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23 Novembre 2021 4 Commenti Denis Abello
MelodicRock.it ringrazia il Fotogiornalista Andrea Forlani che ha curato l’intervista che potete leggere di seguito!
Date un’occhiata al suo sito http://www.andreaforlani.com e seguitelo sulla sulla splendida pagina Instagram: https://www.instagram.com/andreaforlani_photojournalist/
Mancano dieci alle nove quando arriva la fatidica telefonata. Andrea, puoi salire. E allora via, attraverso le cucine come nel più classico dei polizieschi, fino a una stretta scala a chiocciola che sale fino alla saletta più inaccessibile del locale. Il locale è lo Slaktkyrkan, periferia ex industriale di Stoccolma sud, oggi polo del divertimento della capitale svedese, e in quella stanza si cela l’enigma musicale più avvincente dell’anno: Nestor.
Piovuti dal nulla nella vita di noi devoti del melodic rock, con tre singoli che a forza di sentirli ha imparato a memoria anche il mio gatto, si rivelano oggi al mondo lanciando il loro primo album – Kids in a ghost town (qui la nostra recensione) – con un’esibizione live. Apro la porta ed eccoli lì: Tobias (voce), Jonny (chitarra), Marcus (basso), Mattias (batteria) e Martin (tastiere). Tatuaggi in bella mostra e abbigliamento a metà tra divise militari e tute da meccanico: più che su un palco sembrano pronti per salire sul set di un video di quelli cui ci hanno abituato. Ho poco più di cinque minuti, meglio non perdere tempo.
Fatemi capire perché abbiamo tutti le idee un po’ confusi sulla vostra biografia. Nel 1989 avete creato i Nestor… ma poi? Che avete combinato in tutto questo tempo?
Abbiamo continuato a suonare, ma per lo più separatamente, con progetti diversi. In pratica ci siamo presi una pausa di 22 anni e nel 2017 abbiamo ricominciato a fare musica insieme, anche se di un genere un po’ diverso. Circa un anno e mezzo fa ci è venuta voglia di fare un album, ma inizialmente non avevamo un’idea precisa della direzione da prendere. Poi ha prevalso la voglia di salire sulla macchina del tempo e realizzare quel disco che per mancanza di capacità e mezzi non avevamo potuto concretizzare nel 1989. Questo album ha il sound che i Nestor avevano a quel tempo, e ci siamo molto divertiti a tornare alle origini, tra ricordi e nostalgia.
Siete piombati come una bomba nel mondo dell’hard rock melodico: vi aspettavate delle reazioni così positive? Quando avete avuto sentore che ciò che stavate facendo poteva diventare qualcosa d’importante?
A dire il vero non sapevamo cosa aspettarci, ma questo tipo di musica tocca le persone e riporta in vita i ricordi, questo è probabilmente il motivo del nostro successo. I feedback ricevuti dal primo singolo e dal video ci hanno senz’altro fatto ben sperare, ma è dopo aver messo insieme i primi 7-8 pezzi che abbiamo pensato: “this is gonna be a great fucking album!”. Ed è lì che abbiamo incominciato a chiederci: ma che succede se…? Ma che facciamo se…?
E adesso che è successo… che si fa?
Nessuno lo sa! (in coro, ridendo). Beh, di sicuro dobbiamo suonare il nostro primo concerto! Iniziamo con questo e poi vedremo il da farsi.
Nonostante tutto avete però deciso di rimanere indipendenti e non accasarvi con alcuna etichetta discografica. Motivo?
La verità è che non siamo contrari a lavorare con una label per principio, semplicemente non abbiamo ancora trovato il partner giusto. E dovrà essere un partner con la mente aperta, in grado ci comprendere che nell’universo che stiamo creando, l’universo Nestor, il prossimo album potrebbe essere qualcosa di totalmente diverso (espressione di panico del sottoscritto). Potremmo perfino non esserci noi nel prossimo album! (espressione di panico x 2).
Ultima domanda: Samantha Fox??
Stavamo cercando una voce femminile per il duetto con Tobias, e ci sono venuti in mente diversi nomi, Samantha Fox era uno di quelli, come anche Lita Ford. Abbiamo inviato al manager di Samantha il primo video, è piaciuto e la cosa ci ha ben fatto sperare, poi quando le abbiamo inviato il pezzo (Tomorrow) ha subito accettato.
Sarà qui stasera? No, non ci sarà. A sostituirla degnamente ci penserà Jennie Larsson, nientemeno che la moglie di Tobias, in un’esibizione da brividi come del resto lo è stato tutto il concerto, sold out e col pubblico a seguire la band cantando a squarciagola sulle note di On the run e 1989, assurti a classici del rock melodico alla velocità del fulmine. Set-list da sette brani, ad aprire la citata On the run e chiusura affidata a Firesign. Prossima puntata a febbraio, quando i Nestor accompagneranno in tour i connazionali Heat, un ottimo motivo per una gita al fresco in Nord Europa (date confermate Oslo, Stoccolma e Copenaghen).
A cura di Andrea Forlani
13 Gennaio 2020 0 Commenti Denis Abello
report a cura di Lorenzo Mandirola
foto a cura di Daniele Marchese
In una fredda e piovosa serata di fine anno dove le feste natalizie incombono con annesso stress da corsa olimpionica agli ultimi regali destinati ad amici e parenti il bisogno di staccare la spina da tutto è forte, e cosa c’è di meglio di un bel concerto hard rock alla vecchia maniera? assolutamente niente se siete dei rockers impavidi e legati alla grande tradizione del genere.
A portare il fuoco nella periferia milanese ci pensano i redivivi Bonfire, un nome entrato nella storia dell’hard & heavy europeo che da ormai 40 anni è un sinonimo di qualità e continuità, nonostante gli innumerevoli cambi di formazione che hanno quasi sempre rinvigorito il percorso dei nostri capitanati dal chitarrista Hans Ziller, leader indiscusso della band teutonica.
Dopo la spiacevole esperienza che li ha visti protagonisti al Clusone Rock del 2016 a causa di alcuni atteggiamenti poco professionali che causarono il licenziamento da parte dell’allora vocalist David Reece, lo scetticismo di molti si è visto parecchio, influendo sulla scarsa affluenza dovuta non solo alle cattive condizioni climatiche.
La serata è aperta da tre gruppi italiani di assoluto livello: i Saints Trade impegnati con la realese party del nuovo album “Time To Be Heroes” e a seguire i più datati Wheels Of Fire e Soul Seller autori di uno show coinvolgente e sentito dai presenti.
Ma ecco che scoccano le ore 23 e le luci si abbassano, i Bonfire sono finalmente on stage! Il nuovo vocalist Alexx Stahl si presenta al pubblico italiano in forma smagliante e sfodera tutta la sua potenza vocale nella opener “Temple Of Lies” che porta il nome dell’ultimo disco uscito lo scorso anno, un brano tiratissimo e con chiare influenze metal, si prosegue con le classiche “Never Mind” e “Don’t Touch The Light”, degli autentici inni che hanno fatto la fortuna della band. L’impressione iniziale data dall’arrivo degli ultimi innesti Alexx Stahl ed il batterista Andrè Hilgers è di assistere finalmente ad un gruppo coeso e perfettamente in sintonia dopo l’abbandono da parte dello storico cantante Claus Lessmann che causò l’unico inciampo di una lunghissima e prolifica carriera.
Ma torniamo al concerto, tocca alla più recente e cadenzata “Under Blue Skies” fare da ponte alla bellissima “Praying 4 A Miracle”, uno di quei pezzi scritti apposta per essere suonati live con quel chorus dove la melodia regna sovrana, “Lonely Nights” e “Give It A Try” fanno riprendere il fiato al buon Alexx regalando uno tra i momenti più intensi dello spettacolo, si sa, le ballads sono sempre state il fiore all’occhiello dei nostri che hanno saputo apprendere al meglio la lezione dai maestri Scorpions, con “Hard On Me” si ritorna in pista dando un bello scossone alle poche donzelle presenti invitate da Alexx a muoversi sulle note di uno dei loro brani più sbarazzini e manifesto del clima losangelino che i Bonfire hanno respirato alla fine degli anni ottanta.
Si Prosegue con l’accattivante “Crazy Over You”, catchy ed efficace, seguita dalla granitica “Sword & Stone”, pezzo scritto all’epoca da Desmond Child e Paul Stanley dei Kiss finito poi sulla colonna sonora del film Shocker di Wes Craven. “Stand Or Fall” è l’ultimo brano eseguito in scaletta tratto dal recente Temple Of Lies, un concentrato di energia e riffs muscolari per un metal anthem coi fiocchi.
C’è anche spazio per una cover, si tratta della cinematografica “Burning Heart” dei veterani Survivor, un cult per gli amanti dell’AOR da classifica, qui eseguita in chiave hard rock con un Alexx Stahl convincente e sempre sul pezzo, non ci sono più dubbi sul fatto che il suo ingresso abbia rappresentato la scelta migliore che i tedeschi potessero fare per ridare nuovo spolvero al marchio Bonfire.
Da questo punto fino alla fine dello show sarà un susseguirsi di grandi hits storiche come la sgargiante “American Nights”, una vera e propria dedica d’amore all’attitudine sognante dei rockers ottantiani, “Tony’s Roulette” segnaun altro tra i momenti più alti della serata, mentre “Can’t Break Away” tratta dal disco Glorious del 2015 si rivela molto più efficace in queste vesti più metalliche che il gruppo ha deciso di indossare con le ultime uscite.
“Sweet Obsession”, “SDI” e l’incendiaria “Ready 4 Reaction” compongono il trittico delle meraviglie per ogni fan del falò che si rispetti, ed ecco arrivato il momento della magia romantica di “You Make Me Feel”, una ballata ricca di pathos e passione che avrebbe fatto la fortuna di molte bands dell’epoca, compresi i leggendari Scorpions che in quanto a lenti hanno sempre avuto ben pochi rivali.
La chiusura dello show è affidata a “Champion”, ed è proprio il caso di dirlo, in quella sera di dicembre i Bonfire si sono congedati come dei veri e proprio campioni dell’hard & heavy che nonostante un percorso irregolare avuto soprattutto negli ultimi anni hanno deciso di rimettersi in pista dando vita ad una seconda fase di carriera che si sta rivelando davvero avvincente, grazie soprattutto all’ugola di Alexx Stahl passato dalla piccola realtà di una cover band ad uno dei nomi più rilevanti del panorama europeo e internazionale. Noi ci auguriamo che questa formula continui a funzionare negli anni apportando la stessa qualità che ha sempre permesso ai Bonfire di confrontarsi ad armi pari coi grandi della scena, la buona notizia sarà che i nostri torneranno con un nuovo album intitolato “A Fistful Of Fire” la cui uscita è prevista per la prossima primavera, che il sacro fuoco teutonico possa ardere in eterno!!!
26 Settembre 2019 4 Commenti Iacopo Mezzano
Gli Hardline scelgono la bella ed ospitale cornice dell’HT Factory di Seregno (MI) per tornare ad esibirsi dal vivo nel nostro Paese, di ritorno dalla loro grande performance al Frontiers Rock Festival, e ancor più dalla pubblicazione del loro ultimo disco Life, accolto con tante lodi sia dal pubblico che dalla critica di settore.
Ad accompagnarli gli italianissimi Dream Company, con il release party ufficiale del loro album di debutto The Wildest Season, che sarà sul mercato tra qualche settimana (per l’esattezza il 15 ottobre) per l’etichetta Tanzan Music.
Presente all’evento un buon numero di calorosi spettatori, che ha potuto godere anche della presenza degli stand ufficiali del merchandising dei gruppi, oltre di un bel banchetto di dischi targati Frontiers Music, e non solo.
DREAM COMPANY
Dopo 13 anni on stage e oltre 600 concerti in giro per l’Europa come cover band dei Bon Jovi, i Dream Company (ovvero il cantante Giulio Garghentini, Stefano Scola al basso, Enrico Modini alle chitarre, e Davide Colombi alla batteria) sono finalmente pronti a presentare alle folle il loro primo personale album di inediti.
Quanto ascoltato in questo spettacolare show è un bellissimo ed energico hard rock melodico, che già lascia presagire l’alta qualità che di certo ritroveremo nella registrazione in studio. Ricchi di chiari riferimenti agli artisti più amati del genere (ho sentito ovviamente spunti bonjoviani, oltre che alla Gotthard, e più moderni alla Eclipse), ma forti anche di un tocco musicale molto personale che porta a canzoni dotate di ottimi ritornelli orecchiabili e di bei passaggi strumentali, i nostri tirano fuori dal cilindro lo spettacolo che non ti aspetti, e la loro oretta di concerto scivola via senza intoppo alcuno, e con un livello esecutivo e tecnico davvero di alto profilo.
Così, in quello che è stato un gustoso antipasto di quello che sarà il futuro della band, mi sento di elogiare la qualità in particolare della canzoni Scared To Be Loved, Revolution, Salvation, Land Of Freedom e del già singolo Days In Blue, che hanno letteralmente tirato giù il locale con la potenza delle loro parti ritmiche, con il tocco melodico ma deciso della chitarra di Modini, e con i vocalizzi sempre precisi e intonati del bravo Garghentini. Per uno show da applausi scroscianti, perfetto anteprima di un evento che non mancherà di riservare altrettante sorprese.
Set List:
1. The Ghost
2. Mine Mine Mine
3. Scared To Be Loved
4. Revolution
5. Salvation
6. River Of Love
7. Love Is Possession
8. Land Of Freedom
9. Liars
10. Days In Blue
HARDLINE
Si sa, quando un gruppo è affiatato non ha bisogno di nient’altro che dei sei suoi stessi componenti per esprimersi in un concerto esaudiente sotto ogni aspetto. L’impressione, vedendo suonare gli Hardine (ma anche i Dream Company prima di loro, c’è da dirlo!), rimane quella di un gruppo di amici che sale on stage prima di tutto per divertirsi, e divertire i propri fans. Poi semmai anche per mestiere.. E non è cosa di poco conto!
Una passione smisurata per il lavoro di musicista che spinge i nostri (perchè dai, questi 4/5 tricolore della formazione ci fanno ormai sentire il gruppo un po’ nostro) a uno show passionale e vivo come pochi, nel quale energia e potenza sono le parole chiave adatte a descrivere una esibizione ragionata per bilanciare intelligentemente il nuovo e il vecchio corso (diverso, ma mai opposto) di questa storica realtà hard rock melodica.
Johnny Gioeli, il leader indiscusso della band, si è dimostrato ancora una volta un frontman eccellente. La sua potenza vocale è risuscita anche in questa occasione a unire in modo indissolubile energia e sentimento attraverso una timbrica unica e inimitabile, e una intonazione sempre perfetta. Trascinante e carismatico, Gioeli si è rivelato anche abile nello sfruttare la voce di Alessandro Del Vecchio, che è stato in grado non solo di colorare i brani con il tocco delle sue tastiere, ma di supportare il leader con i suoi cori sempre presenti, che hanno fanno risparmiare ben più di qualche respiro all’imponente americano.
E se Marco Di Salvia è stato il solito carro armato di rimiche, e la Portalupi la più sinuosa e talentuosa groove maker che ci sia, chi davvero ci ha impressionato questa sera è stato il maestro Mario Percudani che, come su disco e ancora più in sede live, riesce con naturalezza a non far rimpiangere nessuno dei suoi predecessori, gettandosi in riff e assoli eccellenti e sempre stra carichi di tocco e sentimento. Da brivido.
E allora via, con la nuova Place To Call Home messa in apertura, e la più antica Takin’ Me Down a seguire, tra i primi tripudi del pubblico. La leggendaria Dr. Love scioglie definitivamente la gente, ormai persa in canti e movimenti di capo a non finire, con Take A Chance e Where Will We Go From Here che danno poi ancora un occhio al recente storico della band, assieme alla toccante ballad Page Of Your Life, che per prima riesce a fare scendere qualche lacrimuccia tra gli spettatori.
Life’s A Bitch e la intensa ballad In The Hands Of Time ci riportano agli albori del gruppo, e vengono accolte con estasi dalla gente al pari della nuova Love Is Gonna Take You Home, che vede Gioeli duettare con Del Vecchio in un lento melodico da paura. Everything, dedicata al co-autore Eddie Money recentemente scomparso, lascia infine spazio alla mitica Hot Cherie, con il bis-non-bis affidato a Fever Dreams e Rhythm From A Red Car, che chiudono l’ennesimo concerto perfetto di una band tra le più in forma del nostro panorama musicale.
Sono di parte, lo so. Ma il mio aggettivo per Gioeli e soci è: inimitabili. Ci siamo divertiti un mondo. Applausi quindi agli organizzatori, e ai due gruppi, che si sono lasciati andare a lunghe sessioni di foto e autografi con i fans fino a tarda ora. Così si fa, clap clap!!
SETLIST
1. Place To Call Home
2. Takin’ Me Down
3. Dr. Love
4. Take A Chance
5. Where Will We Go From Here
6. Page Of Your Life
7. Life’s A Bitch
8. In The Hands Of Time
9. Love Is Gonna Take You Home
10. Everything
11. Hot Cherie
12. Fever Dreams
13. Rhythm From A Red Car
GALLERIA FOTOGRAFICA
20 Agosto 2019 2 Commenti Denis Abello
Tutte le foto del Mitico ed Unico Frontiers Rock Festival, festival organizzato dalla Frontiers Music, giunto ormai alla sua VI edizione e che si è tenuto nei giorni del 27 e 28 aprile al Live Music Club di Trezzo sull’Adda (MI).
— 27 Aprile —
CREYE
foto di Francesca Cipriani
AIRRACE
foto di Monica Manghi
foto di Francesca Cipriani
JEFF SCOTT SOTO
foto di Monica Manghi
foto di Francesca Cipriani
TEN
foto di Monica Manghi
foto di Francesca Cipriani
HARDLINE
foto di Monica Manghi
foto di Francesca Cipriani
THE DEFIANTS
foto di Monica Manghi
foto di Francesca Cipriani
ALAN PARSONS
foto di Monica Manghi
foto di Francesca Cipriani
— 28 Aprile —
KING COMPANY
foto di Monica Manghi
LEVERAGE
foto di Monica Manghi
FORTUNE
foto di Monica Manghi
KEEL
foto di Monica Manghi
BURNING RAIN
foto di Monica Manghi
W.E.T.
foto di Monica Manghi
STEVE AUGERI
foto di Monica Manghi
16 Maggio 2019 3 Commenti Iacopo Mezzano
Vi racconterò una storia. C’era una volta, in un tempo non troppo lontano, un giovane pipistrello che, appena svegliatosi dal suo lungo sonno diurno, si era affacciato dalla sua grotta, pronto per spiccare il volo nel già tenue rossore del tramonto. Mentre stava aprendo le sue nere ali vide davanti a se un gheppio, che stava facendo le sue ultime acrobazie nel cielo prima di tornare a casa dopo una lunga giornata in giro per la campagna. Preso da curiosità, lo chiamò: “Gheppio, gheppio, vieni qui!!”. “Dimmi pipistrello!” – gli rispose quello, raggiungendolo nell’ombra – “che vuoi da me?”. “Sapere della luce del sole, dei colori del giorno, dei suoni dei bambini che giocano dopo la scuola.. Sai, vi scruto spesso la sera, voi uccelli diurni, mentre gridate la vostra felicità agli ultimi raggi del sole. Ma io non ho mai visto un mezzogiorno, i miei occhi sono delicati, non potrebbero resistere, e se lo facessi rischierei di diventare persino cieco! Guardo spesso la luna, sì, e sogno una vita al di là del buio.. Ma è diverso! Dai, ti prego, dimmi come è!”
Il gheppio sorrise, prese per l’ala il pipistrello e gli disse: “Seguimi!”. I due volarono nel tramonto, lungo fiumi, prati e colline. Quando ormai era notte giunsero in città. Lì, si fermarono vicini a un parco: “Vedi quel piccolo edificio laggiù?”, disse il gheppio. “Sì, certo!”, esclamò l’amico mentre masticava gli ultimi bocconi di una zanzara. “Bene. Ora tu entraci! C’è una presa d’aria aperta da cui puoi passare, arriva fino in fondo al tubo metallico e fermati lì. Pipistrello, là troverai i colori che cerchi, e i suoni che sogni da tempo. Non ti preoccupare degli umani, sono innoqui, e non aver paura dei forti suoni. Tu stai li buono, resta nascosto, osserva e ascolta. E avrai tutte le tue risposte!”.
Si dice che quel giorno il pipistrello comprese la bellezza della luce, sentì tutti i suoni che andava cercando, provò sulla sua pelle il calore del sole, e non divenne cieco (ma un po’ miope sì!). Si racconta che quel giorno magico fosse il 12 maggio 2019, e che l’edificio indicatogli dal gheppio fosse il Legend Club di Milano. Pare che sul palco stessero suonando degli umani chiamati Dare..
Ora, sta a voi credere a questa storia che, come tutte le leggende, nasconde qualche verità dietro a una buona dose di fantasia. Però sappiate che il pipistrello io l’ho incontrato, e mi ha detto che…
Dopo 17 lunghi anni di assenza dal nostro Paese, i Dare dell’ex Thin Lizzy Darren Wharton hanno finalmente rimesso piede in Italia con l’ultima data del loro tour europeo, celebrativo dell’anniversario del loro storico album di debutto Out of the Silence. Un evento esclusivo, atteso da centinaia di fans fin dalle prime ore della serata, ovvero dall’esibizione delle due band di spalla, gli italianissimi Even Flow e i tedeschi High Tide.
I primi, che vantavano tra le fila Marco Pastorino (voce) e Luca Negro (basso) dei conosciuti metallers italiani Temperance, hanno proposto una trentina di minuti di un prog metal con influenze hard rock di ottima fattura, che ha permesso al bravo cantante di mostrare tutta la sua estensione vocale tra rallentamenti atmosferici e sfuriate di energia, evidenziate dal potente groove di fondo creato dalla sezione ritmica, e dagli ottimi riff di chitarra. Uno show deciso e dal ritmo sostenuto, che ha aperto la serata con qualità, sfruttando un bel gusto musicale moderno, e uno stile di fatto totalmente differente rispetto a quello dei secondi musicisti on stage, i tedeschi High Tide, che si sono mostrati ben più dediti a un hard rock dal sound classico, meno originale, un po’ bluesy, e decisamente di revival anni ’70s. Led Zeppelin, Deep Purple, Gary Moore, The Doors, Great White, Rival Sons, sono solo alcuni dei gruppi storici da cui questi ragazzi di Heilbronn hanno preso – in modo più o meno evidente – spunto, ma la buona tenuta del palco degli stessi, il carisma del cantante e del chitarrista, e il bello stile del batterista sono stati gli elementi che in fin dei conti ce li ha fatti amare, al di là delle suddette evidenti derivazioni di sound. Per un’oretta di spettacolo comunque di livello, e di giusta attitudine..
Poi le luci si sono spente, e sono entrati i Dare.
(respiro profondo)
Una delle migliori band che abbia visto live per ciò che concerne il nostro genere. Ok – direte – sei un superfan esaltato di Wharton e soci, sei di parte, lo sappiamo tutti.. E’ vero, anzi, verissimo! Tanto che la bandiera tricolore con scritto Nothing is Stronger than Dare che Darren ha esibito con fierezza a fine show, beh, gliel’ho lanciata io (..e chi altro se no!), ma vi sfido a nominarmi altre band capaci di esprimersi dal vivo in uno spettacolo così coinvolgente, fedele al sound in studio, maiuscolo per tecnica ed esecuzione.. tolti forse gli FM.
Tutti abbiamo visto un Vinny Burns che è stato un compasso, e che chiunque riconoscerebbe a occhi chiusi anche dopo sole due note di chitarra. Poi c’era Nigel Clutterbuck al basso che ad ogni tocco di corde tirava tra la gente un pezzo del suo cuore, Kevin Whitehead alla batteria che non faceva cose pazzesche, ma suonava da Dio, Marc Roberts alle tastiere che riproduceva nel dettaglio il ricco tappeto di suoni che è puro trademark del gruppo.. e Darren, va beh, Darren lui viene da un altro pianeta, e come canta calde e ricche di sentimento le note basse lui, al mondo nessuno… Punto.
La scaletta? Perfetta. Prima metà di spettacolo incentrata su Sacred Ground, l’ultimo album del gruppo. Quindi via di Home, traccia opener capace come poche di immergere il pubblico nel puro mood Dare fin dalle sue prime battute, e avanti con la ballad Until, dolcissima e intonata alla perfezione da un Wharton visibilmente commosso. La sostenuta Days of Summer (anticipata da un discorsetto sulla bellezza delle donne italiane) e la nuova ballad strappalacrime I’ll Hear You Pray lasciano spazio al singolo On My Own, pezzo che personalmente non adoro, ma che è sempre stato spinto dal gruppo (anche nelle radio) per la sua grande spensieratezza e spontaneità (e in effetti è impossibile non cantare il suo refrain). Di tutt’altra pasta il trio sentimentale che apre con l’ultima delle nuove, la eccellente Everytime We Say Goodbye, per arrivare al disco Beneath the Shining Water del 2004 attraverso le canzoni romantiche Sea Of Roses e When Darkness Ends, quest’ultima eseguita con un groove da antologia del genere AOR.
Si sà, il Darren Wharton musicista nasce grazie ai Thin Lizzy, e il tributo al loro genio non poteva essere fatto se non nelle note del classico Emerald, suonata in modo eccelso da un Vinny Burns sempre più sugli scudi. L’ultima ballad di questa sera, la title track Beneath The Shining Water, consegna il nostro spirito alle calme acque di un lago, ma la nostra carne resta a bordo palco per riempirsi nei muscoli di bollente sangue al grido di battaglia di Wings Of Fire e We Don’t Need A Reason, tratte dal capolavoro Blood From Stone. Da qui in poi sarà delirio, visto che la band sparerà negli amplificatori, una dietro l’altra, quattro tracce tratte dal debutto Out of the Silence, ovvero Abandon – Into The Fire – The Raindance – King Of Spades, quest’ultima ovviamente dedicata a Phil Lynott, maestro non solo di Darren, ma di tutti noi rocker nel mondo.
E’ una standing ovation. Non c’è più uno spettatore che riesca a star fermo, e quando la band rientra on stage per il bis, questo finisce per non prevedere soltanto un brano come nelle altre date del tour, ma bensì tre!! E’ il regalo dei Dare al popolo italiano, che da troppo tempo aspettava il loro ritorno: quindi, a sopresa, ecco la energica Storm Wind (ancora estratta dal rivalutato Beneath the Shining Water), a cui segue quello che per me è il capolavoro assoluto della discografia degli inglesi, ovvero il brano Silent Thunder, tratto da Belief del 2001. Esecuzione ancora una volta perfetta.
Con il cuore che non riesce più a smettere di battere all’impazzata, i Dare ci salutano a dovere con la canonica e celebrativa Return The Heart, prima di darci appuntamento allo stand del merchandising per una lunga sessione di foto e autografi con i fans, che trova il tempo per tutti quanti, nessuno escuso. Selfie, firme, abbracci, chiaccherate e battute, c’è tempo per tutto questo e molto di più (e per più di un’ora!), e sono certo che ogni singola persona giunta al locale potrà aver avuto il suo momento magico al fianco dei propri beniamini. Sono stati unici anche in questo.
Personalmente, per anni ho avuto un solo desiderio: vedere i Dare dal vivo, e in Italia . Dopo una attesa lunghissima, questo sogno si è avverato. Per la prima volta in vita mia ho faticato a trovare le parole per scrivere questo report. Ero ai cancelli alle 10 del mattino, ero li quando i ragazzi sono arrivati. Ho chiaccherato e scherzato con loro. Mi son fatto autografare anche l’anima, come dimostra la foto sotto. Poi ero in prima fila per loro, ho cantato con Darren (che mi ha pure passato il microfono per un ritornello), ho fatto air guitar con Vinny Burns. Ho lanciato loro la mia bandiera, sapendo ora che il motto che vi ho impresso dice la verità. Ho aspettato Darren fino a che non è risalito sul pulmino per tornare in albergo, e lui mi ha abbracciato e ringraziato: mi ha detto we will return. Poi ha chiuso il portone del van, e con gli altri se ne è andato.. e io sono rimasto lì, a toccare commosso il cielo, abbracciato a un amico pipistrello appena incontrato..
GALLERIA FOTOGRAFICA:
04 Febbraio 2019 0 Commenti Denis Abello
Di Luca Driol e Paolo Paganini – Foto di Paolo Paganini
SHIZAR LANE – Luca Driol
Con un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, gli Shiraz Lane aprono questa sorta di piccolo festival dedicato all’hard-rock nordeuropeo e lo fanno nel migliore dei modi, sfoderando al meglio tutto l’armamentario sonoro a disposizione. Dopo un primo convincente album di hard-rock dai forti connotati sleaze, la band quest’anno ha pubblicato un eccellente come-back, Carnival Days, più curato, maturo e meno “selvaggio” del predecessore, proponendo in questa sede una scaletta incentrata su questo album, composta da brani incredibilmente riusciti quali la spigliata title-track e The Crown, durante i quali la band suona a mille, supportata da un frontman eccezionale come Hannes Kett, che balla, incita il pubblico e “vive” letteralmente le song della band, trovando anche il tempo di scendere dal palco per gigioneggiare tra il pubblico. Notevole anche la prova dei due chitarristi, Jani Laine (!) e Miki Kalske, ma lo show dei cinque finlandesi è stato perfetto sotto ogni punto di vista, sciorinando anche qualche brano dall’esordio, tra cui l’ottima Mental Slavery (brano già presente anche sull’ep d’esordio), dal piglio decisamente eighties e la ballata Same Ol’ Blues, che ci conducono alla fine del concerto che culmina con People Like Us, altro estratto dall’ultimo lavoro in studio.
Show pienamente riuscito per una band da tenere decisamente occhio!
Scaletta:
1. Carnival Days
2. The Crown
3. Tidal Wave
4. Mental Slavery
5. Same Ol’ Blues
6. Out There Somewhere
7. Harder To Breathe
8. People Like Us
ONE DESIRE – Luca Driol
Lo ammetto: personalmente ero qui principalmente per loro. Dopo essere stato ammaliato dall’ottimo esordio targato 2017, ero curioso di rivedere on stage gli One Desire, dopo la buona prova al Frontiers Festival IV, ma quest’oggi la band appare sottotono, soprattutto per quanto concerne la prova vocale del cantante e chitarrista, visibilmente in difficoltà per quasi tutto lo show. La dirompente Hurt è la song prescelta per aprire le danze, seguita dalle trascinanti Apologize e Turn Back Time, dove AOR e hard-rock vanno splendidamente a braccetto originando un mix a dir poco esaltante, anche se André Linman, se da un lato appare convincente sotto l’aspetto chitarristico, mostrando una certa abilità anche come solista, dall’altro inficia la prova on stage con una prestazione sottotono, mostrando una certa fatica a gestire il tutto. Le ballate This Is Where The Heartbreak Begins e Falling Apart mettono in mostra il lato più romantico del gruppo, la solarità di Whenever I’m Dreaming è un altro brano 100% à la One Desire, mentre l’incendiaria Buried Alive, praticamente un pezzo di puro metal, chiude il concerto. Oltre alla debole prestazione canora, un altro punto a sfavore degli svedesi è il taglio della scaletta (era prevista anche la pop-oriented Love Injection) e, dispiace doverlo ammettere, ma oggi l’anello debole della piccola kermesse bolognese, sono stati proprio gli One Desire.
Scaletta:
1. Hurt
2. Turn Back Time
3. Apologize
4. This Is Where The Heartbreak Begins
5. Falling Apart
6. Whenever I’m Dreaming
7. Buried Alive
H.E.A.T. – Paolo Paganini
Fa veramente freddo in questa serata di dicembre qui a Bologna e forse questo non dispiacerà alla band svedese abituata a temperature simili. Il Locomotive è un piccolo locale per concerti ma ben organizzato. Non manca nulla e l’atmosfera familiare contribuisce a rendere il tutto ancora più piacevole. Il pubblico non è certo numerosissimo, (forse saremo attorno alle 200-250 persone) ma chi è presente può dirsi un vero fan della band di Grönwall e Co. Si sentono accenti veneti, bresciani, toscani, insomma chi c’è si è fatto un bel po’ di strada. I ragazzi salgono sul palco alle 22.00 spaccate attaccando lo show con la dirompente Bastard Of Society seguita dalla trascinante Breaking The Silence. Un Eric non sempre preciso ma carico come una molla si esibisce in un doppio stage diving, salta come un indemoniato, fino a prodursi in un heandbanging infinito che terminerà soltanto quando si spegneranno definitivamente le luci. Insomma un vero animale da palcoscenico. Il pubblico risponde alla grande cantando e dimenandosi su ogni brano in scaletta. Tutto sembra filare via liscio ma al termine di Downtown ecco che succede il patatrac. Tutto il palco si spegne lasciando i ragazzi senza strumenti. Eric non si prede d’animo e una vota imbracciata la chitarra inizia un set acustico composto da Tearing Down The Walls, dalle cover di Living On A Prayer e 18 And Life, eseguendo il tutto in mezzo alla folla come se fosse la cosa più normale del mondo. Il pubblico lo adora definitivamente e al “moicano” va sinceramente riconosciuta una grossa dose di generosità. Finalmente i tecnici riescono a sistemare le cose permettendo al concerto di riprendere. Da qui in avanti anche i suoni migliorano e la band appare ancora più a proprio agio. Uno dopo l’altro si susseguono brani orami diventati dei classici nel loro repertorio: In and Out of Trouble, It’s All About Tonight, Living on the Run, fino ad arrivare a Beg Beg Beg caricano ancora di più i presenti regalandoci un Dalone in forma smagliante. Laughing At Tomorrow è una piccola parentesi acustica necessaria per rifiatare in attesa del rush finale di cui Mannequin Show e A Shot At Redemption risultano gli episodi più riusciti. Quest’ultima in particolare ci riserva un siparietto davvero divertente con Eric che porta sul palco un giovanissimo fan che senza alcun timore, come una consumata rockstar si prenderà tutta l’attenzione del pubblico. Una serata veramente piacevole e divertente che ci ha consegnato una band compatta con tanta voglia di suonare e di far divertire la gente per il puro piacere di farlo. Spero che i ragazzi tornino ancora a trovarci e se volete un consiglio non perdetevi il loro prossimo spettacolo.
Scaletta:
1. Bastard of Society
2. Breaking the Silence
3. Danger Road
4. Emergency
5. Shit City
6. Downtown
Intermezzo acustico:
7. Tearing Down the Walls
8. Livin’ on a Prayer (Bon Jovi cover)
9. 18 and Life (Skid Row cover)
Ripresa:
10. In and Out of Trouble
11. It’s All About Tonight
12. Living on the Run
13. Beg Beg Beg
14. Laughing at Tomorrow (acoustic version)
15. Redefined
16. There for You
17. Mannequin Show
18. Tearing Down the Walls
Bis:
19. A Shot At Redemption
11 Dicembre 2018 0 Commenti Iacopo Mezzano
E’ una serata incredibilmente mite e poco piovosa quella che accompagna i Def Leppard nella loro prima data nel Regno Unito con il tour celebrativo dell’anniversario dell’album Hysteria.
La stessa tourneè, che tra sette mesi esatti passerà anche in Italia (con una data al Mediolanum Forum di Milano il 19 giugno 2019 con a supporto i Whitesnake), ha ora come special guest i giganteschi Cheap Trick, anche loro pronti e agguerriti per mettere a ferro e fuoco la magnifica 3Arena di Dublino (uno stadio della musica modernissimo che così in Italia ce lo scordiamo, per bellezza estetica, acustica, pulizia e tutto. Questa è una doverosa premessa.).
Arrivati in volo nella City nelle prime ore del pomeriggio, e giunti al cancello con le pance piene di irish stew (uno dei piatti più famosi della cucina irlandese) e della rinomata Guinness, rimaniamo letteralmente a bocca aperta di fronte alla bellezza del titanico palco, gigantesco e colorato da quell’immenso schermo di sfondo che farà da padrone nelle coreografie dei gruppi. Prendiamo posizione in platea alle 18 e 30 ora locale, e attendiamo lì l’inizio dello show.
Puntuali come se fossero svizzeri, i Cheap Trick salgono on stage prestissimo (altra cosa inimmaginabile in Italia, il concerto inizia alle 19:30 e chiude alle 22:40!! Ed era sabato!!!) sulle note del loro successo Hello There, che ci presenta subito un Robin Zander eterno evergreen per voce e carisma al pari del suo socio storico Rick Nielsen alla chitarra, sempre pronto a strabigliare il pubblico con le sue chitarre pazzesche per forme e geometrie. Regge botta eccome anche Tom Petersson al basso, affiancato da un Daxx Nielsen alla batteria che dal 2010 ad oggi è pefettamente entrato in simbiosi con il gruppo, quasi ne fosse anche lui un membro fondatore. You Got It Going On è il secondo ottimo brano scelto per la scaletta, prima della divertentissima cover di California Man (dei The Move) e di If You Want My Love, questa cantata da gran parte di una platea fino ad ora attonita.
She’s Tight e Ain’t That a Shame (cover dei Fats Domino) portano avanti lo show prima dell’avvento della super power ballad The Flame, eseguita alla perfezione di fronte a una platea ora veramente partecipe e commossa. Chiudono un concerto pazzesco (purtroppo durato soli 45 minuti) le hit I Want You to Want Me, Dream Police e l’inno rock Surrender, che ci ricordano in un solo colpo l’enorme importanza storica di questi musicsiti. Oggi spesso da tutti un po’ troppo dimenticati.
Parte il countdown (con un mega schermo calato a ‘mo di tenda sul fronte del palco) ed è la canzone Women a dare il via al tripudio targato Def Leppard. Di fronte a uno show coloratissimo, con i maxischermi densi di immagini e tonalità frizzanti, Joe Elliott mette in mostra doti canore ancora sopra la media, unite a una capacità comunicativa che solo i grandi big della nostra musica sanno avere, il tutto senza sfruttare mai lunghi monologhi o siparietti dialogati, ma dando soltanto fiato alla sua ugola d’oro. Il brano successivo Rocket punta ancora i riflettori sul singer, mentre i sui quattro storici accompagnatori regalano cori eccellenti (qualche uso di base qui è giustamente consentito) mentre si muovono on stage con naturalezza, pavoneggiandosi in modo disinibito di fronte alle telecamere che trasmettono in presa diretta le loro mosse rock. Phil Collen alla chitarra è la vera rivelazione della serata con i suoi assoli magici, che fanno impazzire la platea, mentre Vivian Campbell lo accompanga e duetta con lui mostrandosi sempre capace e (fortunatamente) in ottima forma fisica. Le due asce trovano poi in un solidissimo Rick Savage al basso e nell’eroico Rick Allen alla batteria il perfetto coronamento dei loro sforzi esecutivi, con una sezione ritmica enorme che esplode di energia tra le note di una Animal che manda in estasi l’intera arena.
Love Bites è un altro acuto niente male, ma è con Pour Some Sugar on Me e Armageddon It che la fase Hysteria del concerto ha il suo massimo apice emozionale, mentre le pure belle Gods of War e Don’t Shoot Shotgun si fanno più che altro notare per la belle immagini di sfondo sui maxischermi, che ricordano anche e in più di una occasione il sempre compianto Steve Clark. Una prova eccellente del gruppo su Run Riot ci porta alle note entusiasmenti della title track Hysteria, con la parte celebrativa del concerto che si chiude con Excitable e Love and Affection, entrambe perfettamente suonate.
E’ qui che Joe Elliott annuncia la fine di Hysteria e l’inizio del bis in stile best of del concerto, che ha avvio con la cover dei The Sweet del brano Action per presentare poi la bellissima ballad When Love and Hate Collide, anche questa dotata di una resa live da brividi. E poi, beh, c’è una sola band hard rock al mondo che può chiudere uno show così gigante con tre hit così atomiche, e sono proprio i Leppard. Let’s Get Rocked – Rock of Ages – Photograph sono il terzetto atomico conclusivo di un concerto che è stato molto più che una celebrazione, ma un tuffo nel vintage più ’80s della storia della musica che amiamo. E ragazzi, mi toccherà tornare a rivederli anche a Milano..
03 Dicembre 2018 0 Commenti Max Giorgi
Stoccolma è una metropoli operosa ma ordinata. Efficente come solo i paesi scandinavi sanno esserlo. La gente è sorridente e rilassata. Insomma, un posto piacevole per passare qualche giorno di vacanza. Cosa ci sarebbe di meglio che associare la vacanza ad un bel Festival? Ed ecco che la Frontiers esaudisce questo mio desiderio, organizzando il primo FRONTIERS ROCK FESTIVAL SWEDEN!
Una giornata di musica con un bill decisamente interessante formato da tutte band scandinave. La location è il FRYSHUSET KLUBBEN, non molto capiente ma ospitale. All’ingresso ci sono le stesse facce serene e sorridenti che ho trovato in giro per l’europa (da Milano a Malmo passando per Barcellona). Ecco la prima caratteristica di questi festival! La gente! Il bel popolo del melodic rock che riesce a trasformare ogni evento della nostra amata musica in una festa. Ed oggi siamo anche in tanti italiani!!! Ricapitolando: bella gente, la sala è gremita, la birra è buona………..non ci resta che goderci lo show!!!!!!
continua
28 Maggio 2018 14 Commenti Denis Abello
Live report a cura di Denis Abello, Iacopo Mezzano, Lorenzo Pietra, Davide Arecco, Lorenzo Mandirola (per MelodicMetal.it)
Foto report a cura di Monica Manghi per i giorni 1 e 2 con l’aggiunta di Francesca Cipriano per il giorno 1
Quinta edizione dell’ormai “storico” Festival della label italiana Frontiers Music. Come sempre il Festival mantiene ogni sua promessa di grandi performance, e forse mai come quest’anno i “cali” da questo punto di vista sono stati veramente irrisori, una valangata di emozioni e sempre più ormai è diventato una sorta di “raduno” nazionale per i fans di questa musica… purtroppo anche i lati negativi mostrano tutto il loro lato scuro, con ancora una volta gli stranieri a salvare i “conti” del Festival e forse a regalare la speranza di una ulteriore edizione!
01 Maggio 2018 3 Commenti Iacopo Mezzano
Dovete sapere che noi redattori musicali italiani ci odiamo così tanto tra di noi da accordarci già il giorno seguente la quinta edizione del Frontiers Rock Festival per andare a vedere assieme un ulteriore concerto: quello dell’ex White Lion Mike Tramp, ritornato dopo tanti anni di assenza in Italia con la sua Band of Brothers in quel del – piccolo ma sempre accogliente – Legend Club di Milano.
Fabrizio Tasso di Rock Rebel Magazine (cliccate qui a fianco per leggere il suo report) ed il sottoscritto, dopo un’intera giornata passata assieme a chiaccherare di musica su e giù per le vie di Milano, ci siamo posizionati proprio sotto l’asta del microfono del frontman danese in (un po’ assonnata) attesa di uno show che entrambi ci aspettavamo niente più che di buon livello.
Ci sbagliavamo, e di tanto.
continua