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Jani Liimatainen – My Father’s Son – Recensione

31 Maggio 2022 Comment Giorgio Barbieri

genere: Melodic Metal
anno: 2022
etichetta: Frontiers

Tracklist:

1 - Breathing Divinity (Vocals: Björn "Speed" Strid)
2 - All Dreams Are Born To Die (Vocals: Tony Kakko)
3 - What Do You Want (Vocals: Renan Zonta)
4 - Who Are We (Vocals: Timo Kotipelto)
5 - Side By Side (Vocals: Pekka Heino)
6 - The Music Box (Vocals: Renan Zonta)
7 - Into The Fray (Vocals: Timo Kotipelto)
8 - I Could Stop Now (Vocals: Anette Olzon)
9 - Haunted House (Vocals: Jani Liimatainen)
10 - My Father's Son (Vocals: Antti Railio)

Formazione:

Jani Liimatainen - Guitars, keyboards, programming
Jonas Kuhlberg - Bass
Rolf Pilve - Drums
Jarkko Lahti - Piano
Jens Johansson - Guest keyboard solo
Janne Huttunen - Guest saxophone solo

Ospiti:

Petri Aho
JC Halttunen
Tony Kakko
Jani Liimatainen
Anette Olzon
Antti Railio
Björn Strid
Lassi Vääränen
Renan Zonta

 

Ci risiamo! Appena finito di recensire l’album dei Black Eye, ecco che arriva un altro progetto in stile ammucchiata di musicisti più o meno conosciuti, al servizio del “capoccia” di turno che, in questo caso, è Jani Liimatainen, chitarrista e tastierista con una lunga esperienza, membro fondatore dei Sonata Artica, che ha lasciato nel 2007 e degli Altaria, abbandonati un anno prima, per formare i Cain’s Offering assieme a Timo Kotipelto degli Stratovarius e i The Dark Element con l’ex cantante dei Nightwish, Anette Olzon, inoltre dal 2019, il buon Jani fa parte anche dei melodic deathsters Insomnium. E così, dato che gli rimaneva ancora libero un posticino, ha pensato bene di mettere in piedi pure questo progetto, con ospitate da un po’ tutto il panorama melodic metal scandinavo e non, per la gioia del sottoscritto che, per l’ennesima volta, si ritrova a commentare un album di un non gruppo, slegato e dispersivo, pur con buone idee e naturalmente con una tecnica esecutiva altissima, ma fredda come i paesi dai quali provengono la maggior parte degli artisti coinvolti.

I pezzi vivono di luce propria, non sembrano neanche composti per lo stesso album, se non per una certa componente “futuristica” creata dalle tastiere e poi si parte, con questo saliscendi di umori, introdotto da “Breathing divinity”, uno dei brani più azzeccati, cantato da Bjorn “Speed” Strid, frontman dei Soilwork, nei quali ha capito che oltre a tirare sferzate growl, poteva anche cantare, cosa che peraltro fa con discreti risultati anche con i The Night Flight Orchestra e certe atmosfere simil prog, sembrano costruite su di lui, ma subito dopo arriva “All dreams are born to die” e si ritorna sulla terra con un pezzo di power melodico zuccheroso con Tony Kakko dei Sonata Artica alla voce a chiudere un quadro davvero povero di idee e di grinta, meglio va con l’energico brasiliano Renan Zonta degli Electric Mob in “What do you want”, dal flavour hard e interpretata anche dallo stesso Jani senza strafare, poi è la volta di “Who are we” con Timo Kotipelto degli Stratovarius, brano d’atmosfera condotto dalla recitazione di Timo e dal piano in crescendo di Jani, la cosa più interessante di “Side by side” interpretata dall’ex Leverage e attualmente con gli aorsters Brother Firetribe Pekka Heino, è l’assolo di sax che risolleva parzialmente le sorti di un brano di una pochezza disarmante. Il secondo episodio targato Renan Zonta è la semiballad “The Music Box” che personalmente mi ha ricordato gli episodi più leggeri dei Pink Cream 69, se non altro ci si discosta dal power tout court e si creano atmosfere magniloquenti, che ci stiamo per rialzare? Ma no, ecco “Into the fray”, mid tempo condotto ancora da Kotipelto e che non solo per questo ricorda gli Stratovarius del periodo fine 90/inizio 2000, prevedibile? Sì, direi che è l’aggettivo più calzante, ancora una volta l’album sembra rialzare il tiro con il folk semiacustico di “I could stop now”, cantata dalla frontwoman dei The Dark Element Anette Olzon, che ben si adatta al feeling evocativo del pezzo, sorprende poi “Haunted house”, altra ballad cantata dallo stesso Jani, il quale crea un quadro lievemente malinconico, sostenuto quasi esclusivamente da tastiere acustiche, infine chiude il tutto la title track, minisuite di 11 minuti e mezzo cantata da Antti Railio, sorta di Kotipelto meets Russell Allen, piena di rimandi prog e sinfonici, che ricorda e sottolineo ricorda, appunto i Symphony X dei primi tre album.

Meno male che i colpi di coda hanno fatto rialzare la testa ad un disco che, nonostante gli sforzi tecnico/compositivi era, a mio parere destinato a finire nel dimenticatoio ben presto, con questo però non promuovo a pieni voti l’operato del pur bravo Liimatainen, che si sforza , ed è un bene, di non essere invadente con solismi fini a se stessi, ma che con questa formula del mischione non incontrerà mai la mia benevolenza, il parere è chiaramente soggettivo e chiunque sbavi per “comuni” in stile Avantasia o Beto Vazquez Infinity, qui si troverà a proprio agio, ma è la stessa concezione di non gruppo a spingere contro, chiudendo lo spazio a riproposizioni in sede live o comunque al filo conduttore che ogni band, seppur multiforme, dovrebbe avere. Da rivedere…

© 2022, Giorgio Barbieri. All rights reserved.

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