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10 Maggio 2024 2 Commenti Giorgio Barbieri
genere: Rock
anno: 2024
etichetta: Frontiers
Tracklist:
01 – Late night street fight
02 – Cherry
03 – So supernatural
04 – Soul jive
05 – Gun
06 – Shot in the dark
07 – The only thing
08 – Kick out the jams
09 – Money machine
10 – Don’t come running to me
11 – If I fell
Formazione:
Eric Bloom: Guitars, Keyboards, Vocals
Donald “Buck Dharma” Roeser: Guitars, Vocals
Allen Lanier: Guitars, Vocals
Joe Bouchard: Bass, Guitars, Keyboards, Percussions, Vocals
Albert Bouchard: Drums, Vocals
Richie Castellano: Guitars, Keyboards, Vocals
Rick Downey: Drums on “So supernatural” and “If I fell”
Contatti:
http://www.blueoystercult.com
https://www.facebook.com/blueoystercult
https://www.instagram.com/blue_oystercult/
https://www.youtube.com/channel/UCToiTDJNmKtyBHAUUsbdZnQ
Nuovo album dei Blue Oyster Cult? Sì, ma non del tutto nuovo, voi direte, e perché? Semplice, questo “Ghost stories” non è composto da canzoni appena scritte dalla premiata ditta Bloom/Roeser, ma da pezzi registrati tra il 1978 ed il 1983 e pubblicati solo ora, dopo essere stati remixati, inoltre sono state aggiunte anche le nuove parti registrate da Richie Castellano, oramai con i BOC da vent’anni.
Data la poca prolificità della band statunitense che, ricordiamo, dal 1988 ad oggi ha pubblicato solo quattro album in studio prima di questo, probabilmente si è pensato di fare questa operazione per mantenerne vivo il nome, vista l’urgenza dell’etichetta, la nostra Frontiers, di far uscire pubblicazioni più o meno fresche del proprio roster, ma sarà stata una mossa azzeccata?
Staremo a vedere, intanto parliamo della composizioni che compongono quello che, a tutti gli effetti è il quindicesimo lavoro in studio dei Blue Oyster Cult, si comincia con ‘Late night street fight’, un boogie rock tipico dei BOC del periodo fine seventies/inizio eighties, comunque piacevolmente spiazzante, seppur nei suoi tre minuti e mezzo, questo potrebbe far presagire il solito album pieno di voli esaltanti nel mondo blueoystercultiano, ma così non è, almeno non del tutto, perché già da ‘Cherry’ si comincia a capire perché queste tracce sono state scartate ai tempi per lasciare spazio a composizioni più ispirate, che, ricordo, sono andate a comporre dischi enormi come “Cultosaurus Erectus”, “Fire of unknown origin” e “The revolution by night”, sembra di sentire i Rolling Stones in botta e, chiaramente, senza il valore aggiunto della copia Jagger/Richards e se con ‘So supernatural’ sembra che le cose vadano meglio, con il suo andamento più oscuro, ma retto su una linea tutto sommato semplice ed orecchiabile, ecco che la cover di ‘We gotta get out of this place’ degli Animals, originariamente incisa da Eric Burdon e soci nel 1965, fa scendere subito l’attenzione, ok, si tratta di un pezzo sostanzialmente pop, ma nella versione dei nostri, non guadagna ne in freschezza, ne in incisività, si prosegue con ‘Soul jive’, dove fa capolino il funky a-la Stevie Wonder, reinterpretato alla loro maniera, perlomeno porta una ventata di freschezza, che viene però subito spazzata via da ‘Gun’, dove lo spettro degli Stones torna ad aleggiare, ma senza incidere e lasciare alcunché di memorabile, un po’ più di verve la da ‘Shot in the dark’, ritmata e più coinvolgente rispetto ai pezzi precedenti, ma non è che ci volesse molto. E così si arriva alla seconda cover contenuta sull’album, ovvero quella ‘Kick out the jams’ degli MC5, originariamente uscita come singolo nel 1969 e qui riportata in una versione che non rende giustizia a quella vigorosa di Wayne Kramer e soci, insomma , a parte il tributo al rock più sanguigno, sinceramente non riesco a capire il perché di un rifacimento così edulcorato di un pezzo che rappresenta la rabbia del proto punk, espressa anche in un testo diretto e senza compromessi; stancamente ci trasciniamo verso la fine con il rock fumoso di ‘Money machine’, almeno sorretta da un bel riff, con l’hard melodico finalmente un p0′ spiazzante di ‘Don’t come running to me’, fino alla chiusura con ‘If I fell’, la cover dei Beatles contenuta originariamente su “A hard day’s night’ del 1964, rifatta pari pari alla già melensa versione originale, nota a margine, questa è l’unica canzone registrata recentemente, ossia nel 2016, ma la cosa non cambia nulla del risultato finale.
Dicevamo, sarà stata una mossa azzeccata? Beh, sicuramente il nome è di richiamo e di rilievo, l’operazione è quantomeno discutibile e se devo essere sincero, a me, non ha convinto per nulla, quello che penso dei Blue Oyster Cult continuerà ad essere qualcosa di grande ed inspiegabile con termini semplici, quindi “Ghost stories” non scalfirà la mia convinzione, piuttosto credo che aumenterà invece quella che mi porta a pensare che la Frontiers abbia perso una occasione di pubblicare qualcosa di veramente intrigante, ma io non gestisco una label, per cui rimane soltanto un mio pensiero…
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