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25 Luglio 2016 11 Commenti Denis Abello
genere: AOR - Melodic Rock
anno: 2016
etichetta: Escape Music
Se siete amanti dell’AOR e almeno da qualche anno seguite questo genere allora non ci sarà bisogno di spiegarvi chi è Rob Moratti. In caso contrario diciamo solo che i primi passi li fa nella band Moratti con cui incide due album prima di entrare nella fila dei Final Frontier insieme a Malden dei Von Groove e ritagliandosi così un piccolo posto nella storia del melodic rock. Dopo una breve parentesi con i Saga inizia la sua avventura solista che nel 2011 lo porterà a dare alla luce l’ottimo Victory (qui la recensione). A questo seguiranno un tribute (in sole 1000 copie) ai Journey e la nuova prova uscita questo stesso anno alla corte dei dei Rage of Angels di Ged Rylands.
Eccoci così arrivare al nuovo step della sua carriera solista. Se avete amato il precedente Victory tirate pure un sospiro di sollievo perchè e bene dirlo subito che anche in questo Transcendent si giocano le stesse carte del precedente lavoro, una serie di pezzi in puro stile AOR / Melodic Rock classico classico tra ballads e mid tempo, una buona esecuzione e produzione generale e la voce “nasale” ed inconfondibile di Rob Moratti a fare da collante al tutto.
20 Luglio 2016 14 Commenti Denis Abello
genere: AOR
anno: 2016
etichetta: AOR Heaven
Una giovane band Svedese dedita ad un puro ma moderno AOR e che non suona come una fotocopia di giovani band Svedesi. I Wickman Road hanno un’anima ed una dimensione musicale tutta loro… e in un genere come l’AOR dove gli stilemi sono scolpiti nella pierta dura e i paletti imposti sono in realtà inaamovibili colonne di massiccio granito, diciamocelo, non è cosa da poco!
Prima di lanciarci a capofitto in una dissezione certosina di questo loro debutto a titolo After The Rain facciamo però un excursus nella breve storia della band.
Nelle lande Scandinave, più di preciso in quel di Rydaholm, due coppie di fratelli, Eric (Voce) e Carl (Tastiere) Ahlqvist insieme con Henrik (Chitarre) e Robert (Basso) Åkesson, dal 2011 scrivono pezzi con in mente il più classico sound AOR e la volontà prima o poi di incidere tutto su disco. Con l’entrata in formazione nel 2014 del batterista Simon Rydén la strada sembra aprirsi verso la giusta direzione e ne nascono i Wickman Road!
Messi insieme quindi 11 pezzi nel 2016 i Wickman Road sono pronti a dare alla luce il loro primo lavoro sotto l’etichetta AOR Heaven.
18 Luglio 2016 5 Commenti Denis Abello
genere: Soft Rock - Funky Rock - Pop Rock
anno: 2016
etichetta: Frontiers Music
Album difficile questo Fight Another Day dei Dan Reed Network. Difficile perchè se tanti come me si aspettavano un po’ un ritorno al loro passato fatto di un funky rock travolgente ecco che forse si troveranno tra le mani qualcosa di abbastanza differente, ma dopo alcuni ascolti quasi sicuramente non ne usciranno delusi… quasi sicuramente (metto le mani avanti 😀 ).
Il passato della band parla chiaro, un primo EP a titolo Breathless (1986) che piazzò un singolo di successo come Steal Me. Da li altri tre album in studio, l’omonimo Dan Reed Network (1988), Slam (1989) e The Heat (1991).
Sicuramente il misto di nazionalità che ora come ieri si poteva trovare nella formazione dei Dan Reed Network dove si andava da origini hawayiane / tedesche (Dan Reed), jamaicane (Brion James), africane (Melvin Brannon II) e via discorrendo contribuì non poco a quel fortunato hard rock misto a funky, jazz e soul che portò fama al “network” che ruotava intorno a Dan Reed.
Già dalle origini quindi i Dan Reed Network risultavano di difficile classificazione, cosa che si accentuò maggiormente nella carriera solista del leader Dan Reed che seguì allo scioglimento della band e che ci porta al suo album solista Transmission (2015, qui la recensione).
Non ho riportato però a caso l’ultimo album solista di Dan Reed perchè forse è proprio su quei lidi che andiamo a parare anche con questo Fight Another Day dei redivivi Dan Reed Network, o meglio c’è molto dell’ultimo Dan Reed solista anche in questo nuovo corso della band!
15 Luglio 2016 9 Commenti Andrea Vizzari
genere: Pop, Westcoast
anno: 2016
etichetta: Indipendente
Nel mondo della musica troviamo tanti di quei musicisti che finiscono spesso in prima pagina più per i loro eccessi che per la musica effettivamente proposta: tweet al veleno verso ex compagni, atteggiamenti irrispettosi verso i fan, bravate dentro e fuori dal palco. Parlando di Steve Porcaro, ma sarebbe il caso di estendere il concetto a tutta la famiglia Porcaro, questi discorsi cadono miseramente. Un’intera famiglia dedita al mondo della musica, un insieme di musicisti dal talento innato e smisurato capace di ispirare intere generazioni. A partire dagli anni 70 e per tutti gli anni 80 Jeff, Mike e Steve hanno scritto pagine e pagine di storia della musica (la golden-age dei session-men della West coast) e citare tutte le loro collaborazioni sarebbe un’impresa titanica, riuscendo a spaziare dal rock al pop, jazz, blues con una disinvoltura rara. Con i Toto hanno raggiunto il successo planetario ma ci sono loro dietro l’album più venduto di tutti i tempi, quel “Thriller” di Michael Jackson, così per dire.
“Someday/Somehow”, primo disco solista di Steve Porcaro, non ha certo avuto una genesi semplice. Come ha affermato lo stesso musicista in varie interviste, diversi dei pezzi presenti nel platter sono nati originariamente negli anni 80 come brani per i Toto, poi rimasti incompleti o bocciati dagli altri membri del gruppo. Finiti nel dimenticatoio, Steve ha poi deciso di prendersi una pausa dalla band, dedicandosi alla composizione di colonne sonore o collaborando come songwriter per altri artisti (Yes, Jefferson Airplane) fin quando la sua vita non fu nuovamente sconvolta dalla malattia e successiva morte del fratello Mike. Perdere un fratello per la seconda volta (Jeff Porcaro morì tragicamente nel 1992) è stato un colpo durissimo. Riflettendo sull’imprevedibilità della vita, Steve decise così di rimettersi al lavoro tirando fuori e completando tutti quei pezzi che sarebbero andati a definire il suo primo disco da solista.
12 Luglio 2016 0 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Rock Strumentale
anno: 2016
etichetta: Musicraiser
Il chitarrista della band progressive Timesword, Dan Logoluso, ha dato alle stampe Back from a Journey, il suo primo album solista uscito lo scorso 13 maggio. Alla batteria un mostro sacro come John Macaluso (Malmsteen, LaBrie, ARK, Symphony X).
In realtà lontano dal genere di provenienza del musicista, questo disco solista propone un hard rock melodico strumentale capace di mostrare tutta la classe del chitarrista senza riempire le orecchie di eccessivi sfoggi tecnici ma, anzi, lasciando ampio spazio alle melodie. John Macaluso alla batteria è eccellente, e il suo groove inimitabile (esaltato da una nitida produzione in studio) da ulteriore valore aggiunto a un songwriting molto ben congenitato e indubbiamente vario, che difficilmente potrà stancare anche i meno fedeli ascoltatori della musica rock strumentale.
Le leggende della chitarra Satriani, Vai e Petrucci rimangono certamente annoverabili come influenze primarie dell’artista, il quale sviluppa però un suo personale approccio al genere rendenolo un po’ più snello, musicale e alla portata di tutti. Con composizioni come Stillness, With Heart, True Love e la conclusiva Swollen River a fare da hit al platter, Back From A Journey è dunque un viaggio musicale che diverte ed emoziona, spingendoci ad ascoltarlo anche ripetutamente, senza stancarci mai.
IN CONCLUSIONE
Troviamo non solo virtuosismi, ma anche tanta melodia, all’interno del primo album solista del chitarrista milanese Dan Logoluso. Aggiungendo alle nostre collezioni un platter hard rock strumentale di portata internazionale.
11 Luglio 2016 11 Commenti Denis Abello
genere: Melodic Hard Rock
anno: 2016
etichetta: Fastball Music
Gli Human Zoo sono quella band hard rock che usa il Sax come fosse una seconda chitarra. Basterebbe questo ad identificare la band tedesca che ormai ci ha abituati al suo inconfondibile marchio di fabbrica.
Quarto album per la band teutonica che ancora una volta mette in scena il suo hard rock melodico di matrice abbastanza classico / tedesca. Quindi grandiose chitarre, una sezione ritmica rombante, cori e ritornelli ultra catchy, il tutto su una struttura di pezzi corposa e sostanziosa e come dicevamo sopra con la “genialata” di infarcire tutto con un Sax, suonato magnificamenta da Boris Matakovic, che rende il tutto elegante e raffinato!
Il precedente album della band a titolo Eyes of the Stranger (qui la recensione) uscito nel 2011 sempre per la Fastball Music viaggiava ancora tra alti e bassi senza far si che risaltasse del tutto il potenziale della band, ecco che con questo nuovo My Own God gli Human Zoo mirano al salto di qualità.
La band sembra aver puntato su un sound più hard rock melodico “classico”, anche per l’uso fatto delle tastiere (provate a sentire su Cry Baby Cry) per questo nuovo My Own God con pezzi più semplici e diretti rispetto al recente passato… anche se, grazie al suono della chitarra, sulle note di One Direction sembra di partire con un pezzo dei Bon Jovi. Ottime le chitarre, Thomas Seeburger non è una di quelle voci che ti trapassano il cuore ma comunque svolge a dovere il suo compito ed il risultato è un pezzo bello massiccio!
Il momento però che tutti aspettavamo arriva sulle note di Cry Baby Cry… la manetta spinge da subito verso l’hard rock più classico e muscoloso e l’intro sorretto da chitarra e sax e quanto di più maledettamente “raffinato hard rock” si possa immaginare! Chitarra ancora una volta inserita in maniera magistrale, il tocco retrò delle tastiere ben si sposa con il suono del sax, per noi AORster, più tipico dei lenti westcoast anni’80 che non di un pezzo hard rock roccioso come questo ed il risultato è uno dei pezzi più coinvolgenti che mi sia capitato di sentire ultimamente!
Dopo tanta raffinatezza un po’ di sano hard rock tritaossa è ciò che serve, o almeno questo è quello che devono aver pensato in casa Human Zoo, perchè Love Train è quasi una cavalcata di “AC/DCiana” memoria, e dimostrazione che anche senza il sax gli Human Zoo sanno essere assolutamente convincenti!
A Day To Remember, semi ballad in cui il piano prende le redini. Seeburger si lascia andare ad una delle sue migliori interpretazioni vocali mentre il ritornello “tutto coretti” si lascia andare al suo lato più pop ed il solo del Sax pennella con grazia una moltitudine di emozioni. Giù il cappello, gli Human Zoo vincono la partita per netta superiorità tecnica! 😀
E’ ancora il Sax a piazzare il miglior assist verso chitarre e voce su My Own Illusion, altro hard rock carico e pesante progettato dalla band con estrema maestria! Nsa (National Security Agency) è al limite dell’heavy metal, brutale a cattivo scarica note rabbiose sulla nostra colonna vertebrale. Sezione ritmica stilosa e ficcante!
Like a Bitch lascia da parte ogni formalità “politically correct” e tira giù un ottimo hard rock melodico infarcito di colpi di genio virali come il “clap clap” delle mani nel pre chorus.
Si continua a pestare duro su tappeti di ottimo melodic hard rock anche con le successive 4U e soprattutto con l’inno Solitaire, anche se la mancanza del sax lascia un po’ di senso di incompiuto, in fondo loro sono gli Human Zoo, il sax deve esserci. 🙂
Ed infatti è nuovamente il sax a rapirci sulla bella Wave Your Flag! Power melodic hard rock che fulmina i nostri neuroni quando il rullante di batteria lancia il sax! Bella anche la conclusione di questo lavoro con Reminds of You dove la parte del leone la fanno la chitarra acustica ed il duetto tra Seeburger e la brava Priscilla D’Alberti che tradisce forse origini italiane ma di sicuro canta in modo molto Americaneggiante… classico lento acustico, ma funziona a dovere!
IN CONCLUSIONE
A mio parere il miglior lavoro della band, pezzi per lo più ispirati con una dorsatura assolutamente hard rock a cui si aggiunge la perla di un fantastico e raffinato Sax. Brani forse più semplici nella loro struttura e più votati all’hard rock rispetto al passato che lasciano la parte “elegante” per lo più al solo Sax riescono a donare un coinvolgimento maggiore. Qualche tocco vintage qua e la aiuta ancora di più a inquadrare per bene il sound ed il risultato è un album che scorre via che è un piacere! La voce di Seeburger pur non essendo indimenticabile riesce comunque a svolgere degnamente la sua parte!
Da segnalare come assoluto must il pezzo Cry Baby Cry che racchiude al meglio tutto quanto detto sopra! Applausi agli Human Zoo, lavoro interessantissimo e che merita assolutamente un ascolto!
08 Luglio 2016 2 Commenti Denis Abello
genere: Melodic Hard Rock
anno: 2016
etichetta: Lions Pride Music
Dal 1991 al 2016 per vedere la pubblicazione del loro album di debutto… mica male come gestazione! Purtroppo sappiamo tutti cosa hanno voluto dire gli anni ’90 per il nostro genere musicale! La fine di un’epoca d’oro, il peso del “seattle sound” (non scriviamo quella parola su questo sito… 😀 ) sotto cui più di una band si è vista schiacciare le ossa, tra cui anche proprio questi HitnRun!
Avevano tutto, un passaporto Americano, l’aspetto tra il bello ed il dannato, una voce incisiva ed una manciata di pezzi hard rock all’apparenza stradaioli ma assolutamente radiofonici… ma tutto questo non è comunque bastato!
C’è voluta così la cara vecchia Europa, nelle vesti della Lions Pride Music, per ripescare dalle ceneri gli HitnRun e portare sulla nostra tavola musicale l’opera prima di questa band che porta con se il classico hard rock melodico che ha fatto la fortuna di gruppi quali Tyketto, Warrant, Tuff, Roxy Blue e molti altri!
02 Luglio 2016 3 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Hard Rock
anno: 2016
etichetta: Nuclear Blast
L’hard rock acido e sanguigno degli Scorpion Child ritorna nei negozi con il secondo album del giovane gruppo statunitense, intitolato Acid Roulette e disponibile dal 10 giugno per la major Nuclear Blast.
Con la volontà di non apportare tante variazioni al sound presentato con l’esordio di qualche anno fa, ma allo stesso tempo di virare verso lidi compositivi più personali, gli Scorpion Child danno vita a un platter squisitamente hard rock, caldo e polveroso, etereo e turbolento. Migliore del bel debutto, perchè più maturo e come già anticipato meno derivativo dell’hard rock anni settanta di Led Zeppelin, Deep Purple, e compagnia bella, l’album poggia solido su una produzione d’altri tempi, grezza ma ben tarata, cupa e carica di groove, che mette in ampio risalto il talento tecnico-compositivo di un gruppo che fonda il suo stile sul riffing geniale del chitarrista Christopher Jay Cowart, qui ancora una volta ben accompagnato da una carica sezione ritmica e da un cantato acido e carismatico a cura del bravo cantante Aryn Jonathan Black.
Il disco, che segue la tormentata trama di un protagonista maschile che annega le proprie pene d’amore in fumi del alcool mentre osserva la sua vita scivolare via, presenta un songwriting molto solido e compatto, assolutamente vario e sempre ispirato. L’opener She Sings, I Kill fa da perfesto manifesto al platter mettendo in moto l’opera attraverso un sound hard rock settantiano di grande fattura. Seguono Reaper’s Danse, che sfiora il metal classico di Judas Priest e Iron Maiden, e la super hit bluesy My Woman in Black, che con la successiva Acid Roulette accarezza influenze deepurpleriane attraverso il bel suono delle sue tastiere e del suo hammond. Winter Side Of Deranged poi è una cavalcata hard rock classica, mentre Twilight Coven è un altro inno rock dominato dal groove e dal rullare massiccio della batteria. Fuori dagli schemi Survives, che con uno stile operistico alla Queen mostra il lato più alto, intonato, pulito e melodico della vocalità eccellente del cantante A.J. Black, che rimane sugli scudi anche con la rocciosa Blind Man’s Shine e con la radiofonica (e bellissima) Moon Tension, dai rimandi alla Cheap Trick. Infine Tower Grove torna nei reami dell’hard rock puro d’annata, seguita da una bombastica Might Be Your Man e dalle sfumature melodiche di Addictions, altra grande hit di un album davvero di livello.
IN CONCLUSIONE
Eccolo qui un altro colpo gobbo degli americani Scorpion Child, che danno forma a un secondo platter magnifico tanto quanto il primo, ma più originale e variopinto. Siamo senza dubbio al cospetto di una delle migliori giovani realtà hard rock classiche presenti sul mercato discografico odierno, per come è capace di toccare vette inimmaginabili ai più con soli due album alle spalle.
Uno dei dischi dell’anno per il più puro genere di appartenenza.
28 Giugno 2016 6 Commenti Denis Abello
genere: AOR / Melodic Rock / Westcoast
anno: 2016
etichetta: AOR Heaven
Secondo lavoro per lo Svedese Andrée Theander ed il suo personale progetto Theander Expression che segue a qualche anno di distanza il buon debutto Strange Nostalgia (qui la recensione).
Diciamo subito che questo Wonderful Anticipation conferma quanto di buono il chitarrista Svedese aveva fatto apprezzare con il suo debutto, quindi un lavoro di chitarra di primo livello, brani con buoni arrangiamenti ed un’ottima produzione.
Andrée Theander oltre alla chitarra si prende carico di quasi tutta la parte strumentale, con rare eccezioni in cui alcuni strumenti vengono “passati” ai vari ospiti. Parlando di ospiti anche per questa nuova fatica si può avvalere a livello vocale di un’ottima squadra con il ritorno di Christian Eriksson, già presente in Strange Nostalgia, anche se perde un elemento importante e caratterizzante del debutto come la voce di Göran Edman.
Molto bello l’intro strumentale Anticipation Anthem che mette in mostra tutta la qualità chitarristica del buon Theander. Scorrendo nei pezzi si nota forse, rispetto al debutto, una sterzata del sound più verso lidi melodic rock che AOR con abbondanza di pezzi uptempo.
Ne è un esempio la successiva You always ran away mentre si sfiorano lidi Westcoast che toccano i limiti del Pop nella bella ed emozionante titletrack Wonderful Anticipation. Sarà invece l’anomala Ms. Tendy a mettere a dura prova i gusti dei più “classicisti” del genere. Bello il lavoro di chitarra ma il pezzo richiede ben più di un ascolto per essere metabolizzato a dovere.
Con Factoids & Fallacies ritroviamo le acque sicure delle uptempo figlie del melodic rock. Bella prova con un ritornello classico classico ed infarcito di cori. Into The Valley sfocia su territori quasi blues con voce e chitarra che duettano in un susseguirsi si note calde ed avvolgenti che però si perdono in parte nel ritornello.
Assolutamente valida invece Never Surrender, melodic rock “chitarroso e vocale” che se la gioca sull’elemento catchy del ritornello e sull’ennesimo tocco da maesto della chitarra con un solo chitarra/tastiera dal tratto elegante.
Mi aspettavo su The Loner la classica ballata, ma devo dire che non ero pronto alla bellezza del pezzo. Forse uno dei più “westcoast”, grazie soprattutto al sound della chitarra che si sporca le corde nella brezza sabbiosa del blues, regalando un’esperienza intima e delicata. Un gran pezzo, non c’è che dire!
Notevole anche la successiva Someday (I’ll Be There To Meet You) che con The Loner e la conclusiva State Of Flow possono essere definite il cuore più westcoast, intimo e soft di questo Wonderful Anticipation. Risulta invece trascurabile nel contesto l’uptempo di On My Own.
IN CONCLUSIONE
Un album che meritava una menzione in questo 2016. Wonderful Anticipation non verrà ricordato come un capolavoro ma sicuramente è un album che farà la gioia di chi è alla ricerca di un album easy listening ma confezionato con cura e perizia. A livello strumentale siamo veramente ad alti livelli mentre forse alcuni pezzi si perdono un po’ nell’anonimato, problema già in parte riscontrato nel primo lavoro e qui ancora non del tutto superato, anche se pezzi come The Loner regalano attimi di pura magia! Meglio riuscita e più ispirata a mio parere la parte più soft e intima (Wonderful Anticipation, The Loner, Someday (I’ll Be There To Meet You) e State Of Flow) mentre si perde maggiormente la parte più rock melodica tra cui da menzionare resta solo la bella Never Surrender.
28 Giugno 2016 2 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Blues Rock, Southern Rock
anno: 2016
etichetta: UDR
Dalle lande polverose del.. Galles (!) i Buffalo Summer sono usciti il 20 maggio su UDR/Warner con il loro nuovo album Second Sun, registrato nella primavera del 2014 ai Mwnci (Monkey) Studios di Dyfed.
Ed ecco lì che zitti zitti i nostri quattro gallesi sfornano un disco di tutto rispetto, molto divertente da ascoltare, trascinante e suonato davvero bene. La loro musica, in perfetto bilico tra southern rock, blues rock, hard rock e rock ‘n’ roll, può essere vista come la perfetta compagna lungo questa calda estate 2016, perchè carica di quel calore rock old-school che in passato mostravano band come Led Zeppelin, The Black Crowes, Thunder e Deep Purple, e che tiene compagnia e non ci si stancherebbe mai di ascoltare. La prova tecnica del quartetto è eccellente: il disco esplode di energia canzone dopo canzone, nota dopo nota, tra riff di chitarra sanguigni, vocalità perfette per il genere e un massiccio groove costruito dalla preziosa sezione ritmica e dalla solida produzione. E il sudore, la fatica, la passione sono tangibili in ogni melodia, rendendo questo platter adatto sia all’ascolto domestico che alla sua riproduzione dal vivo, in un concerto del gruppo.
Così, la ledzeppeliniana Money da il via alle danze mostrando un songwriting più maturo e migliorato rispetto a quello già buono dell’esordio di qualche anno fa. Le festose Heartbreakin’ Floorshakin’ e Make You Mine, da party alcolico birra in mano, aggiungono energia al platter, precedendo il sound radiofonico e più melodico di una ottima Neverend. E’ As High As The Pines però la hit del disco, grazie al suo ritmo contagioso che coniuga il rock classico e il modern rock in un unico efficiente pacchetto. Notevole anche la ballad Light Of The Sun, ariosa e di ampio respiro, con Levitate che torna nei canoni del southern matrice USA e Little Charles in quelli del rock ‘n’ roll.. anni’60, alla Elvis. Nel mezzo la buona Into Your Head, che al pari di Priscilla ci riporta al rock da festa, anticipando la chiusura affidata a Bird On A Wire e Water To Wine, altri due buoni motivi di matrice british hard rock.
IN CONCLUSIONE
E’ divertimento allo stato puro la espressione con cui definirei questo Second Sun, un disco derivativo del passato hard rock, blues rock e southern rock che più ci piace. Frizzante, caldo e passionale, è il migliore amico che potevate trovare per affrontare l’estate che ci attende.
E i Buffalo Summer meritano la nomea di rivelazione di questa parte centrale del 2016. Se dal vivo valgono quanto su disco, devono essere una forza!