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Recensione

85/100

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Seventh Crystal – Delirium – Recensione

13 Maggio 2021 23 Commenti Vittorio Mortara

genere: Melodic Hard Rock
anno: 2021
etichetta: Frontiers Music srl

Tracklist:

01 Say What You Need To Say 3:56
02 When We Were Young 2:54
03 Broken Mirror 3:58
04 Delirium 3:36
05 When I'm Gone 3:45
06 Should've Known Better 3:51
07 So Beautiful 3:32
08 Time To Let It Go 3:24
09 Deja Vu 3:10
10 Bright And Clean 3:58
11 Hope It Will Be Alright 4:07

Formazione:

Kristian Fyhr – voce
Johan Älvsång – tastiere
Emil Dornerus – chitarre
Olof Gadd – basso
Anton Roos – batteria
Hampus Linderholm – cello
Emelie Alm – cori

 

Definire il genere musicale proposto da questo nuovo combo svedese è la prima difficoltà di questa recensione. Senz’altro la prima cosa che salta all’occhio (anzi, all’orecchio!) è la voce del fondatore Kristian Fyhr, leader dei Perpetual Etude, gruppo autore di un discreto album di Hard Rock con forti influenze power. Il biondo ragazzone è dotato di una tonalità che ricorda molto da vicino Danny Vaughan ma, almeno per chi scrive, dimostra una padronanza ed una varietà di interpretazione di gran lunga superiore rispetto al cantante americano. Intorno a sé, Kristian ha radunato musicisti che vantano militanze in diverse band scandinave non di primissimo livello. La bio parla di un songwriting dalle influenze più disparate: dagli Ace Of Base ai Behemot, e, a dire il vero, si sentono veramente un po’ tutte! Quello che ne scaturisce io lo definirei un hard rock raffinato, mai banale, modernizzato da una velatura lievemente oscura, quasi gothic, con passaggi strumentali a tratti mutuati dall’heavy metal ma adattati alla tipica melodia nordeuropea. Quanto agli influssi pop, li scorgerete più nell’uso garbato delle linee vocali che nell’immediatezza delle stesse. Infine, a valorizzare ulteriormente il prodotto, contribuisce una registrazione piuttosto curata. Tecnicamente bravi tutti i musicisti, anche se a fare la parte del leone è sempre il buon Fyhr, due spanne buone sopra il resto del gruppo.

La sintesi di quanto detto si può ascoltare nell’opener e primo singolo “Say what you need to say”, melodica e variegata, con un accenno di screaming ad introdurre il bel refrain, fra gli svolazzi del piano e della chitarra su un tempo non esattamente facile. Si pigia sull’acceleratore con “When we were young”, decisamente più hard ed immediata, dominata dalla chitarra di Dornerus. Aperta da un arpeggio classicamente metal, “Broken mirror” mette in evidenza tutta la maestria di Fyhr nella gestione delle proprie corde vocali, dal sussurrato all’aggressivo. Colpisce lo spirito pop del ritornello che non sfigurerebbe affatto in una canzone di Ed Sheeran. La title track, invece, prende spunto dai migliori Talisman e vi assicuro che la voce di Kristian non ha nulla da invidiare al Jeff Scott Soto di quei tempi! Ascoltate “When I’m gone” e notate quanto sia abile il singer svedese a prendervi per mano e ad accompagnarvi lungo tutte le fasi del pezzo comunicandovi perfettamente l’intensità del testo cantato! Hard rock al di sopra delle definizioni.

Fantastico! “Should’ve know better” ha movenze raffinate nella partitura strumentale, all’interno della quale si apprezza particolarmente il lavoro del piano. Superfluo ribadirne altresì la perfetta interpretazione canora. La struttura modernamente pop energizzata dalle chitarre contraddistingue “Beautiful”, mentre la durezza espressiva della successiva “Time to let it go” è decisamente mutuata dall’universo metal. Scelta come secondo singolo, “Deja vu” è tutt’altro che di facile assimilazione: ottimo il lavoro della sezione ritmica e, ancora una volta, splendido il ventaglio di sfumature vocali messe sul piatto da Fyhr. “Bright and clean” è il brano che ho apprezzato di meno, più insipida ed ordinaria rispetto al resto dell’album. A concludere col botto ci pensa però “Hope it will be allright”: quel piano triste e romantico ad accompagnare la voce mi ha provocato più di un brivido lungo la schiena per quanto somigli allo stile dell’impareggiabile poeta Fish… e come se non bastasse l’assolo di cello dell’ospite Hampus Linderholm rende la canzone un vero e proprio killer emozionale.
I dischi belli ti invogliano a riascoltarli più e più volte. Quelli come l’ultimo dei Temple Balls lo fanno perché l’adrenalina che ti infondono crea assuefazione e non vedi l’ora di sparartene un’altra dose. Quelli come questo “Delirium” lo fanno perché senti la necessità di riascoltare con più attenzione questo o quel passaggio, perché sei sicuro che ti sia sfuggita una sfumatura, un dettaglio. E desideri coglierne fino all’ultimo particolare. Vi assicuro che quest’album non vi deluderà. Non fosse altro che per ascoltare un cantante che, per me, va a piazzarsi dritto dritto nel valallah dei singer vichinghi di questo decennio.
Da ascoltare!

© 2021 – 2023, Vittorio Mortara. All rights reserved.

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