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Pendulum of Fortune – Return to Eden – Recensione

14 Maggio 2019 1 Commento Alberto Rozza

genere: Hard Rock
anno: 2019
etichetta: El Puerto Records

Tracklist:

1. Diamond In The Rough
2. We Stand For Rock’ n Roll
3. Lucky Man
4. Skin And Bones
5. Return To Eden
6. Wishing Well
7. Never Be
8. Don’t Make a Fool Out Of Me
9. Broken Universe
10. Wings Of a Dove
11. Gravy Train
12. Rockanini
13. One Of a Kind
14. Bitter End

Formazione:

Bodo Schopf - Drums
David Readman - Vocals
Franky R. - Bass
Vladimir Shevykakov - Lead Guitar
Laki Ragazas - Lead Guitar
Matze Ehrhardt - Rhythm Guitar and Keyboards

 

Atteso ritorno per l’iconico batterista tedesco Bodo Schopf, già membro della Michael Schenker Band, con un nuovo lavoro di studio.

Le danze si aprono con la coinvolgente “Diamond In The Rough”, ottima nella sua semplicità hard rock, dalla struttura compatta e convincente. Con “We Stand For Rock ‘n Roll” la band si staziona in una zona di confort, proponendo un brano ruffiano e ammiccante, ma decisamente piacevole e cantabile. Dopo un’intensa e ben riuscita cover di “Lucky Man”, brano degli Emerson Lake e Palmer, troviamo “Skin And Bones”, ruvida e gagliarda, ottima nel suo groove scanzonato e graffiante. La title – track “Return To Eden”, introdotta da un fraseggio di basso, presenta una struttura a incastro molto interessante, una trama perfetta e suadente, che in modo spietato attira l’ascoltatore nelle sue spire. “Wishing Well” è un pezzone canonico, senza grandi picchi di novità, ma comunque d’impatto. Le atmosfere si oscurano con “Never Be”, misteriosa e perturbante, ma non particolarmente frizzante, nonostante un ritornello tosto e spiccatamente metal. “Don’t Make A Fool Out Of Me” percorre nuove strade e disegna nuovi orizzonti rispetto a quanto già ascoltato: tenue, emotiva e pacata, dimostra di essere un ottimo brano lento, immancabile in qualsivoglia album hard rock.

Si torna a pestare con “Broken Universe”, di discreta fattura, che lascia nuovamente il passo alla delicata “Wings Of A Dove”, dal titolo emblematico, un brano molto introspettivo, dalle sonorità incantevoli. Ritmicamente spietata, “Gravy Train” dà l’impressione di essere poco originale, malgrado una carica notevole e globalmente apprezzabile. Lo strumentale “Rockanini” è un virtuosismo tecnico fatto e finito, di chiara ispirazione paganiniana, atto a mettere in mostra le virtù realizzative della band. Passa senza troppi intoppi la variegata e per certi punti sbalorditiva “One Of A Kind”, esotica e folle, che ci indirizza alla conclusiva e agrodolce “Bitter End”, degna fine di questo lungo ma tutto sommato apprezzabile album, eseguito in modo impeccabile da una compagine di tutto rispetto e dalla grande esperienza, un album raffinato e tamarro allo stesso tempo: per tutti i gusti.

© 2019, Alberto Rozza. All rights reserved.

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