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L.A. Guns – Renegades – recensione

24 Dicembre 2020 7 Commenti Stefano Gottardi

genere: Hard Rock/Rock'n'Roll
anno: 2020
etichetta: Golden Robot Records

Tracklist:

1. Crawl
2. Why Ask Why
3. Well Oiled Machine
4. Lost Boys
5. You Can't Walk Away
6. Witchcraft
7. All That You Are
8. Would
9. Renegades
10.Don't Wanna Know

Formazione:

Kurt Frohlich – Voce, Chitarra
Scott Griffin – Chitarra Solista, Cori
Kelly Nickels – Basso, Cori
Steve Riley – Batteria, Cori

Contatti:

https://www.laguns.net
https://www.facebook.com/officiallaguns

 

Gli L.A. Guns si formano a Los Angelese nel 1983 e, oltre al chitarrista Tracii Guns, nella band c’è un ancora sconosciuto Axl Rose, che in breve tempo molla per fondare gli Hollywood Rose. Dalla fusione dei due gruppi nascono i Guns N’ Roses, che a sua volta Tracii lascia venendo rimpiazzato da Slash. A quel punto riforma gli L.A. Guns con nuovi musicisti, fra cui il cantante Paul Black. Dopo qualche demo nel 1987 dietro al microfono prende posto il britannico Phil Lewis dei Girl; nel 1988 invece il batterista ex W.A.S.P. Steve Riley si accomoda ai tamburi. Sono ben quattro i dischi che bene o male manterranno la stessa formazione (Phil Lewis, voce; Tracii Guns e Mick Cripps, chitarre; Kelly Nickels, basso e Steve Riley, batteria), prima che American Hardcore del 1996 stravolga tutte le carte in tavola, sia a livello stilistico che di line-up, tenendo dentro solo Guns e Riley. In mezzo, nel 1994, c’è un altro temporaneo scioglimento. Licenziato il nuovo cantante Chris Van Dahl (già noto come Roxy Dahl nei Cherry St.), ingaggiano Raplh Saenz (oggi conosciuto come Michael Starr negli Steel Panther) e danno alle stampe un EP. Nel 1998, perso per strada Saenz, prima assumono per un breve periodo Joe Leste dei Bang Tango, poi prendono Jizzy Pearl dei Love/Hate e con lui un anno dopo pubblicano un nuovo full-length, Shrinking Violet. Nel 2001 tornano con l’album Man In The Moon e nel 2002 con Waking The Dead, e con Lewis, Guns e Riley ancora a bordo. Nel 2003 Tracii abbandona a favore dei Brides Of Destruction, mentre la band afferma di averlo licenziato creando la famosa spaccatura fra Guns e Lewis che si ricompatterà solo diversi anni dopo. Con Stacey Blades (Roxx Gang) alla sei corde, fra il 2004 e il 2005 arrivano Rips The Covers Off e Tales From The Strip. Nel frattempo Tracii si riunisce al vecchio cantante Paul Black e realizza l’album Black List come Paul Black’s L.A. Guns. Fino al 2012, anno in cui il chitarrista scioglie la sua versione, esistono due gruppi con lo stesso nome, uno capeggiato da Tracii, l’altro da Phil. Quest’ultimo nel 2012 dà alle stampe Hollywood Forever. Nel 2016 i due si ritrovano e il singer lascia di fatto la band con Steve Riley, pubblicando due lavori col suo vecchio compagno di scorribande, The Missing Peace (2017) e The Devil You Know (2019). Nel Gennaio del 2020 il duo denuncia Riley per aver continuato ad utilizzare lo storico monicker, con cui in tempi più recenti ha messo sul mercato Renegades. Questa è a grandi linee la storia degli L.A. Guns, riassunta in forma sintetica per cercare di fare un po’ di chiarezza su un gruppo che nel corso degli anni non ha fatto nulla per non rendere complicata la sua avventura. Talmente complicata che, se ci chiedessero di puntare un euro sulla precisione della ricostruzione che avete appena letto, probabilmente non lo faremmo, ma in qualche maniera dovrebbe avere contribuito a spiegare un po’ meglio gli eventi che hanno portato alla situazione attuale che vede ancora una volta due diverse versioni della band contendersi lo stesso nome.

A Steve Riley, assieme al membro di lunga data Scott Griffin e di lunghissima Kelly Nickels, e al cantante Kurt Frohlich, sono bastati una manciata di concerti per strappare un contratto alla label losangelina Golden Robot Records. L’artwork di Renegades richiama quello del leggendario debut, mossa già vista più volte in passato e di recente attuata anche dalla versione Guns/Lewis, mentre nel back inlay si può ammirare una foto della line-up. Il booklet è composto da sole due pagine contenenti copertina e crediti, senza testi, quindi molto deludente, specialmente considerando che il coinvolgimento di un’etichetta come questa avrebbe potuto offrire qualcosa di più sostanzioso. Resta la musica, e quella fortunatamente è di maggior qualità. Da subito sembra esserci chimica non solo fra Riley e Nickels, che di fatto costituiscono il motore pulsante del gruppo, ma anche fra gli altri due componenti, con un Griffin finalmente nel suo vero ruolo di chitarrista (in precedenza aveva suonato il basso con la band) e un Frohlich la cui timbrica risulta credibile e appropriata al sound del quartetto. Lo stile è quello storico: hard rock senza fronzoli con un’irrinunciabile vena sleaze, ma sviluppato con un occhio di riguardo verso il presente. Nessun modernismo, ma il sound pur non allontanandosi dai binari classici non puzza mai troppo di vecchio. A parte un paio di episodi più lenti (“You Can’t Walk Away” e “Would”), il disco spinge e piazza alcuni colpi (“Crawl”, “Well Oiled Machine”, “Lost Boys”, “Witchcraft”, “Renegades”, “Don’t Wanna Know”) abbracciando vari stili, alcuni più old school sleaze, altri più dark e altri ancora più sperimentali, senza mai perdere il filo conduttore. Coesi e compatti, questi L.A. Guns hanno groove e melodia, un discreto songwriting e qualche idea in più di quelli del recente The Devil You Know. Renegades batte nettamente quell’album, ma non il precedente The Missing Peace, anche se getta le basi per un futuro solido. Forse penalizzato da quel nome in copertina, che di fatto avrebbe dovuto sortire l’effetto contrario, la sensazione è che questo disco sarebbe stato preso maggiormente in considerazione se il gruppo si fosse chiamato in un altro modo. È comprensibile: c’è sempre stata troppa confusione attorno al monicker, qualche vecchio fan si è un po’ stufato ed è comunque difficile riuscire a generare maggiore interesse di una band col tuo stesso nome che comprende cantante e chitarrista storici, ma non dare una chance a questa formazione sarebbe veramente un peccato.

IN CONCLUSIONE

Lungi dall’essere un capolavoro, Renegades è in ogni caso un buon esempio di roccioso hard rock, possibile primo capitolo di un qualcosa che se adeguatamente coltivato può dare in futuro ottimi frutti. Sempre che nel frattempo uno dei musicisti coinvolti non decida di mollare e lanciare anch’egli la sua personalissima versione degli L.A. Guns

© 2020 – 2021, Stefano Gottardi. All rights reserved.

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