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California Breed – California Breed – Recensione

05 Luglio 2014 8 Commenti Andrea Vizzari

genere: Hard Rock
anno: 2014
etichetta: Frontiers Music

Tracklist:

01. The Way
02. Sweet Tea
03. Chemical Rain *
04. Midnight Oil *
05. All Falls Down
06. The Grey
07. Days They Come
08. Spit You Out
09. Strong
10. Invisible *
11. Scars
12. Breathe

* migliori brani

Formazione:

Gleen Hughes - Voce e Basso
Jason Bonham - Batteria
Andrew Watt - Chitarre

 

Cantante poliedrico, bassista dai ritmi funky nelle vene, una carriera lunga 40 anni fitta di collaborazioni con decine di artisti/gruppi e che ha visto il suo top mediatico nel biennio 1974-1976 quando con i leggendari Deep Purple ha dato alla luce “Burn”, “Stormbringer” e “Come Taste The Band”. Considerato da molti “The Voice Of Rock”, Glenn Hughes negli ultimi anni ha messo da parte la propria carriera solista per stabilirsi tra le fila dei “Black Country Communion”, superband formata insieme a Jason Bonham, Derek Sherinian e al chitarrista Joe Bonamassa con cui ha rilasciato tre ottimi dischi di stampo blues rock. Nonostante gli ottimi riscontri di stampa il gruppo però ha trovato la battuta d’arresto definitiva lo scorso anno con l’abbandono di Bonamassa a causa di tensioni interne con lo stesso Hughes.
Il bassista britannico non si è fatto attendere e chiamato a sé l’amico Jason Bonham insieme al giovanissimo Andrew Watt alla chitarra, da vita al nuovo progetto chiamato “California Breed”, rilasciato tramite Frontiers Records.

Messo da parte il rock blues dei BCC, il trio sceglie un sound granitico di matrice prettamente 70’s con chiare influenze Led Zeppelin (sulla falsariga dei Rival Sons) il tutto condito da una produzione volutamente “pastosa” e spigolosa affidata a Dave Cobb che riesce nell’intento di far rendere omunque attuale un disco che musicalmente rimanda chiaramente al passato.
Non c’è spazio per rilassarsi durante l’ascolto di “California Breed” perchè nonostante abbia quasi 63 anni il buon Hughes non risparmia acuti e linee vocali abrasive per tutte e dodici le tracce del disco, accompagnato a livello ritmico dal solito lavoro egregio di Bonham e dalle ritmiche asfissianti e a dir la verità un po’ anonime di Watt.
L’inizio è sonoricamente devastante con la coppia “The Way” “Sweet Tea” con cui il gruppo mostra i muscoli e nello stesso tempo mette in luce i difetti principali del platter: chitarre fin troppo ripetitive con poca propensione ad incursioni solistiche e un Glenn Hughes davvero alla lunga stancante a causa di una prestazione vocale focalizzata maggiormente su tonalità alte. A parte “Chemical Way” e “All Falls Down” in cui il gruppo rallenta i ritmi dando alla “Voice Of Rock” maggiore spazio per colpire l’ascoltatore senza stancarlo e “Midnight Oil” in cui i tre musicisti solo per pochi minuti trovano il giusto equilibrio sonoro, c’è davvero poco da menzionare. Canzoni fin troppo simili fra di loro, con pochi guizzi vincenti, ritornelli non certo esaltanti e la chitarra di Watt a imitare malamente grandi del passato come Hendrix e Page, risultandone soltanto una copia sbiadita.
Il ragazzo di certo ha del talento ma in “California Breed” non riesce ad esprimersi come dovrebbe: la cattiveria nelle ritmiche c’è e si sente ma è nei riff con poca fantasia e nelle parti soliste ridotte a pochi episodi che il giovane chitarrista deve sicuramente migliorare.

IN CONCLUSIONE

Avevo molte aspettative su questo nuovo gruppo guidato da Glenn Hughes ma “California Breed” si è rivelato soltanto un buon disco di hard rock senza infamia e senza lode. Se a livello ritmico non c’è nulla da eccepire grazie all’affiatamento ormai consolidato tra Hughes e Bonham, garanzia di solidità e potenza dietro le pelli, purtroppo non si può dire lo stesso delle chitarre e delle linee vocali. La voce di Hughes, pressochè lo stessa fin dagli albori della sua carriera e forte di una potenza unica e devastante si erge in questo disco in maniera eccessiva; si ha l’impressione che il singer britannico abbia voluto strafare, come un cavallo che dopo tanto tempo tenuto in catene adesso ha la possibilità di esprimersi senza freni. Tonalità spesso alte e acuti a ripetizione non aiutano certo nell’ascolto aggiungendosi alle ritmiche incisive ma dalla struttura ripetitiva di Watt e al songwriting appena sufficiente.
Dimenticate la qualità dei suoi dischi solisti come “Play Me Out” e “Addiction” o le varie super collaborazioni come “Hughes/Thrall” e “Seventh Star” (con Tony Iommi): “California Breed” è semplicemente un disco mediocre consigliato solo agli amanti sfrenati del “Funkmeister” e di quel genere che ha reso famosi gente come i The Who e i Led Zeppelin (senza raggiungere però la loro magnificenza).

© 2014 – 2017, Andrea Vizzari. All rights reserved.

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