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16 Aprile 2018 0 Commenti Iacopo Mezzano
Dopo diversi anni di assenza, venerdì 13 aprile 2018 i leggendari Magnum hanno fatto il loro ritorno sul territorio italiano con una data unica Nazionale al Legend Club di Milano, locale per l’occasione gremito di gente venuta un po’ da tutte le parti d’Italia, e non solo (ben oltre i 250 gli spettatori totali paganti).
In Tour per pubblicizzare il loro ultimo album Lost on the Road to Eternity uscito a gennaio, i Magnum incentrano su questo disco gran parte della loro scaletta, suonando ben quattro pezzi nuovi sui quindici brani totali presenti in setlist. Il gruppo, venuto in Italia privo di supporter, inizia il suo spettacolo puntuale alle 21 e per un’ora e mezza abbondante delizia la platea italiana con una delle migliori esibizioni mai viste nel locale milanese, specie per i suoni, davvero perfettamente tarati. Bob Catley, dall’alto dei suoi 71 anni di età, non ha perso una virgola del suo carisma e della sua padronanza assoluta del palco e, nonostante la sua voce non sia più potente e precisa come un tempo, il suoc antato rimane tecnicamente di indubbia qualità, in palla dall’inizio alla conclusione dello show. Al suo fianco il fedele Tony Clarkin appare anche lui in grande spolvero, con la sua chitarra a lungo protagonista delle bellissime trame melodiche dei pezzi proposti e la sua perizia esecutiva a mostrarsi in ogni assolo o passaggio di fino. E’ bravissimo e molto presente sul palco anche il bassista Al Barrow, che ha alle spalle l’altrettanto bravo Rick Benton alle tastiere (degno sostituto del dimissionario Mark Stanway) e il precisissimo batterista Lee Morris, ultimo innesto di una formazione dimostratasi davvero coesa e di alto spessore tecnico non solo su disco ma anche dal vivo.
Al via con la bella When We Were Younger (tratta dal disco Princess Alice and the Broken Arrow), il concerto si concentra inizialmente sui pezzi recenti del gruppo. Ecco allora suonate in rapida sequenza le tracce Sacred Blood “Divine” Lies, Lost on the Road to Eternity, Crazy Old Mothers, Without Love, Your Dreams Won’t Die e Peaches and Cream, tutte estratte dagli ultimi due (bei) dischi della band e perfettamente riproposte dal vivo dalla formazione che, per i suoi quattro quinti, le ha composte. Anche per questo, si mettono qui in particolare luce proprio i nuovi componenti Al Barrow, Lee Morris e Rick Benton, davvero sciolti e particolarmente partecipi alla esecuzione di questi brani, tra cori, ottimi passaggi melodici, e tanta – tantissima – energia sprigionata dalle casse acustiche del palco.
Con la seconda metà dello show si entra però nel territorio storico dei Magnum e il valore dello spettacolo non può che avere una netta impennata. How Far Jerusalem e Les Morts Dansant, suonate una dietro l’altra, mandano in estasi il pubblico, mentre Bob Catley e Tony Clarkin ricostruiscono nota dopo nota i mattoni che hanno portato al successo internazionale questo gruppo inglese. L’esecuzione di Show Me Your Hands è ancora da brividi, al pari di quella di All England’s Eyes e Vigilante, con la sensazionale Don’t Wake the Lion (Too Old to Die Young) (che atmosfera, che tensione esecutiva!) a chiudere lo spettacolo prima del duplice bis. Le tracce scelte per la chiusura? La magica The Spirit e When the World Comes Down, commiato da lacrime per un concerto di altissmo spessore, che difficilmente verrà dimenticato dai suoi spettatori.
Questa titanica band ci saluta, sul palco e nel backstage, con la promessa di tornare presto nel nostro Paese, questa volta con due date. Noi ci fidiamo, e già iniziamo il countdown prima dell’ufficialità di questo annuncio. Perchè di concerti così, beh, ne avremmo bisogno ogni anno qui in Italia!
Setlist:
When We Were Younger
Sacred Blood “Divine” Lies
Lost on the Road to Eternity
Crazy Old Mothers
Without Love
Your Dreams Won’t Die
Peaches and Cream
How Far Jerusalem
Les Morts Dansant
Show Me Your Hands
All England’s Eyes
Vigilante
Don’t Wake the Lion (Too Old to Die Young)
The Spirit
When the World Comes Down
29 Marzo 2018 15 Commenti Denis Abello
testo a cura di Denis Abello
fotografie a cura di Barbara Fusari (http://www.barbarafusari.com/)
Non è così difficile trovare le parole per descrivere cos’è stata la serata del 24 Febbraio del 2018 in quel di Rovellasca (CO) nell’ottima location del Dedolor Music Headquarters… perchè semplicemente è stata una “Scommessa Vinta” ed un bel Successo!
A Melodic Rock Night 2 infatti è stato un bel successo che, oltre le più rosee aspettative, ha bissato quanto già di buono si era visto con la prima edizione. Diciamocelo, siamo stati bravi! 😉
Serata organizzata da noi di MelodicRock.it in collaborazione con due giovanissime realtà italiane, Burning Minds Music Group (che riunisce le etichette Street Symphonies, Art of Melody Music, Logic IlLogic e Snakeout Records) e RockTemple.it (il primo mailorder italiano dedicato al rock a 360°). Oltre a questi due partner di eccellenza che ci hanno permesso di mettere in piedi la serata un grande ringraziamento va all’Artista Italiano Pierpaolo “Zorro” Monti (Shining Line, Charming Grace, Raintimes, Room Experience, Lionville) per averci supportato in prima persona per l’organizzazione e la logistica di tutto l’evento… impareggiabile e unico come sempre! Senza il suo apporto nulla sarebbe stato possibile!
Avverto già che, essendo particolarmente (e personalmente) coinvolto in questo Evento, non me la sento e non avrebbe senso propinarvi un classico “live report”… sappiate solo che ad ognuna delle persone che si sono presentate alle porte del Dedolor, e anche a chi avrebbe voluto ma non ha potuto, vanno i miei più sinceri ringraziamenti. Ringraziamenti che devo girare inoltre a tutte le persone che in un modo o nell’altro si sono prodigate per la riuscita di questa “scommessa”.
Già, perchè di una scommessa si è trattata… portare su un palco Italiano un evento che vedeva in primissimo piano praticamente solo band Italiane (a parte Michael Kratz… che però a fine serata era più Italiano di noi! 😀 ) che andavano dall’AOR/Westcoast al Melodic / Hard Rock poteva essere un bell’azzardo… ma grazie al supporto di tante persone è stata una scommessa assolutamente vinta!
I ricordi personali che ho sono quindi quelli di una gran bella serata di Festa… di una marea di amici da salutare ed abbracciare… di una “scommessa nella scommessa” con una prima parte acustica (idea del Mitico Zorro!) con tre band (Soul Seller, Wheels OF Fire e Hungryheart) che hanno letteralmente incantato… il tocco internazionale dato da un gentilissimo e bravissimo Michael Kratz (grazie alla Burning Minds che ci ha permesso di averlo con noi), supportato da un chitarrista (ma anche produttore, batterista ecc. ecc.) monumentale come Kasper Viinberg e da una delle nostre eccellenze italiane come i Mindfeels (che hanno anche presentato alcuni loro brani)… la chiusura a base di adrenalinica energia di una band eccezionale come i Danger Zone… e poi ancora gli Artisti giù dal palco (e questa è una cosa che mi riempie sempre il cuore) a supportare l’evento (Airbound, Gianluca Firmo, Stefano Viana, State of Grace, Joe Sixx dei Motley Gang… e la sempre splendida “Artista degli Artwork” Antonella “Aeglos Art” Astori)… in ultimo il ricordo del piacere personale (e nuovamente ti devo un favore) nel vedere la sempre splendida La Mary Ferranti di SpazioRock.it presente alla serata anche senza accredito (volutamente non abbiamo dato nessun accredito… e anche noi organizzatori abbiamo pagato il biglietto… 😀 )…
Non mi dilungo oltre e vi lascio ai favolosi scatti realizzati dalla talentuosa Barbara Fusari che per l’occasione è stata la nostra fotografa “scheggia impazzita” ufficiale della serata (nel senso che l’ho vista arrampicarsi ovunque pur di fare “il giusto scatto”… professionalità “no limits”… 😉 )…
… e se vi siete persi questa strepitosa edizione… beh, speriamo di vedervi alla prossima!
FOTO REPORT (a cura di Barbara Fusari – http://www.barbarafusari.com/)
SOUL SELLER
(Eric Concas – voce, Dave Zublena – chitarra ritmica e cori, Cris Audisio – chitarra e cori, Andrea Costamagna – basso, Italo Graziana – batteria e cori, Simone Morandotti- tastiere)
website – facebook
WHEELS OF FIRE
(Davide “Dave Rox” Barbieri – voce, Stefano Zeni – chitarra ritmica e principale, Marcello Suzzani – basso, Fabrizio Uccellini – batteria, Andrea Vergori – tastiere)
website – facebook
HUNGRYHEART
(Josh Zighetti – voce, Mario Percudani – chitarre, Stefano “Skool” Scola – basso, Paolo Botteschi – batteria)
website – facebook
MICHAEL KRATZ feat. MINDFEELS
(Michael Kratz – voce, Kasper Viinberg – chitarra, Davide Gilardino – voce e cori, Luca Carlomagno – chitarra, Roberto Barazzotto – basso, Italo Graziana – batteria e cori)
Michael Kratz: website – facebook / Mindfeels: website – facebook
DANGER ZONE
(Roberto Priori – chitarra, Giacomo Gigantelli – voce, Paolo Palmieri – batteria, Matteo Minghetti – basso, Danilo Faggiolino – chitarra, Pier Mazzini – tastiere)
website – facebook
Potete vedere anche il foto report della serata sulla Pagina Facebook ufficiale di MelodicRock.it andando a questo link:
https://www.facebook.com/pg/Melodicrock.it/photos/?tab=album&album_id=1794413313952683
29 Dicembre 2017 0 Commenti Denis Abello
I Soul Seller sul palco ormai lo sappiamo, sono una garanzia… per i Mindfeels il discorso è invece ben diverso, mai visti su un palco, ma con un album “stuzzicante” fresco fresco di pubblicazione (e di recensione, la trovate qui)… mettiamoci anche insieme il fatto di “sole” due orette di viaggio (il fatto di vivere “dove osano le aquile“, ovvero Cuneo, ha i suoi aspetti positivi, ma anche qualcuno negativo 😀 ) per arrivare in quel di Vigliano Biellese (al Ned Kelly Australian Pub)… e quindi va da se come la seratona era per noi di MelodicRock.it praticamente impossibile da perdere…
… e infatti noi ci siamo! Seconda volta al Ned Kelly, sempre bello il locale, una sorta di pub con un buon palco defilato in un lato. Non è un vero “live club” ma l’acustica è buona, il locale è bello, il fatto che sia un pub fa si che le donzelle non manchino (ma io sono sposato e non le guardo) e qui i Soul Seller sono di casa e sono amati dalla gente e si vede! 😉
26 Novembre 2017 0 Commenti Iacopo Mezzano
Il 22 novembre 2017, dopo tre anni di assenza dalla nostra Nazione, la cantautrice canadese Billy ‘The Kid’ Pettinger è ritornata in Italia per due date acustiche, di cui una al Blue Rose Club di Bresso (MI).
Prima di iniziare il racconto dell’evento svoltosi al Blue Rose Club di Bresso (MI), e che ha avuto come supporto due valide realtà musicali italiane come quella dei Menagramo e di Hellspite, un breve aggiornamento sulla carriera di Billy. Ricorderete come, ai tempi della nostra intervista (giugno 2016, https://www.melodicrock.it/2016/06/billy-pettinger-billy-the-kid-intervista/), questa ragazza fosse in procinto di ricominciare da zero la sua vita, artistica e non, dopo un periodo davvero difficile.
Bene, oggi Billy mi ha raccontato di come piano piano le cose si stiano anche per lei finalmente aggiustando. Ora ha un lavoro fisso come insegnante di musica per bambini in una scuola privata, con sessanta e più ragazzi che le stanno regalando tantissime soddisfazioni e tante gioie. Ha un cane, il simpaticcissimo Pizza, che le regala tanto amore e affetto, e la sua immancabile compagnia. Ma soprattutto ha dei fans calorosissimi che l’hanno aiutata nei momenti più bui, permettendole anche di realizzare – attraverso una campagna di raccolta fondi – uno studio di registrazione domestico.
Insomma, ho avuto il piacere e il sollievo di conoscere una donna forte e combattiva, ma soprattutto finalmente serena. Il che è la più grande rassicurazione che ogni suo supporter possa avere.
Quindi, bando alle ciance, e largo ora alla musica..
continua
18 Novembre 2017 3 Commenti Iacopo Mezzano
Sono state ben sei le date che l’artista canadese Bryan Adams ha regalato all’Italia all’interno del suo lungo tour 2017, il Get Up Tour, intrapreso a supporto del suo ultimo album Get Up.
Padova, Milano, Torino, Roma, Rimini e infine Bolzano sono state le fortunate città ospiti di una serie di concerti meravigliosi e unici (secondo lo stile di unicità che solo le leggende della nostra musica sanno regalare) che sono stati raccontati con parole entusiastiche, foto e video da migliaia di fans tricolori su social, forum e sui più disparati siti.
Noi di MelodicRock.it eravamo presenti alla data numero uno del mini-tour italiano, quella di Padova, seduti sugli spalti della piccola ma accogliente Kioene Arena. E dobbiamo assolutamente confermare tutto il vostro entusiasmo: Bryan Adams rimane uno dei numeri uno assoluti della musica rock melodica. Il suo show è stato perfetto sotto ogni aspetto: emozionante, carico di energie positive e adrenalina, corale nel rapporto con il pubblico, vissuto e vivibile per tutti, fossero anziani, grandi, giovani, o piccini.
Del frontman canadese e di tutti i suoi musicisti invecchia solo l’età anagrafica, perchè l’intero spettacolo è stato all’insegna dell’18 til I die più assoluto, e dell’eterna giovinezza che solo le rockstar (quelle che però che sono state in grado di seguire una vita abbastanza regolare nonostante gli anni e anni di tour estenuanti) sanno rappresentare. Keith Scott, che lo accompagna da sempre alla chitarra solista e ai cori, è protagonista assoluto della sezione strumentale. E’ lui che corre con Bryan da una parte all’altra del palco, è lui che strappa applausi su applausi, è lui che ci fa piangere tutti quando tira fuori un assolo impossibile ed emozionantissimo su Heaven. Brividi.
Alle sue spalle, l’inossidabile Mickey Curry alla batteria ci insegna ancora come si fa ad essere considerati maestri delle pelli senza perdersi in frivolezze o gettarsi in assoli o robe pirotecniche. Lui è precisissimo, potente quando serve, lineare, la seconda solida spalla che ha permesso a Bryan Adams di diventare quello che è.
Infine, impossibile parlare male dei due nuovi Gary Breit alle tastiere e Norm Fisher al basso, entrambi presenti in formazione dal 2002 e divenuti anche loro solide radici di cotanta magnificenza sonora. Sono musicisti di alto (e altro) livello. Fuoriclasse.
E va beh, i brani e la scaletta. Tutto perfetto. Si mischiano alla perfezione pezzi nuovi e grandi classici, momenti di smisurata energia rock, e altri di soffusa delicatezza romantica. Il palco è apparentemente povero, spoglio fatta eccezione per un immenso megaschermo alle spalle del gruppo. Ma ehi, quando è la musica a farla da padrone pensate davvero che servano imponenti giochi di luce o fuochi d’artificio?! Assolutamente no, e la felicità di un pubblico mai così canterino e vivace è la perfetta cornice che un concerto come questo deve avere. E stop.
Do What Ya Gotta Do e Can’t Stop This Thing We Started aprono lo spettacolo assieme a Don’t Even Try, permettendo alla band e alla gente di scaldarsi prima della botta micidiale del classicone Run to You. Seguono Go Down Rockin’ e una Heaven cantata da tutti fino alle lacrime. Non si contano più i siparietti di Bryan con il pubblico, mentre si susseguono on stage nell’ordine canzoni come This Time, It’s Only Love, Please Stay, Cloud #9 e You Belong to Me, fino a Summer of ’69 che di nuovo scatena il putiferio di voci tra la platea.
Poi, il canadese imbraccia la chitarra acustica e ci regala nuove lacrime con Here I Am e When You’re Gone, intelligentemente seguite da l’inno d’amore (Everything I Do) I Do It for You, accolto da un nuovo immenso boato. Ottime sono ancora le esecuzioni di Back to You, Somebody, Have You Ever Really Loved a Woman? e Please Forgive Me, quest’ultima richiestissima da una certa Isabella presente tra la folla con addirittura 14 e-mail mandate all’artista nell ultime 24 precedenti lo show (siparietto di realtà, o di finzione? Non importa, ci ha fatto ridere un sacco!). E allora via, verso il finale, sulle note di The Only Thing That Looks Good on Me Is You, Cuts Like a Knife e della bombastica 18 til I Die, prima che I’m Ready e Brand New Day chiudano (per finta) lo show.
Già, perchè Bryan torna on stage per regalarci altre due canzoni con la band, Ultimate Love e C’mon Everybody (cover di Eddie Cochran), e altre tre da solo, lui e la sua chitarra acustica. Straight From The Heart, una rispolverata Heat of the Night (magnifica) e All for Love fanno così esplodere l’ultimo boato, prima che i selfie del musicista con la folla facciano calare il definitivo sipario sul bellissimo show padovano di questo intramontabile performer. Quasi trenta brani suonati a quasi sessant’anni di età. E non sentirli! Magia..
Setlist:
Do What Ya Gotta Do
Can’t Stop This Thing We Started
Don’t Even Try
Run to You
Go Down Rockin’
Heaven
This Time
It’s Only Love
Please Stay
Cloud #9
You Belong to Me
Summer of ’69
Here I Am (acustica)
When You’re Gone (acustica)
(Everything I Do) I Do It for You
Back to You
Somebody
Have You Ever Really Loved a Woman?
Please Forgive Me
The Only Thing That Looks Good on Me Is You
Cuts Like a Knife
18 til I Die
I’m Ready
Brand New Day
Ultimate Love
C’mon Everybody (Eddie Cochran cover)
Straight From The Heart (acustica)
Heat of the Night (acustica)
All for Love (Bryan Adams, Rod Stewart & Sting cover, acustica)
12 Novembre 2017 0 Commenti Iacopo Mezzano
In attesa dell’uscita di Re-Idolized (The Soundtrack To The Crimson Idol) – la ri-registrazione integrale del capolavoro discografico hard ‘n’ heavy The Crimson Idol, inizialmente prevista per settembre 2017, ma posticipata al febbraio 2018 su Napalm Records, e comprendente l’inedito film relativo al concept -, gli W.A.S.P. del leggendario frontman Blackie Lawless si sono imbarcati in un tour mondiale, il Re-Idolized – The Crimson Idol 25th Anniversary World Tour, che festeggia i 25 anni dall’uscita del platter con la sua riproposizione integrale dal vivo, più l’esecuzione di alcuni classici della loro carriera.
Delle due tappe in programma in Italia, qui il report della seconda, quella fissata al Live Club di Trezzo Sull’Adda in data 9 novembre. Special guest per l’evento, gli italianissimi Rain.
RAIN
Vista l’improvvisa defezione dei Beast In Black, tocca ai soli Rain intrattenere il pubblico lungo le restanti date della band americana. Il gruppo, fondato a Bologna originariamente nel lontano 1980, è arrivato fino ai giorni nostri e, seppur attraverso continui cambi di formazione, è riuscito a prodursi in una carriera di tutto rispetto, coronata da ben otto album in studio.
La formazione si compone oggi del bravo Maurizio “Evil Mala” Malaguti alla voce, supportato dallo storico Alessio “Amos” Amorati (l’unico componente presente dal 1998) e da Freddy “V” Veratti alle chitarre, da Gabriele “King” Ravaglia al basso, e da Andrew Gunner alla batteria. Lo show è tirato, potente, piacevole nonostante i suoni non all’altezza per due quarti di concerto (per un certo periodo si faticava a sentire la voce e c’era in generale poca amalgama nei suoni dei diversi strumenti). La band è coesa, in forma, tecnicamente valida e capace di stare sul palco anche grazie alla mosse dello scattante frontman. L’heavy/power dei nostri scalda così la platea, regalando momenti da headbanging, e caricando le giuste energie in vista del main event. Insomma, missione compiuta!
W.A.S.P.
Gli ormai fedelissimi Mike Duda (basso) e Doug Blair (chitarra) accompagnano, assieme al neo entrato e bravissimo Aquiles Priester (battiera, ex-Angra, ex-Primal Fear, ex-Paul Di’Anno), il leggendario Blackie Lawless nella sua emotivamente sofferta riproposizione live della vicenda di Jonathan, l’eroe-martire del rock narrato nel capolavoro discografico The Crimson Idol. Con un palco piuttosto buio e scarno, fatta eccezione per i tre schermi che trasmettono a tempo con la musica l’anteprima della versione integrale della pellicola che sarà il fiore all’occhiello della prossima riedizione del disco, gli W.A.S.P. si concentrano ben più sulla resa sonora che sull’impatto visivo. Nasce così uno show tecnicamente perfetto, dominato dall’intenso cantato di un Blackie che appare in splendida forma vocale (l’uso di qualche base alla sua età direi che è più che consentito) e totalmente parte della narrazione. Il leader del gruppo cerca infatti più e più volte il contatto visivo con le prime file, spiengendo la gente a cantare con lui le parti più intense e drammatiche della storia, e voltandosi sovente verso gli schermi a osservare le immagini del film che intervallano le diverse canzoni, quasi traesse da esse e dal volto di Jonathan l’energia e la forza per affrontare i passaggi più cupi del concept. Alla sua destra Mike Duda propone un elegante lavoro di groove attraverso le corde tese del suo basso, mentre alla sinistra Doug Blair si getta a capofitto in parti di chitarra e assoli magnifici, grintosi, entrando anche lui al 100% nella parte. Alle spalle, il nuovo componente del gruppo dona adesso maggiore vigore al drumming rispetto allo stile originale, sfruttando al meglio il suo background di batterista heavy/power metal.
La folla impazzisce lettalmente allo sbocciare delle note di The Titanic Overture, ma con l’avanzare della canzone acquista mano a mano una particolare compostezza, atipica per un concerto di questo tipo, che è dettata dalla intensa resa emotiva che la visione delle immagini sugli schermi riesce a dare. The Invisible Boy, Arena of Pleasure e Chainsaw Charlie (Murders in the New Morgue) riescono a far muovere qualche headbanging, ma l’ingresso di The Gypsy Meets the Boy con le sue evocative liriche riporta nuova quiete, e maggiori cori da parte dei presenti all’interno di un ormai gremito Live Club. Doctor Rockter e I Am One appaiono allora come gli ultimi momenti di euforia, visto che con il trio finale The Idol – Hold on to My Heart – The Great Misconceptions of Me ci sarà spazio solo per i canti e per la – reale – commozione di fronte al declino del protagonista, salutato dal pubblico con un lunghissimo applauso finale, quasi ci trovassimo di fronte a un individuo realmente esistito, e adesso venuto a mancare. Blackie lascia qui il palco in silenzio, chinando il capo tre volte verso la platea, ringraziandola per la sua partecipazione.
Qualche minuto e, con tutt’altro spirito, gli W.A.S.P. fanno il loro ritorno sul palco per regalare ai fans quattro hit del loro passato. L’immancabile L.O.V.E. Machine fa scatenare, ora davvero, il caos generale, e la gente spinge, scalpita, salta e si muove al ritmo forsennato di questa canzone. Segue un altrettanto gloriosa Wild Child, mentre Golgotha (tratta dall’ultimo omonimo album in studio della band) permette al leader del gruppo di affrontare con grinta il tema religioso a lui caro, parlando della passione di un Cristo che nel recente Lawless ha ritrovato e abbracciato nel suo cammino di vita. Infine la super hit I Wanna Be Somebody fa da chiusura di spettacolo, con la band che lascia Trezzo tra i lunghissimi e meritati applausi di una folla convinta a pieno dallo show a cui ha preso parte, in una serata che per i più (me compreso) sarà indimenticabile..
Setlist:
The Crimson Idol:
The Titanic Overture
The Invisible Boy
Arena of Pleasure
Chainsaw Charlie (Murders in the New Morgue)
The Gypsy Meets the Boy
Doctor Rockter
I Am One
The Idol
Hold on to My Heart
The Great Misconceptions of Me
Encore:
L.O.V.E. Machine
Wild Child
Golgotha
I Wanna Be Somebody
12 Novembre 2017 5 Commenti Iacopo Mezzano
Sono tre le date italiane che gli inglesi The Darkness hanno riservato all’Italia all’interno del tour a supporto del loro ultimo disco Pinewood Smile, uscito ormai qualche settimana fa.
La prima di queste si è tenuta l’8 novembre all’Alcatraz di Milano, in un locale veramente gremito di fans calorosi (tanti i giovani e i giovanissimi!) pronti a cantare a squarciagola i più grandi successi dei loro beniamini.
A supporto del gruppo di cartellone, gli americani Blackfoot Gypsies, venuti apposta da Nashville, nel Tennessee, per incontrare per la prima volta i fans italiani.
BLACKFOOT GYPSIES
Autori di un set un po’ più lungo del previsto a causa di qualche ritardo della band headliner, i Blackfoot Gypsies riescono ad infiammare la platea grazie al loro particolarissimo sound hard rock a stelle e strisce, fortemente influenzato dal country, dal southern rock, dal blues e dal folk USA anni’60/’70s.
Divertentissimi e fortemente coesi come band, i quattro si fanno guidare dal carisma e dalla simpatia del frontman e chitarrista Matthew Paige, la cui timbrica acuta tende a ricordare un po’ a quella di un certo Tommy Shaw degli Styx. Al suo fianco, fondamentale con i suoi cori, il bassista Dylan Whitlow e il preciso e potente batterista Zack Murphy, ma soprattutto il (geniale) armonicista di colore Ollie Dogg, vero fautore del peculiare sound di questo gruppo, e autore di alcuni assoli di armonica davvero di alto profilo.
L’impressione finale è che questo giovane gruppo abbia stoffa da vendere, e che la scelta di accompagnare i The Darkness in tour sia stata fortemente azzeccata, basti vedere l’enorme applauso che il pubblico italiano gli riserva a fine show, e i tanti, tantissimi selfie scattati e dischi venduti nell’area merchandising. Non mi stupirei di rivederli presto alle nostre latitudini.
THE DARKNESS
Alla fine praticamente puntuali, i The Darkness salgono sul palco milanese accompagnati dalle note della intro Arrival. Il boato è assordante, e si amplifica ancora non appena – nell’ordine – il nuovo (fenomenale) batterista e figlio d’arte Rufus Taylor, il simpatico bassista Frankie Poullain, il chitarrista Daniel Hawkins e infine il coloratissimo frontman Justin Hawkins irrompono uno dopo l’altro on stage. L’apertura di set è affidata alla rocciosa Open Fire, che scalda a puntino le ugole della gente prima dell’attacco di una Love Is Only a Feeling che per prima fa esplodere l’Alcatraz di energia. La serata è una di quelle buone, e la band si dimostra davvero in formissima, tanto che alla terza canzone – Southern Trains – Justin avrà già raccolto almeno cinque o sei reggiseni lanciati sul palco dalle fans estasiate. Da ora in avanti il frontman – permettetemi di dirlo, piaccia o non piaccia la sua ugola, è tra i più carismatici in circolazione – inizierà a giocare con la platea, tra pose bizzarre, smorfie facciali, incitamenti vari e accenni improvvisati a canzoni dei Queen e dei Van Halen che regalano ben più che un sorriso ai supporter.
Se il classicone Black Shuck viene poi accolto con totale euforia, anche la nuova Buccaneers of Hispaniola non manca di risultare efficace suonata in sede live. One Way Ticket e Givin’ Up, una dietro l’altra, fanno esplodere ancora una volta i fans, prima delle più recenti All the Pretty Girls e Barbarian, ben interpretate dal gruppo. Il sempreverde Justin (non invecchia mai!) siede poi alla tastiera per interpretare in stile Freddie Mercury Friday Night prima e English Country Garden poi, a cui seguono la nuova Happiness (sensazionale dal vivo), l’ancora recente Every Inch of You
Makin’ Out, e il secondo singolo tratto dal nuovo disco Solid Gold.
Per il finale ritornano i classici, ed ecco allora Get Your Hands Off My Woman e Growing on Me, dopo le quali la band saluta e lascia per finta il palco. Il bis è a sorpresa affidato prima alla bella Japanese Prisoner of Love, dopo la quale Justin ringrazia il sempre fedele pubblico italiano (ci siamo visti diverse volte, questa serata credevo sarebbe stata la peggiore di sempre a causa di alcuni problemi che abbiamo avuto. Invece, si è rivelata la più bella e folle di tutte, e di questo vi ringrazio di cuore, sono state all’incirca le sue parole) per attaccare con la definitiva I Believe in a Thing Called Love, conclusasi con la totale standing ovation del pubblico di frone a una esisizione da lode di questa – decisamente maturata e migliorata – band inglese.
Setlist:
Open Fire
Love Is Only a Feeling
Southern Trains
Black Shuck
Buccaneers of Hispaniola
One Way Ticket
Givin’ Up
All the Pretty Girls
Barbarian
Friday Night
English Country Garden
Happiness
Every Inch of You
Makin’ Out
Solid Gold
Get Your Hands Off My Woman
Growing on Me
Encore:
Japanese Prisoner of Love
I Believe in a Thing Called Love
06 Novembre 2017 34 Commenti Iacopo Mezzano
Domenica 5 novembre 2017: fuori tuona e c’è il diluvio, dentro al Legend Club di Milano c’è la musica, e quindi il sole.
Eh sì, perchè il ritorno in Italia degli amastissimi H.e.a.t coincide, ahimè, con una giornata milanese a dir poco invernale e piovosa, la quale però non spegne minimamente il grande entusiasmo della gente, accorsa in gran numero fin dal primo pomeriggio per far festa e supportare i propri beniamini svedesi, accompagnati in tour per l’occasione dai colleghi Degreed e Black Diamonds.
Ha avuto così luogo una serata decisamente convincente e coinvolgente, una vera night to remember per chi nel rock cerca tanta melodia, tanta energia, e perchè no, anche una bella dose di sfrontatezza giovanile. Ma soprattutto, finalmente eravamo in tanti. E sì, ci siamo divertiti, sì, ci siamo ritrovati, ma ancor più sì, abbiamo finalmente visto anche qualche faccia nuova tra le tante già viste! E con loro, i visi di diversi giovanissimi!
Insomma, credo che questa serata sia andata oltre le aspettative, e che la musica e il divertimento siano stati il re e la regina di questo evento. Tanto che non credo di offendere nessuno se dico che con questa data degli H.e.a.t ci siamo trovati al cospetto di uno dei migliori concerti visti in Italia in questo 2017. Liberi di smentirmi eh, ma ci siamo divertiti davvero un mondo ieri sera!!
continua
29 Settembre 2017 2 Commenti Denis Abello
Tanta buona musica che tocca tutti i generi del Rock, un sacco di amici su e giù dal palco e quel senso di appartenenza ad una famiglia speciale che in queste situazioni riesce sempre a riempire il cuore… questo in definitiva il resoconto di quella che speriamo sia solo la prima di tante edizioni del Tanzan Music Festival, evento che si è tenuto in una delle serate della ormai consueta rassegna Rock in Park al Legend Club di Milano!
Diciassette settembre duemiladiciassette, quattro band sul palco; Six Impossible Things (Alternative, Acoustic, Emo), Soul Seller (Melodic / Modern Rock), HungryHeart (Hard Rock), Smokey Fingers (Southern Rock) che danno un’idea di quanto la piccola etichetta italiana Tanzan sia riuscita a seminare (e raccogliere) bene in questi anni di attività. Quattro realtà tutte “nostrane” che questa sera sapranno mettere in mostra i muscoli e far vedere come la musica possa andare oltre i “generi” e le “etichette” a tutto vantaggio di quella che a conti fatti sarà una serata in grado, oltre che di omaggiare la Tanzan, di dare uno spaccato a 360° delle “potenzialità Rock” che l’Italia può mettere in campo!
Prima di partire con un resoconto dettagliato delle singole esibizioni è doveroso fare un plauso al pubblico, che oltre a dimostrarsi sempre più unito, questa sera pur con complici negativi il fatto di essere una domenica ed un acquazzone dell’ultimo minuto, si dimostra già dalla salita sul palco dei giovani Six Impossible Things numeroso e partecipe! Merito questo anche di uno “zoccolo duro” di fans che ha saputo crearsi e rafforzarsi nel tempo e che rende ogni evento di questo tipo un incontro “di famiglia”.
Denis Abello
19 Settembre 2017 0 Commenti Denis Abello
Si si, lo so lo so… arrivo un po’ in ritardo con questo report! Però in fondo parliamo di una band, i Bad Bones, che ha raggiunto la ragguardevole cifra di 10 anni di carriera, e non è poco per un gruppo dedito all’Hard Rock nato in provincia di Cuneo (dove se dici che ascolti hard rock la maggior parte delle gente pensa che sei strano perchè fai lo psicologo delle pietre d’alta montagna)… e quindi che vuoi che sia per loro aspettare un report qualche giorno (mese?) in più! 😀
Diciamolo subito, ci sono Grandi concerti, quelli che riempiono gli stadi e fanno cantare tutti uniti sotto uno stesso cielo lasciandoti quel senso di “evento storico” sotto pelle… e poi ci sono i concerti Grandi, quelli che anche con molte meno persone sotto al palco ti lasciano comunque la consapevolezza di star vivendo un piccolo pezzo di storia.
Nel caso specifico siamo nella seconda opzione e stiamo per andarvi a parlare di un piccolo pezzo di storia dell’Hard Rock Melodico che per una volta tanto ferma le lancette del tempo in quel di Cuneo… a 10 minuti da casa mia… le mie preghiere al Dio del Rock (Ronnie James) han finalmente avuto effetto!