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09 Novembre 2018 7 Commenti Iacopo Mezzano
genere: Hard Rock / Blues
anno: 2018
etichetta: ear Music
Tracklist:
01. That’s Why I Play The Blues
02. The Blues Just Got Sadder
03. Empty Rooms
04. Still Got The Blues (For You)
05. Texas Strut
06. Nothing’s The Same
07. The Loner
08. Torn Inside
09. Don’t Believe A Word
10. Story Of The Blues
11. This One’s For You
12. Power Of The Blues
13. Parisienne Walkways
Formazione:
Bass Guitar – Bob Daisley
Ospiti:
Vocals – Jon C. Butler, Joe Lynn Turner, Neil Carter, Danny Bowes, Brush Shiels, Stan Webb, Damon Johnson, Gus Moore, Jon C. Butler, Ricky Warwick, Glenn Hughes, Rosanna Daisley (backing vocals)
Guitars – Tim Gaze, Steve Lukather, Illya Szwec, Stan Webb, Doug Aldrich, Jeff Watson, John Sykes, Damon Johnson, Jack Moore, Steve Morse, Luis Maldonado
Drums – Rob Grosser, Darrin Mooney, Eric Singer
Keyboards – Clayton Doley, Don Airey, Lachlan Doley, Neil Carter
Cello – Ana Lenchantin
Quando il 6 febbraio 2011 è circolata la triste notizia della morte improvvisa del chitarrista nordirlandese Gary Moore si è squarciato il tempio della musica hard rock e blues, esattamente come se fosse appena scomparsa una divinità. Gary era, e sempre resterà, uno dei maggiori guitar hero della storia di entrambi questi generi, ed è questo un dato di fatto che non riporto o esprimo io in qualità di suo fan accanito, ma è un aspetto che è stato evidenziato subito da tutti i suoi colleghi musicisti, e non, in ognuna delle loro sentite parole di commiato.
Eppure, vuoi per via del suo carattere burbero, vuoi perchè certe volte le cose vanno così (con la gente dimentica troppo precocemente i priopri idoli), dal giorno della sua scomparsa ben poco è stato fatto in suo ricordo. Sette anni dopo, Moore Blues For Gary – A Tribute To Gary Moore (uscito il 26 ottobre 2018 via earMUSIC grazie a una idea di Bob Daisley, che aveva suonato il basso con Moore sin dai primi anni Ottanta) arriva così sul mercato cercando di ovviare a questa strana dimenticanza, e presentandosi di fatto come il primo tributo ufficiale all’artista.
Forte di una infinita lista di musicisti ospiti, questo bellissimo platter evidenzia e dimostra subito due cose. La prima è che, nonostante gli illustri chitarristi al lavoro nell’opera – che eseguono tutti un lavoro eccellente di replica/personalizzazione secondo il proprio stile delle difficili parti strumentali – di Gary Moore al mondo ce ne sarà sempre uno, ed uno solo. Infatti, il tocco pulito e particolarissimo del nordirlandese appare a più battute irreplicabile, e ascoltando queste tredici tracce echeggia un senso di vuoto e di nostalgia davvero grande ora che i brani non sono più interpretati dall’unicità più pura di questo chitarrista.
Il secondo aspetto evidenziato dal disco è invece diametralmente opposto. Si sa che lungo la sua carriera Moore cercò più volte di trovare un cantante in grado di sostituirlo, così che egli potesse occuparsi unicamente della chitarra. Con l’unica eccezione di Tony Newton, il vocalist travagliato del suo album G-Force (1979), ogni sua ricerca in questo senso fu sempre vana, tanto che tutta la sua discografia solista presenterà la sua voce, certamente bella, espressiva e intonata, anche particolare, ma non leggendaria tanto quanto il suo tocco di corde. Bene, oggi per la prima volta in assoluto ho la personale certezza che se Gary avesse avuto al suo fianco anche uno solo dei cantanti presenti su questo tributo la sua carriera di musicista sarebbe stata ancora più sfolgorante. A livello vocale, qui viviamo la magia.
Ma andiamo per ordine. Bob Daisley sceglie come opener la traccia simbolo That’s Why I Play The Blues, che fa cantare da Jon C. Butler (Widowmaker) ed eseguire da Tim Gaze (Rose Tattoo, tra gli altri) alla chitarra. Impressionante la resa, fedelissima all’originale e molto ben interpretata anche allo strumento, e i brividi che ci corrono sulla pelle sono la certificazione più pura dell’ottimo operato dei musicisti. The Blues Just Got Sadder va invece in mano a un Joe Lynn Turner in grandissimo spolvero (era da tempo che non lo sentivo così in palla), ma Steve Lukather impressiona qui più che altro per la tecnica chitarristica, meno per il pathos, suonando forse un po’ troppo clean (specie sul solo).
Neil Carter, che è il co-autore di Empty Rooms, fa interamente suo questo pezzo storico di Gary, cantandolo mentre ne suona le tastiere. Alla chitarra, applauso meritato a Illya Szwec (Illya Szwec’s Groove Depot), che ben si cimenta su uno degli assoli più celebri della carriera di Moore. Still Got The Blues (For You), il brano dei brani, va a Danny Bowes (Thunder) alla voce e a un bravo John Skyes alla chitarra (Don Airey è alle tastiere). Si parlava delle voci che fanno qui da valore aggiunto? Bene, sentitevi bene questa. Non aggiungo altro.
Segue Texas Strut, con Brush Shiels alla voce e Tim Gaze nuovamente alla chitarra. Shiels era il cantante di Gary negli Skid Row, ed è un altro centro nel bersaglio nella selezione di ospiti di Daisley. Poi, troviamo Glenn Hughes alla voce, con il suo chitarrista Luis Maldonado, per la toccante Nothing’s The Same, da lacrime vuoi per il testo, vuoi per le note solitarie, e per un cantato da brividi. E’ tempo allora di The Loner, suonata da un Doug Aldrich ben immerso nella difficile parte di replicare la chitarra di Gary in questa arcinota traccia strumentale, a cui segue Torn Inside, che vede alla voce e alla chitarra un ottimo Stan Webb (Chicken Shack, Savoy Brown).
Don’t Believe A Word di Phil Lynott mette un bravissimo Damon Johnson (Alice Cooper, Thin Lizzy, Black Star Riders) nell’arduo compito di dover replicare entrambe queste leggende della musica hard rock con la sua voce e la chitarra, il tutto sfruttando un nuovo arrangiamento del pezzo nato da una idea di Daisley. Operazione riuscita! Successivamente, tornano Butler alla voce e Gaze alla chitarra per una Story Of The Blues dalla resa perfetta. Ma il momento di commozione massima avviene in This One’s For You, brano di Daisley e Dennis Wilson: Jack e Gus, i figli di Gary, prendono uno il microfono, l’altro la chitarra, del papà e ci dimostrano che buon sangue non mente. Senza parole, sembra davvero di risentire Gary.
Siamo però agli sgoccioli, ma c’è tempo per far tornare al microfono un sempreverde Turner, affiancato da un abile Jeff Watson (Night Ranger) alla chitarra, per la bella Power Of The Blues. A calare il sipario, immancabile, ecco Parisienne Walkways, interpretata invece da Steve Morse (Deep Purple, Dixie Dregs) e Ricky Warwick (Thin Lizzy, Black Star Riders, The Almighty), in ultimo grandissimo acuto di questo ottimo tributo, per uno dei brani meglio riprodotti dell’intero lotto.
IN CONCLUSIONE
Gary, da lassù, avrà tanto sorriso vedendo i suoi colleghi e amici impegnati in una così fedele e sentita riproposizione dei suoi pezzi. Merito dunque a Daisley, per essere stato in grado di radunare un così valido team di musicisti e cantanti, e per aver lavorato così bene nella produzione e negli arrangiamenti di questo disco, davvero di primissimo livello.
Finalmente il tributo che Gary Moore meritava. Ora manca solo una sua statua da qualche parte, inaugurata magari da un concerto-tributo analogo a questo platter, così da chiudere almeno in parte i conti con tutto quanto questo artista ci ha lasciato nell’eternità della sua musica. Indimenticato Gary.
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