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21 Settembre 2010 Comment Denis Abello
genere: Hard Rock
anno: 2010
etichetta: Mascot Records
Tracklist:
01. Black Country *
02. One Last Soul *
03. The Great Divide *
04. Down Town *
05. Beggarman *
06. Song of Yesterday *
07. No Time *
08. Medusa *
09. The Revolution in Me *
10. Stand (At the Burning Tree) *
11. Sista Jane *
12. Too Late For Sun *
* migliori canzoni
Formazione:
Glenn Hughes - voce e basso
Jason Bonham - batteria
Joe Bonamassa - chitarra e cori, voce principale in Song of Yesterday e The Revolution on Me
Derek Sherinian - tastiera
Album a cui bisogna avvicinarsi con estrema riverenza già solo per i nomi coinvolti nel progetto, Glenn Hughes (Trapeze, Deep Purple), Jason Bonham (figlio di John Bonham, batterista dei Led Zeppelin), Joe Bonamassa (per molti il miglior chitarrista blues dei tempi contemporanei), Derek Sherinian (Planet X, Yngwie Malmsteen, Dream Theater).
La Black Country è una regione industriale inglese (Birmingham), così chiamata per le fonderie e miniere di carbone presenti un tempo nella zona (e per lo smog 😉 ), ma da sempre è anche una delle culle più fertili del duro rock inglese.
Ed è proprio in omaggio a questa “terra del rock” che ha fatto da “balia” ai due quarti del gruppo (Glenn Hughes e Jason Bonham) che nasce questo progetto che ha il sapore dei vecchi lavori “Zeppeliani” e “Purpleiani“.
Ultima cosa importante prima di avvicinarci all’ascolto, per volere stesso di questo supergruppo ci troviamo di fronte ad un Rock a tratti psichedelico in pieno stile anni ’70 e questo è da sottolineare perchè al di là dell’effettiva qualità dei pezzi ci va una “preparazione mentale” per avvicinarci alle sonorità che ci attendono.
Quindi, se vi sentite pronti possiamo premere il tasto play…
LE CANZONI
Ed il suono che si scatena dalle casse non ci lascia dubbi, siamo di fronte ad un album Rock e Black Country ne è la sua intro perfetta. Un groove di basso, chitarra, voce e batteria da urlo… Glenn che urla “I’m a Messenger, listen my Prophecy…” e le colline delle Black Country vengono letteralmente attraversate e spezzate dal terremoto del basso, dai lampi taglienti della chitarra e dai possenti tuoni della batteria. Signori, i BC Communion hanno appena lanciato la loro profezia “Rock”…
… e quello che rimane dopo questo uragono è solo una One Last Soul (un’anima sola), e qui la mia anima melodica prende il sopravvento, questo è uno dei pezzi che preferisco dell’album, i toni da Rock smorzato, ma con gli assoli sopra le righe del grande Glenn Hughes ed una purezza nell’esecuzione del resto della band ci regalano un pezzo da inserire di diritto nella storia del Rock, che classe ragazzi!
La successiva The Great Divide continua a mantenere la stessa classe della precedente One Last Soul, con stacchi emotivi tra momenti veloci e lenti fraseggi che si trasformano in un vero e proprio urlo nel ritornello. Arrangiamento sopra la media, come finora d’altronde in tutto l’album.
Con Down Town ci addentriamo nei meandri più cupi della Black Country e di quei “ragazzi” che qui hanno imparato il senso del Rock, grande il coro simil “coscienza” e spettacolare il giro di chitarra a metà canzone… Bonamassa sarà pure un grande della chitarra Blues, ma anche con il rock non scherza.
Ne volete la dimostrazione? Beggarmen ed il suo inizio di chitarra alla Jimi Hendrix… bello!
Song of Yesterday mi ha particolarmente colpito. Quel suo senso di inquietudine che tramette, ed il miglior giro di chitarra di tutto l’album che arriva quasi inaspettato al quarto minuto e che termina solo dopo due minuti di puro rock onirico per riportarci una canzone stravolta che da inquieta è stata trasformata in un anatema incalzante dove solo un “mmm mmm mmm” ed una batteria picchiante ci portano verso la conclusione di questo pezzo.
No Time è un pezzo di puro e classico Rock, con un altrettanto classico riff chitarra / batteria al cardiopalma che ruba il palcoscenico alla seppur pesante presenza vocale.
Dopo gli otto minuti di Song of Yesterday ci voleva proprio questo stacco. Attenti comunque al cambio di tempo verso i due terzi della canzone per poi tornare al classico riff fino alla chiusura.
Con Medusa (originariamente incisa dai Trapeze) si fa più forte la componenete “onirica e psichedelica” dell’album, tra l’altro questa canzone può essere vista come un omaggio al leggendario John Bonham, padre di Jason, in quanto in una recente intervista Glenn Hughes ha raccontato che John (con cui avevano una stretta amicizia) lo accompagnava spesso ai concerti dei Trapeze (di cui Glenn era cantante) e si univa al gruppo proprio per suonare insieme questa Medusa… storie di vecchi “Rocker” che contribuisco alla leggenda del Rock.
The Revolution in Me (in cui la voce principale è di Bonamassa) ti seduce in prima battuta con la cadenza ritmica del basso spezzata solo dall’assolo della chitarra che ci trasporta nuovamente in una dimensione più psichedelica (come è in genere questa seconda parte dell’album) per poi tornare al ritmo cadenzato del basso in chiusura… siamo di fronte alla corte del Rock, grande prova vocale di Bonamassa e altrettanta grande prova al basso di Glenn Hughes.
Stand (At the Burning Tree) continua su una linea delineata ancora una volta dal ritmo del basso e dalla voce di Glenn, onirica nell’intermezzo del ritornello, che ci fanno ancora una volta assaporare di fronte all’albero che brucia (traduzione di At the Burning Tree) il fascino a volte suadente ed a volte pericoloso del puro Rock.
Sista Jane abbandona la ritmica del basso per regalarci un pezzo tutta Voce, una delle interpretazioni più riuscite di Glenn.
Too Late for Sun è l’ultimo saluto della band, una jammin session in tutto e per tutto, non mi stuperei se fosse stata registrata in presa diretta, grande prova qualitativa e tecnica di tutto il gruppo.
Con questo la Black Country Communion si accomiata da noi che ormai, drogati (in senso positivo) ed estasiati da questa Opera Rock di alta classe, non possiamo che ringraziare.
IN CONCLUSIONE
Passione… è questa la prima cosa che mi viene in mente per descrivere questo lavoro. Potete metterci la qualità degli artisti presenti, la perfetta amalgamatura dei pezzi, l’arrangiamento sopraffino e la produzione encomiabile… ma è la Passione che fa la differenza in questo album.
Questo album ha “un’Anima“, ed è l’Anima più pura e leggendaria che quando entra in un disco ci regala veri pezzi di storia (e non solo nel campo del Rock), e questo primo lavoro dei Black Country Communion ha un’Anima… ma perchè quest’Anima possa entrare in un disco ci vuole la Passione.
Glenn Hughes questa passione l’ha riversata completamente in questo lavoro ed è stato il collante ed il mentore per tutti gli altri elementi del gruppo. Se oltre a questo aggiungiamo anche il lato “romantico” e “generazionale” che unisce i due membri Inglesi del gruppo, Hughes e Bonham, figlio quest’ultimo del batterista dei Led Zeppelin John Bonham che era un grande amico di Glenn… beh, allora questo lavoro riesce anche ad andare oltre la sfera musicale, ma questo fa parte di quelle “legende” che gravitano intorno al Rock e che hanno contribuito a renderlo grande.
La passione di Hughes ha però contagiato tutto il gruppo e questo SI SENTE in ogni singola traccia di questo album, tutti hanno dato il massimo ed oltre alla loro personale qualità si è aggiunto quell’elemento indefinito che rende “Vivi” i vari pezzi.
Non è un album semplice da ascoltare, lo stile è puramente anni ’70 anche se “attualizzato“, e non si trovano pezzi facili o dal piglio puramente commerciale, ma io non mi ritengo un amante del genere (rock anni 70) eppure sono stato letteralmente ipnotizzato da quest’opera che oltre ad avere una qualità che non si discute ha una forza emotiva veramente impressionante.
Ascoltatevelo con tranquillità, immergetevi nelle sue atmosfere e lasciatevi trasportare nella Black Country, attenzione solo che questo potrebbe essere un viaggio senza ritorno..
© 2010 – 2017, Denis Abello. All rights reserved.
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