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20 Settembre 2024 1 Commento Giorgio Barbieri
genere: Heavy Metal
anno: 2024
etichetta: Reaper Entertainment
Tracklist:
01 – The descenders
02 – Fight!
03 – Far beyond
04 – Railroad of dreams
05 – Saraswati
06 – New horizons
07 – The voice from the silver mountain
08 – Forgotten nation
09 – Nightfall
10 – The emerald river
11 - 1917
Formazione:
Jan Leščanec: Vocals
Mare Kavčnik: Guitars
Urban Železnik: Guitars
Primož Lovšin: Bass
Jurij Nograšek: Drums
Gli Skyeye sono un gruppo dedito ad un ortodosso heavy metal, proveniente dalla vicina Slovenia, attivo da oramai dieci anni e che ha combattuto strenuamente per ritagliarsi una fetta di notorietà nel panorama metallico, riuscendo ad avere un contratto con la volenterosa Reaper Entertainment, un’etichetta che non è sicuramente nota per adagiarsi sugli allori e cercare sempre nomi nuovi ed interessanti e con la quale la band della ex Jugoslavia ha già pubblicato ‘Soldiers of light’ nel 2021, dopo l’esordio autoprodotto ‘Digital god’ del 2018.
Questo ‘New horizons’ è il terzo album per gli Skyeye, ma non sembrerebbe proprio, e mi spiego, a parte i suoni decisamente moderni, i quasi sessanta (!) minuti di durata del disco, sono davvero duri da mandare giù, a causa di un eccessivo appiattimento delle soluzioni sonore e di songwriting, non sembra nemmeno che i ragazzi sloveni abbiano la voglia di osare, di colpire nel segno, sembrano adagiarsi su soluzioni scontate, sembrano navigare in un mare calmo, senza sussulti, in modo che, se si dovesse scatenare una tempesta, loro si salvino nel loro porto sicuro.
Cosa altro si può dire di canzoni che ricalcano gli stilemi speed power degli Helloween e degli Accept (The descenders), senza lo speed, ma sempre degli stessi mostri sacri (Fight!), dei Metal Church, ma con rimandi ai vocalizzi di Andi Deris (Far beyond), dell’orgoglio Manowariano (The voice from the silver mountain), e a poco servono i momenti iniziali di “Saraswati”, dopo poco si ritorna nell’ordinario simile al brano di apertura, men che meno per la galoppata Maideniana di “Nightfall” e per la sempliciotta “Forgotten nation”, almeno la suite “1917”, che parla come si può ben intuire degli eventi della prima guerra mondiale e dei conflitti avvenuti sulle sponde dell’Isonzo, preceduta dall’intro “The emerald river”, da uno scossone ad un panorama sinceramente piattino.
I punti di forza di questo disco sono sicuramente la voce a la Dickinson di Jan Leščanec e gli intrecci dei chitarristi Urban Železnik e Mare Kavčnik, la sezione ritmica, pur martellante (fin troppo), non fa niente di eclatante e se il contesto classico, può essere un bene in certi frangenti, qui, diventa davvero un freno, anche se i due chitarristi trovano in diversi frangenti, delle soluzioni meno scontate e quindi, più interessanti.
Non me la sento di bocciarli comunque, il vigore ce lo mettono di sicuro, ma nemmeno di promuoverli a pieni voti, quindi, sperando in un auspicabile salto di qualità futuro, li rimando, come si faceva una volta, a Settembre…
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