad una moto rombante ottani. George Lynch ed il suo degno compare Oni Logan tornano, dopo solamente un anno dalla pubblicazione del buon Sun Red Sun, con questo Rebel, pubblicato dalla sempre più spavalda Frontiers Records (ormai sono finiti gli aggettivi per definire cotanta eccellenza tutta italiana!). E’ una data importante nella storia dei Lynch Mob visto che cadono i 25 anni del pluriacclamato debut Wicked Sensation e non si poteva festeggiare questo anniversario nel modo migliore se non pubblicando un disco di spessore e qualità come questo Rebel. Con una sezione ritmica da spavento formata da Brian “prezzemolino” Tichy (dio…che drummer !!!) e da una vecchia conoscenza della famiglia Dokken, ovvero Jeff Pilson, ci sparano dalle casse undici pezzi di hard rock vecchia scuola, quello che puzza di Badlands, Whitesnake, Bad Company ma con il groove della chitarra di “Mr. Scary” che costruisce intelaiature ritmiche da brividi… le canzoni sono lunghe ed entrano nel cerebro dell’ascoltatore lentamente avvolgendolo, ascolto dopo ascolto, come un vento caldo che spazza il deserto del Mojave.

continua

Stala & So. – Stala & So. – Recensione

11 Agosto 2015 6 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2015
etichetta: ESCAPE

 

Dopo il grande successo del predecessore Play Another Round (2013), è ormai prossimo alla pubblicazione il terzo e omonimo full-length dei melodic rockers finlandesi Stala & So, in uscita il 21 Agosto 2015 per la label Escape Music.

Guidati dal solito genio compositivo dei due ex-Lordi, Sampsa “Stala” Astela alla voce e Nick Gore al basso, gli Stala & So. si producono in un altro album di indubbio valore, dalle radici hard rock melodiche ma forte di reminescenze glam anni ’70 (alla Sweet) e un po’ sullo stile di alcune produzioni di Michael Monroe. Influenzato da artisti del calibro di Hanoi Rocks e T-Rex, ma anche da TNT, Europe, Winger, etc., e quindi in perfetto bilico tra sonorità svedesi e USA, il platter riesce a confermare a pieno la freschezza e la genuinità che ci avevano sbalordito con le precedenti uscite, nonostante sia forse qui venuta un po’ meno quella immediatezza sonora che aveva reso soprattutto Play Another Round così grandioso e globalmente riconosciuto. Questo Stala & So. necessita infatti di qualche ascolto in più per spiegare definitivamente le sue ali e aggrapparsi saldo ai nostri cuori ma, poco male!, ci sa entusiasmare fin da subito per altri suoi grandi valori, uno su tutti la bella produzione antica che lo accompagna e che lascia ampio risalto alla voce del leader Stala tanto quanto alle basi strumentali dei suoi validissimi musicisti, con una nota in grassetto per le ispirate chitarre gemelle di Sami J. e Pete Vaughn. continua

Art Nation – Revolution – recensione

10 Agosto 2015 17 Commenti Nico D'andrea

genere: Melodic Rock / AOR
anno: 2015
etichetta: AOR Heaven

Se questa promo mi fosse stata recapitata come un tempo su supporto fisico ,sicuramente avrebbe riportato sul proprio involucro la dicitura “Materiale esplosivo, maneggiare con cautela”.
Si perchè le premesse che accompagnano questo “Revolution” degli svedesi (ma dai ???) Art Nation ne rendono le sembianze piuttosto simili a quelle di un’ordigno pronto ad esplodere in qualsiasi momento.
Ecco che allora arriva il vostro artificiere di fiducia che come spesso accade la bomba rischia di farla brillare contenendone il tanto atteso botto.
In totale onestà vi confesso che questo è un disco che perfino il sottoscritto non sa bene da quale parte prendere e vi spiegherò perchè.
Fin dal primo ascolto questi ragazzi di Goteborg non possono non essere associati ai loro più blasonati connazionali H.e.a.t, data la (a tratti imbarazzante) similitudine del sound proposto con quello di Eric Rivers e compagni.
Volendo andare un po’ più a fondo gli Art Nation non raggiungono la stessa varietà e ricercatezza negli arrangiamenti dei titolari di ” Adress The Nation” ed il suono non è così cristallino come quello che il magistrale Tobias Lindell ha saputo confezionare per gli H.e.a.t Gronwall-era.
Attenzione però che il livello qualitativo rispetta gli elevati standard dello “Swedish Sound” certificato dalla presenza alle consolle di Jakob Hermann (Hardcore Supestar) e Jacob Hansen (Volbeat).
Ecco quindi spiegata la leggermente minore “pulizia” sonora e certe sfaccettature “Modern Rock” che come in questo caso sembrano attrarre buona parte dello stuolo di new comers svedesi.
Veniamo allora alle canzoni che per un buon 50% dei casi si rivelano delle autentiche perle Melodic Rock :

continua

The V – Now or Never – recensione

29 Luglio 2015 7 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2015
etichetta: Frontiers

 

The V, Now or Never… ovvero il debutto solista della dotata (vocalmente e non solo!) Veronica Freeman. Sotto la direzione di mamma Frontiers, e puntando sulla voce di Veronica e su un nutrito gruppo di ospiti “eccellenti” (Pete Wells, Michael Sweet, Peter Tentindo, Jimmy Durkin, Mick Tucker, Jordan Ziff, Michael Harris, Jeff Pilson, Mel Brown, Garry Bordonaro, Aric Avina, John O’Boyle, Mike Lepond, Derek Kerswill, Leather Leone, Tony Martin), non è mancata la volontà di portare su disco un lavoro dalle buone potenzialità.
Diciamo subito che la direzione stilistica è lontana dall’heavy metal proposto dalla band madre Benedictum e anzi si sposta nettamente su un hard, sleaze rock con qualche breve incursione nell’AOR e giusto un piccolo richiamo al Metal di orgine.

Si parte bene con Again, un pezzo tutta chitarra e su cui la “vociona” di Veronica ben si sposa. Semplice, diretto ma stiloso!
In generale lo stile dell’album si mantiene sempre abbastanza allineato su un hard rock tra il melodico e lo stradaiolo che fa ampio uso di chitarre e che poggia soprattutto sulla vocalità potente e sferzante della Freeman, vedasi pezzi come Roller Coster o Kiss My Lips.
Ci sono alcuni scostamenti verso lidi più melodici come per L.O.V.E. impreziosita da un bel giro di chitarra e le successive Line In The Sand, Love Should Be To Blame e il “duro AOR” di Spellbound che fa da contraltare al “soft melodic rock” di Starshine.
La chiusura dell’album è quella forse più “pesante” (nel senso di stile musicale) con lo speed di Ready To Run e l’heavy di King for a Day. continua