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Recensione Gemma Sepolta

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Gemma Sepolta

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Trouble Tribe – Trouble Tribe – Gemma Sepolta

29 Gennaio 2025 0 Commenti Samuele Mannini

genere: Hard Rock
anno: 1990
etichetta: Chrysalis
ristampe:

Tracklist:

1 Tattoo 4:08
2 Here Comes Trouble 5:07
3 Gimme Something Sweet 4:01
4 In The End 4:39
5 Back To The Well 4:26
6 Boys Nite Out 4:29
7 Tribal Beast 1:09
8 Red Light Zone 4:34
9 (Angel With A) Devil's Kiss 3:29
10 Dear Prudence 4:06
11 One By One 3:42
12 Cold Heart 5:45
13 F's Nightmare 0:53

Formazione:

Bass, Backing Vocals – Eric Klaastad
Drums – Steve Durell
Guitar, Backing Vocals – Adam Wacht
Vocals – Jimmy Driscoll

 

Correva l’anno 1990 e il mondo del rock si trovava a un bivio. Il grunge iniziava a ribollire nel sottobosco di Seattle, mentre il glam metal, ancora aggrappato ai suoi eccessi fatti di capelli cotonati, riff roboanti e testi sfacciati, stava vivendo i suoi ultimi lampi di gloria. In questo scenario, che destino poteva avere una band che suonava il genere ‘sbagliato’ e che addirittura proveniva dal lato ‘sbagliato’ degli USA?  Ecco a voi una band che ha brillato per un solo intenso attimo, i Trouble Tribe.

Il loro unico album omonimo, pubblicato dalla Chrysalis Records, è un concentrato di energia, melodia e virtuosismo. Una perla che, come spesso succedeva all’ epoca, non ha trovato il successo che meritava, ma che mi rimanda a quando la mattina sull’ autobus che mi portava alle superiori cantavo a squarciagola le canzoni di questo album tra lo sbigottimento generale degli astanti.

L’album si apre con una coppia di brani killer: “Tattoo” e “Here Comes Trouble”, entrambi accompagnati da videoclip martellanti su MTV, progettati per proiettare la band nell’olimpo dell’ hair metal. “Tattoo” è praticamente da manuale per il genere: apertura con voce synth di bonjoviana memoria, riff accattivante, ritornello irresistibile e una produzione scintillante. È uno di quei pezzi che ti immagini urlare con i finestrini abbassati, capelli al vento ovvero il biglietto per la gloria, purtroppo, mancata.”Here Comes Trouble”, tira fuori un’anima più sporca, con un groove cadenzato e pulsante che richiama i momenti migliori di band come i  Ratt o Dokken. È un manifesto di ribellione che sembra perfetto per una generazione ancora affamata di edonismo. Ma i Trouble Tribe non sono solo una band da party e anthem da stadio. C’è una profondità sorprendente nel loro lavoro. Prendiamo “Gimme Something Sweet”, ad esempio. Con il suo intro bluesy, il brano si tuffa in territori inaspettati, dimostrando che i ragazzi non temevano di giocare fuori dal loro campo di comfort. Poi siccome il manuale del genere richiede una power ballad ecco che arriva “In The End”, ed è da applausi a scena aperta e accendino sventolante.E che dire di “Back To Wall”? Il suo assolo di chitarra, firmato da Adam Wacht, è un momento da brividi, di quelli che non avrebbero sfigurato in un album degli Whitesnake era Sykes. Per chi cerca pura adrenalina, “Boys Nite Out” è un inno al divertimento sfrenato, un invito a vivere la notte al massimo. È il tipo di canzone leggera e danzereccia che trasuda energia da festa, il carburante perfetto per un weekend senza fine.

Ma l’album non è tutto luci stroboscopiche e sorrisi smaglianti. “Tribal Beast”, un brano strumentale, introduce un’atmosfera più oscura, quasi inquietante. È un cambio di registro che prepara il terreno per la potente “Red Light Zone”, un pezzo che picchia duro senza rinunciare alla melodia. “(Angel With A) Devil’s Kiss” chiude il cerchio, con un sound tagliente e ruvido che riporta alla mente i Dokken più aggressivi.

Nel bel mezzo di questo caleidoscopio di riff e adrenalina, spunta una cover inaspettata: “Dear Prudence” dei Beatles. Una scelta coraggiosa e quasi spiazzante per una band glam, ma che dimostra il coraggio dei Trouble Tribe. Pur non raggiungendo le vette dell’originale, questa reinterpretazione conferisce al brano una personalità nuova e un’intensità che lo rende una chicca interessante. Il disco si chiude con “F’s Nightmare”, un breve strumentale che lascia l’ascoltatore con la voglia di voler ricominciare tutto da capo.

Uno degli aspetti più eclatanti di questo album è la produzione, impeccabile e tipica degli anni ’80, con un mix pulito che esalta le performance della band, cose che, ai giorni nostri, possiamo soltanto ricordare con nostalgia.
Per quanto riguarda l’esecuzione, Jimmy Driscoll, con la sua voce potente ed espressiva, riesce a passare senza sforzo da momenti graffianti a toni più morbidi e sentimentali, mentre Adam Wacht, alla chitarra, firma riff catchy e graffianti ed assoli che strizzano l’occhio ai grandi virtuosi dell’epoca.
La sezione ritmica, composta da Eric Klaastad al basso e Stephen Durrell alla batteria, fornisce una base solida e dinamica che regge il peso di ogni traccia.

Purtroppo, i Trouble Tribe non sono mai riusciti a raggiungere il successo che meritavano. Forse il declino dell’ hair metal, forse una promozione poco incisiva o semplicemente il tempismo sbagliato li hanno relegati a un ruolo di culto. Eppure, a distanza di trent’anni, il loro album conserva tutta la freschezza e l’energia di allora. È un disco che cattura lo spirito dell’epoca nella sua forma più pura e se sei un fan del genere o semplicemente un amante delle gemme sepolte, i Trouble Tribe meritano una bella rispolverata, e poi ditemi che una copertina del genere non invoglia all’acquisto 😉 .

Dopotutto, la vera grandezza non ha bisogno di classifiche per brillare. I Trouble Tribe ne sono una prova vivente.

© 2025, Samuele Mannini. All rights reserved.

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