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13 Ottobre 2011 3 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Hard Rock
anno: 2011
etichetta: Universal Music
Tracklist:
01. I Am Made Of You
02. Caffeine
03. The Nightmare Returns
04. A Runaway Train
05. Last Man On Earth
06. The Congregation *
07. I’ll Bite Your Face Off *
08. Disco Bloodbath Boogie Fever
09. Ghouls Gone Wild
10. Something To Remember Me By *
11. When Hell Comes Home *
12. What Baby Wants
13. I Gotta Get Outta Here
14. The Underture
* migliori canzoni
Formazione:
Alice Cooper - Voce
Steve Hunter - Chitarra
Dick Wagner - Chitarra e voce
Prakash John - Basso
Tony Levin - Basso
Johnny Badanjek - Batteria
Whitey Glan - Batteria
Contatti:
1975. L’incubo di Alice Cooper, maestro dello shock rock e tra gli artisti più geniali della scena rock globale, esce nei negozi e da li non vi uscirà più, capolavoro di maestosa intensità e gusto scenico, tutt’oggi considerato tra i capolavori di questo progetto.
2011. Più di 35 anni dopo Alice Cooper decide di fare un passo indietro (dopo alcune uscite recenti per altro molto buone) e presentare un nuovo incubo del suo personaggio, ambientato ai giorni nostri. Il disco, a titolo Welcome 2 My Nightmare e pubblicato per la Universal Music, proprio per come è stato presentato vuole quindi essere a tutti gli effetti un secondo capitolo di Welcome to my Nightmare, tanto che il cantante ha voluto ricreare in tutto e per tutto il clima della passata uscita attraverso l’ingaggio di quasi tutti gli stessi musicisti e dello stesso staff di produzione presenti nel ’75. Vediamo con quali risultati..
LE CANZONI
A colpire fin dall’esordio del primo brano I Am Made Of You sono i suoni di questo disco, davvero nitidi e perfettamente mixati sia sulle parti rock che sulle parti dal sound più commerciale (purtroppo molto presenti). E così da un brano tendenzialmente anonimo come questo, si riesce ad estrappolare una sufficienza, che sopperisce all’uso per lunghi tratti di parti vocali filtrate e di tastiere un po’ troppo finte (elementi che in un Suo disco non vorrei mai sentire).
L’ironia tipica di questo storico artista è alla base di Caffeine, un brano un po’ sciocco per testo e modo di proporsi, con un ritornello semplice, scherzoso e di discreto impatto. Riemerge qui parte dello spirito rock di Alice, che però è scemato da una sensazione di modernizzazione d’intenti che tende a lasciare ancora una volta l’amaro in bocca all’ascoltatore.
La breve ed essenziale The Nightmare Returns apre le danze a A Runaway Train e all’inizio del nuovo incubo di Alice. Con un esordio che nel testo rimanda più o meno esplicitamente a Crazy Train di Ozzy Osbourne, è un pezzo ritmato e a tratti di influenza country, specie sulle chitarre, e di buona consistenza. Diversamente, Last Man On Earth, è una canzonetta in stile piano-bar, nella quale Alice può dare sfogo a tutta la sua teatralità e al suo innato carisma, attraverso un brano lineare ma d’impatto.
Il sestro brano, The Congregation, esplode denso di energia e prosegue ritmato da riff e brevi assoli particolarmente rock. E’ un pezzo divertente e ben eseguito, esuberante e cadenzato, specie sul ritornello. Prosegue sulla stessa linea d’onda il singolo I’ll Bite Your Face Off, questo si un gran bel pezzo rock ‘n roll influenzato da grandi realtà musicali anni’70, su tutti i Rolling Stones, e finalmente 100% in linea con lo stile di questo progetto.
Passo indietro con la folle e ironica Disco Bloodbath Boogie Fever, che tolto appunto lo spirito scherzoso e giocoso che la contraddistingue e che la cerca ad associare a qualche canzone dance, vale ben poco e non ha modo di rimanere in alcun modo impressa. Leggermente meglio Ghouls Gone Wild, un po’ punk, dall’approccio un po’ alla Ramones e (azzarderei pure in senso negativo) alla Green Day, ma anche lei incapace di lasciare qualcosa più che un rapido sorriso sullo sguardo di chi ascolta.
E’ tempo della ballad Something To Remember Me By, brano apprezzabile per suoni e arrangiamenti e dotato di una buona capacità di trasmettere emozioni. Insomma, non è un lento stellare, ma sa farsi valere e, in un ipotetico live, per questo brano l’accendino lo accenderei, facendo pure lo sforzo di muovere il braccio destra-sinistra a ritmo di musica.
Ben influenzata dallo stesso sound di Alice across the ’70s, When Hell Comes Home si eleva tra i capitoli migliori del disco, grazie a una grande interpretazione (anche vocale) di Cooper e a un’elevata ispirazione che fa si che il brano decolli nel suo intercedere. Ottimo anche l’assolo a centro pezzo e, più in generale, l’intero lavoro di chitarre.
Male invece What Baby Wants, pezzo banalmente commerciale e cantato in duetto con la pop(star?) Ke$ha che riesce a diventare, con ampio vantaggio, il peggior componimento del disco. Atroce.
L’incubo di Alice si chiude con la cazone in stile southern I Gotta Get Outta Here, che si rivela abbastanza piacevole e dotata di un ritornello carino, e infine con The Underture, strumentale tra la classica e il rock che intreccia capitoli storici della carriera di Alice Cooper con momenti tratti direttamente da questo disco. Nulla più che un curioso esperimento.
IN CONCLUSIONE
A far raggiungere (e di poco superare) la sufficienza a questo disco sono certamente il tasso tecnico dei musicisti coinvolti (specie degli illustri ospiti) che appare davvero sopra la media, a partire dallo stesso Alice Cooper che vocalmente non sfigura, e la grande resa sonora del lavoro, perfetta in ogni brano. A deludere fortemente chi come me si aspettava un grande secondo capitolo, certamente non uguale (soprattutto in valore e qualità) al superlativo e magistrale Welcome to my Nightmare del ’75 ma ”di livello”, è prima di tutto la totale mancanza di omogeneità tra i brani, tranne qualche sporadica eccezione come per le tracce 6-7 o 10-11 (che non a caso sono le migliori del lotto). Che sia stata probabilmente una scelta dello stesso Alice non lo metto in dubbio, che questa idea abbia avuto una buona resa invece si, qui ho da obiettare. Altro difetto è la continua sensazione che questo incubo moderno di Alice nasconda in se, brano dopo brano, la volontà di creare un sequel di quanto composto nel ’75, senza mai davvero riuscirci. Appare più una modernizzazione (nel senso negativo del termine) del sound di Welcome to my Nightmare, piuttosto che una sua revisione ad oggi. Tant’è che spesse volte in questo disco si cade nel banale e nel inspido, cosa che in un disco di Alice Copper non era accaduto (quasi) mai, segnando di fatto un vero e proprio passo indietro rispetto anche alle più recenti uscite dell’artista, comunque buone.
Insomma, non mi va di rimandare con una insufficienza questo lavoro perchè qualche qualità ha saputo esprimerla, ma non vi nascondo che al primo ascolto avrei voluto skippare tantissime tracce e schiffargli un bel votaccio. Risentendolo arrivo a saltare di netto pochi brani. Certamente, al di la del voto, la delusione è tanta.
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