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Vypera – Race Of Time – Recensione

27 Giugno 2023 22 Commenti Giorgio Barbieri

genere: Hard Rock/Heavy Metal
anno: 2023
etichetta: Frontiers

Tracklist:

01 - Hey You
02 - Riding On The Wind
03 - Mary Jane
04 - Stormwind
05 - Vicious
06 - No Place For A Dreamer
07 - Trying Hard To Run Away
08 - Fool's Game
09 - Speedin'
10 - Daytona
11 - Slave To Love

Formazione:

Andreas Wallström - Vocals
Christoffer Thelin - Guitars
Cederick Forsberg - Lead Guitars
Andreas Andersson - Bass
Johan Pettersson - Drums

Contatti:

https://www.facebook.com/Vyperaofficial
https://www.instagram.com/vyperaofficial/

 

Il secondo album dei Vypera è fantastico, un vero e proprio capolavoro, un enorme tributo agli anni ottanta, senza alcuna contaminazione, con un songwriting ispirato e del tutto votato al periodo che tutti noi amiamo e che rimpiangiamo ogni giorno strappandoci le vesti, sin da quando il 31 Dicembre 1989 è finito ed è cominciato il primo Gennaio 1990…aspetta, ma qui non siamo sulle pagine di “quelli bravi”, anche perché io non ci starei, quindi, cosa sta succedendo? Semplice, per qualche secondo ho pensato che “Race of time” fosse un grande album e che potesse far breccia in quel vecchio metallaro che vi sta intrattenendo con queste righe, ma dopo circa due minuti del pezzo di apertura “Hey you”, ho capito che di cose interessanti, qui dentro ce ne sono, ma non sono molte, prova ne è lo sbadiglio partito dopo il secondo singolo “Riding on the wind” e posto che anche la fantasia, per i Vypera, latita anche nei titoli, passo alla spiegazione dell’idea che mi sono fatto sul secondo album della band di Sandviken.

Intendiamoci, l’album non è brutto, è semplicemente vecchio, anche negli anni ottanta sarebbe stato scontato, ma lì eravamo ggggiovani e ci esaltavamo anche per cose poco impegnate, per cui, chiunque cerchi un revival degli 80s senza alcuna pretesa, qui potrà trovare pane per i propri denti, per tutti quelli che, come me, fin dalla seconda metà degli anni ottanta stessi, hanno cominciato a cercare nuove vie pur continuando a tributare i classici, questo album è talmente “semplice” da risultare ingenuo e l’attenzione all’ascolto cala vistosamente. I primi due singoli posti in apertura e già conosciuti da tempo possono magari far smuovere il piedino e far urlare a squarciagola il ritornello, ma alla fine cosa resta? Un obsoleto omaggio alla decade stranominata, fatto anche con sufficienza, da musicisti sì bravi, ma che qui si limitano al compitino, d’altronde non serve essere i Dream Theater per suonare questo genere e bisogna riconoscerlo, ma con “Mary Jane” (a ridaie con i titoli già sentiti!) le cose migliorano? Beh, penso che dopo due pezzi così semplici, le cose possono solo migliorare e l’inizio sembra andare per questa strada con una partenza d’assalto e assoli al fulmicotone che sembrano uscire da un album degli Scorpions dei medi 80s e finalmente non si sentono incursioni di quelle tastierine zuccherose che affievolivano la già debole tensione nei primi due brani, “Stormwind” segue portando la tranquillità di quelle ballad semiacustiche tipiche, toh, guarda un pò, di molti album anni ottanta, un pò Europe, un pò Poison, anche qui, formalmente un pezzo fatto bene, con un’interpretazione vocale finalmente convincente, ma che sa di già sentito da chilometri di distanza, “Vicious” è un mid tempo che parte come migliaia di altri pezzi di heavy melodico, con assoli plurimi ad introdurre un andamento sostenuto, ma perlomeno il testosterone qui sale e i break disseminati lungo il brano danno una sferzata positiva e magniloquente, “No place for a dreamer” è un roccioso metal, con cori a-la White Lion e stacco simil funky, che si chiude in un crescendo di ripetizioni e up tempo finale, insomma qui dentro ci sono tante cose e potrebbe risultare la canzone più interessante se solo quelle idee fossero un pò più protratte, invece di essere solo accennate. Pensate che le cose stiano migliorando? Illusi, “Trying hard to run away” è un class metal talmente scontato, da farmi prevedere lungo l’ascolto cosa avrebbero suonato e cantato i Vypera, l’inizio sincopato di “Fool’s game” (di nuovo…ma si sono studiati i titoli di altri gruppi?) fa ben sperare, poi entra tutta la band e si cade nel prevedibile hard’n’heavy, addirittura qui con un ritornello neanche particolarmente catchy, qualcosa si muove con “Speedin'” e il suo inizio degno dei Vicious Rumors d’annata, peccato che qui non ci sia il compianto Carl Albert e si sente e neanche Geoff Thorpe, altrimenti un testo come “Speedin’, faster than the speed of light”, fiera del trito e ritrito, non sarebbe neanche stato pensato, perlomeno dopo urletti glam che fanno abbastanza sorridere, il pezzo si chiude con una serie di assoli centrati e ficcanti, per “Daytona” il discorso potrebbe essere lo stesso di “Fool’s game”, un buon inizio ispirato e “sentito”, viene vanificato da un ritornello simil aor, ma che di aor ha solo la melodia, per il resto c’è poca ispirazione e una voce che non cambia mai registro. Vi ricordate che i Vypera, praticamente nello stesso momento dell’anno scorso hanno pubblicato il pur buono “Eat your heart out”, non un capolavoro, ma un bel disco di power metal made in USA, ecco, “Slave to love” (e beh, ma allora lo fate apposta!) è l’unico brano che avrebbe potuto stare su quell’album, vigoroso, incalzante, con dei riff finalmente rocciosi e un cantato che, seppur non cambia nemmeno stavolta, almeno si rivela azzeccato e fa chiudere l’ascolto di “Race of time” con un sorriso.

Cosa si può aggiungere in conclusione che non sia già stato detto? Poco in realtà, come un “collega” mi ha detto in via informale, sembra che “Race of time” sia composto da canzoni che inizialmente sono state estromesse dal primo album ed in effetti è difficile pensare che un gruppo possa avere un songwriting particolarmente ispirato se è “costretto” a pubblicare un album a distanza di un anno dal precedente, così facendo, non si potrà mai avere un disco che non sia un minimo stato pensato e allora direte voi, cosa si pretende da un gruppo che suona hard’n’heavy, anche l’ispirazione? Beh, ragazzi, le domande da farsi sono altre, devo spendere 20 eurilli per avere la scialba copia della copia della copia di un gruppo class anni ottanta? No! Devo continuare a dare voce a tutto questo revival, portato avanti soprattutto in Scandinavia, da chi in quegli anni non era nemmeno nato e che, sinceramente ha meno sussulti di un manto autostradale appena rifatto? Ancora no! Voglio divertirmi , magari in maniera spensierata? E allora ci sono gli originali degli 80s, che oltretutto per chi non avesse certi album nella propria discografia, vengono via ad un prezzo decisamente più contenuto. Questa politica delle pubblicazioni “a cottimo” non porterà a niente di buono, saturerà il mercato, di suo già inflazionato e farà scendere il livello di attenzione dell’ascoltatore verso punti sempre più bassi, è questo quello che vogliamo?  Ai posteri l’ardua sentenza, diceva un certo scrittore bravino…

© 2023, Giorgio Barbieri. All rights reserved.

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