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Hardline – Human Nature – Recensione

06 Ottobre 2016 115 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2016
etichetta: Frontiers Music

Quattro anni dopo il grande comeback a titolo Danger Zone (2012), gli Hardline sono pronti a tornare nei negozi nell’ottobre 2016 con il loro nuovo album Human Nature, forti del rinnovato sodalizio tra Stati Uniti (il cantante e unico membro fondatore Johnny Gioeli con il chitarrista Josh Ramos) e Italia (il trio delle meraviglie Alessandro Del Vecchio – Anna Portalupi – Francesco Jovino, ma anche la label Frontiers Music), che ha reso il gruppo ormai consolidato nella prima formazione davvero stabile della sua carriera.

Rafforzata in concerto la coesione tra le parti, gli Hardline producono oggi il disco più heavy e possente della loro carriera, pur rimanendo allo stesso tempo fedeli a quel sound hard rock melodico che è da sempre stato nelle corde (vocali) dell’incredibile loro leader Johnny Gioeli. Un mostro di tecnica, il simpaticissimo vocalist italo-americano, che, nel mutare della sua timbrica, ha visto scemare da qualche anno la sua levigatezza melodica a favore di un graffiato roco, che espande ancora di più la gittata delle sue note. Da qui si spiega allora l’irrobustimento dei suoni e dello stile del disco, con il compositore primario (e tastierista e produttore) Alessandro Del Vecchio al lavoro su pezzi dal grande tiro e dalla enorme energia, che riprendono quanto di buono (anzi ottimo) fatto in passato dal gruppo, rivedendolo in chiave moderna e più – permettetemi il termine – metallica (da heavy metal). Anche la produzione tende così a porre in maggiore evidenza il riffing aggressivo e dinamico di Josh Ramos (così in forze non lo sentivamo da diverso tempo) piuttosto che il suono delicato delle tastiere, che si limitano ora per lo più al solo arricchimento e accompagnamento dell’insieme, colorando invece di trame i passaggi più lenti o le mid-tempo. Eccellente infine il groove dato dal basso della Portalupi e dalla batteria bombastica di Jovino, vere ciliegine sulla succulenta torta che questo platter rappresenta per ogni fan del rock melodico che si rispetti.

La carrellata di brani che formano la tracklist di questo Human Nature ci parlano allora di un primo singolo Where Will We Go From Here che fa da intermezzo tra il recente passato del gruppo e il presente, per un pezzo che avrebbe facilmente potuto trovare spazio anche su Danger Zone se non fosse per il suo sound molto più in faccia ed energico. Nobody’s Fool invece ci dice chiaramente dove gli Hardline vogliono oggi andare a parare, riprendendo l’idea musicale dell’esordio Double Eclipse (1992) in chiave decisamente più heavy e dando vita a un brano hit, micidiale. Eccellente è ancora la mid-tempo e title track Human Nature che, nei suoi diversi momenti, si evolve da un intimo piano-voce – che eleva sugli scudi tutto il talento di Gioeli – fino a una coralità d’insieme strabordante nel refrain, che non diminiusce di intensità emotiva neppure lungo le strofe.

L’hard rock più classico di Trapped In Muddy Waters permette a Josh Ramos di mostrare tutta la sua perizia chitarristica in un riffing di puro assalto rock intervallato da altri momenti di grande melodia, mentre Running On Empty colpisce per l’ariosità del suo chorus, davvero coinvolgente. Una vera bomba di hard ‘n’ heavy è poi la decisa The World Is Falling Down, che ci spinge a saltare da una parte all’altra della stanza e che suona in totale contrasto con la super ballad (e secondo singolo) Take You Home che la segue, e che cementifica il legame tra Gioeli e Del Vecchio in un brano piano-voce di incredibile intensità emotiva. Unica.

Rialzano il tiro una Where The North Wind Blows decisamente rocciosa, ma carica di tastiere e musicalità e con ottime parti soliste di Ramos, e una In The Dead Of The Night ancora forte di grandi chitarre, un bel ritmo e di succulente atmosfere nelle sue strofe. Sorprendente infine l’appeal della mid-tempo United We Stand, una traccia fedele agli esordi e dalla grande orecchiabilità melodica (altro apice qualitativo del lotto), e della conclusiva Fighting The Battle, meno d’impatto ma non meno convincente delle precedenti.

IN CONCLUSIONE

Gli Hardline si mettono in gioco e sono pronti a sfidare le altre band per un posto di rilievo nelle posizioni top delle classifiche 2016 degli appassionati del genere. Questo, grazie a una prova di forza, molto convincente, che da vita a un disco differente dai precedenti, ma mai fuori dagli schemi del rock che amiamo, e privo di filler alcuno.

Johnny Gioeli è una forza della Natura, le canzoni sono di livello assoluto, con refrain che si stampano in testa fin dal primo ascolto. Del Vecchio ha dato il meglio di se nel songwriting e nella produzione, Josh Ramos torna a far ruggire la sua chitarra, e gli altri italiani gli corrono dietro con assoluta qualità. Insomma, potevamo davvero chiedere di più a questi ragazzi??!!

Per grinta, energia, melodia, emozioni e carisma, Human Nature è una vera bomba discografica. Da avere.

Poets Of The Fall – Clearview – Recensione

06 Ottobre 2016 1 Commento Iacopo Mezzano

genere: Pop Rock / Cinematic Rock
anno: 2016
etichetta: Insomniac

La annunciata rivoluzione sonora dei finlandesi Poets of the Fall, nati nel 2003 ad Helsinki e con sette album all’attivo alle spalle, porta alla composizione di un album di transizione, il nuovo Clearview, uscito a fine settembre per la label Insomniac.

Prima di tutto occorre segnalare come il disco presenti per la prima volta nella storia della formazione suoni di produzione imprecisi, o almeno non perfetti come nel passato autoprodotto del gruppo. Affidatisi a un ingeniere del suono esterno, il produttore Stefan Boman (Kent, Hellacopters), forse per ricercare una musicalità ancora più commerciale e radiofonica, i POTF ottengono un platter che sì, complessivamente suona bene, ma che è altresì troppo compresso nelle sue parti, e che utilizza troppi effetti sulla voce già ottimale del cantante Marko Saaresto. Di ciò giova forse la immediata orecchiabilità dei pezzi, questa rimasta inalterata rispetto alle ultime produzioni, ma gran parte di quella magica teatralità e ricercatezza che dischi come il precedente e bellissimo Jealous Gods possedevano va a perdersi ora in un oceano di note ben composte, ma incastrate tra loro in un modo un po’ troppo semplicistico rispetto al credo storico di questa formazione.

Sia chiaro però, non sto dicendo che Clearview sia un prodotto scadente (tanto che il mio giudizio finale parla da se), ma è una certezza come questo debba essere preso in considerazione come il primo immaturo vagito di una nuova (interessante) visione musicale che il gruppo andrà certamente ad elaborare e perfezionare con le prossime pubblicazioni. Ecco allora che anche il primo singolo e video Drama for Life piace ma non lascia più di tanto stupiti, impressionando solo per il gran cantato carismatico di un Saaresto che continua a mettersi in evidenza come una delle migliori voci in assoluto di questa scena musicale. Decisamente più convincente e sotto certi aspetti inedita suona invece The Game, una traccia alt rock dal grande refrain arioso, poi seguita dalla vera hit della produzione, una The Child in Me che nelle strofe suona pop rock anni ottanta, ricca di effetti e di strumenti elettronici secondo il credo di Corey Hart, Gowan e comagnia bella. Sorprendente.

Molto buone ed orecchiabili appaiono anche Once Upon a Playground Rainy, una mid-tempo semi-acustica forte del miglior refrain del lotto, e Children of the Sun, dal testo magistralmente composto e dal grande pathos, con Shadow Play che torna a un rock un po’ alternativo e un po’ cinematico, e che accentua una certa dimensione teratrale e decadente. Non sorprende più di tanto invece la comunque buona ed elettrica Center Stage, diversamente da The Labyrinth, una bella ballad dalla atmosfera cupa che ben rappresenta lo stile particolare di questo gruppo scandinavo. Chiudono l’opera Crystalline e Moonlight Kissed, la prima come traccia pop rock ritmata e frizzante all’ascolto, la seconda tra atmosfere ancora decadenti e raffinate, che non riescono però a bissare l’effetto straordinario che aveva avuto il commiato Nothing Stays the Same del precedente Jealous Gods.

IN CONCLUSIONE

I Poets Of The Fall osano e cambiano parte del loro sound verso una dimensione più easy e meno raffinata. Dopo tante produzioni l’idea di un ritorno evoluto alle origini può anche essere di grande interesse per il fan, ma al momento non aggiunge più di tanto a una carriera comunque sempre eccellente e di livello.

Come dicevo in apertura, questo Clearview deve essere quindi valutato come il disco di transizione verso i differenti lidi che i Poets of the fall vorranno presto esplorare con la loro musica. Perciò giudichiamolo oggi per quello che appare, ovvero, un bel prodotto di pop rock cinematico e moderno, orecchiabile e suonato da ottimi musicisti. Per il capolavoro, beh, attendiamo invece ancora qualche annetto..

Kansas – The Prelude Implicit – Recensione

30 Settembre 2016 5 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Classic Rock / Progressive Rock
anno: 2016
etichetta: Inside Out

Sedici lunghissimi anni dopo la pubblicazione del loro ultimo album in studio (Somewhere to Elsewhere, 2000), i leggendari Kansas ritornano a registrare materiale inedito dando alle stampe il loro nuovo full-length The Prelude Implicit, edito dalla Inside Out a fine settembre 2016.

Nonostante la pesante assenza del cantante storico del gruppo Steve Walsh (che ha fatto gridare i più allo scandalo: perchè tornare senza di lui, che senso ha? Hanno espresso in tanti.), i Kansas hanno tirato fuori dal cilindro una produzione di tutto rispetto, capace di rendere attuale il tipico sound del gruppo (da sempre una mistura di classic rock e progressive rock attratta dalla melodia tipica dell’arena rock e dalle orchestrazioni della musica classica) anche in questi anni duemila mai esplorati dalla band. Un traguardo non di poco conto questo, il cui merito è sicuramente dei componenti storici rimasti (il chitarrista Rich Williams e il batterista Phil Ehart, oltre a Billy Greer presente dal 1985 e David Ragsdale dal 1991) che sono stati in grado di ricreare quella musicalità e quelle strutture cangianti e variopinte entrate nei cuori degli appassionati, ma anche del nuovo validissimo frontman Ronnie Platt, un vocalist che in quanto a carisma e intonazione non ha da invidiare nulla al suo illustre predecessore. Con il pregio di una produzione fatta di suoni davvero cristallini e corposi e di una coralità di insieme che solo i big del nostro genere sanno dimostrare a oltre quaranta anni dalla propria fondazione.

Nascono così dieci nuove tracce antiche quanto moderne, che guardano al rock e al progressive settantiano tanto quanto all’hard rock, al pop e alla musica orchestrale. Apre le danze la eccellente With This Heart, una cavalcata epica di melodia della durata di quattro minuti, seguita dal singolo Visibility Zero, un bel brano fedele alla tradizione Kansas e dal testo molto ispirato. Eccellente poi l’ultilizzo del violino da parte di David Ragsdale nell’apertura della delicata The Unsung Heroes, traccia soft decisamente riuscita, con le chitarre hard rock invece in spiccata evidenza nel riff portante della progressiva Rhythm in the Spirit. Vera e propria hit del platter è la acustica Refugee, che rimanda un po’ nella sua idea a quella antichissima Dust In The Wind che fece le fortune del gruppo, ma al suo fianco si schiera anche la lunga e cangiante The Voyage of Eight Eighteen, vero inno dello spirito e del sound unico e personalissimo di questo immenso ensemble statunitense.

Il bel muro sonoro di Camouflage anticipa poi la frizzante e allegra Summer (un’altra potenziale hit di questa produzione), mentre tocca alla pulsante ed avanzante Crowded Isolation (ottima qui la prova di Platt alla voce) e a una pregievole strumentale a titolo Section 60 (dominata dalle parti orchestrali e dedicata ai caduti di guerra americani) il compito di chiudere le danze su questa bellissima e attesissima opera di rock classico. Per gli acquirenti della special edition l’ascolto non finisce però qui, in quanto il gruppo ha voluto registrare due classici della tradizione popolare USA, Home on the Range e Oh Shenandoah, secondo il proprio stile e come bonus track di questo pacchetto. Inutile dirlo, queste due tracce valgono il prezzo maggiorato della speciale release. Tenetene conto.

IN CONCLUSIONE

Si sbagliava chi non riponeva fiducia nella nuova formazione dei Kansas: The Prelude Implicit è un album che non sfigura affatto nella discografia dei nostri. Anzi!

Sedici anni dopo l’ultimo disco, il gruppo americano si affaccia sul mercato moderno con lo stile e la classe che lo contraddistinguono. Bravo il nuovo cantante Ronnie Platt, sempre in forma i vecchi componenti, ispirate le composizioni. Così è difficile rimanere delusi, no?!

Soul Seller – Matter of Faith – recensione

30 Settembre 2016 19 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Rock / Modern Rock
anno: 2016
etichetta: Tanzan Music

Difficile pensare di prendere in mano questo album senza per me lasciarsi travolgere da un misto di emozioni contrastanti. Amo ed ho amato Back to Life, il debutto ufficiale dei Soul Seller. Posso però dire subito che dopo aver ascoltato con la dovuta attenzione questo nuovo Matter of Faith non posso far altro che continuare ad amare questa band.
Sulle prime sapere che molte delle cose che avevo apprezzato in quel debutto non le avrei più ritrovate in questo nuovo Matter Of Faith mi aveva portato a un senso di paura pensando alla strada che poteva aver allora preso la band. Già, perchè i Soul Seller di Back To Life non esistono più, o meglio sono “differenti”, cosa che si è ripercossa sulla formazione, notevolmente rimaneggiata, ma anche sul sound che perde l’impronta classica del rock melodico anni ’80 in favore di una visione più articolata e a tratti matura della band.
Resta salda l’ossatura che vede i fratelli Zublena, Dave alla chitarra e Mirko al basso, come portabandiera del monicker Soul Seller a cui si affianca ancora una volta il talento e l’ottima chitarra di Cris Audisio. Questo è il lascito del passato dei Soul Seller, il resto è un innesto di nuovi elementi che vedono così l’entrata in formazione di Italo Graziana alla batteria, Simone Morandotti alle tastiere e soprattutto Eric Concas alla voce.
Ne esce una band nuova che prende nuove strade anche a livello musicale, slegandosi da stereotipi e seguendo un percorso compositivo più ampio ma per fortuna caratterizzato, se non addirittura ulteriormente marcato, dallo stesso talento di sempre.
Da queste premesse prende quindi il via questo nuovo Matter of Faith…

continua

On-Off – Borderline – Recensione

28 Settembre 2016 0 Commenti Danilo Parodi

genere: Rock&Roll / Hard Rock
anno: 2016
etichetta: Buil2Kill Records

Gli On-Off, band, dai natali nel varesotto, si presentano al pubblico diversi anni fa, ponendosi per anni come tribute band AC/DC, arrivati ormai al terzo album, camminano sempre più con le proprie gambe e dopo un periodo di assestamento, trovano una formazione stabile e un suono sempre più di appartenenza.

Dopo “Ribcrasher” del 2010 e “Don’t Forget the Roll” del 2013, gli On-Off consolidano il rapporto con la Buil2Kill Records, e, dopo essere usciti con il precedente lavoro, con la label stessa, mettono fuori il nuovo “Borderline”.

Matteo “Teo” Vago è il fondatore della band, il portavoce e frontman, uomo tuttofare, che divide i propri compiti, tra chitarra e voce.

Dopo questo riassunto sulla storia della band, veniamo al presente e addentriamoci su questo nuovo “Borderline”, un album a tutti gli effetti da annoverare nel Rock’n’Roll, quello sanguigno, senza troppi orpelli, dalle note dei terribili ragazzacci emerge, la genuinità, la voglia con cui, gli ormai veterani rockers si pongono.
Da una parte l’istintività, dall’altra la tecnica, quella di cui gli On-Off, sono in possesso, a proposito di questo, Teo, spicca, grazie a un duro lavoro, tra riffs efficienti e metriche di voce, che colpiscono dritte al cervello, così come i solos, ricercati e cantabili.

Con le prime due tracce, “All the time in bed with you” e “Crime doesn’t pay”, ci mettiamo a conoscenza della vena più rock della band. Mentre la successiva e title track “Borderline”, ci consegna gli On-Off, in versione più timida e ragionata. La suggestione dura poco, del resto, la band lombarda, in questi anni ci ha abituato al Rock’n’Roll, e questo lo sanno anche loro, con “I’m dead” siamo nuovamente scaraventati, dalla vitalità di riffs schizoidi e quattro/quarti, tanto cari agli AC/DC.
Siamo in sella al nostro custom, certi che sarà difficile, non intonare il chorus “Drums beat riff”.

Tredici canzoni, che non stancano, avvolgenti e trascinanti, ormai, vi ho schiarito le idee.

IN CONCLUSIONE

Avete bisogno di mettere su un disco che vi restituisca l’adrenalina dei bei tempi? State partendo per un viaggio oltreoceano? O la vostra ex vi proponeva melensa musica leggera… “Borderline”, una sola parola in risposta a tutte queste domande.

Con questo nuovo full lenght, gli On-Off, si confermano, un nome da tenere sott’occhio, a conferma che nel nostro bel paese è sempre più vivo un sottobosco Rock e Metal, dove le band sanno cosa vuol dire, sudare in sala prove e provare passione per la musica.

Overland – Contagious – Recensione

27 Settembre 2016 21 Commenti Iacopo Mezzano

genere: AOR / Melodic Rock
anno: 2016
etichetta: Escape Music

Uno dei vocalist più riconoscibili e per questo amati della scena AOR internazionale, il mitico Steve Overland, tornerà nei negozi il 21 ottobre 2016 con Contagious, il suo quarto album solista in uscita per Escape Music.

Due anni dopo lo straordinario Epic, tra i dischi dell’anno nel 2014, il fan del melodic rock più ottantiano potrà così godere di un nuovo tassello importante nella carriera del cantante inglese. Questa volta supportato dal talento chitarristico e compositivo di Tommy Denander, Overland si affida a Lars Chriss per la produzione e il missaggio (il mastering è invece a cura di Mike Lind), ed è questa ahimè l’unica nota dolente per ciò che concerne l’analisi del disco, in quanto la produzione appare deficitaria nei suoni, assai plasticosi e poco dinamici, proprio e soprattutto nella batteria dello stesso Chriss. Un peccato che può essere giudicato veniale per i più, ma che non sfuggirà all’orecchio più minuzioso e attento, e che certamente comprometterà l’ascolto di coloro che sono abituati a ricercare la perfezione sonora nei dischi della loro collezione.

Espresso ciò per dovere oggettivo di recensore, trovo necessario altresì riconoscere la bellezza e la varietà degli undici brani contenuti in questo platter, con una prova canora dello stesso Steve nuovamente sopra le righe, di un altro livello. Le note che pennella la voce dei leggendari FM se le possono davvero permettere in pochi, ve lo assicuro, e una opener eccellente come Doctor My Heart può essere ritrovata solo in un pugno di pubblicazioni presenti sul mercato 2016. Una bomba di feeling e melodie catchy, che apre alla altrettanto efficiente Easy On Me, con quelle sue tastiere di sottofondo che appaiono al 100% ottantiane, d’altri tempi. Molto divertente e riuscita è anche Edge Of The Universe, che pone ancora sugli scudi le tastiere di Mark Stanway e il lavoro chitarristico di un Denander in formissima, fino al ritornello arioso, tutto da cantare, e non è da meno la mid-tempo/ballad Every Lonely Night, un acuto di vocalità magnifiche, delicata e con il cuore in mano, forse una delle tracce più belle del lotto grazie al coro e contro-coro del suo refrain.

Raffinata e calda di emozioni appare poi anche la delicata Wildest Dreams, una traccia dal grande mood e dal bel feeling, con Intoxicated che alza il ritmo e sprigiona una energia rock più decisa, ma non meno musicale, prima che Define Our Love lasci nuovamente spazio al sound da ballad, per un brano bluesy che permette a Overland di sprigionare tutta la raffinatezza del suo timbro. Calda, ritmata e sensuale è Pocketful Of Dreams, mentre Making Miracles ha qualcosa del sound hard rock anni’80 dei mitici Great White, specie nell’approccio della chitarra. Ci si appresta infine a chiudere, ed ecco allora a Back Where I Belong il compito di alzare il tiro su un pezzo settantiano, ma sostenuto, che apre alla finale Unforgiving World, una cavalcata rock melodica ricca di chitarra, tastiere e di un bel groove di basso. Divertente!

IN CONCLUSIONE

Pur non riconfermandosi sui livelli assoluti di Epic, il buon Steve Overland piazza un altro colpo grosso all’interno del mercato discografico, candidandosi per un posto di rilievo anche nelle classifiche di questo 2016.

Ormai il nome Overland è diventato a tutti gli effetti un sinonimo di garanzia, e di musica di classe e di assoluta qualità. Ancora una volta, imperdibile!

Change of Heart – Last Tiger – recensione

22 Settembre 2016 4 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Rock / Hard Rock
anno: 2016
etichetta: Escape Music

Dopo esserceli quasi dimenticati tornano più in forma che mai i Change of Heart del cantante, chitarrista e compositore Alan Clark. Bisogna fare un salto indietro fino al 2005 infatti per ritrovare il monicker Change of Heart stampato su di un album (Truth or Dare).
Più di dieci anni sono passati da allora e la band del nord est dell’Inghilterra nata nell’ormai lontano 1998 torna ora con una formazione rimaneggiata e da alla luce questo Last Tiger prodotto da Paul Hume (Lawless, Lifeline) e scritto tutto praticamente dal suo leader Alan Clark.

continua

Miss Behaviour – Ghost Play – recensione

22 Settembre 2016 11 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Rock
anno: 2016
etichetta: AOR Heaven

Continua la crescita artistica dei Melodic Rocker Miss Behaviour ormai giunti alla soglia importante del quarto album in studio. Parlavo di crescita perchè è proprio quello che ritengo abbiano fatto i nostri, maturando artisticamente disco dopo disco. Partendo dal loro primo album del 2006 Heart of Midwinter, che mostrava un differente vocalist e alcune lacune sia di esecuzione che di songwriting, i Miss Behaviour trovano la loro dimensione con Last Woman Standing del 2011 (qui la recensione) in cui fa l’ingresso in formazione il cantante Sebastian Roos.
Album più maturo rispetto al debutto e che mostra una band giovane e dinamica in grado di migliorarsi e di portare avanti le proprie idee in un ambiente combattivo e inflazionato come quello del melodic rock di matrice Svedese. Il percorso della band continuerà con il seguente Double Agent del 2014 (qui la recensione) che cementifica la buona fama che la band ha saputo acquisire negli anni.
Se Double Agent è stato una conferma, a questo punto diventa quasi lecito aspettarsi da questo nuovo Ghost Play un ulteriore passo in avanti che si dovrebbe tradurre in un centro quasi perfetto da parte della band!

continua

Cruzh – Cruzh – recensione

05 Settembre 2016 12 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Rock
anno: 2016
etichetta: Frontiers Records

Non so se questa recensione vi cambierà la vita… ma di sicuro se avete una figlia in età adolescenziale leggendo queste righe state per scoprire con chi perderà la verginità la sera del ballo della scuola!
Facciamo però un passo indietro e riprendiamo dall’inizio… i Cruzh sono l’ennesimo parto Svedese in ambito Melodic Rock, e ormai si sa, la Svezia quando si parla di musica AOR o Melodic Rock è incinta un giorno si e l’altro anche. Un trio nato come dicevamo in Svezia dalle ceneri dei glam rockers TrashQueen in cui militavano al tempo Anton Joensson (chitarre) e Dennis Butabi Borg (basso).
A loro si aggiunge la bella, pulita e passionale voce di Tony Andersson e così nascono i “Crush” (no, non è un errore di battitura).
Praticamente subito cambiano nome nel più originale Cruzh e iniziano a far circolare un EP (siamo nel 2013) che li porta alla ribalta nella scena dandogli una certa notorietà… cosa che non passa inosservata a mamma Frontiers che prontamente li mette sotto contratto per il rilascio del loro primo full lenght ufficiale!

continua

The Livesays – Hold On… Life Is Calling – Recensione

03 Settembre 2016 0 Commenti Iacopo Mezzano

genere: Pop Rock / Classic Rock
anno: 2016
etichetta: Echo XS

Il cantante, compositore, chitarrista Billy Livesay (conosciuto per il suo lavoro con il sassofonista di Bruce Sprignsteen, il compianto Clarence Clemons) e la sua band The Livesays pubblicheranno il 3 ottobre il loro nuovo album Hold On… Life Is Calling per la label Echo XS.

Nonostante una copertina abbastanza rudimentale e il supporto di una label tutt’altro che conosciuta, è piacevole constatare come questo lavoro del gruppo suoni davvero bene e sia supportato da un lavoro in studio di prim’ordine, che porta a suoni molto ben registrati e arrangiati. L’ascoltatore può così immergersi in un ascolto di indubbia qualità, per un pop rock melodico dalle radici classiche e dalle sfumature (qua e là) bluesy che sa colpire nel segno con la sua musicalità e i suoi ottimi ritornelli. Impressiona a riguardo la prova tecnica dei musicisti, tutti turnisti o strumentisti molto affermati nella scena Floridiana, con particolare menzione per il groove del bassista Jorge Laplume e il drumming eccellente di Eddie Zyne, supportati dallo stile old-school del tappeto sonoro dell’hammond di Victor “Cuqui” Berrios.
Protagonista assoluto dell’opera è però lo stesso Livesay, autore di un cantato molto espressivo, con quella sua voce melodica che sa di vissuto e che ben si sposa con la sua chitarra corposa nel riffing, e vera leader della basi musicali con il suo suono maturo e i suoi succulenti effetti. Strano davvero che un musicista di questa portata abbia fatto una carriera di secondo piano.

Hold On… Life Is Calling è così un album che vive di emozioni, merito di un songwriting vario ed espressivo, davvero solido ed ispirato. In definitiva, si parte con l’ottima opener I’m Coming Home, che strizza l’occhio all’energia rock della Little River Band, e si arriva alla conclusiva e springsteeniana Turn It Around senza essersi praticamente resi conto del tempo trascorso. Questo in virtù della totale assenza di un filler che sia uno, fatto che permette di vivere un ascolto sempre di alto livello, che non ci si stanca di rifare anche in modo ripetuto.
A riguardo, eccellenti si mostrano tracce come la commerciale Pop Star, le melodiche No Promises e Call On Me, il folk americano di This Side Of Town, e ancora il rock più deciso di Why You Want To Keep On Lovin’ Me e Pick Yourself Up, con la ballad rock It’s What I Have To Do che chiude il cerchio su un platter capace di avere un senso logico anche cambiando, brano dopo brano, le sue sonorità, finendo per toccare i più molteplici generi del rock.

IN CONCLUSIONE

Voglio ripetere quanto accennato in precedenza: non commettete l’errore madornale di andare oltre a questa release solo perchè non ne conoscete gli interpreti. Date una chance di ascolto ai The Livesays, e vi giuro che non ne rimarrete delusi!

Hold On… Life Is Calling è uno dei dischi caldi di questo 2016. Non mi stupirei se facesse capolino in più di una classifica di fine anno, specie in quelle degli amanti del rock classico farcito di melodie ariose, emozioni e testi ispirati.